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EPICHE BATTAGLIE NELLA STORIA
in particolare quelle dei Mongoli

HULAO - ANNO 621
Huan Er Tsui - ANNO 1211 (Gengis Khan)
FIUME KALKA - ANNO 1223
MOHI - ANNO 1241
Ayn Jalut - ANNO 1260
HOMS - ANNO 1281

I MONGOLI IN CINA

Huan Er Tsui 1211
Gengis Khan invade l’impero Jin

Data (settembre 1211)

Luogo: Huan Er Tsui (Cina settentrionale oltre la catena montuosa che si estende a nord di Pechino)

Contendenti:
Mongoli
Jurchen, Cinesi dell’impero Jin (Cina Settentrionale)

Protagonisti
Gengis Khan: Imperatore dei Mongoli
Muqali, Jebe, Ye Lu Tukha: ufficiali dell’esercito mongolo
Shi Zong, Wanyan Hu Sha: comandanti dell’esercito Jin

Forze contrapposte
Mongoli 60-70000 uomini
Jurchen e Cinesi: mancano stime precise


CONTESTO STORICO

All’inizio del XIII sec. il mondo cinese era diviso in tre grandi imperi. A sud, dal Guangdong al fiume Huai regnava la dinastia dei Song (Sung), che si considerava a ragione l’erede della tradizione imperiale cinese, ma che con l’andare dei secoli aveva perso i territori a nord del fiume Huai a favore di invasori nomadi di linguaggio altaico-tunguso, gli Jurchen, provenienti dalla regione montagnosa e coperta di boschi della Manciuria Orientale. Essi dal 1114 avevano rovesciato l’impero dei Kitani che li aveva fino ad allora tenuti tributari.
La loro dinastia regnante prese il nome di “Jin” (Kin), che significa oro, e governava su un territorio in cui la parte più ricca, popolosa e culturalmente influente era abitata da Cinesi. Inevitabile quindi l’assimilazione nel cerimoniale di corte, nell’amministrazione e nel governo di molti elementi cinesi che avevano portato. la dinastia ad una sinizzazione quasi completa A ovest dell’impero Jin si era formato, a partire dal 1038, un’altra solida entità politica, il regno Xi Xia nel quale una dinastia e una classe dirigente di lingua tibetana governavano una popolazione eterogenea che comprendeva Tanguti, Uiguri, Tibetani e Cinesi. A nord della frontiera dell’impero Jin, controllati dalla Grande Muraglia e da una fitta rete di alleanze e rapporti tributari con i singoli capi, si estendevano i domini delle popolazioni nomadi uralo –altaiche, dai confini incerti.

Le varie tribù dei Mongoli, Merkiti, Tartari, Oirati, Naimani avevano in comune il solo fatto di combattersi incessantemente tra loro, in mancanza una guida politica in grado di unificarli. Pur bramando le ricchezze degli imperi sedentari i nomadi erano facilmente tenuti a bada a causa della loro divisione tribale. Tutto ciò cambiò quando un capo coraggioso, carismatico, e, all’occorrenza, spietato, Temujin della tribù dei Mongoli, riuscì ad unificare tanto la sua tribù che tutte quante le popolazioni nomadi a nord della Grande Muraglia, infondendo ai suoi sudditi un senso di assoluta devozione e disciplina e uno scopo comune che era fino a quel momento mancato loro. Oltre ad avere qualità personali in proprio, Temujin aveva un’incredibile capacità di scegliersi come collaboratori gli uomini allo stesso tempo più efficienti e fidati, gente capace di essere subordinata a lui e di avere un comando indipendente, senza per questo prendere in alcuna considerazione l’idea di tradirlo, passare al nemico o ritagliarsi un potere politico indipendente.

ORGANIZZAZIONE ED ESERCITO

Nel maggio del 1206 tutti i clan delle tribù nomadi si radunarono alle sorgenti dell’Onon. Essi alzarono uno stendardo bianco a nove code e proclamarono Temujin Khan supremo, Gengis Khan.
Immediatamente Gengis organizzò l’esercito, precedentemente organizzato per tribù in un’efficiente unità di combattimento, in cui le dimensioni delle unità erano regolate sul sistema decimale. In se stesso il sistema decimale era ben conosciuto tra i nomadi, ma non era mai stato applicato ad un livello super-tribale. L’unità di maggiori dimensioni in cui erano organizzate le tribù era stata prima di allora il Mingan, di 1000 uomini, un reggimento sicuramente adatto a condurre incursioni o attacchi a tribù rivali, ma non sufficientemente forte per condurre autonomamente campagne di largo respiro contro gli imperi.

