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L'ORIGINE DELLA MONETA

di Giandomenico Ponticelli

Il baratto, l’origine della moneta e la sua
diffusione in epoca Greco - Romana

La nascita della moneta è legata alla semplificazione degli scambi dovuta da un intensificazione dei commerci. Nelle società del paleolitico gli scambi erano poco frequenti o inesistenti. Piccoli nuclei familiari vivevano quasi sempre isolati dagli altri gruppi, vivendo di ciò che offriva la natura. Con il paleolitico recente e l’intensificarsi dell’economia dei «cacciatori e raccoglitrici» probabilmente vi fu un aumento degli scambi dovuto ad un intensificarsi dei rapporti sociali tra le famiglie e le tribù dovuto ad una maggiore produttività del lavoro.

L’aumento demografico forse generò le pratiche sociali legate allo scambio rituale dei doni tra tribù vicine. Ad essere scambiati erano anche le donne e gli uomini a secondo che vi fosse un ordine patriarcale o matriarcale all’interno della tribù. L’oggetto dello scambio spesso era quanto di meglio una famiglia riusciva a produrre. La bellezza del dono era un indice di maggiore ricchezza e prestigio sociale, ma i doni avevano anche uno scopo diplomatico, perché servivano a rinsaldare le buone relazioni tra vicini. Con lo sviluppo dell’agricoltura e conseguentemente dell’artigianato, insieme alla popolazione aumentarono anche il commercio e gli scambi.

Il superamento del baratto come forma di scambio prioritaria, presuppone una società articolata, in cui esiste una diversificazione delle attività lavorative. Dove il lavoratore della terra non fabbrica più gli strumenti di lavoro da solo ma li acquista da un'altra persona che ha specializzato la sua attività nella fabbricazione artigianale. L’artigiano calcolava il valore del manufatto costruito come frazione del valore complessivo necessario a sostenere se stesso e la sua famiglia, di conseguenza faceva pagare al contadino un prezzo che era proporzionale al tempo impiegato alla costruzione dell’attrezzo. In una società primitiva invece i mezzi di produzione sono sociali, tutta la comunità partecipa alla costruzione ed il prodotto essendo sociale è equamente ripartito.

I beni assunsero oltre ad un «valore d’uso», anche un valore di scambio. Questo perché la proprietà dei mezzi di produzione (e dei beni prodotti) da collettiva diventò privata. Il valore del bene scambiato veniva calcolato oltre che per la sua utilità anche il tempo necessario per la produzione, perché la complessità o la semplicità con cui si ricavavano i prodotti influenzano il prezzo. L’uso del denaro come mezzo di scambio rispondeva all’esigenza d’avere un oggetto universalmente riconosciuto che materializzava immediatamente il valore dato alle merci attraverso il lavoro. Quest’ultimo rendeva possibile lo scambio di tutte le merci senza che queste venissero trasportate da un mercato all’altro, ed inoltre evitava al venditore di dover trovare una merce interessante per la controparte al fine dello scambio.

Prima che lo stato assumesse il diritto di battere moneta, qualsiasi soggetto privato, poteva coniare una propria moneta, si trattava in ogni caso di persone di una certa importanza sociale, visto che al valore nominale doveva corrispondere un eguale valore di beni preziosi, di schiavi o di bestiame. Soltanto successivamente lo stato, o chi deteneva il potere politico, assunse il diritto di battere moneta, costituendo un monopolio, ed estromettendo qualsiasi privato di esercitare questo diritto.
La moneta non emessa dalle autorità emananti, o non autorizzata era considerata moneta falsa, la sua vendita o solamente il suo possesso venivano repressi, sia in età classica sia nel mondo romano, in cui era prevista la pena capitale.

