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CRONOLOGIA

DA 20 MILIARDI
ALL' 1  A.C.
1 D.C. AL 2000
ANNO x  ANNO
PERIODI STORICI
E TEMATICI
PERSONAGGI
E PAESI

ANNO 774 d.C.

(Vedi QUI i singoli periodi in
"RIASSUNTI DELLA STORIA D'ITALIA")

*** LA RESA DI DESIDERIO A CARLOMAGNO
*** L'ASSEDIO DI PAVIA
*** CARLO MAGNO RE DEI FRANCHI E DEI LONGOBARDI
*** TERMINA IL DOMINIO DEI LONGOBARDI IN ITALIA


Durante l'assedio di Pavia, Carlo, in occasione della Pasqua di questo anno 774, volle recarsi nella capitale della cristianità.

Il 2 aprile Carlomagno compiuto il suo viaggio giunge a Roma. L'accoglienza che gli tributano è pari a quella dei grandi conquistatori romani. Ricevuto con tutti gli onori e con ovazioni popolari: benedictus qui venit in nomine Domini, Papa ADRIANO lo attendeva sulla soglia della cattedrale di San Pietro. . La scenografia dell'incontro è degna di un regista.
Carlomagno giunto ai piedi della gradinata, la sale in ginocchio, baciando ad uno ad uno i gradini che conducevano ai piedi del pontefice, che raggiunse e lo abbracciò come un fratello.
Adriano lo prese poi sottobraccio alla sua destra ed entrò in chiesa, per poi scendere nella tomba di San Pietro, e qui davanti alle ossa dell'apostolo si giurarono reciproca fedeltà.
Terminata questa accoglienza, ebbe quindi luogo l'ingresso trionfale nella città di Roma.

Nei giorni che seguirono furono celebrate varie cerimonie di ringraziamento e il 6 aprile si tenne un importante colloquio a San Pietro. Stando a una biografia di Adriano dell'epoca, il papa pregò ma nello stesso tempo ammonì Carlo affinché adempisse alla promessa fatta a suo tempo da re Pipino, re Carlo Martello, Carlomanno e dai nobili francesi, in occasione della visita papale in Francia, (dove se ricordiamo fu proprio Carlomagno dodicenne a riceverlo) riguardo alla donazione di varie città e territori della provincia d'Italia.
Il Papa tirò fuori il documento delle donazioni fatte a quel tempo, e Carlomagno dai suoi notai fece redigere un nuovo documento sul modello del primo nel quale prometteva di conferire a San Pietro le stesse città e distretti, quindi Parma, Reggio, Mantova, Monselice, l'Esarcato di Ravenna, le provincie di Venetia, l'Istria, e i ducati di Spoleto e di Benevento ( quest'ultimo il famoso cuscinetto che dividerà per sempre l'Italia dal Sud).

Di questo documento svolazzato in seguito dal papa ai quattro venti, si hanno alcune notizie (ma solo dalla biografia di Adriano). Nella donazione vi figurava un territorio molto più vasto di quello concesso, inoltre i suoi funzionari giravano capillarmente l'Italia, e in tutte le città che toccavano dicevano che la stessa era del papa in virtù della donazione che esibivano come sacra. Questo fa pensare che lo stesso documento era stato o manomesso per un'eventuale futuro (Carlo poteva anche morire) o distorto consapevolmente. Carlo avutone notizia e ben lontano nell'aver concesso tutto quello che i suoi informatori gli riferirono, volle rivedere il documento dove c'era questa così gravosa promessa, che però il papa disse subito furbescamente che era stato smarrito, A quel punto Carlomagno - correva l'anno781- volle redigere un nuovo documento con l'accordo e lo volle questa volta in duplice copia. La curia non rimase del tutto soddisfatta.

