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I MONGOLI IN RUSSIA

BATTAGLIA DEL FIUME KALKA 1223


Luogo: fiume Kalka (Ucraina sud-orientale)
Data: 31 maggio 1223

Contendenti:
Mongoli
Alleati Russi e Polovzi Qipchaq

Protagonisti:
Mongoli:Jebe Noyon, Subotai

Russi: Mstislav di Galizia, Mstislav Romanovich principe di Kiev, Daniil Romanovich principe di Volinia, Mstislav Sviatoslavich principe di Chernigov

Forze impegnate
Mongoli: 25-30000 uomini
Alleanza dei principati russi e Qipchaq: 80000 uomini

CONTESTO

La prima grande invasione della Russia condotta dalle armate mongole fu soprattutto un raid esplorativo. Durante la grande campagna di annientamento dell’impero corasmico negli anni 1219-22 un esercito mongolo , al comando degli esperti Jebe e Subotai era stato incaricato da Gengis Khan di inseguire lo scià Muhammad che dopo aver visto il proprio regno andare in rovina sotto l’attacco mongolo aveva cercato di fuggire con una scorta sempre più ristretta in un punto dove gli spietati inseguitori non l’avrebbero potuto trovare.

Nell’estate del 1220 lo scià moriva di stenti in un’isoletta del Mar Caspio e i suoi inseguitori si trovavano ai margini di un’area inesplorata. Subotai ricavò informazioni riguardo alle popolazione che avrebbe trovato e propose a Gengis Khan un lungo giro esplorativo dei territori intorno al Mar Caspio, passando per il Caucaso e le steppe a nord di quella regione. Gengis Khan diede la sua approvazione e l’estate del 1220 fu trascorsa dai Mongoli a preparare la lunga marcia.

Nel febbraio del 1221 cominciò l’esplorazione. Il primo stato a trovarsi lungo la direttrice di marcia fu il regno cristiano di Georgia, che contava un esercito di valorosi guerrieri guidato da Giorgio III Lasha. I Georgiani avevano avuto notizia dei metodi brutali usati dai Mongoli nelle loro conquiste e si opposero in forze. Sfortunatamente non avevano bene appreso la tattica mongola delle finte ritirate, così in due successive battaglie la loro cavalleria fu crudelmente decimata dalle frecce mongole.
Per loro fortuna i Mongoli non avevano intenzione di conquistare la Georgia. Essi passarono per Derbent e si assicurarono la collaborazione dello Scià locale per ottenere delle guide che li conducessero oltre la catena montuosa del Caucaso. A quanto pare però lo Scià condusse un doppio gioco, istruendo le guide a condurre i Mongoli per la più tortuosa strada possibile, mentre mandava dei messi lungo la via più breve per avvertire le popolazioni trans-caucasiche dell’arrivo degli invasori. Fu così che i Mongoli dopo aver attraversato con grandi pene il Caucaso si trovarono di fronte un fortissimo esercito avversario, schierato all’imbocco della valle da cui stavano scendendo, presso il fiume Terek.
A causa del terreno sfavorevole i Mongoli non potevano impegnare l’esercito avversario con le solite tattiche. Sembra pure che un attacco frontale abbia prodotto risultati nulli. Davanti a loro avevano una coalizione eterogenea composta da Turchi Qipchaq, Lesghiani, Circassi e Alani. Tali popoli non si amavano tra loro e si erano uniti solo contro il nemico comune. Negoziare con i capi Qipchaq perchè abbandonassero i loro alleati fu meno difficile del previsto. Subotai e Jebe pare che li abbiano corrotti con ricchi doni (frutto dei precedenti saccheggi) e con l’esortazione a non prendere le armi contro un popolo della stessa stirpe.

I Qipchaq, detti anche Polovzi o Cumani erano di stirpe turca, affine ai Mongoli, senza contare che nell’esercito di Jebe e Subotai i Turchi veri e propri dovevano essere in altissima percentuale. Gli altri contingenti , lasciati soli dalla ritirata dei Qipchaq, furono sopraffatti dai Mongoli; essi poi inseguirono i Qipchaq che stavano tornando alle loro terre e li attaccarono di sorpresa, costringendoli alla fuga in una battaglia combattuta presso il fiume Don.
I Polovzi Qipchaq, che pure erano abituati al modo di guerreggiare fatto di razzie a largo raggio, non avevano mai sperimentato un nemico così spietato e imprevedibile. Presi dal panico si rifugiarono con le loro famiglie presso i principati russi. Russi e Polovzi erano tradizionalmente nemici, ma da qualche generazione i rapporti si erano fatti più amichevoli. Molti principi russi avevano sposato figlie di capi Qipchaq, per convenienza politica, anche se le donne di quella razza erano ricercate dai Russi per via della loro avvenenza.