Gengis creò così il Touman, un’unità di ben 10000 guerrieri, capace di sfidare anche eserciti considerevoli, ma che richiedeva un livello di comando e controllo ed una disciplina fino ad allora sconosciute. Per comandare queste divisioni Gengis creò la carica di Orlok (aquila) e scelse per questi incarichi degli uomini, presi indifferentemente da tutte le tribù. Alcuni di essi sarebbero diventati famosi quasi come lui quanto a perizia militare: Muqali, Jebe e Subotai. Ai livelli più bassi l’organizzazione fu sostanzialmente lasciata intatta.
L’unità di combattimento più bassa era l’Arban, composto da 10 uomini; 10 Arban formavano un djaghoun di 100 uomini. 10 djaghoun formavano un Mingan e 10 Mingan un Touman. L’avanzamento da posizioni anche basse ai più alti livelli era possibile, qualora il soldato avesse mostrato coraggio e doti di comando.

Il sistema creato da Gengis permetteva un monitoraggio accurato delle capacità di ogni singolo soldato. I migliori, su cui era posto uno sguardo speciale fin dalla giovane età potevano entrare nel Keshig, ovvero la guardia imperiale, all’inizio composta dai servitori personali del Khan e dai vecchi compagni, e man mano allargata fino ad arrivare prima a 1000, poi a 10000 uomini. Anche la sua funzione, venne modificata. Da vera e propria guardia del corpo del Khan, divenne una specie di scuola per ufficiali. Ciascun membro della guardia poteva guidare anche unità tattiche di grandi dimensioni come il Mingan, in caso di necessità. I loro armamenti erano i migliori, il loro valore indiscutibile, la loro disciplina assolutamente stretta.
Questo gruppo selezionato poteva risolvere anche gli scontri più difficili con le sue cariche impetuose e in caso di vittoria godeva di larga parte del bottino e delle donne. Gengis Khan era idolatrato per via della sua giustizia nel riconoscere i meriti e le colpe di ciascuno e per il suo sistema rigidamente meritocratico. Certo, ai propri parenti erano garantiti posti di privilegio, ma dovevano poi saperli meritare, pena la degradazione nei ranghi.

Per ragioni logistiche, un’armata mongola raramente superava i tre toumen, data la difficoltà di rifornire un esercito composto totalmente da cavalieri. Ogni soldato si portava dietro cinque cavalli che montava alternativamente, cercando se possibile di non logorarli troppo. I cavalli mongoli erano eccezionalmente robusti, ma venivano anche curati come figli e non cavalcati per nessuna ragione finché non avessero compiuto tre anni, e anche dopo impiegati in modo graduale. Più resistenti degli altri cavalli potevano permettere all’esercito una mobilità sconosciuta a tutti i loro avversari che rimanevano disorientati da tale rapidità.
I Mongoli erano soprattutto arcieri a cavallo, ma non mancavano unità di cavalleria più pesante e adatta al combattimento corpo a corpo. Non c’erano fanti mongoli; come fanteria veniva impiegata quella delle popolazioni sedentarie mano a mano che venivano conquistate. In genere erano mandate al macello in assalti suicidi contro posizioni fortificate, oppure, per compiti di presidio e sorveglianza delle salmerie. La forza d’assalto dei Mongoli veri e propri si componeva al tempo della Kurultai del 1206 di circa 105000 uomini. Essi erano tutti gli uomini validi delle tribù unificate da Gengis Khan, quindi non solo i Mongoli, ma i Naimani, Keraiti, Oirati, Merkiti etc..L’abbigliamento dei soldati mongoli non differiva da quello di altri nomadi: una tunica blu o marrone detta kalat, fatta di cotone o, in inverno, di pelliccia e degli stivali in pelle con fodera in feltro per l’inverno.
La cavalleria pesante era dotata di cotte di maglia oppure corazze a scaglie di metallo, mentre la cavalleria leggera ne aveva una in cuoio o semplicemente un’imbottitura nella kalat.. Durante la guerra contro gli Xi Xia si diffuse presso i Mongoli la sottoveste in seta, che penetrando insieme al proiettile (freccia o altro ) nella ferita, ne rallentava la penetrazione e ne agevolava grandemente l’estrazione. Il cappello di feltro e pelle era dotato di due lembi laterali per proteggere le orecchie dal freddo intenso. In battaglia era sostituito da un elmo di pelle e più tardi di ferro. La cavalleria pesante era dotata di un piccolo scudo, dovendo difendersi nel corpo a corpo. L’arma d’urto era una lancia di 12 piedi, dotata di un arpione all’estremità per poter disarcionare l’avversario, mentre l’arma preferita per il combattimento a distanza era l’arco corto. Fatto di legno o di corno era dotato di striscie di cuoio e di legno alle estremità ed era piegato in senso contrario alla sua curvatura naturale, generando pertanto una tensione fortissima. Piegare un arco simile non era quindi un affare semplice, ma, una volta fatto il risultato era garantito, poiché poteva scagliare la freccia ad una distanza di quasi 300 metri. Ogni cavaliere era tenuto ad averne due o tre e a tenere in ordine il proprio equipaggiamento, pena la morte.

