Nel sesto capitolo enumerai le principali obbiezioni che potevano giustamente opporsi ai principii sostenuti in questo libro. La maggior parte di quelle obbiezioni fu da me discussa. Una di esse, cioè la distinzione delle forme specifiche, senza che si trovino insieme confuse da innumerevoli legami transitorii, è veramente una difficoltà molto ovvia. Io addussi le ragioni per cui questi legami non possono comunemente rinvenirsi nell'epoca presente, sotto circostanze in apparenza più favorevoli alla loro presenza, vale a dire in una superficie estesa e continua, con condizioni fisiche graduali. Mi studiai di provare che la vita di ogni specie dipende in principal modo dalla presenza di altre forme organiche già definite, anzichè dal clima; e perciò quelle condizioni di vita che realmente influiscono, come il calore e l'umidità, non variano in modo insensibile. Cercai anche dimostrare che le varietà intermedie, esistendo in minor numero che le forme da esse collegate, rimangono in generale dominate e distrutte nel corso delle ulteriori modificazioni e dei successivi perfezionamenti. La causa principale, però, che da ogni parte nella natura non si incontrano legami intermedi innumerevoli consiste nel rigoroso processo di elezione naturale, per mezzo del quale le nuove varietà incessantemente surrogano ed esterminano le loro forme-madri. Ma appunto in proporzione di questo processo di esterminio, che operò sopra una enorme scala, deve essere veramente immenso il numero delle varietà intermedie che anticamente esistettero sulla terra.

Perchè dunque non è ripieno ogni strato ed ogni formazione geologica di queste forme intermedie? La geologia certamente non ci ha rivelato ancora questa catena organica perfettamente graduale; e questa è forse la più facile ed insieme la più grave obbiezione che possa farsi alla mia teoria. Ma io credo che ciò si spieghi colla imperfezione estrema delle memorie geologiche.

In primo luogo, occorre sempre richiamare alla mente di qual sorta sono le forme intermedie che, secondo la mia teoria, debbono aver esistito nelle età passate. Nel considerare due specie qualunque, non seppi esimermi dal rappresentare a me stesso le forme direttamente intermedie fra le medesime. Ma codesta idea sarebbe completamente erronea; mentre per forme intermedie noi dobbiamo sempre intendere quelle che esistettero fra ciascuna specie ed un progenitore comune, ma ignoto; e questo progenitore avrà presentato delle differenze per qualche rispetto da tutti i suoi discendenti modificati. Per darne una semplice dimostrazione, il colombo pavone e il colombo gozzuto derivano ambidue dal colombo torraiuolo; ora se noi possedessimo tutte le varietà intermedie che hanno esistito, dovremmo avere una serie progressiva fra quei due colombi e il torraiuolo, ma non potremmo avere delle varietà direttamente intermedie fra il colombo pavone ed il gozzuto; niuna varietà, ad esempio, che riunisse una coda in qualche modo più allargata con un gozzo un po' più largo, che sono appunto i tratti caratteristici di queste due razze. Queste due razze inoltre furono modificate siffattamente, che quando noi non avessimo qualche notizia storica o indiretta, riguardo alla loro origine, non sarebbe stato possibile determinare, dal semplice confronto della loro struttura con quella del colombo torraiuolo (C. livia), se esse derivassero da questa specie, o da qualche altra specie affine, come la C. oenas.

Così nelle specie naturali, se noi consideriamo le forme affatto distinte, per esempio, il cavallo e il tapiro, non abbiamo alcun motivo di supporre che vi siano mai stati dei legami direttamente intermedi fra le medesime, ma bensì fra ognuna di esse ed il comune loro progenitore che ci è ignoto. Il comune progenitore avrà presentato, nell'intera sua organizzazione, molta rassomiglianza generale col tapiro e col cavallo; ma in alcuni punti della sua struttura avrà differito notevolmente da ambidue e fors'anche più di quello che essi diversificano tra loro. Perciò, in tutti i casi analoghi, noi saremmo incapaci di riconoscere la forma-madre di due o più specie quali si vogliano, ancorchè noi confrontassimo accuratamente la struttura del progenitore con quella dei discendenti modificati, senza possedere contemporaneamente una catena quasi perfetta di forme intermedie.

Ma, secondo la mia teoria, è ben possibile che di due forme viventi una sia derivata dall'altra; per esempio, il cavallo dal tapiro; e in tal caso bisogna ammettere nel passato l'esistenza di legami direttamente intermedi fra i medesimi. Ma questa ipotesi implicherebbe allora che una forma sia rimasta inalterata per un periodo molto lungo, mentre i suoi discendenti andarono soggetti a una grande quantità di cambiamenti; e il principio di lotta fra organismo ed organismo, fra la prole e i parenti, renderà questo evento assai raro; perchè in ogni caso le forme di vita nuove e perfezionate tenderanno a prendere il posto delle forme vecchie ed imperfette.
Per mezzo della teoria della elezione naturale, tutte le specie viventi furono connesse colla specie madre di ogni genere, per differenze che non erano maggiori di quelle che noi vediamo oggidì fra le varietà di una stessa specie. Questa specie-madre, ora generalmente estinta, sarà stata alla sua volta similmente collegata con altre specie più antiche; e così di seguito, sempre convergendo verso il comune antenato di ogni grande classe. A tal che il numero delle forme intermedie e transitorie, fra tutte le specie viventi e le estinte, deve esser stata smisuratamente grande. Ma, se questa teoria è vera, queste forme debbono certamente aver vissuto sopra la terra.

SULLA DURATA DEL TEMPO, DEDOTTA DALLE DEPOSIZIONI
E DAI DENUDAMENTI

Indipendentemente dal fatto che noi non troviamo gli avanzi fossili di queste innumerevoli forme intermedie, potrebbe obbiettarsi che il tempo non sarà stato sufficiente per una quantità sì grande di mutamenti organici, sapendosi che tutti i cangiamenti prodotti dall'elezione naturale sono lentissimi. Non mi è possibile ricordare al lettore, che non sia geologo pratico, tutti i fatti che guidano la mente a valutare imperfettamente la lunga durata del tempo. Chiunque abbia letto la grande opera sui Principii della Geologia di Carlo Lyell, che gli storici futuri riconosceranno come colui che produsse una rivoluzione nelle scienze naturali, e non ammetta quanto vasti incomprensibilmente siano stati i periodi passati del tempo, può senz'altro chiudere questo libro. Nè basta lo studio dei Principii della Geologia, o la lettura dei trattati speciali dei diversi osservatori sopra formazioni separate, notando come ogni autore si adoperi per dare un'idea imperfetta della durata di ogni formazione, od anche di ogni strato. Noi possiamo farci nel miglior modo un'idea del tempo trascorso, imparando a conoscere le forze che furono attive, le superfici che vennero denudate e la quantità dei sedimenti depositati. Come il Lyell ha osservato benissimo, l'estensione e la potenza delle formazioni sedimentarie di un luogo sono il risultato e la misura della denudazione che la corteccia terrestre ha sofferto in altro luogo. Per comprendere in parte la lunghezza del tempo, i cui monumenti vediamo intorno a noi, sarebbe mestieri esaminare co' propri occhi la immensa potenza degli strati sovrapposti gli uni agli altri, ed osservare i fiumi che conducono melma, ed il mare mentre corrode le spiagge.