Torniamo alla visita in San Pietro . Nel colloquio con Papa Adriano I, Carlomagno firmò una ulteriore promessa di restituzione dei territori conquistati, con l'aggiunta della Sardegna e Corsica, nonchè della Croazia, Slovenia e l'Istria.
Ma come si sa, la politica ha le sue oscure e ambigue esigenze e alcune volte non finisce mai di strabiliare. Le promesse fatte a Roma da Carlomagno, seppur stese su pergamena, controfirmate da tutti i pari di Francia e depositate sull'altare dedicato a San Pietro non furono mai mantenute.
Carlo, dopo essere partito da Roma, ritornò a Pavia. Durante l'assedio riuscì a bloccare la fuga di Desiderio, la sua famiglia, il suo seguito e deportarli in terra di Francia.
Il 6 giugno dopo nove mesi di resistenza Pavia vinta dalla fame e dalla peste si arrese. Sporcizia, malattie infettive, scarsità di cibo, avevano provocato innumerevoli vittime; Pavia avrebbe voluto resistere, ma affrontare una intera estate in quelle condizioni, sarebbe stato un inutile suicidio collettivo.

Entrato in città. nella notte del 10 luglio dello stesso anno Carlomagno cinse la corona ferrea e fu proclamato Re dei Franchi, Re dei Longobardi, patricius et defensor romanorum, ovvero più che re, Carlo divenne di fatto imperatore. E da questa data in poi il suo nome diventa CARLO MAGNO.

Con l'annessione dei territori longobardi, il neo imperatore non ritenne di dover insistere oltre con la propria presenza nella penisola italica che abbandonò a se stessa ivi compreso lo Stato Pontificio. A nulla valsero le suppliche di Adriano che continuava a rivendicare i cosidetti "territori di San Pietro".
Dopo la partenza delle truppe franche si innescarono subito le prime rivalse con il vescovo Leone di Ravenna che effettuò una sorta di "colpo di stato" proclamando Ravenna indipendente da Roma e rivendicando le terre dell' ex esarcato quali "Stato di Sant'Apollinare" (patrono della città). Altre rivendicazioni di indipendenza arrivarono da Spoleto e da Benevento rimasta in mano del duce longobardo Arichi.
Anche dopo la morte del patriarca Leone (avvenuta nel 777) le cose non mutarono perchè i franchi ritornarono a presidiare le terre dell'ex romano impero d'occidente e la sua ex capitale Ravenna.
Le suppliche di Adriano I arrivarono sino alla disperazione che rasentò lo squallore della più totale sottomissione: "... Aspettiamo la Vostra dolcissima Altezza come la terra riarsa invoca la pioggia".
Carlo Magno ritornò poi a Roma per la Pasqua del 781 per il battesimo del figlio Pipino di quattro anni , padrino del quale fu lo stesso pontefice.
Gli interessi di Carlo Magno furono più che evidenti e non certamente erano ricollegabili al Papa Re: alla Chiesa furono concessi i territori di Ravenna della pentapoli e di Spoleto, mentre rimasero sotto influenza carolingia Spoleto e tutta la Tuscia; nel mentre portò a segno l'incameramento dei territori del beneventano e tutti gli altri rimasti sotto l'egida della diaspora longobarda, alleatasi ormai con Bisanzio, attraverso il fidanzamento della propria figlia Rotrud e Costantino, figlio minorenne dell'imperatrice d'oriente Irene.
Ritenuta conclusa la sua missione nella penisola Carlo Magno ritornò in patria, lasciando il pontefice nuovamenente nello strazio in primis perchè avrebbe avuto la pretesa di disporre di Carlo Magno quale braccio armato dello Stato pontificio, in secundis perchè ad oriente le apostasie si stavano sempre più moltiplicando, senza contare il proselitismo e l'espansionismo islamico.

