CHARLES DARVIN


(opera integrale e testuale - Traduzione italiana della 1ma edizione 1865: Giovanni Canestrini)
Per una maggiore leggibilità le successive pagine le riportiamo dopo averle trasferite tramite l'OCR.

in questa pagina
SUNTO STORICO - INTRODUZIONE - INDICE


. . .

 

. . . le forme preesistenti, ed attribuiva la massima influenza all'uso e al non uso degli organi, oppure all'effetto delle abitudini. Sembra ch'egli ripetesse da quest'ultima causa gli adattamenti meravigliosi degli esseri organizzati come, per esempio, il collo lungo della giraffa costrutto tanto ingegnosamente da permetterle di strappare le foglie dai rami degli alberi. Ma credeva anche all'esistenza di una legge di progressivo sviluppo; e siccome tutte le forme organiche avrebbero una medesima tendenza a progredire, egli spiegava l'esistenza attuale d'organismi semplicissimi coll'aiuto della generazione spontanea.
Stefano Geoffroy Saint-Hilaire fino dal 1795 avanzò l'ipotesi che le così dette specie di un medesimo genere non sieno che le varietà degeneri di uno stesso tipo. Solo nel 1828 egli espresse la convinzione che le medesime forme non si fossero perpetuate invariabili, dall'origine delle cose.
Pare che egli abbia considerato le condizioni della vita, o ciò ch'egli chiama: «Le mond ambiant» come la cagione principale di ogni trasformazione; ma egli, circospetto nelle sue conclusioni, ricusava di credere che le specie viventi fossero attualmente soggette a modificazioni. E suo figlio aggiunge: «C'est donc un problème à réserver entièrement à l'avenir, supposé même que l'avenir doive avoir prise sur lui».
Nel 1813 il dottor W. C. Wells ha letto davanti alla Royal Society una breve notizia sopra una donna di razza bianca, la cui pelle somigliava in parte a quella di un negro; ma la memoria non fu pubblicata finchè non vennero alla luce i suoi due Saggi sulla vista doppia e semplice. In quella memoria egli riconosce decisamente il principio dell'elezione naturale, e fu quello il primo riconoscimento di tale principio. Ma egli lo applicò alle sole razze umane, e solamente a certi caratteri speciali. Dopo aver dichiarato che i Negri ed i Mulatti vanno esenti da certe malattie tropicali, egli soggiunge, in primo luogo, che tutti gli animali tendono a variare in un certo grado, e secondariamente che gli agricoltori migliorano i loro animali domestici colla elezione artificiale, e dice ancora «ciò che in quest'ultimo caso avviene a mezzo dell'arte, sembra succedere, tuttochè con maggior lentezza, in natura, nella formazione delle razze umane, le quali sono adattate alle regioni che abitano. Fra le varietà accidentali dell'uomo, le quali appariscono fra i pochi e dispersi abitatori delle medie regioni dell'Africa, alcune potranno meglio di altre sopportare le malattie del paese. In conseguenza di che queste razze si aumenteranno, mentre le altre decresceranno, e non solo perchè queste sono incapaci di superare le malattie, ma anche perchè non potranno contendere coi loro vigorosi vicini. Dopo ciò che dissi, ammetto, come cosa stabilita, che il colore di questa razza forte sarà oscuro. Sussistendo però la tendenza a formare delle varietà, nel corso del tempo si produrranno razze vieppiù oscure; e siccome la più scura s'adatta meglio delle altre al clima, al fine nel paese in cui si produsse, se non sarà l'unica, sarà la dominante». Le stesse considerazioni egli estende poi ai bianchi abitatori di climi più freddi. Sono riconoscente al signor Rowley degli Stati Uniti di avermi fatto conoscere, a mezzo del signor Brace, il predetto passo della memoria di Wells.
In Inghilterra, il rev. W. Herbert, poi, decano di Manchester, scriveva nel 1822 che le esperienze d'orticoltura provano incontrastabilmente che le specie vegetali non sono altro che forme più elevate e più stabili delle varietà. Egli estendeva lo stesso principio agli animali. Supponeva che una sola specie d'ogni genere fosse stata creata in uno stato primitivo di grande plasticità, e che questi tipi originali avessero prodotto, principalmente col mezzo di incrociamenti, ma anche in seguito a modificazioni, tutte le nostre specie attuali.
Nel 1826 il prof. Grant, nell'ultimo paragrafo d'una memoria conosciutissima sugli spongilli, professò altamente la sua opinione che ogni specie discende da altre specie, e che si perfeziona con successive modificazioni.
Nel 1831 il sig. Patrick Matthew emise sull'origine delle specie considerazioni uguali a quelle manifestate da M. Wallace e da me nel Linnean Journal, e quali oggi io sviluppo nel presente scritto. Sfortunatamente M. Matthew espose con troppa brevità il suo concetto in alcuni periodi inseriti in un'appendice ad un'opera sopra argomenti affatto estranei; per cui passò inosservato, finchè Matthew stesso non venne a riportarlo nel Gardener's Chronicle. Le opinioni di Matthew differiscono poco dalle mie. Egli suppone che il mondo sia stato periodicamente spopolato e ripopolato quasi in totalità. Quanto all'origine delle specie nuovamente apparse, crede che novelle forme possano prodursi «senza il concorso di alcun modello o germe anteriore». Io non sono ben sicuro di intenderlo sempre, ma sembra ch'egli attribuisca molta influenza all'azione diretta delle condizioni esterne della vita. Pure egli riconosce chiaramente tutta la forza del principio di elezione naturale.
Il celebre geologo Leopoldo de Buch, nell'ottimo suo libro Description physique des Iles Canaries (1836, pagina 147), esprime chiaramente il suo convincimento, che le varietà possano lentamente diventare specie costanti, che poi sono incapaci di incrociarsi.
Secondo Rafinesque, nella sua Nuova Flora dell'America del Nord, «tutte le specie possono essere state una volta semplici varietà e molte varietà essersi trasformate in specie, consolidando gradatamente i loro caratteri, eccettuati però i tipi originali o antichi del genere».