Sarebbe utile lo aggirarsi lungo le coste del mare, formate di roccie non troppo dure, ed osservare il processo di degradazione. Le maree in molti casi si avanzano sopra le coste rocciose, per breve tempo, due volte il giorno, e le onde non le corrodono che quando sono cariche di sabbia e di ciottoli; perchè è provato che l'acqua pura non produce alcun effetto nel bagnare le rocce.
Infine la base della roccia viene corrosa al disotto e cadono enormi frammenti, i quali, rimanendo fissi, sono poi disgregati atomo per atomo, finchè siano ridotti a tale grandezza da poter essere rotolati dalle onde, e poscia più facilmente gettati sul lido allo stato di sassi, sabbia o melma. Ma quanto spesso non vediamo noi, lungo le basi delle coste che si arretrano, grandi massi arrotondati, tutti ricoperti di fitte produzioni marine, che dimostrano quanto poco siano stati corrosi e quanto sia raro che vengano smossi e rotolati! Inoltre se noi percorriamo poche miglia di costa dirupata e rocciosa che subisca una degradazione, noi troviamo che soltanto qua e là per brevi tratti, o intorno ad un promontorio, le coste soffrono al presente l'azione distruttiva del mare. Ma l'apparenza della superficie e la vegetazione dimostrano che sono scorsi degli anni dacchè le acque lavarono le loro basi.

Noi abbiamo però imparato recentemente dalle osservazioni del Ramsay, precursore di distinti botanici, come il Jukes, il Geikie, il Croll ed altri, che la degradazione prodotta dall'aria è assai più importante di quella prodotta dall'acqua sulle spiagge. Tutta la superficie di un paese è esposta all'azione chimica dell'aria e dell'acqua piovana contenente anidride carbonica in soluzione, e nelle zone fredde anche a quella del gelo; la materia disaggregata, durante le pioggie violente, è portata in basso lungo le chine anche dolci, e specialmente nelle località aride è asportata dal vento in quantità maggiore di quella che generalmente si vorrebbe ammettere; poi è portata più oltre dai fiumi e torrenti, i quali, se sono rapidi, escavano il letto e triturano i frammenti. Nei giorni piovosi, anche in una regione dolcemente ondulata, noi vediamo gli effetti della degradazione prodotti dall'atmosfera nei rivi melmosi che discendono da ogni china. Ramsay e Whitaker hanno dimostrato, e l'osservazione è assai importante, che le lunghe pendici nel distretto Wealden e quelle che attraversano l'Inghilterra, le quali dapprima furono credute antiche coste marine, non vennero formate dall'acqua, giacchè ogni catena di esse si compone di una medesima formazione, mentre le coste attuali sono spaccati di formazioni diverse. Noi siamo quindi costretti ad ammettere che quelle pendici debbano la loro origine al fatto che la roccia, di cui si compongono, ha resistito meglio della superficie circostante alla denudazione atmosferica; questa superficie circostante divenne quindi sempre più bassa, mentre continuarono a sporgere i tratti di roccia più dura. Non vi ha nulla che ci dia un'idea più potente intorno alla durata del tempo della convinzione che ne ricaviamo, che cioè gli agenti atmosferici, i quali apparentemente hanno sì poca forza ed agiscono così lentamente, abbiano prodotto sì grandi risultati.

Se noi ci siamo fatti un'idea della lentezza, con cui il terreno è corroso dalla azione dell'aria e dell'acqua, sarà utile, per apprezzare la durata del tempo trascorso, considerare da un lato la massa di roccie che fu rimossa da una regione estesa, e dall'altro lato la potenza delle nostre formazioni sedimentarie. Io mi ricordo di essere stato altamente sorpreso alla vista delle isole vulcaniche, le quali erano state degradate dalle onde a segno che le loro pareti perpendicolari si elevavano all'altezza di 1000 a 2000 piedi, mentre dal debole angolo di cadenza dei torrenti di lava originariamente liquidi si poteva giudicare, al primo aspetto, fino a quale distanza le roccie compatte doveano estendersi nell'aperto mare. La medesima storia risulta, spesso anche più chiaramente, dai dislocamenti, questi grandi crepacci, lungo cui gli strati si elevano da un lato fino a migliaia di piedi, o si sono abbassati dall'altro lato; giacchè dopo la rottura della scorza terrestre (sia avvenuto il sollevamento di repente, oppure, come ammette la maggior parte dei geologi, lentamente in molti singoli punti), la superficie del terreno fu perfettamente appianata, così che all'esterno non apparisce traccia dello ingente dislocamento. La fessura di Graven, ad esempio, ha un'estensione di trenta miglia inglesi, e su tutta questa linea il dislocamento verticale degli strati varia dai 600 ai 3000 piedi. Il professore Ramsay ha descritto un abbassamento di 2300 piedi in Anglesea, e mi dice che nel Merionethshire ve ne ha uno di 12.000 piedi. Eppure in questi casi la superficie del terreno non svela questi meravigliosi movimenti, essendo stati asportati dall'acqua gli strati che si elevavano in ambo i lati del crepaccio fino a rendere piana la superficie.
D'altra parte gli ammassi di strati sedimentari sono di meravigliosa potenza in tutte le parti del mondo. Nelle Cordigliere io ho calcolato che un masso di conglomerato fosse di diecimila piedi; e sebbene i conglomerati si accumulino probabilmente con maggiore rapidità che i minuti sedimenti, tuttavia ciascuno, essendo formato di ciottoli levigati e rotondi, porta l'impronta di remota antichità: essi servono per dimostrare come quei massi si siano accumulati lentamente. Il prof. Ramsay mi ha dato la massima grossezza di ogni formazione nelle diverse parti della Gran Bretagna, in molti casi dalle misure effettive, in pochi altri casi per approssimazione, e il risultato fu il seguente:

Strati paleozoici (non compr. le roccie ignee) piedi 57.154
Strati secondari piedi 13.190
Strati terziari piedi 2.240

che insieme ammontano a 72.584 piedi; vale a dire, molto prossimamente, a tredici miglia inglesi e tre quarti. Alcune formazioni, che in Inghilterra sono rappresentate da strati sottili, hanno migliaia di piedi di grossezza nel continente. Inoltre fra ogni formazione successiva noi abbiamo, secondo la opinione della maggior parte dei geologi, dei periodi enormemente lunghi, durante i quali non si ebbe alcuna formazione. Per modo che gl'immensi strati di rocce sedimentarie dell'Inghilterra non dànno che un'idea inesatta del tempo trascorso per la loro accumulazione. L'esame di questi molteplici fatti produce sul nostro spirito la stessa impressione che fa l'inutile tentativo di concepire l'idea della eternità.
E nondimeno quest'impressione è in parte falsa. Il Croll, in una sua interessante memoria, dice che noi non erriamo «nel farci un concetto troppo grande della lunghezza dei periodi geologici», ma nel valutarla con un numero di anni. Quando i geologi osservano dei fenomeni estesi e complicati, e poi delle cifre che esprimono parecchi milioni di anni, ambedue fanno un effetto molto diverso, e le cifre sono tosto dichiarate troppo piccole. Ma a riguardo della denudazione prodotta dall'atmosfera il Croll, calcolando la nota quantità di sedimento che annualmente apportano certi fiumi, al confronto delle loro aree di prosciugamento, dimostra che 1000 piedi di una roccia sciolta dagli agenti atmosferici possono essere allontanati dal livello medio di un intero distretto nel corso di sei milioni di anni. Questo risultato desta stupore, e molte osservazioni fanno credere che la cifra sia troppo alta; ma se anche fosse divisa per due o per quattro, rimarebbe ancor sempre sorprendente.

Però pochi tra noi sanno che cosa realmente voglia significare un milione. Il Croll ne dà la seguente illustrazione: si prenda una fettuccia lunga 83 piedi e 4 pollici, e si distenda lungo la parete di una grande sala; poi si segni ad una estremità il decimo di pollice; questo decimo di pollice ci rappresenta un secolo, e l'intera fettuccia un milione di anni. Ma in ordine all'argomento che trattiamo in questo libro, dobbiamo ora considerare il significato di questi cento anni, rappresentati in una scala di sufficiente grandezza da una misura così insignificante. Parecchi distinti allevatori, hanno modificato, durante il corso di una sola vita, alcuni dei più elevati animali, i quali si riproducono assai più lentamente della maggior parte degli inferiori in guisa che hanno costituito ciò che può chiamarsi una nuova sotto-razza; e pochi uomini hanno coltivato colla necessaria cura per oltre un mezzo secolo una particolare varietà di animali, per cui i cento anni ci rappresentano il lavoro di due allevatori che si succedono l'uno all'altro. Ora non può ammettersi che le specie allo stato di natura si modifichino così prontamente come le domestiche sotto l'influenza dell'elezione metodica. Il paragone potrebbe farsi assai meglio sotto ogni aspetto coi risultati della elezione inconscia, ossia colla conservazione degli animali più utili e più belli senza l'intento di migliorare la razza; e tuttavia con questo processo di elezione inconscia furono sensibilmente modificate parecchie razze nel corso di due o tre secoli.

Le specie però si cambiano probabilmente con maggior lentezza, ed entro uno stesso distretto solo poche si modificano ad un tempo. La lentezza devesi attribuire alla circostanza che tutti gli abitanti di una regione sono bene adattati gli uni agli altri, e che nuovi posti nella natura non si rendono vuoti che a lunghi intervalli, quando cioè siano apparsi dei cambiamenti di qualsiasi genere nelle condizioni fisiche od in seguito all'immigrazione di nuove forme. Oltre ciò suppongo che le variazioni o differenze individuali di retta natura, colle quali alcuni abitatori si rendano meglio adattati ai nuovi posti in condizioni mutate, non appariscano sempre e tosto. Sfortunatamente noi non sappiamo esprimere con un numero di anni il tempo che occorre per modificare una specie; ma all'argomento del tempo noi dobbiamo ritornare più tardi.

SULLA SCARSEZZA DELLE NOSTRE COLLEZIONI
PALEONTOLOGICHE

Volgiamoci ai nostri più ricchi musei geologici: quale povertà non vi riscontriamo! Le nostre collezioni paleontologiche sono imperfette; niuno lo contesta. Non dobbiamo dimenticare l'osservazione del nostro insigne paleontologo Edoardo Forbes il giovane, vale a dire, che moltissime delle nostre specie fossili sono conosciute e rappresentate da un solo campione e spesso da un frammento, od anche da pochi saggi raccolti in un luogo solo. Soltanto una piccola porzione della superficie del globo fu esplorata geologicamente, e niuna parte con sufficiente accuratezza, come lo provano le importanti scoperte che ogni anno si annunciano in Europa. Ogni organismo interamente molle non può essersi conservato. I molluschi e le ossa si distruggono e scompariscono quando giacciono nel fondo del mare, ove non si sia formato alcun sedimento. Io credo che noi ci formiamo un concetto erroneo, quando tacitamente ammettiamo che il sedimento venga depositato sopra quasi tutto l'intero letto del mare ed abbastanza sollecitamente da coprire e preservare gli avanzi fossili. Dappertutto sopra una estensione proporzionatamente enorme dell'oceano, la brillante tinta azzurra dell'acqua ne dimostra la purezza. I molti casi conosciuti di formazioni coperte, dopo un enorme intervallo di tempo, da un'altra e più recente formazione, senza che il letto sottoposto abbia sofferto nell'intervallo alcuna denudazione, o alcun laceramento, non sembrano potersi spiegare che nell'ipotesi che il fondo del mare rimanga spesso per lungo tempo in una condizione inalterata. Se gli avanzi fossili rimangono immersi nella sabbia o coperti di ghiaia, quando questi strati emergono, generalmente verranno decomposti dalla filtrazione delle acque di pioggia che sono pregne di acido carbonico. Alcune delle molte sorta di animali, che vivono sulle coste fra le acque alte e le basse, sembra che debbano conservarsi di rado. Per es., le varie specie di Chthamalinæ (sotto-famiglia di cirripedi sessili) ricoprono le rocce di tutto il mondo, in grandissimo numero; esse abitano esclusivamente il littorale, eccettuata una sola specie del Mediterraneo che vive nelle acque profonde e che fu trovata fossile in Sicilia; al contrario niun'altra specie è stata fin qui trovata nelle formazioni terziarie; pure sappiamo che il genere Chthamalus esisteva nel periodo cretaceo. Finalmente molti immensi depositi, che hanno richiesto un tempo lunghissimo alla loro formazione, sono affatto privi di avanzi organici, senza che ne possiamo indicare la causa. Un esempio dei più notevoli ci è offerto dal flysch che consta di schisto argilloso ed arenaria, e con una potenza di parecchie migliaia di piedi (ad es. di seimila piedi), si estende almeno per trecento miglia inglesi da Vienna fino alla Svizzera. E sebbene questa ingente massa sia stata esaminata diligentemente, nessun fossile vi fu rinvenuto, ad eccezione di pochi resti vegetali.