Mstislav di Galizia, che godeva di un certo prestigio, se non autorità presso gli altri principi russi, aveva sposato la figlia del Khan Koten, che esercitava l’autorità di quelle tribù Qipchaq che ora chiedevano aiuto. L’arrivo alla corte di Mstislav, non solo del suocero, ma anche di tutti i capi minori delle tribù nomadi fece ben comprendere l’entità del pericolo che si avvicinava da oriente. Mstislav mandò un appello a tutti i principi Russi per un concilio a Kiev, nel quale discutere le misure da prendere contro l’imminente invasione. Nonostante le divergenze e le reciproche diffidenze fra i principi si riuscì a trovare un accordo per unire le truppe in un’armata che avrebbe preso le armi nella primavera del 1223.

Per fortuna dei Russi i Mongoli dalle steppe ucraine avevano diretto le loro incursioni nell’Ucraina meridionale lungo le sponde del Mare di Azov. Secondo quanto scrive Richard Gabriel nella sua biografia di Subotai il comandante mongolo aveva preso contatti con dei mercanti di Venezia che avevano creato un piccolo avamposto commerciale. Subotai si rese conto che la flotta mercantile dei Veneziani li rendeva potenziali informatori riguardo tutti i popoli con cui erano in contatto, e potevano permettere una stima delle forze degli stati che potevano opporsi ai Mongoli, della loro ricchezza, delle caratteristiche geografiche e climatiche di ciascun paese, la dislocazione delle fortezze e via dicendo.
I Veneziani videro la ricchezza dell’esercito mongolo, la presenza di manufatti e tessuti cinesi e capirono immediatamente l’importanza di farsi amici i nuovi venuti. Li fornirono di ogni possibile informazione in loro possesso e si fecero strappare la promessa che i Mongoli avrebbero distrutto tutti gli avamposti commerciali dei rivali dei Veneziani, soprattutto quelli genovesi. Ciò spiegherebbe bene l’incursione dei Mongoli in Crimea e il saccheggio della stazione commerciale di Sudak che nominalmente faceva parte della repubblica di Genova. Le stazioni commerciali veneziane in Crimea furono invece risparmiate. Va però detto che l’esistenza di un accordo tra Veneziani e Mongoli è stata negata da altri studiosi tra cui il Grousset.

L’ARMATA DEI PRINCIPI

I principi Russi che mandarono delle armate per la campagna furono: il Gran principe di Kiev, Mstislav Romanovich, il principe di Chernigov, Mstislav Svyatoslavich, il principe di Galizia Mstislav Mstislavich, il principe di Volinia Daniil Romanovich, il principe di Kursk Oleg, mentre il granduca Yuri di Vladimir Suzdal avrebbe dovuto mandare un contingente al comando del nipote, Vasiliko principe di Rostov, che però non si presentò in tempo per partecipare alla campagna.
I vari contingenti si riunirono presso la città di Zarub tra i 50 e i 60 Km a sud di Kiev verso la fine di Aprile. L’armata riunita superava sulla carta gli 80000 uomini ed era comunque molto più numerosa dell’esercito mongolo, tuttavia l’armamento e l’efficienza non erano gli stessi per tutti i soldati.