*** Tornando a DESIDERIO, il re longobardo nel 756, appena era salito sul trono dovette cedere a Pipino Ravenna, poi si barcamen� per circa 14 anni cercando di non provocare altri conflitti. Con i Franchi aveva cercato di fare un'alleanza con dei matrimoni, mentre a Papa Stefano III aveva promesso la restituzione di altri territori. Ma alla morte del Papa, il Re longobardo non mantenne le promesse per cui il successore (che era il fratello di Stefano), Papa Paolo I, inizi� a recriminare fino ad essergli ostile. 
Desiderio cerc� l'appoggio di BERTRADA, vedova del Re franco Pipino, e inaugur� una politica matrimoniale coi Franchi. Diede infatti in sposa le sue due figlie (Ermengarda e Gerberga) ai due figli di Pipino, CARLO e CARLOMANNO sperando cos� un'alleanza in un eventuale conflitto con il Papa. Ma non segue una netta linea politica e diplomatica, ma sembra che proceda a tentoni, e in alcuni casi con l'ambiguit� si crea ulteriori problemi invece di risolvere quelli che ha già.
Desiderio d� in sposa anche un'altra sua figlia al Duca di Benevento, suo tradizionale oppositore, ed un'altra ancora al Duca di Baviera, per assicurarsi cos�  il sostegno di altri due alleati. 
Ma, alla morte di CARLOMANNO avvenuta nel 771, questo castello di carta della politica matrimoniale crolla: i due figli di Carlomanno, ognuno rivendicando la successione al padre, si rifugiano presso la corte longobarda di Desiderio, che si inimica cos� anche CARLO MAGNO, divenuto unico Re dei Franchi. 
Desiderio  tenta di sostenere il diritto successorio dei suoi due protetti, ricorrendo proprio al Papa (che per� non ha dimenticato la sua inadempienza), e che ovviamente rifiuta a dargli un aiuto; anzi avvia delle intese proprio con Carlo Magno. Desiderio sentendosi abbandonato dal papa o avvertendo le ostilit�, commette l'ulteriore errore di minacciare Roma. E lui � a sua volta minacciato di scomunica dal papa. Desiste dal proposito ma attacca nuovamente i domini bizantini, senza pi� alcuna linea politica e militare precisa, dato che le alleanze parentali si rivelano inconsistenti e lui è ormai solo. 
Carlo Magno chiamato in aiuto dal Papa, lo abbiamo visto nel 773-774, sceso in Italia ha sconfitto l'esercito longobardo. Ma mentre Desiderio si era asserragliato nella fortezza di Pavia assediata dai Franchi (che cadde il 6 giugno vinta dalla fame e dalla peste) il figlio di Desiderio, ADELCHI, che regnava assieme al padre dal 759, lasciò Pavia e andò a difendere la roccaforte di Verona.

 Caduta Pavia, il padre prigioniero fu poi trasferito in Francia dove fin� i suoi giorni nel monastero di Corbeia. Suo figlio Adelchi abbandonata Verona e si rifugi� a Bisanzio, dove l'Imperatore di fronte all'eccessivo rafforzamento dei Franchi, valut� la nuova situazione creatasi in Italia; ma poi al longobardo concesse il titolo di patrizio Bizantino ma non fece null'altro, non si mosse nonostante le sollecitazioni a intervenire il Italia. La Storia aveva deciso cos�. Per i Longobardi era suonata l'ora della totale sconfitta e della loro estinzione.

I Longobardi in poco tempo scompaiono anche come popolo. Qualche anno dopo, nel 788, Adelchi parteciper� ad una spedizione in Italia, ma l'esercito bizantino, sbarcato in Calabria, fu sconfitto dai Franchi e dagli stessi Longobardi di Benevento, cio� dall'antico Ducato sempre ribelle alla propria stirpe fondatrice, ma sempre pi� vicino ai Franchi e che Benevento si era scelto come protettori.
Del resto questo ducato fin dalla sua origine non era nato come i ducati nel settentrione, ma creato da alcuni ribelli all'interno delle "nobili famiglie" durante i dieci anni di anarchia longobarda, anche se avevano poi fatto nel corso di due secoli varie (ma spesso ambigue) alleanze, come vedremo pi� avanti.
Anche il fatto che Benevento coniasse una sua moneta sta a dimostrare quanto questo ducato era indipendente dagli altri cugini longobardi del nord, e dallo stesso Re, oltre a dimostrare di essere più opportunista per non soccombere.
Gli ultimi duchi longobardi beneventini, appoggiandosi più al papa che ad altri infidi alleati, riuscirono a conservare il territorio per altri tre secoli. Dalla morte di Landolfo IV (1077), la città e il territorio circostante rimasero -anche dopo la fondazione del regno normanno nel 1130 e nonostante brevi occupazioni, sveve, angioine e aragonesi- per tutta l'età moderna una enclave pontificia.
(la CRONOLOGIA di tutti gli eventi e i re di Benevento
 vedi la terza parte della
STORIA DEI LONGOBARDI )