Riguardo alle produzioni terrestri che vivevano nei periodi delle epoche secondaria e paleozoica, è superfluo dire che gli avanzi fossili non ci somministrano che nozioni tronche ed imperfette al sommo. Per esempio, non si conosce alcuna conchiglia terrestre che appartenga ad uno di questi lunghi periodi, tranne una specie scoperta da C. Lyell e dal dottor Dawson negli strati carboniferi dell'America settentrionale, della quale conchiglia si raccolsero circa cento esemplari.
Rispetto ai resti dei mammiferi, un solo colpo d'occhio alla tavola storica, pubblicata nel Supplemento al Manuale di Lyell, basta a provare, meglio che lunghe pagine di dettagli, quanto sia rara ed accidentale la loro conservazione. Nè deve recarci sorpresa questa loro rarità, se rammentiamo quale immensa quantità di ossa appartenenti ai mammiferi terziari fu trovata nelle caverne e nei depositi lacustri, e che non si conosce una sola caverna o un vero deposito lacustre che risalga all'epoca delle nostre formazioni secondarie o paleozoiche.

Ma l'imperfezione delle memorie geologiche risulta manifestamente da un'altra causa più importante delle precedenti; vale a dire, da ciò, che le diverse formazioni sono separate l'una dall'altra da lunghi intervalli di tempo. Questa dottrina è stata calorosamente sostenuta da molti zoologi e paleontologi, i quali, come E. Forbes, negano affatto la trasformazione delle specie.

Quando noi vediamo le formazioni sulle tavole che troviamo nelle opere di geologia, od anche allorchè noi le osserviamo in natura, difficilmente possiamo astenerci dal credere che le medesime siano rigorosamente consecutive. Così esistono vaste lacune fra le formazioni sovrapposte nella Russia, come sappiamo dalla grande opera di R. Murchison su quel paese; troviamo altrettanto nell'America settentrionale e in molte altri parti del mondo. Il geologo più abile, se avesse portata la sua attenzione esclusivamente sopra uno solo di questi vasti territori, non avrebbe mai sospettato che durante questi periodi di inazione e di sterilità nel proprio paese, si deponevano altrove e si accumulavano grandi strati sedimentari, pieni di nuove e peculiari forme di vita. E se in ogni territorio separato non si può concepire un'idea della lunghezza del tempo trascorso fra le consecutive formazioni, possiamo dedurne che ciò non sia per conseguirsi in qualunque altro luogo.
I cambiamenti grandi e frequenti, nella composizione mineralogica delle formazioni consecutive, generalmente implicano delle grandi mutazioni della geografia delle terre finitime, dalle quali furono tratte le materie sedimentarie, in accordo colla ipotesi degli immensi periodi di tempo, che passarono fra una formazione e l'altra.
Ma io credo che noi possiamo riconoscere il motivo, per cui le formazioni geologiche di ogni regione sono quasi costantemente intermittenti: cioè non successive l'una all'altra senza interruzione. Forse niun fatto mi ha prodotto una impressione uguale a quella che provai nell'esaminare, per molte centinaia di miglia, le coste dell'America meridionale che furono nell'epoca più recente sollevate di parecchie centinaia di piedi; mentre notai la mancanza di qualunque deposito recente abbastanza forte da sussistere, anche per un breve periodo geologico.
Lungo tutta la spiaggia occidentale, che è abitata da una particolare fauna marina, gli strati terziari sono sviluppati tanto debolmente, che con ogni probabilità non resterà alcuna memoria delle varie faune marine successive nelle età future. Ma un po' di riflessione basta a chiarire perchè in queste coste che si sollevano sul lato occidentale dell'America meridionale, non possa trovarsi in alcun punto una estesa formazione con avanzi recenti o terziari: benchè la quantità di sedimento accumulato nelle epoche trascorse sia stata grande, attesa l'enorme degradazione delle coste rocciose e per la continua alluvione dei fiumi melmosi che si gettano nel mare. Senza dubbio, la ragione è che i depositi littorali o sub-littorali sono continuamente disgregati ed asportati, di mano in mano che, per il sollevamento lento e graduale della terra, vengono esposti all'azione dissolvente dei flutti di costa.
Noi possiamo concludere con sicurezza che il sedimento deve essersi accumulato in masse estremamente profonde, solide ed estese, perchè altrimenti, durante il primo sollevamento e nelle posteriori oscillazioni di livello, non avrebbe potuto resistere alla incessante azione dei flutti.

Queste considerevoli ed estese accumulazioni di sedimento possono essersi formate in due modi; o nelle grandi profondità del mare, nel qual caso, secondo le ricerche di E. Forbes, il fondo sarebbe abitato da pochi animali; nè le forme viventi sono bandite da quei recessi, come si è rilevato dagli ultimi scandagli per il collocamento delle linee telegrafiche; conseguentemente, quando queste masse emergono, non possono somministrare che imperfette notizie delle forme che esistettero nell'epoca della deposizione. Oppure può darsi che il sedimento si sia formato sopra i bassi fondi, qualunque ne sia la potenza e la estensione, mentre questi bassi fondi si trovano in via di continuo e lento abbassamento. In tal caso, fintanto che il progredire dell'abbassamento e la quantità del sedimento deposto si corrisponderanno approssimativamente, il mare rimarrà poco profondo e favorevole alle forme viventi, e così si avrà una ricca formazione fossilifera, la quale emergendo sarà capace di resistere ad ogni degradazione.
Sono convinto che quasi tutte le nostre antiche formazioni, che nella massima parte della loro grossezza sono ricche di fossili, si sono formate in questo modo, nei periodi di abbassamento.
Dacchè pubblicai le mie vedute su questo argomento nel 1845, tenni dietro ai progressi della Geologia, e fui sorpreso dal vedere come gli autori uno dopo l'altro, nel trattare di alcuna grande formazione, siano arrivati alla conclusione che quegli ammassi si erano deposti durante l'abbassamento. Aggiungerò che l'unica antica formazione terziaria delle coste occidentali dell'America del Sud, che era abbastanza grande da resistere alle degradazioni che dovette sopportare, ma che difficilmente si conserverà fino ad una lontana epoca geologica, fu certamente depositata durante l'abbassamento del suolo, ed acquistò così una ragguardevole grossezza.

