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STORIA-INTERPRETAZIONE

di Giandomenico Ponticelli

L’interpretazione
della storia degli antichi


Per uno storico l’interpretazione dei processi si basa necessariamente sullo studio delle fonti, da cui riesce a trarre la base fondamentale per le proprie teorie.

Per uno studio che si svolge nell’ambito dei periodi moderno e contemporaneo, il problema a cui si va sistematicamente incontro e di dover prendere in considerazione una serie considerevole di fonti diverse (letterarie, statistiche, giornalistiche, ecc.). Questo overflow di notizie porta ad una restrizione del campo di ricerca ed a una cernita di quelle fonti che possono essere più autorevoli o comunque più genuine.

Per chi si occupa dell’antico, il problema è diverso, le fonti su cui fare affidamento sono scarse ed avvolte di dubbia interpretazione, è dunque spesso necessario fare affidamento sulle scarse fonti letterarie tramandateci dagli antichi e i frammenti del passato portati alla luce dall’archeologia.

La storia dell’ interpretazione delle fonti antiche è la storia del metodo scientifico che ha preso corpo nel corso dei secoli, nato dall’esigenza di dare coerenza ed unicità all’interpretazione del passato ormai lontano.
I primi a fare i conti col passato, furono i romani, che per primi si posero il problema di comprendere il passato attraverso le spoglie sopravvissute al loro tempo.
Varrone attraverso la sua opera “Antichitates divinae et humanae”, rende quello che fino a quel momento era stato esclusivamente oggetto di puro collezionismo da parte di consoli e generali, la base essenziale di una ricerca storica sistematica, basata sullo studio della lingua, della letteratura e dei costumi.

Dopo i secoli bui del medioevo a partire dal 1500 anche grazie ad una serie di leggi emanate dai pontefici atte a regolare gli scavi dei siti archeologici riprende lo studio dell’antichità combinato tra testimonianze letterarie, archeologiche ed epigrafiche, con preferenza per i testi letterari ed epigrafici.
Erano quindi le testimonianze scritte di Livio, Tacito e Svetonio a prevalere rispetto alle altre fonti in quanto questi godevano di un autorevolezza fondata su un principio ritenuto sempre valido che gli antichi avevano visto con i propri occhi ciò che un uomo del seicento poteva solo immaginare.

Le antichità erano considerate come reliquie sfuggite al tempo, queste spoglie antiche per gli storici cinquecenteschi “non parlavano”, quindi non c’era nessuna necessità di utilizzarli come materiale di studio, questo valeva soprattutto per civiltà come quella Romana o quella Greca, di qui esistevano numerose testimonianze scritte, che andavano a formare una storia canonica.
Qualcosa incomincia a cambiare quando oltre alle già citate civiltà diventano oggetto di studio altre realtà europee, per questi ultimi non esistono fonti letterarie prestigiose, quindi è necessario partire da basi differenti per poterle studiare.

L’antiquaria, che fino ad esso era stato culto estetico dell’antico, acquista un valore fondamentale, diventa il fulcro di una ricerca sistematica, finalizzata alla raccolta e al catalogamento dei resti dell’antico, nel corso del seicento l’antiquaria diventa di prima importanza e dalla metà del secolo questa pratica si generalizza e lo studio delle monete, delle iscrizioni e dei resti archeologici incomincia ad avere un senso storico.
“Si cerca di porre la conoscenza storica su basi più sicure, analizzando a fondo le fonti e attingendo, possibilmente, a testimonianze diverse da quelle offerte dagli storici del passato”.

Sempre nel seicento nasce nuova scuola di pensiero, il pirronismo storico, che rimette in discussione la veridicità assoluta due scuole di pensiero formatesi nel corso del secolo, (una basata sullo studio dei testi e l’altra sullo studio dei frammenti), criticandone il radicalismo, nel 1682 Boyle afferma: “non c’è truffa più grande di quella che può farsi sui monumenti storici”.

Se anche l’interpretazione dei monumenti può essere ingannevole, risulta estremamente difficile che si verifichi il caso in qui una gran mole di materiale si dimostri contraffatto, in quanto la forza di questo metodo interpretativo consiste propri nella quantità superiore di materiale che si ha a disposizione.
Matura la concezione di distinguere le fonti letterarie dalle altre fonti quali i documenti, le iscrizioni, le monete e le statue, dando maggiore rilievo agli atti pubblici, perché riportando una data e reperibili in grandi quantità.

Nasce l’idea che è possibile riempire i lati oscuri della storia umana, proprio con quei frammenti che sono sfuggiti al tempo e che ora di dimostrano estremamente utili, la storia non è più statica ma diventa dinamica, in continuo mutamento proprio come le scienze che i quei secoli stanno nascendo.