Secondo David Nicolle “Kalka River 1223 p. 35-36
“L’armamento della guardia del corpo russa derivava tanto dalla tradizione delle steppe che da quella europea. Esso includeva spade, di manifattura simile a quella europea ed erano talvolta importate dall’ovest; asce di guerra, mazze fornite di aculei, sciabole, coltelli da combattimento e stiletti più piccoli”. Le mazze potevano essere di metallo ma anche di osso. Data la facilità relativa della loro fabbricazione erano d’uso anche tra la popolazione più povera. Come armatura difensiva era in uso l’usbergo di maglia, anche se dal 13° secolo i guerrieri di elite iniziarono a vestire, lamelle e piastre sopra la maglia. Molto caratteristico nella cavalleria russa era l’elmetto fornito di nasale, e spesso di una maschera antropomorfa. Gli scudi erano circolari o del tipo bizantino allungato. Protezioni di maglia potevano essere adottate per le gambe e a volte per il cavallo, anche se l’uso era piuttosto raro.
Ben pochi Russi potevano permettersi le armature più costose. Le milizie urbane, che il principe poteva chiamare nelle città sottoposte al suo controllo, dovevano essere armate dagli arsenali cittadini o dal principe stesso. Il loro armamento consisteva in cotte di maglia, elmi, spade e lance. Il principe poteva assoldare per singole campagne altri uomini validi per completare il contingente a sua disposizione, ed essi provvedevano da sé al proprio equipaggiamento. Oltre alle truppe sotto il suo diretto controllo, il principe russo aveva la possibilità teorica di mobilitare quelle appartenenti ai nobili (Boiari) entro i suoi domini. Questo accadeva soltanto quando il principe aveva sufficiente autorità.

Sebbene i Boiari riconoscessero la sovranità del loro sovrano, spesso non tenevano in nessun conto gli ordini di mobilitazione, e le truppe non si muovevano se non al loro comando. La gestione in marcia e battaglia di simili contingenti abituati a combattere senza obbedire agli ordini era un deciso svantaggio contro un esercito come quello mongolo dove la disciplina era strettissima. La mancanza di larghi contingenti di arcieri a cavallo poteva essere compensata dall’apporto degli alleati Polovzi che avevano mantenuto il carattere di guerrieri delle steppe abituati a tirare d’arco, e potevano sostenere il combattimento corpo a corpo. Inoltre avevano una dotazione di archi pesanti montati su carri, mangani e armi da fuoco. Se ben coordinata l’armata alleata poteva quindi essere un formidabile avversario per i Mongoli, ma la mancanza della leadership riconosciuta, della coordinazione tra reparti e della disciplina interna rendeva quasi impossibile un’azione efficace.

I Mongoli avevano appreso dalle pattuglie lasciate nell’Ucraina meridionale della presenza della grande armata alleata. Per conto loro non potevano contare su rinforzi, dal momento che l’armata più vicina, quella di Jochi figlio di Gengis Khan, era lontana sulle sponde del Caspio, costretta all’inattività da una presunta malattia del gengiskanide. In compenso si erano assicurati la collaborazione dei Brodniki, una popolazione mista di lingua slavofona, composta principalmente di guerrieri che erano fuggiti dai principati russi per vivere indipendentemente sulle sponde del Don. Il loro modo di combattere era compatibile con quello mongolo e Subotai li inserì nel contingente di Tsugyr Khan.
Per dividere i loro nemici, come avevano fatto in occasione della coalizione del Terek, Jebe e Subotai inviarono un’ambasceria. Ben conoscendo la precedente ostilità tra russi e Polovzi l’ambasciatore cercò di convincere i primi ad abbandonare i secondi. I Mongoli non erano venuti con intenzioni ostili verso i Russi e si erano astenuti dal predare i loro villaggi e città. Erano venuti solo per distruggere i Polovzi per volere di Dio.

I Russi non si fecero irretire. confermarono l’alleanza con i Polovzi e per suggellare la loro presa di posizione fecero uccidere gli ambasciatori mongoli con l’accusa di spionaggio. Dopo questo gesto avventato non si poteva più tornare indietro: la guerra era inevitabile. Nonostante il massacro della precedente ambasceria i Mongoli ne mandarono una seconda che si limitò a comunicare che loro non avevano iniziato le ostilità per primi e che Dio sarebbe stato loro giudice. Questa legazione tornò senza altre molestie.
I Principi discesero il Dnieper e si unirono ai contingenti di fanteria galiziana, che erano giunti con delle imbarcazioni che avevano disceso il Dniester fino al Mar Nero per poi risalire lungo il Dnieper fino all’isola di Khortytsya (hortiza) il 15 maggio del 1223

DAL DNIEPER AL KALKA

I principi discesero il Dnieper tenendosi prudentemente sulla riva destra, ma avevano mandarono anche reparti in esplorazione della sponda sinistra dove erano state segnalate pattuglie mongole. I primi contatti rivelarono la presenza di arcieri a cavallo piuttosto semplicemente armati e alquanto restii a opporre una qualche forma di resistenza. Mstislav di Galizia con i suoi alleati Polovzi sgominò un distaccamento della avanguardia mongola catturando e facendo poi uccidere il comandante. Più tardi il principe Daniil di Volinia e Yuri Domanerich vinsero un’altra scaramuccia mettendo in fuga alcuni Mongoli che stavano controllando un gregge. La furia barbarica degli invasori denunciata dai terrorizzati Polovzi sembrava rivelarsi alla prova dei fatti ben poca cosa e i Russi decisero di traghettare l’intero esercito sulla sponda sinistra del Dnieper e da lì inoltrarsi nelle steppe dell’Ucraina orientale.