Avendo unito la Mongolia sotto di sè, Gengis Khan e i suoi generali iniziarono a le invasioni dei grandi regni sedentari. Il primo stato ad essere sottomesso fu quello dei Xi Xia, intorno al 1210. Le forze tangute, pur combattendo valorosamente non riuscirono a sostenere i Mongoli in campo aperto, ma la resistenza delle loro città indusse Gengis Khan a essere più conciliante e ad accettarne la sottomissione formale.

I Jin erano un affare più serio. Potevano mobilitare un gran numero di uomini sotto le armi, avevano una buona cavalleria (gli stessi Jurchen che formavano l’impero Jin erano stati nomadi, quindi conoscevano le tattiche mongole) una abbondante fanteria cinese, un’artiglieria avanzata, enormi cinte murarie a protezione delle grandi città, e, soprattutto lunghi valli appoggiati da fortificazioni a difesa degli accessi alla grande pianura. Chiaramente attaccare senza adeguate macchine anche una delle meno protette città cinesi significava esporsi al pericolo di una disfatta. Gengis Khan nel 1210 ordinò la costruzione di scale d’assedio, sacchi di sabbia e larghi scudi. Furono introdotti traini di cammelli per muovere l’equipaggiamento e vennero creati speciali arsenali. Tuttavia questo era ancora poco per superare l’avanzata tecnologia cinese in materia di opere difensive, e i risultati si sarebbero presto visti.

L’ATTACCO ALLA GRANDE MURAGLIA

Nel 1211 Gengis raccolse l’armata mongola sui banchi del fiume Kerulen. Oltre 600 chilometri a sud ovest, oltre il vasto deserto del Gobi, si estendeva la frontiera dell’impero Jin, protetta dalla Grande Muraglia. L’armata mongola era la più vasta mai messa in campo e contava tra i 100000 e i 120000 uomini.
La campagna successiva è stata raccontata in diversi modi dagli storici. Il problema è dovuto alla scarsità e alla contraddittorietà delle fonti disponibili, lo Yuan Shi, la storia ufficiale compilata sotto la dinastia Yuan e Meng Wu er Shi, che menzionano pochi fatti. La letteratura cinese moderna sull’argomento non è disponibile in inglese e le opere di autori occidentali sono interessati pochissimo a trattare la guerra Mongoli - Jin, preferendo dilungarsi sulle campagne di Gengis Khan e dei suoi generali in occidente. Principalmente il racconto che seguirà si basa sull’opera di Desmond Martin, e di E.D. Phillips la cui ricostruzione è preferita rispetto a quelle che si trovano in Franco Adravanti “Gengiz Khan” e nella recente biografia di Subotai scritta da Richard A. Gabriel.