Nel 1843-44 il prof. Haldeman ha esposto molto abilmente gli argomenti in appoggio e contro l'ipotesi dello sviluppo e della trasformazione delle specie, e pare che egli fosse inclinato a favore della variabilità.
Le Vestiges of Creation vennero in luce nel 1844. Nella decima edizione (1853), molto migliorata, l'anonimo autore dice: «Dopo matura riflessione è d'uopo concludere che le serie diverse di esseri animati, dal più semplice ed antico al più elevato e recente, sono, sotto la divina provvidenza, il risultamento di due cause: primieramente d'un impulso, dato alle forme viventi che le spinge in un dato tempo e con generazione regolare per tutti i gradi di organizzazione fino alle dicotiledoni e ai vertebrati più perfetti: i gradi sono pochi e contrassegnati da lacune nei caratteri organici, dal che provengono le difficoltà pratiche che si incontrano nel constatare le loro affinità; in secondo luogo da un altro impulso dipendente dalle forze vitali, che tende, nel succedersi delle generazioni, a modificare la struttura organica a seconda delle circostanze esterne, come il nutrimento, la patria e gli agenti meteorici: da ciò deriverebbero gli adattamenti de' naturalisti teologi».
Evidentemente l'autore pensa che l'organismo stesso si perfeziona per soprassalti, ma che gli effetti cagionati dalle condizioni esterne sono graduali. Egli deduce da premesse generali la conseguenza categorica che le specie non sono immutabili. Ma io non capisco in che modo i due impulsi supposti possano render conto scientificamente dei molti e segnalati adattamenti che si notano nella natura. Io non posso ammettere che ciò spieghi come, per esempio, l'organizzazione del picchio si sia adattata alle sue particolari abitudini. Questo libro, quantunque dia indizio delle prime edizioni di una scienza poco profonda e anche meno di riserva scientifica, per la potenza e lo splendore dello stile si diffuse rapidamente. Credo che egli abbia reso un servigio importante chiamando l'attenzione sopra questo soggetto, sradicando i pregiudizi e preparando in tal guisa le menti all'adozione di idee analoghe.
Il veterano della geologia I. d'Omalius d'Halloy, in una eccellente quantunque breve memoria, giudica più probabile che le specie siano state prodotte per discendenza modificata nei caratteri, anzichè create separatamente. Egli aveva esternato questa opinione fino dal 1831.