GIUDIZIO STORICO SUI LONGOBARDI - Quale che sia il giudizio storico sui longobardi, uno e' sempre preminente, che questa dominazione fu possibile solo perché c'era l'assenza di un vero potere imperiale. Se al momento dell'arrivo e del loro insediamento le condizioni di vita furono per la popolazione italica eccezionalmente dure, in seguito non migliorarono affatto, il rapporto delle popolazioni latine con quel carattere violento delle loro conquiste rese impossibile l'inserimento dei longobardi nelle strutture giuridiche preesistenti. Al tempo di Rotari si erano verificate alcune aperture, lo permise anche la conversione al cattolicesimo, che porto' una trasformazione lenta nei costumi di questi guerrieri, si uniformarono a quelli delle popolazioni sottomesse, ma questo processo evolutivo riguardò solo l'economia, anche se la stessa fu tutt'altro che florida. I longobardi non erano degli agricoltori e non seppero sfruttare direttamente il Paese che avevano incominciato a non distruggere -visto che ci dovevano abitarci con i loro insediamenti - ma si limitarono a goderne i frutti prodotti dagli agricoltori italici, che nemmeno incrementarono .

Loro erano degli abituali e appassionati cacciatori e non fecero nulla per evitare che vaste zone, un tempo coltivate diventassero brughiere incolte. E poi che dire della loro incapacità di sfruttare le strutture marinare; con la loro atavica fobia che li allontanava dall'acqua, non utilizzarono mai i porti, Genova, Pisa che un tempo godevano di cantieri navali e di magazzini merci di ogni tipo che provenivano dal Mediterraneo scomparvero del tutto, rimasero completamente inattivi, e ogni rapporto con il mondo orientale venne quindi a interrompersi.

La mancanza di denaro circolante riportò l'economia basata su scambi in natura e baratti; scambi e baratti che avevano la loro sede più naturale nella curtis. Questa si puo' considerare l'unita' economica di tutto l'alto Medio Evo; essa era divisa in due parti. quella padronale (pars dominica) e quella dei coloni, divisa in una serie di fondi detti mansi. I coloni o massari ( cioe' i detentori dei mansi), anche quando avevano alle loro dipendenze servi e garzoni, erano obbligati a fornire prestazioni piu' o meno saltuarie sulla pars dominica.

Ci fu qualche animazione economica, accanto a questa economia chiusa, in qualche città, ma di pochissimo conto; l'unica fiorente, e che portava qualche commercinte in Italia da oltralpe fu quella di Comacchio, che aveva quasi tutto il monopolio del sale, e come abbiamo visto era sempre una citta' molto contesa fra bizantini, papato e longobardi. In questa abbiamo l'unico documento dove un re longobardo, Liutprando, concede ai cittadini mercanti di questo importante centro, un riconoscimento di carattere commerciale, un diploma diremmo oggi della Camera di Commercio, che concedeva a quei mercanti la stima del re per la loro fiorente attività e nel contempo li premiava concedendogli il permesso di risalire il Po fino a Piacenza con dazi molto favorevoli, in virtù di quella economia che i mercanti andavano a creare, consentendo occupazione e benessere. Ma -l'industria del solo sale - era po' poco per una nazione.