L’armata Mongola era suddivisa in due grandi raggruppamenti di diverse dimensioni. Il primo , e più grande era composto dall’ala sinistra e dal centro, con la guardia del Keshig. I generali al fianco di Gengis erano Mukhali, comandante in capo dell’ala sinistra, Jebe, Subotai, Jochi Khassar e Tolui figlio di Gengis. Gli altri tre figli di Gengis Khan, Jochi, Ciagatai e Ogodai, insieme al kitano Yeh-lu Akhai erano al comando dell’ala destra.
La partenza dei Mongoli avvenne probabilmente in nell’aprile del 1211 in un periodo in cui le praterie a sud del deserto Gobi permettevano agli animali di foraggiare e le nevi sciolte dalle montagne consentivano il rifornimento d’acqua nell’arida distesa a nord della Grande Muraglia. Intorno a questa concentrazione di truppe una fitta rete di scouts impediva l’accesso a chiunque potesse segnalare la presenza dell’esercito. Gli esploratori coprivano l’attività degli “yurtchi”, gli addetti alla logistica, incaricati di preparare i campi dove l’armata avrebbe fatto sosta con cibo e acqua. Dopo avere attraversato il deserto dei Gobi l’ala sinistra e il centro mongoli arrivarono presso il fiume Luan Ho, mentre l’armata dei tre principi giunse nello stesso periodo a Jingzhou. I presidio di quel settore della Grande muraglia era stato affidato ad Ala Kush Tegin della stirpe degli Onguti. Gli Onguti erano assai affini ai Mongoli e a Gengis Khan non era stato difficile mutare un nemico in un alleato.

L’impero Jin non sapeva con chi aveva a che fare esattamente, mentre Gengis Khan sapeva tutto dei suoi avversari e soprattutto quali fossero i popoli sottomessi o gli alleati infidi su cui si potesse far conto. Finalmente agli Jurchen giunse la notizia che i Mongoli erano penetrati nel territorio con due armate di grandi dimensioni e che gli Onguti avevano defezionato. Il sovrano Jin, Wei Weishao cercò di allontanare la minaccia con vie diplomatiche, ma Gengis Khan voleva a tutti costi lo scontro e rifiutò le aperture. Bisognava dargli battaglia con tutte le forze disponibili.

LE CONTROMISURE JIN: IL QUADRO STRATEGICO

Per il comando Jin si ponevano i seguenti problemi: scegliere quale dei due eserciti avversari affrontare per primo e se assestargli un colpo con le forze di difesa locali o chiamare a rinforzo l’esercito principale. Le forze di Gengis Khan si trovavano a nord della catena montuosa dello Ye Hu ling che fungeva da schermo per la valle del fiume Yang. Questo corso d’acqua, scorrendo verso sud-est, dopo la confluenza con lo Sanggan, entra nella pianura della Cina settentrionale poco a ovest di Zhongdu, la capitale centrale dell’impero Jin, l’odierna Pechino. Chiaramente si rendeva necessario fronteggiare la minaccia dell’esercito di Gengis, il più potente e pericoloso degli eserciti Mongoli, e bisognava farlo prima che valicasse il debole schermo montuoso a protezione della valle.
Wanyan Hu Sha e Qian Jia Nu, che insieme detenevano il comando a Xuande Zhou, la capitale regionale del territorio minacciato, ricevettero l’ordine di marciare verso nord ed erigere fortificazioni presso Wu Sha Bao, il valico più occidentale dello Ye Hu Ling che proteggeva la strada che conduceva a Datong. Un nuovo esercito al comando di Shi Zong stava marciando da Zhongdu per coprire il valico più orientale e diretto, che da Fu Zhou conduceva a Xuande Zhou e alla valle dello Yang.
Secondo la strategia degli Jurchen se le due armate si fossero mosse tempestivamente, avrebbero sbarrato entrambi i passaggi a protezione delle loro capitali. I comandanti Jin probabilmente sapevano che l’armata mongola era composta soprattutto di cavalieri e che non avevano forse abbastanza truppe montate per fronteggiare la minaccia. Gli eserciti Jurchen pur superiori di numero avevano un’alta percentuale di fanteria, che può resistere agli arcieri a cavallo solo se protetta da opere fortificate. Di qui la necessità di trovare due punti facili da difendere, il più possibile a nord delle zone coltivate in cui gli invasori avrebbero potuto trovare pascoli e bottino da saccheggiare. Il difetto del piano sostanzialmente stava nel fatto che le due armate a protezione dei valichi erano troppo distanti tra loro per portarsi aiuto reciproco mentre i Mongoli avrebbero potuto sfruttare la loro mobilità per affrontarli e sconfiggerli separatamente. Inoltre l’armata di Shi Zong si muoveva troppo lentamente e non era ancora giunta allo Ye Hu Ling, mentre Wanyan Hu Sha e Qian Jia Nu avevano già dato inizio alla costruzione di fortificazioni presso Wu Sha Bao. Si era nell’agosto del 1211.