La funzione originaria che la moneta doveva avere era quella di peso, costituiva cioè un’unità di misura, visto che il suo peso era generalmente riconosciuto, gli scambi venivano notevolmente semplificati.
La fase della pesatura venne resa superflua quando lo stato assunse il monopolio della produzione della moneta, infatti, con l’apposizione su oggetti metallici di peso uniforme di un’impronta che ne garantiva il peso e quindi il valore rendeva superflua la pesatura.

Il peso per le monete d’oro veniva verificato in sede sul singolo pezzo e sul lotto per gli altri metalli, successivamente la produzione divenne meno precisa nel peso, partendo da un dato peso si producevano un certo numero di pezzi, in questo modo però le differenze dei singoli pezzi potevano essere vistose.
Il luogo originario da cui si diffuse l’utilizzo della moneta fu l’area Anatolica (Lidia) e secondo la tradizione il primo stato greco a battere moneta, alla fine del sec. VII a.c., fu Egina, su cui erano incise le tartarughe, quindi Atene (l’anfora, la civetta), Corinto (Pegaso), e gli altri stati nel corso del sec. VI a.c. Nella seconda metà del sec. VI a.c. presero a coniare moneta anche le città della Magna Grecia.

I materiali usati per la fabbricazione erano estremamente vari, ma i metalli come l’oro, l’argento, il bronzo e il rame erano i più diffusi perché più malleabili e più duraturi nel tempo, la scelta di uno rispetto all’altro dipendeva dal costo e dalla reperibilità sul mercato.
Nelle città greche i metalli utilizzati erano l’elettro in pesi globulari, l’oro e argento.

Nel 1904- 1905 nel basamento del tempio Artemide in Efeso vennero alla luce una grossa quantità di monete globulari in elettro risalenti al 640 - 630 a.c., a partire dal VI secolo a.c. era l’argento ad essere largamente utilizzato.
In antichità era possibile che il sistema monetario non fosse esclusivamente monometallico ma che questo fosse composto da monete di metallo diverso, ci sono ritrovamenti che testimoniano sistemi bimetallici, o trimetallici.
Lo scopo di questa diversificazione era dovuto al diverso utilizzo cui le monete erano destinate, e soprattutto alle dimensioni del mercato in cui le monete si muovevano:
Le monete in argento ed in rame erano utilizzate per le transazioni quotidiane, di entità medie e minori, caratterizzata da una circolazione veloce.
La moneta d’oro, per il suo alto valore e per la sua destinazione quasi costante alla tesaurizzazione, aveva una circolazione lentissima. L’oro e l’argento, erano utilizzati per gli scambi commerciali importanti, potevano muoversi anche su grandi distanze, la moneta in rame rimaneva circoscritta in ambiti di circolazione molto limitati, corrispondenti ai territori controllati dalle autorità emittenti, quando questo non accadeva, e in mercato locale si trovava moneta allogena in rame, questo significava che esisteva una dipendenza economica da altri centri, ma soprattutto che esisteva una sottomissione politica.


Le monete erano divise in sistema duodecimali o sessagesimali, per esempio il talento pesava 26,220 gr. Suddiviso in sessanta mine, che però erano suddivisibili in un numero di dracme in argento variabile (da 100 a 70) da luogo a luogo.

Tabella 1 Sistema monetario euboico-atenese

1 talento 60 mine 6000 dracme
1 mina 100 dracme
25 stateri
25 tetradracme
1 statere 4 - 2 dracme
1 tetradracma 4 -2 dracme
1 dracma 6 oboli