Infatti da Paolo Diacono, lo storico dell'epoca longobarda, dalle sue narrazioni ricaviamo un quadro molto sconfortante, non solo delle spaventose condizioni di vita delle popolazioni, ma anche dello stato di abbandono in cui versavano le scuole e le istituzioni culturali, per lo più totalmente assenti. Unico settore delle arti che dimostra una certa vitalità è quello delle arti figurative, pochissima cosa però, del tutto assente le altri arti, pochissime le opere architettoniche salvo quella di San Salvatore a Brescia e Santa Maria in Valle a Cividale del Friuli, poi alcune espressioni artistiche, la piu' caratteristica, quella della oreficeria a sbalzo che oggi possiamo vedere quasi tutte riunite e conservate nel Duomo di Monza.

Questa la civiltà Longobarda in Italia dopo duecento anni di permanenza! Molto poco per chiamarsi civiltà, e se anche lo era non ebbe nessuna influenza in tutti i settori della vita cittadina italica, salve qualche parola rimasta nel dialetto meneghino. Molto invece si deve alle componenti genetiche trasfuse.

Milano e quasi tutta la pianura padana con le tolleranze religiose che i longobardi permisero e che abbiamo visto in altri precedenti anni storici, favorirono molto le unioni con le genti locali, che anche spinti da un opportunistico vantaggio che ne derivava, fecero in modo tale unioni nel dare alcuni caratteri significativi alle popolazioni soprattutto delle grandi città. I longobardi erano molto prolifici, ed erano per di più affascinati dalle donne locali. Non dimentichiamo che quando si trasferirono con tutte le loro masserizie e armenti erano soprattutto costituiti da una predominanza maschile, e che le unioni quindi e le loro discendenze furono tramandate fisiologicamente con le donne italiche.
Considerando che erano giunti in cinquecentomila, possiamo ricostruire nell'arco di 8 generazioni una popolazione che in forma esponenziale ha contribuito a ripopolare il territorio che al tempo del loro arrivo era quasi stato dimezzato dalla terribile epidemia che proprio nella intera valle padana da Torino a Venezia aveva dimezzata la popolazione. Incremento demografico che favorirono subito dopo anche con la loro istituzione delle masserie, e con la concessione delle terre quando crearono in seguito il demanio . Le famiglie che ricevevano la terra erano stimolate e motivate a procreare, e piu' braccia c'erano piu' erano potenziati le coltivazioni e i lavori agricoli..

Insomma andarono a creare un ceppo etnico che oggi con gli esami del DNA, possiamo benissimo osservare in tutta la sua complessa struttura, e che ci dice che la componente germanica ando' a creare dei caratteri che contribuirono enormemente a fare di queste popolazioni un popolo capace, appena si sarebbero presentate le condizioni istituzionali giuste, di esplodere con tutta la loro dinamicita' imprenditoriale, culturale e artistica.

E che queste potenzialita' erano latenti, ma ben presenti, ci viene subito dimostrato quando in questi pochi anni esplode la "rinascenza carolingia". Una ventata di deliberazioni dello stesso Carlomagno fece nascere in un'attimo lo splendore letterario, artistico, intellettuale oltre che politico della intera Lombardia che si diffuse in tutta la pianura padana. E non fu certamente perche' lo stesso Carlomagno era colto personalmente, ma fu attratto semplicemente dalla cultura, intelligentemente e acutamente si convinse che essa fosse tra l'altro, una grande arma politica e strumento di governo di prim'ordine.

Nella sua corte accolse proprio delle potenziali menti proprio longobarde che gli permisero di raccogliere attorno a se le intelligenze migliori del suo tempo con le quali amava disputare, e dove troviamo lo stesso longobardo Paolo Diacono, Teodolfo, Alcuino . Dotti che si riunivano attorno all'imperatore per trattare temi cui ando' sempre di piu' ad interessarsi: l'esegesi della scrittura, lo studio dei classici latini, le scienze naturali che andarono a fondare la importante "Scuola Palatina", che intelligentemente fece fiorire la rete scolastica che appoggiata dal clero permise di far nascere le scuole episcopali.

