ANNO 1818

Il 1� numero de Il Conciliatore (o "Foglio Azzurro")
pubblicato il 3 settembre 1818

IL CONCILIATORE

 Periodico letterario, ma di valore anche politico, stampato a Milano negli anni 1818-19 da una societ� di gentiluomini liberali capitanata dal conte Luigi Porro Lambertenghi e dal conte Federico Confalonieri.
(usciva due volte la settimana, stampato dalla tipografia Vincenzo Ferrario - la circolazione del "foglio" rimase comunque ristretta: solo 240 abbonati quasi tutti concentrati a Milano) 

Un buon numero di letterati, scontenti dell' indirizzo che l'Acerbi dava alla Biblioteca italiana, se ne staccarono per portare il loro contributo al nuovo foglio, detto azzurro dal colore della carta. Sebbene il titolo del periodico adombrasse propositi di riavvicinamento fra classici e romantici, questi ultimi ebbero una decisa prevalenza nell'indirizzo letterario del Conciliatore.

Il primo numero fu pubblicato il 3 settembre 1818. Silvio Pellico si incaricava della preparazione dei singoli numeri e si preoccupava, nonostante le sue opinioni allora politicamente molto avanzate, di contrastare gli atteggiamenti anticristiani del Rasori, designato fin dall'inizio fra i collaboratori del Conciliatore. Il conte di Strassoldo si riserv� il diritto di esercitare personalmente la censura sul periodico, al quale collaborarono fin dal principio i giuristi Romagnosi e Ressi, mentre l'abate di Breme, Pietro Borsieri, Giovanni Berchet ed Ermes Visconti vi sostenevano con cultura e con brio la lotta contro i classicisti. Il Pecchio si occup� soprattutto di materie economiche, per le quali furono corrispondenti da Ginevra il Sismondi e Pellegrino Rossi. Quanto al Manzoni, pur condividendo pressoch� tutte le opinioni letterarie del periodico, si astenne dal collaborare.

Non pu� negarsi che il Conciliatore aveva remote finalit� destinate a provocare un risveglio culturale che rendesse impossibile la continuazione del paterno regime austriaco in Lombardia. La lotta impegnata coi censori, aizzati a loro volta dai rivali del gruppo promotore, spinse ancora di pi� questo questo foglio ad accentuare il carattere di opposizione. Cos� il Conciliatore in meno d� un anno divenne il centro intorno a cui si andavano raccogliendo tutti gli avversari dell'egemonia austriaca. Pubblicato il numero 118 del periodico (17 ottobre 1819) e presentato il materiale per il numero 119, il conte Villata, funzionario di polizia, ammon� Silvio Pellico per l'intonazione politica che egli dava al Conciliatore, secondo quanto del resto appare dal testo di quest'ultimo numero, pi� recentemente pubblicato da A. Monti (Milano 1930). 

Ci� accadeva il 22 ottobre 1819, e all'indomani la societ� editrice del Conciliatore riconobbe la necessit� di sospendere la pubblicazione del periodico.
Tutta l'operazione culturale (risorgimentale dell'Italia) che era iniziata con il Conciliatore, poi con Il Risorgimento e proseguir� con altri mezzi (saggi, romanzi e giornali) per mezzo secolo, consisteva nel far prendere coscienza agli italiani che la nazione era sempre esistita, e che bisognava solo risvegliare la coscienza nazionale. Inutile dire che in questa operazione c'era tanta retorica culturale, nella cruda realt� la coscienza nazionale non esisteva affatto. Primo motivo perch� le regioni erano (anche quelle vicine, confinanti) rimaste sempre isolate; e come secondo motivo dentro le stesse non solo la maggior parte della popolazione era analfabeta (circa il 98%), ma non parlavano la stessa lingua; non esisteva una lingua "nazionale", ma solo dialetti. Un abitante di Bergamo (pur rimasta per quattro secoli sotto  sotto il dominio della Serenissima) non capiva nulla quando (rarissimamente) incontrava un veronese. Figuriamoci quando un bergamasco o un piemontese (ancora pi� rarissimamente) incontravano un toscano, un meridionale, o un semplice laziale.
Manzoni scriveva "Una d'armi di lingua d'altare, di memorie di sangue di cor", ma non diceva il vero. Era retorica. Cos� gli altri, poeti, musicisti. Furono s� degli ottimi propulsori culturali, ma da soli questi sarebbero rimasti confinati nei circoli degli studenti, dei vecchi giacobini o della piccola borghesia (anche quest'ultima non fu interessata - come si crede-  per salvaguardare i suoi interessi economici, perch� nella prima met� del secolo questi interessi dovevano ancora nascere. L'Italia non era n� l'Inghilterra e neppure la Prussia con la potente Zoollerverein.