LA BATTAGLIA DI HUAN ER TSUI

Gengis Khan agì come che fosse perfettamente a conoscenza delle disposizioni del nemico. Anch’egli divise l’armata in due parti. Jebe e Ye Lu Tukha furono istruiti di dirigersi verso Wu Sha Bao e spazzare via l’armata Jin che stava completando le costruzioni, mentre Gengis stesso col grosso dell’esercito avrebbe assediato Fu Zhou prima dell’arrivo di Shi Zong. I Mongoli caddero sulle truppe jurchidi, prima che esse avessero conoscenza del loro arrivo, e le misero completamente in rotta, costringendole ad abbandonare la posizione di Wu Sha Bao e la città di Weining subito a sud di essa. Il comandante Jurchen Wanyan Hu Sha riuscì a ricostruire le forze a sud della catena montuosa, già sollevato che i Mongoli non lo inseguissero fin là, e si contentassero di sottomettere le altre città a nord delle montagne. Nello stesso tempo la città di Fu Zhou venne presa e saccheggiata dalle truppe di Gengis Khan, mentre l’esercito di Shi Zong finalmente raggiunse lo Ye Hu ling, troppo tardi per impedire la caduta della cittadina.
Gli Jurchen iniziarono i lavori di fortificazione del passo montuoso che ora occupavano, mentre i Mongoli apparivano impegnati al saccheggio sistematico dei dintorni. Il comandante degli Jurchen, Shi Zong si era recentemente distinto in una guerra contro i Song e godeva del favore dell’Imperatore, ma si trovava di fronte un nemico affatto diverso. Gli eserciti Song, per la maggior parte formati da fanteria potevano essere affrontati in una battaglia statica, mentre non c’era possibilità di attaccare i Mongoli, a meno che non fossero appesantiti dal bottino. La miglior strategia per il comandante Jin poteva quindi essere l’attesa. I cavalieri nomadi subito dopo aver saccheggiato una regione diventavano più indisciplinati ed erano appesantiti dal bottino. Sarebbero stati allora facile preda per la cavalleria jurchide e persino per i fanti.

Si era nel settembre del 1211 quando due ufficiali Kitani segnalarono a Shi Zong che l’esercito mongolo appesantito dai beni razziati dava segni di indisciplina e i suoi cavalli pascolavano liberamente nei dintorni di Fu Zhou. Shi Zong vide finalmente un’opportunità per lui. Marciò con la propria cavalleria e fanteria al di là della catena montuosa e iniziò a coprire la distanza di circa venti chilometri che lo divideva dall’esercito avversario. Nello stesso tempo mandò un altro ufficiale per parlamentare con Gengis Khan, sicuramente con l’intenzione di guadagnare tempo e ingannare il condottiero mongolo circa le sue reali intenzioni. Per sua disgrazia le informazioni dei suoi scouts erano imprecise – i Mongoli non avevano perso disciplina e coesione - e l’ufficiale che aveva mandato, sempre di etnia kitana, disertò ai Mongoli rivelando a loro i suoi piani.
Gengis mandò in avanscoperta il suo generale tanguto Chagan che lo informo che l’esercito Jin si avvicinava in modo disorganizzato. Sembra che la formazione adottata da Shi Zong, con uno schermo di cavalleria Jurchen e Kitana sulla fronte e sui lati dell’esercito e la fanteria cinese subito dietro sia stata più una formazione di marcia che non di battaglia. Aveva avuto l’informazione, falsa, che i Mongoli erano disorganizzati e aveva mosso la propria cavalleria in avanti, ma la volontà di tirarsi comunque dietro la fanteria e di proteggerla lo costrinse a muoversi lentamente e con scarso allineamento dei reparti.