«L'idea archetipa, scrisse nel 1849 il prof. Owen, è stata manifestata nel regno animale del nostro pianeta sotto forme diverse molto tempo prima della esistenza delle specie animali che oggi la rappresentano. A quali leggi naturali o cause secondarie possa essere stato sottoposto l'ordine di successione e di progressione di tali fenomeni organici noi l'ignoriamo». Nel suo discorso davanti al Congresso degli scienziati inglesi egli pone come assioma «la continua attività della forza creatrice o della formazione ordinata delle cose viventi». Più oltre, a proposito della distribuzione geografica, aggiunge: «Questi fenomeni scuotono la nostra opinione che l'apterice della Nuova Zelanda e il gallo selvatico rosso inglese sieno creazioni distinte di queste isole. Del resto, non si deve dimenticare che col termine creazione lo zoologo vuol denotare un processo ignoto; e che quando cita in prova di creazioni distinte esempi analoghi al precedente, egli intende soltanto di confessare che non sa come un tale uccello si trovi in quel luogo esclusivamente; o meglio ancora egli crede che l'isola e l'animale debbano la loro origine a una stessa causa creatrice».

Se si confrontino insieme le asserzioni contenute in quel discorso, apparisce che nell'anno 1858 l'illustre naturalista era scosso nel convincimento, che l'apterice e il gallo selvatico rosso siano apparsi nella rispettiva loro patria in maniera sconosciuta ed in seguito ad un processo ignoto.
Questo discorso venne fatto dopo che le memorie sottocitate del Wallace e mie sulla origine delle specie erano state lette davanti alla Linnean Society. Quando venne alla luce la prima edizione dell'opera presente, io, insieme con altri, ero stato talmente ingannato da espressioni, come «l'azione continua dell'attività creatrice», che contava il prof. Owen tra i paleontologi che sono fermamente convinti dell'immutabilità delle specie. Ma sembra che questo fosse un significante mio errore (vedi Anatomy of Vertebrates, vol. III, pag. 796). Nella ultima edizione di questo libro giudicai da un passo che incomincia colle parole no doubt the type-form, etc. (ivi, vol. I, pag. XXXV) che il prof. Owen ammetta, essere l'elezione naturale attiva nella formazione di nuove specie, e tale deduzione, parmi ancor oggi giusta. Tuttavia non è esatto, nè dimostrato che questo fosse il concetto dell'Owen (vedi ivi, vol. III, pag. 798). Ho pubblicato anche degli estratti di una corrispondenza fra il prof. Owen e l'editore della London Review, e tanto l'editore quanto io abbiamo giudicato che l'Owen vi sostenga aver annunciata la teoria dell'elezione naturale prima d me; ed ho espresso la mia sorpresa e la mia compiacenza per tale asserto. Ma per quanto si può giudicare da scritti recentemente pubblicati (Opera citata, vol. III, pag. 798), io sarei nuovamente, in parte o affatto, caduto in errore: È per me un conforto il vedere, come nemmeno altri sappiano comprendere e mettere in armonia i diversi lavori controversi dell'Owen. Quanto all'enunciamento del principio della elezione naturale, torna inutile stabilire a chi spetti la priorità, se all'Owen o a me, giacchè, come è dimostrato in questo sunto storico, ambedue siamo stati precorsi dal dott. Wells e dal signor Matthew.
Isidoro Geoffroy Saint-Hilaire nel suo corso del 1850 espone brevemente le ragioni che lo inducono a credere che «i caratteri specifici sono fissi in ogni specie fintanto che la medesima si propaga fra le stesse circostanze, e che questi caratteri si modificano se si mutino le condizioni esterne della vita. In conclusione, egli dice, l'osservazione degli animali selvaggi dimostra già la variabilità limitata delle specie. Le esperienze sugli animali selvaggi addomesticati e sugli animali domestici che divennero selvaggi, la dimostrano ancora meglio. E queste medesime esperienze provano altresì che le differenze prodotte ponno avere un valore generico». Nella sua Histoire naturelle générale egli svolge delle considerazioni analoghe.
Il dott. Freke in una recente pubblicazione dichiara di avere esposto fino dal 1851 l'idea che tutti gli esseri organizzati siano discesi da una sola forma primitiva. Le sue ragioni e il suo metodo differiscono totalmente dai miei. Siccome il dott. Freke ha pubblicato solo adesso il suo lavoro Origin of Species by means of Organic Afinity, 1861, è inutile tentare qui l'analisi difficile del suo sistema.
Herbert Spencer ha paragonato abilmente la teoria di creazione degli esseri organizzati con quella del loro sviluppo. Dall'analogia delle produzioni domestiche, dai cambiamenti avvenuti nell'embrione di molte specie, dalle difficoltà di distinguere le specie dalle varietà e dal principio del progresso generale egli deduce che le specie si sono modificate, e che queste modificazioni derivano dal cambiamento delle circostanze. Lo stesso autore ha trattato anche della psicologia, partendo dal principio che ogni facoltà mentale deve necessariamente essere stata acquistata gradatamente.