La gente si era formata, i due caratteri latini e germani si erano fusi, i geni pure, e la miscela che ne venne fuori in pochi anni porto' a quell'orgoglio che non gli fece rinnegare ne' le sue origini latine ne quelle che in questi due secoli avevano contribuito a dare quella vitalita' guerriera che i longobardi avevano trasfuse. Prontezza nei riflessi, intelligenza nei movimenti, intraprendenza, e perche' no, anche robustezza nella costituzione fisica, perche' se ci fossero ancora dei dubbi, questi vengono spazzati via dai ritrovamenti archeologici nelle tombe. Prima della venuta dei longobardi le genti locali avevano uno scheletro che ci dice che la loro altezza era di un metro e 55 di media, con poche eccezioni, subito dopo 5 generazioni la stessa media sale a un metro e 65 con moltissime eccezioni.

Che dire poi della istruzione, il potenziale intellettivo che esplose. Paolo Diacono lo storico ci viene ancora in aiuto. Alla venuta di Carlomagno la Lombardia era attestata sulla scolarizzazione a un 8 % della popolazione, dopo sole tre generazioni carolingie questa sale sempre nelle Lombardia al 48%, mentre il sud che si e' attestata su quell'8% lo portera' come abbiamo gia visto fino al 1831, mentre la Lombardia raggiunge nel 1851, l' 85%.

E' amaro constatare che il Sud pur messo nelle stesse condizioni nel XIX secolo, cioe' dopo 1000 anni della svolta carolingia nel nord, cioe' quella di poter disporre di scuole pubbliche, per tre generazioni il sud rimane attestata su quei valori, mentre abbiamo visto che in sole tre generazioni dopo questo 774, cioe' mille anni prima, la Lombardia raggiunge subito quei valori che abbiamo detto sopra, il 48%. Se le motivazioni potrebbero sembrare di carattere politico, di scelte fatte dall'alto, nelle varie vicissitudini storiche che avvengono nei seguenti secol, i dati che poi seguono, e che abbiamo appena letti, anche quando queste scelte nel 1800 sono uniformi per tutto il territorio, la componente genetica acquista un ruolo non indifferente, non dinamico, non rivoluzionario. Una indifferenza che forse viene dalla rassegnazione, dal fatalismo. Una rassegnazione e un fatalismo che ha profonde radici nella genetica umana di tutti i paesi del Mediterraneo, nessuno escluso che ha perfino modificato la produzione di serotonina negli apparati biochimici del cervello, quelli dedicati alle spinte emozionali, alla capacita' di ripristinare i livelli del desiderio e dell'affermazione, dovuti si' alla influenza di una cultura ma anche a una componente biochimica data da una alimentazione priva di importanti aminoacidi, importanti mattoni biomolecolari dei neurotrasmettitori neuronici. ( vedi recettori) e assenti o modesti nelle aree mediterranee. ( e basterebbe leggere alcuni studi di Neuroscienza per afferrarne l'importanza e la indiscutibile influenza di questi aminoacidi- ma non e' questa la sede, vedi autori come Candace Pert.)

Invece possiamo analizzare l'ambito culturale di quel periodo, le condizioni che vi erano, che va prendendo corpo nelle coscienze del Mediterraneo con le grandi influenza delle religioni che vi nascono, la cristiana, ma musulmana, ebraica, che fanno del fatalismo nelle loro dottrine una componente predominante. Tutte chi piu' chi meno, onsiderano tutti gli avvenimenti predeterminati da una forza soprannaturale. Un concetto che ha assunto nella storia delle civilta' forme diverse e la sua evoluzione e' andata di pari passo con l'approfondimento della contrapposta idea di liberta'. Lo stoicismo greco fa scuola, e in tutte le religioni mediterranee ne vediamo mutuati i concetti.