Era il 17 maggio del 1223. Il Gran principe di Kiev Mstislav Romanovich sembrava non condividere l’entusiasmo montante dei suoi colleghi e dei rinfrancati Polovzi. L’avventurare l’armata russa nelle praterie ucraine lontano dal fiume senza l’appoggio della flotta di barche non sembrava una buona idea, ma Polovzi e Galiziani erano di parere opposto. I Mongoli fecero mostra di fuggire per nove giorni lasciando indietro armi, carriaggi e grandi quantità di bestiame, che prontamente venne raccolto dagli inseguitori. In apparenza sembrava che gli alleati stessero inseguendo un’armata allo sbando. La ritirata mongola continuò lungo le praterie e le basse colline dell’Ucraina meridionale fino al Kalka, un piccolo fiume che sfocia nel mare di Azov, circondato da basse colline che potevano nascondere bene le manovre di un esercito che ne

LA BATTAGLIA DEL KALKA

La mattina del 31 maggio, sulla sponda occidentale del Kalka i contingenti alleati vinsero un altro piccolo scontro con avanguardie mongole, che si ritirarono oltre il fiume. Secondo David Nicolle ci fu un’aspra disputa tra i principi russi riguardo l’opportunità di proseguire l’inseguimento o accamparsi nella sponda destra. Alla fine non venne raggiunto alcun accordo e ogni principe si sentì libero di fare di testa sua. Secondo ragioni non ben conosciute Mstislav Mstislavich pretese che il comando del contingente Qipchaq venisse assunto da Khan Yarun invece che Koten Khan

Le prime truppe alleate a varcare il fiume furono i contingenti dei Polovzi Qipchaq e del principe di Volinia Danil, seguite immediatamente dai Galiziani di Mstislav Mstislavich. Si trovarono di fronte dei reparti di cavalleria leggera mongola, avanguardie dell’armata principale che era schierata oltre il fiume. Subotai aveva disposto se stesso al centro con i reparti di cavalleria più pesante, Jebe alla sua destra e Tsugyr Khan alla sinistra. Immediatamente la cavalleria mongola cominciò a molestare sui fianchi i contingenti Polovzi, mentre i Voliniani, partirono all’attacco supportati da Msitslav e dai Galiziani.
La cavalleria leggera mongola si disperse per poi riunirsi ai reparti principali che stavano entrando in azione in quello stesso momento. La cavalleria pesante di Subotai attaccò i disordinati Polovzi, mentre i Mongoli che formavano la cavalleria leggera tempestavano ai lati i contingenti di Volinia. I Polovzi non ressero all’attacco e scapparono; i Mongoli si interposero tra loro e i Voliniani che ricevettero l’urto della cavalleria pesante mongola e finirono tempestati dagli arcieri a cavallo. Il principe Danil venne ferito seriamente e vide cadere accanto a sé i suoi più validi ufficiali.
I Voliniani furono messi in rotta e cozzarono contro i contingenti Galiziani, finchè tutta l’avanguardia russa divenne un’informe massa in fuga. L’armata del principe di Chernigov che stava attraversando il guado si vide arrivare addosso la confusa massa di fuggitivi incalzati dai Mongoli. Come se non bastasse entrarono in scena le altre due toumen dell’armata di Subotai, l’ala destra al comando di Jebe Noyon e l’ala sinistra al comando di Tsugyr Khan, tutte convergenti verso il guado dove le truppe russe stavano tentando di riorganizzarsi. Si produsse quindi un effetto “stampede”: i russi di Chernigov vennero travolti dai propri alleati in rotta e dall’attacco concentrico dei Mongoli e non ebbero altra risorsa che la fuga.