Dovette essere per lui un’amara sorpresa trovarsi davanti l’intero esercito mongolo perfettamente schierato e pronto a riceverlo nella località di Huan Er Tsui, pochi chilometri a nord del passo. La cavalleria leggera mongola iniziò a tempestare di frecce quella jurchide che ben presto cercò di ritirarsi dietro la propria fanteria, mescolandosi ad essa nella più grande confusione. Seguirono due cariche: quella di Mukhali all’ala sinistra seguita da Gengis khan in persona con il “keshig”.
La cavalleria jurchide riuscì a fuggire calpestando la propria fanteria, che si trovò successivamente esposta agli arcieri e lancieri mongoli contro i quali non poteva avere alcuna possibilità di successo, anche per l’impossibilità di riformare i ranghi sconvolti. L’intero esercito Jin fuggì cercando di riguadagnare le montagne.
Gengis Khan valutò correttamente che la cavalleria jurchide era il vero obiettivo e la inseguì senza sosta ben oltre il passo sullo Ye Hu Ling. A sud del valico, i fuggitivi Jurchen trovarono il contingente di Wanyan Hu Sha che si stava dirigendo verso lo Ye Hu Ling per dare manforte a Shi Zong. All’arrivo dei fuggitivi da Huan Er Tsui Hu Sha, che doveva essere scosso di suo per l’esito dello scontro di Wu Sha Bao, si fece prendere dal panico e cercò di ritirarsi verso Xuande Zhou che, essendo il capoluogo della regione poteva offrire un qualche rifugio all’armata battuta.

Ma non passò molto tempo che i Mongoli lo raggiunsero nella località di Hui Ho Bao poco a nord del fiume Yang. Era il giorno successivo a quello della battaglia di Huan Er Tsui e i Mongoli avevano compiuto una cavalcata di oltre 50 chilometri per annientare i reparti che erano scappati. Si trovavano di fronte a truppe fresche, ma il loro comandante non aveva più il controllo dei suoi nervi e del proprio esercito. Inevitabilmente la breve battaglia terminò a favore dei Mongoli. Shi Zong e Hu Sha non riuscirono a mantenere un minimo di coordinazione nella ritirata. Xuande Zhou fu abbandonata agli inseguitori che la saccheggiarono brutalmente.
Hu Sha proseguì probabilmente per la valle dello Yang giungendo nella pianura a Zhongdu senza aver tentato di difendere le città lungo la strada. Shi Zong cercò di risalire la valle del fiume Sanggan verso sud ovest. Aveva ancora 7000 cavalieri con sé quando venne intercettato da un contingente di 3000 cavalieri mongoli guidato da Ye Lu Tukha alla confluenza con il fiume Hu Lai He. La feroce battaglia che si accese durò l’intero giorno; solo al cader della notte Shi Zong riuscì a rompere il contatto e, con un seguito ristretto ai suoi attendenti, raggiunse la cittadina di YuZhou. Era ormai tagliato fuori da Zhongdu che avrebbe raggiunto dopo varie traversie solo più tardi. Alla fine di ottobre cadde Dexing Zhou e a dicembre Hong Zhou. Con la loro capitolazione il controllo del medio corso del Sanggan con la strada che collegava Datong a Zhongdu passava nelle mani dei Mongoli.

I MONGOLI FORZANO IL JUYONG GUAN

I Mongoli avevano dunque spazzato via le forze di difesa mobili dell’esercito Jin e si erano impadroniti dell’area a sud est del Gobi, che formava grosso modo un cerchio del diametro di 150 chilometri, il tutto in pochi mesi. Quello che rendeva il loro attacco diverso dalle solite incursioni nomadi era la loro straordinaria perseveranza nell’attaccare non i centri indifesi, ma le forze militari avversarie, cercando e vincendo il confronto con gli eserciti regolari. La loro coordinazione, la direzione strategica superiore costituivano una sorpresa per le armate dell’impero sedentario dei Jin che credevano di avere il maggior vantaggio sui Mongoli nella disciplina e organizzazione.

A difesa della capitale rimaneva ancora il vallo interno che sbarrava l’accesso all’invasore che procedesse verso la pianura di Zhongdu attraverso la valle dello Yang. Perno della difesa era il forte di Juyong a protezione di una lunga gola, passaggio obbligato per la capitale. Gengis Khan affidò a Jebe il compito di forzare la posizione. Il comandante mongolo decise di non attaccare frontalmente lo Juyong, ma finse una ritirata. Gli Jurchen abboccarono al trucco preferito dei Mongoli e si diedero a inseguirli per parecchi chilometri finché presso il colle di Jiming Shan i Mongoli contrattaccarono mettendoli completamente in rotta. L’arrivo delle truppe fuggitive fece perdere la testa ai difensori del forte e al loro comandante. Senza combattere abbandonarono agli inseguitori la fortezza che pure era facilmente difendibile.