Un botanico distinto, M. Naudin, ha dichiarato apertamente che le specie allo stato naturale si sono formate in modo analogo a quello col quale le varietà sono prodotte per mezzo della coltivazione. Ma egli non dimostra come nella natura abbia luogo l'elezione. Però pensa, come Herbert, che le specie furono altra volta dotate d'una facoltà plastica maggiore di quella d'oggi, e si appoggia su quello che chiama principio di finalità, «potenza misteriosa, indeterminata, fatalità per alcuni, volontà provvidenziale per altri, l'azione continua della quale sugli esseri viventi determina in tutte le epoche dell'esistenza dell'universo, la forma, il volume e la durata d'ognuno, in ragione del suo destino nell'ordine delle cose di cui fa parte. Questa potenza armonizza ogni membro al tutto, adattandolo alla funzione ch'egli deve compiere nell'organismo generale della natura, funzione che è la sua ragione d'essere».
Nel 1853 un celebre geologo, il conte Keyserling, ha esposto l'idea che, come nuove malattie, cagionate probabilmente da un miasma qualunque, compariscono e si diffondono sopra la terra, così in certi periodi i germi delle specie esistenti possano essere stati affetti chimicamente dalle molecole ambienti di una natura speciale ed avere dato origine a nuove forme.
Nello stesso anno 1853, il dott. Schaaffhausen pubblicò un eccellente scritto, nel quale sostiene lo sviluppo progressivo delle forme organiche terrestri. Conclude che molte specie si sono conservate senza variazione, per lunghi periodi, nel mentre che altre si modificavano. La divergenza delle specie, secondo lui, devesi attribuire alla distruzione delle forme intermedie. «Così, egli dice, le piante e gli animali viventi non sono nuove creazioni rispetto alle specie estinte, ma debbono riguardarsi come discendenti da quelle per mezzo di continua riproduzione».
Nel 1854 un distinto botanico francese, il Lecoq, scrisse ne' suoi Études sur la géographie botanique, tom. I, pagina 250: «Si vede che le nostre ricerche intorno alla stabilità o mutabilità delle specie ci conducono direttamente alle idee già espresse da due uomini celebri, il Geoffroy Saint- Hilaire ed il Goethe». Altri passi però della stessa opera lasciano in dubbio fino a qual punto il Lecoq estendesse questo suo concetto. La filosofia della creazione fu trattata stupendamente dal rev. Baden Powell nei suoi Essays on the Unity of Worlds, 1855. È assai notevole il suo modo di dimostrare come l'introduzione delle nuove specie sia «un fenomeno regolare e non accidentale», ovvero, come dice John Herschell, «un procedimento naturale, anzichè un evento miracoloso».
Il terzo volume del Journal of the Linnean Society contiene delle memorie lette il 1° luglio 1858 dal sig. Wallace e da me, nelle quali, come si vedrà nella introduzione al presente libro, la teoria dell'elezione naturale fu esposta da M. Wallace con molta forza e chiarezza.
C. E. Von Baer, che gode moltissima stima presso gli zoologi, intorno al 1859 espresse la sua convinzione, appoggiata alle leggi della distribuzione geografica, che forme oggi affatto differenti possono essere i discendenti di uno stipite comune (vedi Rud. Wagner, Zoologisch Anthropologische Untersuchungen, 1861, p. 51).
Nel giugno 1859 il prof. Huxley tenne un discorso davanti alla Royal Institution sui «tipi persistenti della vita animale». È difficile intendere il significato di simili fatti, egli dice, «se si suppone che ogni specie animale o vegetale ad ogni gran tipo organico sia stato formato e posto sulla superficie del globo dopo lunghi intervalli per un atto speciale della forza creatrice; è bene ricordare che una simile supposizione è in disaccordo colle analogie generali della natura e poco sostenuta dalla tradizione e dalla rivelazione. Se da un altro lato noi consideriamo i tipi persistenti, partendo dall'ipotesi che le specie viventi sono sempre il risultato delle graduali modificazioni di specie anteriori, partendo dall'ipotesi che quantunque non sia provata e si trovi deplorabilmente sostenuta da' suoi difensori, è pure la sola che venga appoggiata dalla fisiologia: l'esistenza di questi tipi sembra dimostrare che la somma delle modificazioni subite dagli esseri viventi nelle epoche geologiche è poca cosa rimpetto alla lunga serie di vicende che essi hanno sopportato».
Il dott. Hooker stampò la sua Introduzione alla Flora d'Australia nel dicembre del 1859.
Nella prima parte di questa grande Opera, ammette il principio della discendenza e modificazione delle specie, e reca a sostegno di questa dottrina molte osservazioni originali.
La prima edizione della mia Opera uscì il 24 novembre 1859, la seconda il 7 gennaio 1860.