Tutti i fatti geologici ci dimostrano chiaramente che la superficie terrestre, in diversi punti, soggiacque a molte oscillazioni di livello che furono lente; e pare si siano manifestate sopra grandi estensioni. Perciò le formazioni che sono ricche di fossili e sufficientemente alte ed estese da poter resistere alle degradazioni posteriori, possono avere avuto origine sovra vasti spazi nei periodi di abbassamento: ma solamente dove la quantità di sedimento bastava a conservare il mare poco profondo e a ricoprire e preservare gli avanzi organici, prima che avessero il tempo di decomporsi. D'altra parte, finchè il letto del mare fosse rimasto stazionario, non avrebbero potuto accumularsi dei depositi molto alti nei bassi fondi, che sono i più favorevoli alle forme viventi. Ciò sarebbe stato anche meno possibile nei periodi alternativi di sollevamento, o per esprimerci più accuratamente, quei depositi che si sarebbero accumulati durante l'abbassamento, generalmente sarebbero stati esposti all'azione distruttiva dei flutti di costa, nel periodo di sollevamento.
Queste osservazioni si applicano principalmente ai depositi littorali e sub-littorali. Nel caso dei mari poco profondi e molto estesi, come in una gran parte dello Arcipelago Malese, dove la profondità varia da 30 o 40 a 60 braccia, può stabilirsi una formazione molto estesa in un periodo di sollevamento, la quale non soffrirà eccessivamente per la denudazione durante la sua lenta emersione. Ma l'altezza della formazione non sarebbe molto grande, perchè avvenuta contemporaneamente al movimento elevatorio, anzi dovrebbe riuscire minore della profondità del mare, che si è supposta piccola; i depositi inoltre non sarebbero molto consolidati, non essendo coperti da formazioni sovrapposte, per modo che correrebbero il rischio di essere escavate e scomposte nelle posteriori oscillazioni di livello. Fu notato dall'Hopkins che se una porzione di superficie, dopo un sollevamento, e prima di essere stata denudata, si abbassasse, quantunque il deposito avvenuto nel movimento ascendente non fosse molto forte, potrebbe essere protetto dalle nuove accumulazioni, e così sarebbe preservato per un periodo estremamente lungo.
Hopkins, nello sviluppare questo argomento, stabilisce che sia molto raro il caso della intera distruzione di un letto di sedimento che abbia una estensione orizzontale considerevole. Ma tutti i geologi, eccettuati quei pochi che si avvisano di vedere negli schisti metamorfici e nelle roccie plutoniche il nucleo primitivo del globo in fusione, ammetteranno probabilmente che le roccie di questa sorta debbano essere state ampiamente denudate. Perchè non è possibile che tali roccie siano state solidificate e cristallizzate quando erano scoperte; ma se l'azione metamorfica ha agito nelle profondità dell'Oceano, non occorreva che l'antico mantello di protezione fosse molto alto.

Ammettendo che simili roccie, come il gneiss, il micaschisto, il granito, la diorite, ecc., fossero un tempo necessariamente ricoperte da altri terreni, come possiamo noi spiegare le superfici estese e nude che queste roccie presentano in molte parti del mondo, se non col supporre che furono completamente denudate di tutti gli strati sovrapposti ad esse? Che queste superfici nude e vaste esistano, non può rivocarsi in dubbio. La regione granitica di Parime, per esempio, fu descritta da Humboldt, che le assegnava una superficie uguale almeno a diciannove volte quella della Svizzera.
Al sud del fiume delle Amazzoni, Boué ci ha delineato un'area, composta di queste roccie, eguale in estensione alla Spagna, Francia, Italia, parte della Germania colle isole della Gran Bretagna, insieme riunite.
Questa regione non fu completamente esaminata, ma dalla concorde testimonianza dei viaggiatori, quest'area granitica deve essere immensa. Così Von Eschwege dà una sezione dettagliata di queste roccie partendo da Rio Janeiro, per un tratto di 260 miglia geografiche sul continente in linea retta; ed io stesso viaggiai per 150 miglia in un'altra direzione e non vidi che roccie granitiche. Mi furono presentati molti saggi raccolti lungo la costa, fra un punto nelle vicinanze di Rio Janeiro e la foce della Plata, per una distanza di 1100 miglia geografiche, e tutti appartenevano a questa classe di roccie. Nell'interno del continente, per tutta la sponda settentrionale delle Plata, io trovai, oltre alcuni strati terziari moderni, soltanto una piccola striscia di roccie leggermente trasformate le quali non formerebbero che una parte del primitivo rivestimento della serie granitica. Rivolgendoci ora ad una regione bene esplorata, cioè gli Stati Uniti e il Canadà, come si osserva nella magnifica mappa del prof. H. D. Rogers, io ho calcolato le aree, tagliando la carta e pesandola, ed ho riconosciuto che le roccie metamorfiche e granitiche (escluse le semi-metamorfiche, superano molto, nella proporzione di 19 a 12,5, le misure prese sulle formazioni paleozoiche più recenti. In molte regioni le superfici metamorfiche e granitiche sarebbero accresciute grandemente, se potessero levarsi tutti gli strati di sedimento, che giacciono sopra di esse irregolarmente e che sulla linea di congiunzione non furono trasformati, restando così evidente che essi non fecero parte del rivestimento originale, al disotto del quale le roccie granitiche si cristallizzarono. Quindi è probabile che, in alcune parti del mondo, intere formazioni, le quali rappresentano almeno i sotto-stadii delle diverse epoche geologiche successive, siano state denudate completamente, senza che ne sia rimasta alcuna traccia.
Nè possiamo omettere un'altra osservazione. Nei periodi di sollevamento, la superficie delle terre e degli adiacenti bassi fondi del mare sarà stata aumentata, e spesso si saranno aperte nuove stazioni agli esseri viventi; circostanze che sono favorevoli, come si è detto precedentemente, per la formazione di varietà e specie nuove; ma per la durata di questi periodi si troveranno generalmente delle lacune corrispondenti, nelle memorie ed avanzi geologici. Al contrario nei periodi di abbassamento le aree abitabili e il numero degli abitanti subiranno una diminuzione (eccettuate le produzioni sulle coste di un continente, che viene interrotto e cambiato in arcipelago), e per conseguenza in questi periodi accadranno molte estinzioni e si avranno poche varietà o specie nuove; ed è appunto durante questi abbassamenti che si sono accumulati i nostri grandi depositi, ricchi di fossili.