Con il Cristianesimo il problema diventa tormentoso, dovendosi conciliare l'esigenza di garantire la liberta' dell'uomo, responsabile della propria salvezza come della propria dannazione con la fede nell'onnipotenza di Dio. Ed ecco i padri delle Chiesa, la filosofia greca, solo quella parte che coincide, che diventa l'innesto per far germogliare la teologia. Ecco quindi Sant'Agostino che nella sua meditazione nella "Citta' di Dio", affermava che il peccatore Adamo aveva liberta' di scelta fare il bene e fare il male, lui disubbidi' a Dio e pertante pecco' perdendo cosi' la liberta di non peccare; in tal modo fu il primo peccatore: All'umanita' che era tutta in lui, non rimase che la liberta' di peccare, ed essa, poiche' discende da Adamo, primo peccatore, e' tutta peccatrice, e' una " massa dannata".

Su questo problema San'Agostino sfocia in sconcertanti formulazioni, che diventano polemica quando ha lo scontro con i Pelagiani, che non dimentichiamo e' la dottrina di quell'irlandese, Pelagio, che si batte con Agostino, e che proprio in Gallia da' avvio nei suoi monasteri franchi a professare le sue idee che non sono affatto stoiche ma che vanno invece affermando il carattere fondamentalmente incorrotto dell'umana natura ( non esiste il peccato originale) che consente ad ognuno di scegliere il bene e il male, l'illuminazione delle nostre scelte; la dinamica dell' uomo o la rassegnazione. E di proseliti nonostante la condanna di Roma, in Francia Pelagio nei suoi monasteri ne fece molti, o almeno permisero a quelli che subentrarono di misurarsi con queste idee, che s'imporranno in seguito su tutto il carattere del popolo germanico e franco, e dara' origine in seguito a tutta la filosofia tedesca fino a Nietszche, con in mezzo Lutero, che ritorna alle origini del cristianesimo, e nessuno dara' dimostrazione piu' ecclatante; che chi vuole, puo' far spaccare in due la piu' potente religione del continente altro che predestinazione, salvo dire che Dio aveva predestinato questa frattura, ma allora perche' combatterla inutilmente al Concilio di Trento con la Controriforma.

Dopo Agostino, arriva dopo quasi mille anni, nel 1274, il Domenicano San Tommaso d'Aquino che afferma invece qualcosa di piu' conciliante, afferma che Dio, nella sua eternita' "fuori del tempo", vede tutto l'avvenire, senza che questo pregiudichi peraltro la liberta' delle nostre scelte. Prende posizione cercando di dare una forma aristotelica al retaggio agostiniano, e va a costruire con la sua Summa theologica con charezza e con metodo, tutto un sistema teologico-filosofico in cui ad ogni particolare conoscenza viene assegnato il suo giusto posto e in cui egli cerco' di concilire Platone con Aristotele, l'antichita' classica col cristianesimo. Concluse cosi'" il sapere e la fede, la conoscenza naturale e quella rivelata sono due cose distinte, ma se giustamente intese, si armonizzano. Insomma va ad appoggiarsi con la sua etica sociale ad Aristotele.

Predica questo nel 1274, ma verra' capito, e dara' una schiarita in pieno positivismo, togliera' dall'imbarazzo il cristianesimo dalle rivoluzioni sociali che l'era industriale (scienza, lavoro, nuova ricchezza) stava producendo, solo nel 1879, quando finalmente la sua teologia diventera' normativa nella chiesa romana-cattolica.

Poi viene la Riforma, Calvino, Spinoza con l'accettazione gioiosa dell'ordine naturale che costituisce il punto di arrivo della meditazione filosofica. Ma non e' un'arrivo, solo una tappa, ed eccoci al positivismo, tutto germanico, francese, inglese cioe' al convincimento che la necessita', una volta illuminata dalla scienza, cessa di essere fatalita' cieca, che ripropone con accenti vari il motivo spinoziano della liberta' come presa di coscienza delle necessita'.