INTRODUZIONE

Io mi trovavo a bordo del vascello di S. M. Britannica The Beagle nella qualità di naturalista, allorchè fui vivamente colpito da certi fatti nella distribuzione degli esseri organizzati che popolano l'America meridionale e dai rapporti geologici esistenti fra gli abitanti passati ed attuali di questo continente. Come potrà vedersi negli ultimi capitoli di quest'opera, tali fatti sembrano diradare qualche poco le tenebre sull'origine delle specie, questo mistero dei misteri, al dire di uno de' nostri più grandi filosofi. Al mio ritorno, nel 1837, mi venne l'idea che forse sarebbesi potuto promuovere tale questione, raccogliendo le osservazioni d'ogni sorta che avessero riferimento alla sua soluzione e meditando sulle medesime. Solo dopo cinque anni di lavoro io mi permisi alcune induzioni e mi feci a redigere brevi annotazioni. Infine nel 1844 tentai quelle conclusioni che mi parvero più probabili. D'allora in poi mi occupai costantemente del medesimo oggetto. Il lettore mi perdonerà questi dettagli personali, che ho addotti soltanto per provare che io non fui troppo precipitoso nella mia determinazione.
Il mio lavoro è ora (1859) quasi finito; ma siccome occorrerebbero parecchi anni per completarlo, e la mia salute non è troppo ferma, così fui indotto a pubblicare il presente estratto. Io fui spinto a quest'opera soprattutto dalla considerazione che il sig. Wallace, nello studio della storia naturale dell'Arcipelago Malese, giunse quasi esattamente a conclusioni identiche alle mie sull'origine delle specie. Nel 1858 egli m'inviò una memoria sopra questo argomento, pregandomi di comunicarla a Carlo Lyell, il quale la presentò alla Società Linneana. Questo lavoro è inserito nel terzo volume del giornale della Società. Il signor Carlo Lyell e il dott. Hooker, che conoscono i miei lavori - quest'ultimo ha letto il mio sunto del 1844, - mi fecero l'onore di pensare che sarebbe stato opportuno di pubblicare, contemporaneamente all'eccellente memoria del Wallace, un corto estratto de' miei manoscritti.