DELL'ASSENZA DELLE VARIETÀ INTERMEDIE
IN OGNI FORMAZIONE

Per tutte le esposte considerazioni, non può dubitarsi che le memorie geologiche, prese nel loro insieme, siano estremamente imperfette; ma se noi concentriamo l'attenzione sopra ciascuna formazione, diverrà assai più malagevole il comprendere per qual motivo non troviamo delle varietà perfettamente graduali fra quelle specie affini che vissero al suo principio o alla fine. Abbiamo alcuni casi di una medesima specie avente delle varietà distinte, nelle parti superiori ed inferiori della stessa formazione; così il Trautschold cita l'esempio delle ammoniti, e Hilgendorf ha descritto l'esempio interessantissimo di dieci forme graduate della Planorbis multiformis negli strati successivi di una formazione di acqua dolce della Svizzera. Benchè ogni formazione richiedesse indubitamente un grande numero di anni per la sua deposizione, si potrebbero addurre diverse ragioni per sostenere che ciascuna non dovrebbe includere una serie graduale di forme, fra quelle specie che vissero in quel luogo; ma non ho la pretesa di assegnare la loro importanza relativa alle considerazioni che andrò esponendo.
Quantunque ogni formazione possa rappresentare un lunghissimo corso di anni, forse questo periodo è breve in confronto di quello che è necessario per trasformare una specie in un'altra. Egli è ben vero che due paleontologi, le cui opinioni sono meritevoli di molta considerazione, Bronn e Woodward, hanno stabilito che la durata media di ogni formazione è il doppio ed il triplo della durata media di ogni forma specifica. Ma, a quanto parmi, sono insuperabili le difficoltà che ci vietano di giungere ad una precisa conclusione intorno a quest'oggetto. Quando noi vediamo che nel mezzo di una formazione si incontra una specie, sarebbe troppo avventato il giudizio di chi ne concludesse che quella specie non abbia esistito altrove in antecedenza. Così dicasi, quando troviamo che una specie scomparve prima della deposizione degli strati più elevati; sarebbe ugualmente arrischiato il supporre che quella specie fosse completamente estinta. Noi abbiamo inoltre dimenticato quanto piccola è la superficie dell'Europa, in confronto del resto del mondo; e che i parecchi stadii delle singole formazioni non furono coordinati con perfetta accuratezza in tutta l'Europa.
Rispetto agli animali marini, possiamo con sicurezza conchiudere essere avvenute molte migrazioni, durante il cambiamento del clima ed in conseguenza altresì di altri mutamenti; e quando noi in qualche formazione ci scontriamo per la prima volta in una specie, è probabile soltanto che essa abbia immigrato in quell'area. È notorio, per esempio, che varie specie si trovano talvolta prima negli strati paleozoici dell'America del Nord che in quelli d'Europa; perchè, infatti, sarà stato necessario un certo intervallo di tempo per la loro migrazione dai mari dell'America a quelli dell'Europa. Nell'esaminare gli ultimi depositi delle varie parti del mondo si è osservato dappertutto che alcune poche specie esistenti sono comuni anche a quei depositi, ma che nei mari immediatamente vicini rimasero estinte; o viceversa, che alcune sono attualmente abbondanti nel mare vicino, ma sono rare o mancano affatto in questi particolari depositi. Si ha una lezione eccellente, quando si riflette all'accertata frequenza delle migrazioni degli abitatori dell'Europa nel periodo glaciale, che forma una parte solamente di un intero periodo geologico; e parimenti quando si pensa ai grandi cambiamenti di livello e ai disordinati e grandi cambiamenti del clima, non che alla prodigiosa lunghezza del tempo, che si verificarono nel medesimo periodo glaciale. Può nondimeno dubitarsi che in qualche parte del mondo si siano accumulati dei depositi sedimentari, contenenti avanzi fossili, nella stessa superficie, per tutta la durata di questo periodo. Non è supponibile, per esempio, che il sedimento presso la foce del Mississippì siasi depositato durante tutto il periodo glaciale, nei limiti di profondità in cui gli animali marini possono prosperare; perchè noi sappiamo che nelle altre parti dell'America avvennero in quest'epoca grandi mutazioni geografiche. Quando questi strati, che furono depositati nelle acque basse alla foce del Mississippì, in qualche fase del periodo glaciale, si saranno sollevati, gli avanzi organici probabilmente saranno apparsi e poi scomparsi a diverse altezze, secondo la migrazione delle specie e i cambiamenti geografici. E in un'epoca avvenire molto remota, se un geologo studierà questi strati, potrà sentirsi inclinato a concludere che la durata media della vita dei fossili, colà sepolti, fu più breve di quella del periodo glaciale, mentre al contrario sarebbe stata realmente più lunga, perchè avrebbe cominciato prima dell'epoca glaciale e sarebbe arrivata fino all'epoca attuale.

Quanto al verificarsi una gradazione perfetta fra due forme, nelle parti superiore ed inferiore di una stessa formazione, il deposito avrebbe in tal caso dovuto accumularsi per un lunghissimo periodo, onde fosse passato un tempo sufficiente al lento effetto del processo di variazione; perciò il deposito dovrebbe generalmente offrire una enorme grossezza: e le specie soggette a modificazione avrebbero dovuto vivere sulla stessa superficie per tutto quel periodo. Ma noi abbiamo notato che una formazione molto profonda, la quale sia fossilifera in tutta la sua altezza, non può essersi accumulata che nel periodo di abbassamento, e inoltre è necessario che la profondità del mare rimanga prossimamente costante, perchè la stessa specie possa continuare a vivere nel medesimo spazio; e quindi fa d'uopo che la quantità progressiva di abbassamento sia compensata a un dipresso da un continuo deposito. Ma codesto modo di abbassamento tenderà spesso a restringere l'area da cui il sedimento deriva, e per conseguenza ne scemerà la quantità, mentre il moto dall'alto al basso continua. Nel fatto è probabilmente assai raro il caso che si abbia una quasi esatta compensazione fra la quantità del sedimento e il valore dell'abbassamento progressivo; perchè fu osservato da più di un paleontologo che i depositi molto forti sono ordinariamente privi di avanzi organici, tranne ai loro limiti superiore ed inferiore.