Tabella 2 Sistema monetario romano imperiale

1 aureo 25 denari 100 sesterzi 400 assi
1 denario 4 sesterzi
1 sesterzio 4 assi

Il valore nominale attribuito dall’autorità emittente alla moneta era superiore al valore del metallo contenuto, la differenza veniva trattenuta come corrispettivo del costo della coniazione.
Quando le casse dello stato avevano bisogno di essere risanate, le monete erano oggetto di politiche economiche speculative, ad esempio il contenuto di metallo prezioso poteva essere ridotto ai minimi termini, fino a diventare una pellicola sottilissima d’oro che ricopriva un metallo più vile, oppure il valore delle monete poteva essere modificato d’autorità come ad esempio è il raddoppio del valore (da 12,5 a 25 denari) della moneta contrassegnata con il genio populi romani imposto da Diocleziano.
Era anche frequente reimmissione sul mercato, con valore nominale più alto, di specie monetarie demonetizzate, riconiate o contromarcate.
Era l’autorità emittente che garantiva il valore intrinseco della moneta, ne imponeva il corso forzoso, stabilendo i rapporti di cambio con le altre monete, e obbligando l’utente ad accettare il valore imposto.

Le zecche, in età antica, erano collegate ai templi, (ad Atene al Teseion, a Roma al tempio di Giunone Moneta), avevano un organizzazione molto complessa soprattutto in età romana, dove i volumi di emissione erano maggiori.
Non agivano in autonomia, come in uno stato moderno, ogni cosa era stabilita in precedenza: il peso, il titolo, il disegno ma soprattutto il valore legale, i volumi e ritmi di emissione.
Come in un azienda statale, anche i costi erano controllati dalle autorità imperiali: il prezzo dei metalli, le percentuali di profitto, i costi del personale, le sanzioni, ecc.

Le emissioni venivano effettuate da una zecca centrale, che aveva sede nella capitale, ma in alcuni casi erano necessarie zecche sussidiarie, quando le distanze rendevano difficile l’approvvigionamento, e il caso di Lione che nella Roma Imperiale aveva una zecca.

Dopo la riforma di Aureliano, le zecche vennero organizzate nel territorio, in modo da poter coprire anche le zone più marginali dell’impero, che erano costantemente a corto di monete.
Esistevano casi particolari come le guerre, in cui le zecche seguivano gli eserciti.
L’organizzazione interna delle zecche era molto complessa, in ambito amministrativo, oltre agli impiegati e a responsabile di ufficio vi era anche un addetto ai cambi ed un tesoriere che aveva anche compiti di sovraintendenza.
All’interno dell’officina vi era un altro tesoriere, un monetiere e un capo operaio, le maestranze erano composte da un fonditore, un operaio addetto alla saggiatura del metallo, un martellatore ed un suo collaboratore, un incisore di coni ed un operaio generico.

Struttura della zecca di Roma

Ambito amministrativo

Optio et exactor Tesoriere e sovrintendente
Nummularius Addetto ai cambi
Optio Responsabile dell’ufficio
Officiator Impiegato

Officina

Optio et exactor Tesoriere e sovrintendente
Flaturarius Fonditore
Probator o aequator Addetto a saggiare il metallo
Malliator Martellatore
Suppostor Operaio che collabora alla battitura
Praepositus mediastinorum Capo operaio
Mediastinus Operaio generico
Scalptor Incisore di coni
Signator Monetiere


La tecnica più utilizzata per fabbricare le monete, in epoca antica è la coniazione, ma era possibile adoperare anche un'altra tecnica, utilizzata soprattutto per le monete troppo grandi per essere battute, la fusione, alcuni esempi sono la moneta etrusca, italica e la moneta romana primitiva.
Venivano utilizzate delle matrici bivalvi in terracotta, con dentro incisi o impressi i tipi in negativo. Attraverso un canale centrale veniva versato il metallo, che fuoriusciva da canalette secondarie.
La tecnica di fusione poteva essere usata anche in casi particolari, per esempio quando le monete regolari avevano difficoltà a raggiungere il mercato, era comunque la tecnica più diffusa per realizzare i tondelli utilizzati per la coniazione.