L'estratto che oggi metto in luce è dunque necessariamente imperfetto. Io sono costretto ad esporvi le mie idee senza appoggiarle con molti fatti o con citazioni d'autori: e mi trovo nel caso di contare sulla confidenza che i miei lettori potranno avere sull'accuratezza de' miei giudizi. Senza dubbio questo libro non sarà esente di errori, benchè io creda di non essermi riferito che alle autorità più solide. Io non posso produrre se non le conclusioni generali alle quali sono arrivato, con alcuni esempi che tuttavia basteranno, credo, nella pluralità dei casi. Niuno è penetrato, più di me della necessità di pubblicare più tardi tutti i fatti che servono di base alle mie conclusioni, e spero di farlo in un'opera futura. Imperocchè io so bene che non vi è un passo in questo volume, al quale non si possano opporre argomenti, che in apparenza conducano a conclusioni diametralmente opposte. Un risultato soddisfacente raggiungesi soltanto raccogliendo tutti i fatti e le ragioni favorevoli e contrarie ad ogni questione, e pesando gli uni contro gli altri; ciocchè nell'opera presente non posso fare.
Mi rincresce assai che la ristrettezza dello spazio mi privi della soddisfazione di ricambiare il generoso concorso prestatomi da molti naturalisti, alcuni dei quali non conosco personalmente. Io non posso frattanto lasciar sfuggire questa occasione senza esprimere la profonda obbligazione ch'io professo al dott. Hooker, il quale negli ultimi quindici anni mi fu di grande aiuto, pel fondo inesauribile delle sue cognizioni e per le sue eccellenti opinioni.

Quando si riflette al problema dell'origine delle specie, considerando i mutui rapporti d'affinità degli esseri organizzati, le loro relazioni embrionali, la loro distribuzione geografica, la successione geologica ed altri fatti analoghi, si può conchiudere che ogni specie non è stata creata indipendentemente dalle altre, ma bensì discende, come le varietà, da altre specie. Pure una simile conclusione, anche fondata, non sarebbe soddisfacente fin tanto che non ci fosse dato dimostrare come le specie innumerevoli, che abitano il globo, si siano modificate al punto di acquistare quella perfezione di struttura, quell'adattamento che eccita a buon diritto la nostra ammirazione. I naturalisti si riportano continuamente alle condizioni esterne; come il clima, il nutrimento, ecc., e da esse traggono la sola causa possibile di variazione. Come vedremo, i medesimi non hanno ragione che in un senso molto ristretto. Per esempio, è un errore l'attribuire alle sole condizioni esterne la struttura del picchio, la formazione dei suoi piedi, della coda, del becco e della sua lingua, organi conformati tanto meravigliosamente per cogliere gli insetti sotto la scorza degli alberi. Così dicasi del vischio che trae il suo alimento da certi alberi, il seme dei quali deve essere sparso da determinati uccelli, mentre i loro fiori dioici esigono l'intervento di certi insetti per recare il polline dall'uno all'altro. Evidentemente non potrebbe attribuirsi la natura di questa pianta parassita e i suoi rapporti tanto complicati con parecchi esseri organizzati distinti, all'influenza delle condizioni esterne, delle abitudini o della volontà della pianta stessa.
Quindi è di una importanza capitale il cercare di formarsi un concetto chiaro dei mezzi di modificazione e di adattamento impiegati dalla natura. Fino dai primordi delle mie ricerche fui d'avviso che un accurato studio degli animali domestici e delle piante coltivate mi avrebbe offerto probabilmente i dati migliori per risolvere questo oscuro problema. Nè mi sono ingannato, mentre non solo in questa circostanza, ma ben anche in tutti gli altri casi perplessi, ho sempre trovato che le nostre esperienze relative alle variazioni degli esseri organizzati avvenute allo stato di domesticità o di coltura, sono tuttavia la nostra guida migliore e la più sicura. Io non esito ad esprimere la mia convinzione sull'alta importanza di questi studi, benchè troppo spesso sieno stati trascurati dai naturalisti.
Per questo motivo io consacro il primo capitolo di questo compendio all'esame delle variazioni allo stato domestico. Vedremo ciò, che sono per lo meno possibili sopra una vasta scala variazioni ereditarie, e quel che più importa, vedremo quanto grande sia la facoltà dell'uomo di accumulare leggere variazioni, per mezzo dell'elezione artificiale, cioè mediante la loro scelta esclusiva. Passerò poscia alla variabilità delle specie nello stato di natura; ma io dovrò a malincuore trattare con troppa concisione questo soggetto, che non può svolgersi convenientemente se non colla scorta di lunghi cataloghi di fatti. Potremo nondimeno discutere quali sieno le circostanze più favorevoli alle variazioni. Il capitolo successivo tratterà della lotta per l'esistenza fra tutti gli esseri organizzati del globo, lotta che necessariamente deriva dal loro moltiplicarsi in proporzione geometrica. È questa la legge di Malthus applicata a tutto il regno animale e vegetale. Siccome gli individui d'ogni specie che nascono sono di numero assai maggiore di quelli che possono vivere, e perciò deve rinnovarsi la lotta fra i medesimi per l'esistenza, ne segue che se qualche essere varia anche leggermente, in un modo a lui profittevole, sotto circostanze di vita complesse e spesso variabili, egli avrà maggior probabilità di durata e quindi potrà essere eletto naturalmente. Inoltre, secondo le severe leggi dell'eredità, tale varietà eletta tenderà continuamente a propagare la sua forma nuova e modificata.
Di questo principio fondamentale di elezione naturale tratterò diffusamente nel quarto capitolo: e noi conosceremo in qual modo questa elezione naturale produca quasi inevitabilmente frequenti estinzioni di specie meno adatte, e conduca a ciò che io chiamo divergenza dei caratteri.