È probabile che ogni formazione separata, come l'intero ammasso delle formazioni di ogni paese, si siano accumulate in generale con successione intermittente. Quando vediamo, come spesso avviene, una formazione composta di strati di diversa composizione mineralogica, possiamo ragionevolmente sospettare che il procedimento di deposizione fu molte volte interrotto; come generalmente dovranno attribuirsi a cambiamenti geografici, che esigono un lungo tempo, la deviazione delle correnti marine e la deposizione di un sedimento di natura diversa. Nè potrebbe la più rigorosa ispezione di una formazione dare una idea del tempo impiegato nella sua deposizione.
Abbiamo molti esempi di strati che hanno soltanto pochi piedi di grossezza, quali rappresentano delle formazioni, che altrove hanno una potenza di ben mille piedi, e che per la loro accumulazione avranno richiesto un periodo enorme; nondimeno chiunque avesse ignorato questo fatto non avrebbe potuto immaginare il lunghissimo corso di tempo rappresentato dalla formazione più sottile. Potrebbero citarsi molti casi di strati inferiori di una formazione, che furono sollevati, indi denudati, sommersi, ed infine ricoperti di nuovo dagli strati superiori della stessa formazione, fatti che dimostrano quanto lunghi furono gli intervalli che occorsero per la sua accumulazione, benchè spesso non se ne sia tenuto calcolo. In altri casi noi abbiamo la prova più evidente nei grandi alberi fossili ancora eretti sul terreno nel quale si svilupparono, dei lunghissimi periodi e dei cangiamenti di livello che avvennero nel processo di deposizione e di cui non si sarebbe mai avuto alcun sentore, quando quegli alberi non si fossero fortunatamente conservati. Così Lyell e Dawson trovarono degli strati carboniferi di 1400 piedi di altezza nella Nuova Scozia, comprendenti degli strati di radici antiche, uno sopra l'altro, a non meno di sessantotto livelli diversi. Perciò, quando una specie si trova al fondo, nel mezzo e nelle parti superiori di una formazione, è probabile che essa non sia vissuta nel medesimo luogo per l'intero periodo della deposizione, ma sia scomparsa e ricomparsa, forse molte volte, durante il medesimo periodo geologico. Per modo che, se queste specie fossero soggette a un certo complesso di modificazioni, in ogni periodo geologico, una sezione degli strati non racchiuderebbe probabilmente tutte le insensibili gradazioni intermedie, che secondo la mia teoria sarebbero esistite fra esse, ma bensì dei cangiamenti di forma improvvisi, benchè forse leggeri.
Importa soprattutto ricordare che i naturalisti non hanno alcuna regola d'oro per distinguere le specie dalle varietà; essi attribuiscono qualche piccola variabilità ad ogni specie, ma quando incontrano qualche maggior quantità di differenze fra due date forme, le riguardano come specie, a meno che non giungano a collegarle insieme col mezzo di strette gradazioni intermedie. Ora ciò può conseguirsi di rado in ciascuna sezione geologica, per le ragioni ora enumerate. Supponendo infatti che B e C siano due specie e che una terza specie A si trovi in uno strato più antico e sottoposto: anche se A fosse direttamente intermedia fra B e C, sarebbe classificata semplicemente come una terza specie distinta, se non potesse più rigorosamente connettersi colle due forme contemporaneamente, ovvero con una sola di esse, per mezzo di varietà intermedie. Nè dobbiamo dimenticare, come abbiamo spiegato prima, che A può essere progenitore di B e C, e non sarà quindi necessariamente intermedia fra esse, in ogni punto della sua struttura. Cosicchè possiamo trovare la specie-madre e i suoi diversi discendenti modificati negli strati superiore ed inferiore di una formazione, e finchè non otteniamo molte gradazioni transitorie, non potremmo riconoscere la loro parentela e saremmo per conseguenza obbligati a classificarli tutti quali specie distinte.

È cosa nota che molti paleontologi hanno fondato le loro specie sopra differenze eccessivamente piccole, ed essi lo fanno tanto più facilmente quando gli avanzi sono presi da diversi substrati della medesima formazione. Alcuni esperti conchigliologi riducono attualmente al rango di varietà molte delle specie caratterizzate dal D'Orbigny e da altri, e in queste discrepanze troviamo una prova di quei cambiamenti che, secondo la mia teoria, debbono incontrarsi. Anche gli ultimi depositi terziari contengono molte conchiglie, credute dalla maggior parte dei naturalisti identiche alle specie esistenti; ma alcuni dotti naturalisti, come Agassiz e Pictet, sostengono che tutte queste specie terziarie sono specificamente distinte dalle attuali, benchè si ammetta che la differenza è molto leggera. Cosicchè noi abbiamo la maggior prova delle quasi generali piccole modificazioni di forma, che la teoria suppone; quando non si voglia credere che questi naturalisti eminenti furono tratti in errore dalla loro immaginazione: e che queste più recenti specie terziarie realmente non presentano differenza alcuna dalle loro forme congeneri viventi, o quando non si pensi che la grande maggioranza dei naturalisti ha torto, e che le specie terziarie sono tutte perfettamente distinte dalle recenti. Se noi prendiamo degli intervalli di tempo più estesi, vale a dire le epoche scorse nell'accumulazione dei distinti e consecutivi strati di una stessa grande formazione, noi troviamo che i fossili sepolti, benchè quasi universalmente considerati come specificamente diversi, sono assai più strettamente collegati fra loro che le specie trovate nelle formazioni più lontane; per modo che noi abbiamo anche qui una prova incontrastabile dei cambiamenti, benchè non sia una prova rigorosa delle variazioni, nel senso indicato dalla mia teoria; ma io mi occuperò di nuovo di questo argomento nel capo seguente. Abbiamo ancora un'altra considerazione importante: cioè che vi ha ragione di supporre che in questi animali e in quelle piante che si propagano rapidamente e non si muovono con facilità, le varietà siano dapprima locali, come abbiamo già veduto, e che queste varietà locali non si diffondano molto e non surroghino le loro forme-madri se non quando sono state modificate e perfezionate in modo considerevole. Secondo questa opinione, la probabilità di scoprire in una formazione di un dato luogo tutti gli stadii primitivi di transizione fra due forme è piccola, perchè si ammette che i cambiamenti successivi furono locali o limitati ad una sola località. Quasi tutti gli animali marini hanno una grande estensione; e noi abbiamo veduto che fra le piante, quelle che sono più disseminate presentano più spesso delle varietà; per modo che i molluschi ed altri animali marini che furono più ampiamente diffusi, fino ad eccedere i limiti delle formazioni geologiche conosciute di Europa, furono molto probabilmente quelli che diedero più spesso origine alle locali varietà ed infine a nuove specie; ed anche questa circostanza ci renderà assai difficile il tracciare gli stadii di transizione in ciascuna formazione geologica.