La coniazione delle monete era molto semplice: il tondello, che poteva essere freddo o riscaldato, veniva tenuto fermo con un paio di pinze, tra il conio inferiore (di incudine) e il conio superiore (di martello), che era tenuto con la mano sinistra, sul quale veniva sferrato un forte colpo con la mano destra. Per questo tipo di lavorazione erano necessarie due persone, una che manteneva le pinze ed un’altra che teneva il conio e che brandiva il colpo.
I sistemi più evoluti avevano i conii bloccati dalle ganasce di una tenaglia, in questo modo era possibile avere il recto in posizione costante rispetto al verso.
Questo tipo di tecnica produceva dei pezzi tutti diversi tra loro, per peso, forma del tondello, irregolarità, fessurazioni, rigonfiamenti e scivolature del conio.
In origine era il conio di incudine ad imprimere l’unico tipo, il conio di martello era utilizzato soltanto per ripartire i colpi del martello in maniera uniforme su tutta la superficie della moneta.
Le monete Magno greche avevano il rovescio incuso, che riproduceva in negativo il tipo dell’altra faccia che era in rilevato.
Non sono rari i casi in cui per motivi di emergenza vengono utilizzate monete fuori corso, per la riconiatura, talvolta senza cancellare del tutto i tipi precedenti.

Le immagini impresse sulle monete possono avere motivazioni differenti, sono comunque spesso appartenenti al panorama mitico, o sono legate alla città emittente in qualche modo.
Esistono esempi di monete la cui immagine e legata etimologicamente al nome della città, sono esempi la foca per Focea, la rosa per Rodi, il leone per Leontini.
Talvolta veniva proposta l’immagine dei prodotti cui si doveva la propria prosperità e notorietà, è il caso di Metaponto con la spiga, Cadice con il tonno, Naxos con il grappolo d’uva.
Era molto frequente l’immagine di divinità, o dei miti e delle leggende collegate ad essa.
Solitamente veniva impresso sul davanti l’immagine della divinità, mentre nel rovescio si poteva trovare un riferimento ad un attributo o al mito riguardante la divinità, alcuni esempi sono: la moneta di Atene, che aveva sul davanti l’immagine di Athena, e sul retro l’immagine della sua civetta; la moneta di Olimpia aveva inciso, Zeus e l’aquila, la moneta di Corinto aveva Pegaso e Bellerofonte.
In certi casi si aveva l’immagine dell’eroe eponimo: Taras sul delfino per Taranto, Poseidone per Poseidonia, Eracle per Eraclea.

Un caso interessante da analizzare è quando il potere politico di una città si estendeva sulle città circostanti, in quanto le città dominate finivano per riconoscere le tradizioni e le leggende delle città dominanti, questo ovviamente si rispecchia anche sulle monete.

L’esempio di Sibari e Crotone è calzante, Sibari fu una città prosperosa fino alla sconfitta adoperata dai crotoniati nel 510 a.c., se noi analizziamo i tipi delle monete sibarite, vediamo che l’immagine impressa sulle sue monete è il toro, lo stesso vale per le città ad esse collegate: Siris, Ami, Sontini, Palinuro e Molpe le cui monete avevano come raffigurazione principale il toro.
La moneta di Crotone ha come raffigurazione il tripode delfico, se noi vediamo una moneta di Sibari dopo il 510 a.c. questa avrà sul diritto il tripode con la scritta kpo = Crotone, sul rovescio il toro e la scritta U= Sibari.
La moneta di Pandosia coniata dopo il 510 a.c., che era una città controllata da Sibari, aveva inciso il tripode sul davanti e il toro sul rovescio.

Un esempio molto interessante è la moneta di Lainos, altra città sotto il controllo di Sibari, coniata posteriormente alla sua sconfitta: sul rovescio è inciso il toro e la scritta LAI= Lainos, questo significa che Lainos si riconosceva ancora nei miti Sibariti, sul diritto invece era presente il tripode e la scritta U= Sibari, questo è molto importante perché significa che ormai i sibariti erano totalmente assoggettati ai Crotoniati, anche ideologicamente, al punto da perdere la loro identità originaria.

 

Giandomenico Ponticelli
E-Mail
( http://digilander.libero.it/ponticellig )


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