C'era solo la Chiesa, solo la religione era universalmente diffusa, ma anche questa, e lo vedremo in questi anni, non fu sufficiente. Ma non certo per colpa dei sudditi dei vari stati e staterelli, ma solo perch� quella minoranza del clero dotta non volle spartire nulla con quell'altra minoranza di dotti che la Rivoluzione francese aveva laicizzato e reso ormai turbolenta.
Insomma Chiesa e Cultura avrebbero fatto molto poco se di l� a poco (nel bene e nel male) non piombavano sulla scena un Cavour e il pittoresco Garibaldi, prorompente di forza e di umanit�, il venturiero generoso di ogni grande avventura, come il fuoco delle sua camicie rosse, ma ingenuo, anche se campione della vecchia razza ligure italiana. Originale e non retorico.
Furono loro due i veri due strumenti politici capaci di scuotere la borghesia (e gli stessi nobili) il primo, e di entusiasmare le folle il secondo.
Non abbiamo citato Mazzini (anche se era il terzo protagonista)  perch� anche lui era un intellettuale, e anche lui si appoggi� molto sulla retorica (basterebbe leggere la lettera
del '59, inviata al Papa e al Re).
Mazzini parlava di Dio, ma non di religione. Era nato sullo stesso mare di Garibaldi, ma era un uono assorto, concentrato, alle volte durissimo e fanatico, con una sublime irtodossia repubblicana anche se per lungo tempo inattuale. Un patriottismo il suo troppo colto per quelle minoranze che poi violentarono la stragrande maggioranza della popolazione fatta fino allora di sudditi ignoranti, e completamente inintelligibile agli stessi. Un esempio
l'utopistica Repubblica Romana  costruita su una base ideologica che non poteva portare n� subito n� a breve termine un  capovolgimento radicale della realt� politica locale, figuriamoci quella nazionale. La sovranit� morale, economica, sociale e politica che doveva -secondo Mazzini- essere esercitata dalle masse popolari  non la capirono le masse e nemmeno i mazziniani del triunvirato romano, n� quelli della Toscana, n� quelli della Romagna.
Fu nonostante il carattere utopistico comunque una grande esperienza politica, questo l'aspetto pi� positivo. Fall� perch� tutti pensavano che il mondo si fosse all'improvviso capovolto e che tutto fosse fattibile subito. Quando venne la crisi la partecipazione popolare fu scarsa, disorganizzata e numerose furono le diserzioni. Ad avvantaggiarsi dell'esperienza furono solo i papalini. Ci vollero altri vent'anni per far cambiare mentalit� agli abitanti del futuro Stato Unitario (e in alcuni casi l'"operazione" "nascita della coscienza nazionale" non fu del tutto spontanea- come le "annessioni" o la "piemontesizzazione" delle regioni (veneto e meridione) 

Ma ritorniamo a questi anni.

Molte idee del "Conciliatore" vennero riprese negli "Annali universali di statistica". Importantissima fu anche l'"Antologia", fondata a Firenze nel 1821 da VIEUSSEUX, che rimase in vita sino al 1833.
Il Italia era possibile fare solo del giornalismo letterario, anche se in tutte queste riviste veniva spesso posto in primo piano il bisogno di un rinnovamento della vita economica e culturale dell'Italia. Ma pur velato, questo giornalismo lasciava trasparire motivi di opposizione al governo austriaco, e questo con strettissime maglie della sua censura blocc� qualsiasi manifestazione di giornalismo.
In Lombardia bisogner� attendere il 1839 con il "Politecnico" di CATTANEO e in Piemonte il 1836 con  "Le letture popolari" edito da Valerio, ma subito modificato con un decreto censorio "Letture di famiglia"; quel "popolare" irritava l'aristocratico Carlo Alberto.  Solo nel 1848, con l'allentarsi delle maglie della censura sorsero uno stuolo di giornali chiaramente  politici, il pi� importante dei quali fu "Il Risorgimento" diretto da Balbo e poi di Cavour. Dalla retorica si pass� ai fatti. E gli effetti si videro subito.

Durante tutta la restaurazione non erano nelle migliori condizioni altri Stati. In Svizzera ad esempio il controllo fu rigoroso, e a Basilea fin dal 1815 i giornali di qualsiasi genere vennero proibiti del tutto. Ma anche nei Paesi dell'Europa settentrionale non mancarono severi controlli e proibizioni. In Svezia erano stati  proibiti gi� nel 1812, mentre in Olanda nel 1815 alcuni audaci giornalisti furono multati, imprigionati o mandati in esilio. In Austria  la censura di Metternich fu implacabile. Anche a Vienna dovettero attendere il 1848.

Migliore la situazione invece in Prussia a partire dal 1820. Qui la stampa contribu� in misura considerevole a orientare in Germania l'ondata crescente di liberalismo attraverso i giornali. Nel 1823 la "Spenersche Zeitung" impiantando la prima macchina a vapore a Berlino, inizi� a stampare quotidianamente 35.616 copie, nel 1830 erano salite a 41.049.
Ma non dimentichiamo che in Prussia funzionavano benissimo le scuole statali. Nel 1860 la Prussia aveva gi� l'80% di alfabetizzati, e nel 1880 il 98%. L'Italia non raggiunger� questo traguardo nemmeno cento anni dopo, ma solo nel 1990 (non c'� un errore!) 
(vedi tabella europea)

Non era certo la stampa a far "sentire" o a "invogliare" le masse alla guerra, ma era comunque la stampa ad allargare il consenso fra quelli che le masse iniziarono a guidarle.


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