Arriviamo con un salto fino a Sartre, dove c'e' un'affermazione che forse racchiude il senso ma anche il paradosso, di tutta la disputa filosofica sul libero arbitrio quando dice" l'uomo e' condannato a essere libero" in quanto la responsabilita' della proprie scelte di esistenza pesano solo su di lui, accantonando ogni trascendenza.

Finiamo infine con lo stesso concetto di caso ( ultima incarnazione del Destino degli antichi) dove appare oggi sempre di piu' ' razionalizzato nei calcoli statistici, cioe' nella dottrina filosofica dell' INDETERMINISMO, che nega la necessita' del condizionamento causale sia delle azioni umane sia dei fenomeni naturali, ma che non ancora risolta non implica necessariamente una resa a discrezione all'irrazionale, e neanche far concludere che nel mondo umano regni la pura irrazionalita' del caso.

Si ha cioe' il paradosso del nostro secolo, che l'indeterminatezza, il caso, e' talmente presente in un modo cosi' costante quando si analizzano miliardi di casi che la stessa indeterminatezza diventa una legge e una regola ben precisa. Per rendervi chiaro questo concetto, potremmo dire che nel buttare una monetina in alto, il "caso" la fa cadere il 99% testa, e solo l' 1% croce, o l'incontario, ma solo se facciamo 10 lanci. E qui e' valida la indeterminatezza, ma se ne facciamo un miliardo di lanci la percentuale e' esattamente del 50% croce e del 50% testa.

Quindi la indeterminatezza del caso scompare per diventare una regola ben precisa, di cui oggi noi teniamo conto quando si analizzano grandi quantita' di fenomeni che via via vanno a formare una legge ben precisa, immutabile, determinata, ed eccoci quindi a ritornare all'inizio del problema, all'affermazione di un determinismo. Dove ancora una volta si brancola nel buio piu' assoluto, o per chi crede nel trascendentale, nel primo caso all'idea di un destino che tutto sovrasta e nell'altro a quello dell'onnipotenza divina. Insomma avrebbero ragione sia Pelagio che Agostino, sia Erasmo che Lutero, sia San Tommaso che Agostino, sia Laplace che Heisenberg. Un bel problema per il futuro, sempre che questo domani mattina ci sia ancora; perche' il "caso" potrebbe "determinare" lo scontro di un grosso meteorite che ci fa sparire tutti , o il volere di Dio che ci ha gia' da molto tempo destinato quel meteorite, del resto a questa rassegnazione ci ha abitutati uno dei padri della chiesa, San Cipriano. " La morte non fa altro che accellerare il riposo dei giusti e il castigo dei cattivi, i buoni sono chiamati al riposo, i cattivi sono trascinati al supplizio".

IN SPAGNA il governatore musulmano "abbaside" di Barcellona e di Gerona SOLIMANO che si e' ribellato all'emiro di Cordova che come sappiamo e "omayyade", si reca in Francia per invocare un'aiuto a Carlomagno. Il re franco non sa ancora motlo bene cosa siano queste dispute e crede anche che le forze in capo fra le due fazioni sono equivalenti, non sa che a Cordova c'e' un grande emiro, un grande sovrano, un musulmano illuminato quanto lui: Abd al Rahman.

Di queste zone ha qualche conoscenza per via di un'accordo fatto da suo padre anni prima con i precedenti abbasidi che comandavano su Barcellona, ma allora la Spagna era tutta abbaside, e Pipino fece con loro un trattato di non belligeranza reciproca, cioè di aiutarsi nel caso di attacchi portati da altri; ma ora dopo la scissione la Spagna non era piu' quella di prima, era diventata omayyade, ma Carlo non sa in che misura, e rispetta quel trattato quando gli dicono che questi sono stati attaccati dai sovrani di Cordova. Vedremo in seguito.........

CONTINUA ANNO 775 > >