Sull’altra sponda del fiume rimanevano intatti i contingenti del principe di Kiev che non ebbero altra scelta che assumere una posizione difensiva unendo in cerchio i loro carri e aspettando l’attacco all’interno di essi.
Subotai diede ordine a Tsugyr Khan e a Teshi Khan di tenere impegnati i kievani, mentre il resto dell’esercito mongolo si dedicava allo sterminio degli altri contingenti in fuga. Intorno ai Kievani, saldamente trincerati, i fuggitivi russi e polovzi senza più ordine o distinzione di nazionalità venivano inseguiti e uccisi senza pietà dai Mongoli che continuarono la caccia per 200 Km dal luogo della battaglia. Alcuni tentarono di raggiungere il cerchio dei carri senza successo, i Galiziani e i Voliniani tornarono precipitosamente al Dnieper dove riuscirono a imbarcarsi grazie alla flotta russa che presidiava il fiume. Mstislav Mstislavich e Daniil Romanovich riuscirono così a scampare al macello. Per paura che i Mongoli se ne impadronissero diedero l’ordine di bruciare l’intera flotta e continuarono la fuga fino ai loro paesi. Il principe di Smolensk con 1000 uomini riuscì a tenere a bada gli inseguitori mongoli e raggiungere la salvezza presso il grande fiume, mentre il principe di Chernigov Mstislav Sviatoslavich e il suo figlio caddero nel tentativo di rientrare nella loro città; il loro contingente fu virtualmente annientato nelle steppe ucraine.

Rimanevano i Kievani che si ritrovarono sotto assedio dietro i loro carri. Mstislav Romanovich guidò la resistenza per tre giorni sotto una continua pioggia di frecce, finché la mancanza d’acqua costrinse i superstiti alla resa, dietro la promessa che i Mongoli non avrebbero versato il sangue dei prigionieri. In effetti i Mongoli non appena i russi ebbero deposto le armi ne uccisero molti ma risparmiarono i capi a cui riservarono un trattamento speciale. Dopo averli legati insieme li stesero a terra in modo da formare con i loro corpi una superficie piana e poi posero su di loro un pesantissimo palco di legno sul quale i capi mongoli festeggiarono la vittoria con un sontuoso banchetto. Il principe di Kiev e gli altri nobili morirono soffocati tra le grida ubriache e i canti dei loro vincitori.

I Mongoli giunsero fino al fiume Dnieper devastando tutto al loro passaggio, ma il loro raid esplorativo aveva ormai raggiunto lo scopo. Un messaggio di Gengis Khan li indusse a ritornare verso est, ricongiungersi a Jochi e ad intraprendere una campagna contro i Bulgari del fiume Volga. Questa popolazione turca che viveva intorno al florido centro commerciale di Bolgar la Grande, come i Mongoli e i Qipchaq conosceva il modo di guerreggiare fatto di imboscate e raids e si prese la soddisfazione di cogliere di sorpresa i Mongoli sul fiume Kama. I rapporti sui risultati della campagna contro i Bulgari sono piuttosto contradditori, ma appare chiaro che i Mongoli non conseguirono alcun successo decisivo e furono obbligati a lasciare la zona del Volga senza averne sottomesso gli abitanti. I Bulgari si cullarono nell’idea di aver cacciato gli invasori, ma 14 anni dopo i Mongoli si sarebbero presi una sanguinosa rivincita e i la grande Bulgaria avrebbero cessato di esistere come stato. Stanco ma soddisfatto dei risultati dell’interminabile raid Subotai, rimasto senza il compagno Jebe morto di febbre presso fiume Imil, si ricongiunse all’esercito di Gengis Khan accampato presso il Syr Darya.
La vittoria mongola fu quasi totale. La nobiltà russa, i migliori guerrieri dotati delle armi più efficaci furono quasi completamente sterminati e non sarebbero bastati decenni a ripianare le perdite. Quando i Mongoli sarebbero ritornati nel 1237 soltanto il principe di Vladimir sarebbe stato in grado di affrontarli in campo aperto presso il fiume Siti con esito non migliore di quello dello scontro del Kalka.

by ALESSANDRO CONTI

Libri consultati
Curtin, Jeremiah “The Mongols”, Boston, 1908
Gabriel, R. A.”Subotai the Valiant”, Westport, 2004
Grousset, René, “The Empire of The Steppes”, New Jersey, 1970
Nicolle, David, “Kalka River 1223”, Oxford, 2001
Phillips, E.D. “The Mongols”, 1969, ed. italiana “Genghiz Khan e l’impero dei Mongoli”, Roma, 1998
Turnbull, Stephen, “Mongol Warrior”, 1200-1350, Oxford, 2003

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