Nel seguente capitolo io discuterò le leggi complesse e poco note della variazione. Altri cinque capitoli risolveranno le difficoltà più gravi e più apparenti della teoria. In primo luogo la difficoltà delle transizioni, cioè come possa darsi che un essere o un organo semplice siasi trasformato in un essere più complicato oppure in un organo più perfetto; secondariamente l'istinto o le facoltà mentali degli animali; in terzo luogo l'ibridismo o la sterilità delle specie incrociate e la fecondità delle varietà incrociate; da ultimo l'insufficienza dei documenti geologici. Nel capitolo successivo io considererò la successione geologica degli esseri organizzati nel corso del tempo; nel dodicesimo e tredicesimo la loro distribuzione geografica nello spazio; nel decimoquarto la loro classificazione e le loro mutue affinità nello stato adulto quanto nello stato embrionale. L'ultimo capitolo comprenderà un breve riassunto di tutta l'opera con alcune osservazioni finali.
Se teniamo conto della nostra profonda ignoranza sulle reciproche relazioni di tutti gli esseri che vivono intorno a noi, non possiamo fare le meraviglie se ci restano ancora inesplicate molte cose sulla genesi delle specie e delle varietà. Come può spiegarsi che mentre una specie è numerosa e sparsa sopra una grande estensione, un'altra specie assai affine trovasi rara e in uno spazio ristretto? Ora questi rapporti sono della più alta importanza, giacchè determinano il benessere presente e credo anche la prosperità futura e le modificazioni di ogni abitante di questo mondo. Noi conosciamo poi ancor meno le relazioni reciproche degli innumerevoli abitanti terrestri in molte fasi geologiche del loro passato sviluppo. Quantunque molte cose restino oscure o rimarranno tali ancora per lungo tempo, io non posso dubitare, dopo lo studio più esatto e il giudizio più coscienzioso di cui sono suscettibile, che l'opinione adottata dalla maggior parte dei naturalisti e per lungo tempo anche da me, cioè che ogni specie sia stata creata indipendentemente dalle altre, sia erronea.
Io sono pienamente convinto che le specie non sono immutabili; ma che tutte quelle che appartengono a ciò che chiamasi lo stesso genere, sono la posterità diretta di qualche altra specie generalmente estinta: nella stessa maniera che le varietà riconosciute di una specie qualunque discendono in linea retta da questa specie. Finalmente io sono convinto che l'elezione naturale sia, se non l'unico, almeno il principale mezzo di modificazione.

-------------------

INDICE DEI CAPITOLI
(per aprirli clicca sopra il riquadro)

< Charles Darwin: Biografia )

< l'opera "L'ORIGINE DELL'UOMO" integrale

HOME PAGE CRONOLOGIA