La ricerche sistematica che va maturando, proprio come una scienza non necessita di essere vincolato al principio di “bona fides” , ma all’empirismo delle tecniche di ricerca.
Nel 1697 Francesco Bianchini pubblica “La istoria universale provata con monumenti e figurata con simboli degli antichi”, provando che “le testimonianze archeologiche sono in pari tempo simbolo e prova degli avvenimenti passati”.
Bianchini era un astronomo, amico di Newton, faceva parte di una cerchia di cultori della storia appartenenti alle categorie professionali vicine alla scienza, questi uomini furono in grado di applicare alla ricerca storica il metodo dell’osservazione diretta, dandogli quindi il rigore di una scienza e dei suoi metodi di ricerca.

Nel 1746 nell’opera di John. Aug. Ernesti “de fide historica recte aestimondo” la comparazione sistematica delle testimonianze letterarie con quelle non letterarie viene accettata come criterio ortodosso.
Il passo successivo fu quello di stabilire norme sicure per l’uso di documenti, iscrizioni e monete riguardo sia all’autenticità sia all’interpretazione.
Nascono nuove discipline come la paleantografia greca, perché “vasi, statue rilievi e gemme parlano un linguaggio molto più difficile” da analizzare.
Partendo da linee generali generatesi nei processi evolutivi della storia dell’uomo, si tratta di identificare attraverso lo studio e l’interpretazione rigorosa delle fonti la struttura sociale che genera la sovrastruttura delle società antiche.

Sulle basi di questo metodo di lavoro nasce la storia dell’arte, ad opera di J. J. Winchelmann (1717 -1768), pittore, scultore e disegnatore.
Winchelmann parlava tedesco, italiano, francese, greco e latino antico, cultore dell’antichità ed autodidatta.
La sua opera più importante è: Storia dell’arte antica, con cui vengono gettate le basi della storia dell’arte antica, e il primo a dividere l’età antica periodi:
età arcaica
età del sublime
età del bello
età dell’imitazione
età romana
Riesce nell’opera di collocazione dei vari manufatti nella propria epoca corrispondente, mettendo in ordine le fonti e dandone una lettura filologica, (rapportando le notizie di una fonte al reperto), stabilisce un criterio detto “stilistico” o “das wesen”, a cui fa corrispondere le statue e gli altri manufatti, secondo l’età e la provenienza.
In questo modo da un interpretazione universale a cui tutti possono fare riferimento, partendo semplicemente dallo studio dell’estetica, cioè elencando ciò che di caratteristico hanno gli oggetti in esame.
Con questo criterio Winchelmann riesce ad uscire dalla concezione antiquaria, fondata sull’accorpamento e il catalogamento dei reperti senza darne un interpretazione.
In riguardo all’antiquaria e alla sua fine ecco ciò che dice Momigliano : “ l’idea dell’antichitates e scomparsa perché è scomparsa l’idea corrispondente della storia politica fondata sulle fonti letterarie”.

La disciplina stessa che studia l’età antica, l’archeologia, basa i suoi studi sulle testimonianze materiali (abiti, tombe, oggetti d’uso, prodotti artistici).
Le tecniche di ricognizione comprendono la fotografia aerea e indagini subacquee, prospezioni magnetiche, sistemi televisivi, ecc.
In riguardo alla precisione cronologica, per epoche preistoriche viene usata la bioarcheologia, (lettura degli anelli formatisi nei tronchi delle piante), la misurazione al carbonio, le indagini sui pollini.
Per le epoche storiche antiche il metodo principale per la datazione di materiali resta lo scavo stratigrafico.
Tale tecnica consente all’archeologo di ricostruire a ritroso le distinte fasi di un sito, giungendo a definire la cronologia relativa (in rapporto con i vari livelli) e quindi, mediante lo studio dei reperti (ceramiche, vetri, metalli, ossa, ecc.) e il confronto con tutti gli altri tipi di testimonianze, la cronologia assoluta, ciò l’epoca precisa in cui si sono verificati gli eventi a cui risale il contesto studiato.

Il superamento di una concezione parziale dell’archeologia (quale era quella ancorata a curiosità antiquarie e a criteri estetici o teso al mero arricchimento del patrimonio storico artistico), ha portato alla valorizzazione dei manufatti “poveri”, che costituisco la maggiore parte dei reperti archeologici. Lo studio dei frammenti permette di individuare le caratteristiche standardizzate e di risalire ai luoghi di produzione dei manufatti, la dislocazione dei frammenti consente di studiare i movimenti di merci e dei prodotti agricoli (particolarmente indicativi i resti di anfore e di manufatti da mensa). La forma dei contenitori interessa sempre meno come indizio di attitudini di gusto e stili artigianale, ed è piuttosto studiato sotto il profilo tecnologico, ossia in funzione dei prodotti trasportati.

Giandomenico Ponticelli
E-Mail
( http://digilander.libero.it/ponticellig )

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