Caduto il forte di Juyong e oltrepassata la gola omonima, Genghis Khan era sceso nella grande pianura e poteva contemplare in lontananza la capitale Zhongdu. Si era verso la fine del 1211. Alla corte Jin finalmente si percepì la reale portata del pericolo e si presero contromisure come la legge marziale e la proibizione ad ogni uomo atto alle armi di lasciare la capitale. Jebe, fu incaricato di sondare le difese della città, ma proprio fuori dalle mura si trovò di fronte ad un assalto delle guardie imperiali, 500 (o 5000) uomini in tutto, e venne respinto. Non era ancora il momento di assaltare la capitale. Per l’inverno 1211-1212 Jebe effettuò scorrerie in Manciuria catturando un enorme bottino. Intanto l’armata dei Principi che non era stata contrastata nella sua marcia - dal momento che l’impero Jin aveva rivolto le sue forze mobili esclusivamente contro l’armata di Gengis Khan - devastava la regione dello Shanxi fino al fiume Giallo, investendo la piazzaforte di Datong, che riuscì a respingere l’attacco. I danni fatti alle campagne e all’agricoltura furono però considerevoli e, ancora peggio i Mongoli furono in grado di impadronirsi di intere mandrie di cavalli destinati all’esercito imperiale.
Verso febbraio del 1212 Gengis Khan, soddisfatto delle vittorie ottenute e del bottino conquistato diede l’ordine per la ritirata. Quasi tutte le piazzeforti conquistate furono abbandonate, anche perché l’esercito mongolo mancava di truppe adatte a presidiare i forti e le città.

CONSEGUENZE

Gengis Khan nella sua prima campagna aveva inteso compiere un’opera di saccheggio in grande stile senza tentare di mantenere quello che aveva conquistato. Le difese della capitale centrale erano state appena saggiate e i Mongoli erano tornati senza aver acquisito alcun vantaggio permanente con l’eccezione della caduta della Grande Muraglia. Tuttavia il completo successo ottenuto sul campo e le defezioni dei popoli precedentemente sottomessi dai Jin come i Khitani e gli Onguti fecero pensare ai Mongoli che l’avversario fosse ormai prossimo a cadere e nelle successive campagne cercarono di rendere definitive le loro conquiste. Gli Jurchen riuscirono a contenere l’assalto mongolo alle città ma non a impedire il saccheggio delle campagne, lo stermino della popolazione agricola e la distruzione della loro ricchezza.

Nel 1214 le continue sconfitte sul campo indussero l’imperatore Jin a chiedere e ottenere una pace per lui onerosa, ma subito rotta per il trasferimento dell’imperatore stesso dalla capitale centrale Zhongdu a quella meridionale Kaifeng, interpretato da Gengis Khan come un gesto di malafede.
Alla fine anche le capitale centrale cadde e fu sottoposta ad uno spaventoso saccheggio. Il regno Jin si ridusse alla sola provincia meridionale dell’ Honan che resistette per altri venti anni anche perché Gengis Khan venne attratto da altri obiettivi. Huan er Tsui non fu quindi una battaglia decisiva in se stessa ma costituì la prima prova seria della nuova armata mongola contro un nemico fino ad allora ritenuto invincibile. La vittoria alimentò le già grandi ambizioni di Gengis Khan che accarezzò l’idea di diventare il sovrano universale.

by ALESSANDRO CONTI

Libri consultati:
Adravanti, Franco, “Gengiz-Khan”, Milano, 1984
Curtin, Jeremiah “The Mongols”, Boston, 1908
Gabriel, R. A.”Subotai the Valiant”, Westport, 2004
Grousset, René, “The Empire of The Steppes”, New Jersey, 1970
Lorge, Peter,”War, Politics and society in early modern China 900-1795”, New York, 2005
Martin, Desmond, “Rise of Chingis Khan and his conquest of North China”, Baltimore 1950
Mote, F.W., “Imperial china 900-1800”, Cambridge, Mass.: Harvard University Press, 2003
Peers, C. J., “Imperial Chinese Armies (2) 590-1260 AD”, (Osprey Men at Arms 295) Oxford, 1997
Phillips, E.D. “The Mongols”, 1969, ed. italiana “Genghiz Khan e l’impero dei Mongoli”, Roma, 1998
Turnbull, Stephen, “Mongol Warrior, 1200-1350”, (Osprey Warriors 84) Oxford, 2003

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