Una considerazione che conduce allo stesso risultato e su cui ha recentemente insistito il Falconer, è ancora più importante. I periodi di tempo cioè, durante i quali le specie subirono delle modificazioni, sebbene appariscano lunghi, se sono espressi con un numero di anni, erano nondimeno con ogni probabilità brevi, al confronto dei periodi, durante i quali le medesime specie non soffersero alcun cambiamento.
Non dovrebbe dimenticarsi che, anche attualmente, benchè si abbiano campioni perfetti da esaminare, non possiamo rannodare che ben di rado due forme, per mezzo di varietà intermedie, e così dimostrarne la identità di specie; e ciò perchè non si raccolsero molti di questi oggetti da paesi diversi; ora, nel caso delle specie fossili, ciò difficilmente potrebbe farsi dai paleontologi. Ma forse noi potremo intendere viemmeglio la poca probabilità in cui siamo di giungere a collegare le specie, per mezzo di numerose forme gradatamente intermedie, quando ci domandiamo, se, per esempio, i geologi di qualche epoca futura sarebbero capaci di provare che le nostre razze differenti di buoi, di pecore, di cavalli e di cani siano derivate da un solo ceppo o da vari stipiti originali; od anche se certe conchiglie marine che abitano le coste dell'America settentrionale, le quali furono da alcuni conchigliologi considerate come specie distinte dalle loro omonime di Europa, e da altri soltanto come varietà, siano realmente varietà, ovvero siano piuttosto distinte specificamente. Ciò non potrebbe farsi che da qualche geologo futuro, il quale scoprisse molte gradazioni intermedie nello stato di fossili; ma questo successo è improbabile al più alto grado.

Si è ripetutamente sostenuto dagli scrittori che credono alla immutabilità delle specie, che la geologia non ha fornito forme di transizione. Questa asserzione è del tutto erronea, come vedremo nel prossimo capitolo. «Ogni specie è un legame fra altre forme affini», disse il Lubbock. Noi lo vediamo chiaramente, se prendiamo un genere che sia ricco di specie viventi od estinte, e ne distruggiamo quattro quinti; perchè in tal caso niuno sarà per dubitare che le rimanenti saranno più distinte fra loro. Se invece furono le forme estreme di un genere che rimasero così eliminate, il genere stesso nella pluralità dei casi resterà più distinto dagli altri generi affini. Ciò che le ricerche geologiche non ci hanno rivelato, è l'esistenza antica di gradazioni infinitamente numerose, tanto strette quanto lo sono le nostre varietà, che abbiano collegato fra loro tutte le specie conosciute. E che a tanto non sia giunta la geologia, è appunto la più comune delle molte obbiezioni che si sono sollevate contro la mia teoria. Sarà quindi utile riassumere le precedenti considerazioni sulle cagioni della imperfezione delle memorie geologiche, con un esempio ideale. L'Arcipelago Malese è circa di un'estensione eguale a quella parte d'Europa che si estende dal Capo Nord al Mediterraneo e dall'Inghilterra alla Russia; e perciò corrisponde alla superficie di tutte le formazioni geologiche che furono esplorate con qualche esattezza, eccettuate quelle degli Stati Uniti d'America. Convengo pienamente col Godwin-Austen che l'Arcipelago Malese, nelle sue presenti condizioni, colle sue isole grandi e numerose separate da mari estesi e poco profondi, probabilmente rappresenta l'antico stato dell'Europa, all'epoca in cui la maggior parte delle nostre formazioni si andavano accumulando.
L'arcipelago Malese è una delle regioni del mondo intero più ricche di esseri organizzati; pure, se si fossero riunite tutte le specie che sono colà vissute, quanto imperfettamente non sarebbe in esse raffigurata la storia naturale del mondo!

Noi abbiamo ogni fondamento di ritenere che le produzioni terrestri dell'Arcipelago non si conserverebbero che in modo assai incompleto nelle formazioni che per ipotesi colà si accumulassero. È probabile che non rimarrebbero nel sedimento molti fra gli animali che abitano esclusivamente il littorale, e neppure molti di quelli che vivono sulle roccie sotto-marine denudate; e quelli che sono ricoperti di ghiaia o di sabbia, non durerebbero fino ad un'epoca lontana. Laddove il sedimento non si accumula sul fondo del mare, oppure non si ammassa in quantità bastante a proteggere i corpi organici dalla decomposizione, non si conserverebbe avanzo di sorta.
Secondo la regola comune, le formazioni ricche di fossili non si formerebbero nell'Arcipelago di una conveniente altezza per rimanere inalterate sino ad un'epoca tanto lontana nell'avvenire, quanto lo sono le formazioni secondarie nel passato, se non durante i periodi di abbassamento.
Questi periodi di abbassamento sarebbero separati l'uno dall'altro da enormi intervalli, per la durata dei quali l'area della regione o sarebbe stazionaria, o si solleverebbe. Quando avvenisse il sollevamento, le formazioni fossilifere delle coste più ripide sarebbero distrutte, quasi appena depositate, dall'incessante azione dei flutti di costa, come osserviamo al presente sulle coste dell'America del Sud; ed anche nei mari estesi e bassi dell'Arcipelago, nei periodi di elevazione, gli strati sedimentari non potrebbero depositarsi ad una grande altezza, nè potrebbero essere ricoperti e protetti dai depositi posteriori, tanto da avere qualche probabilità di conservarsi fino ad un'epoca estremamente lontana. Nei periodi di abbassamento si avrebbe forse una grande estinzione di forme viventi; mentre in quelli di sollevamento, molte sarebbero le variazioni, ma gli avanzi fossili e i documenti geologici sarebbero per l'avvenire assai imperfetti.
Potrebbe dubitarsi se la durata di qualche grande periodo di abbassamento, sopra tutto l'Arcipelago o sopra una parte di esso, insieme alla contemporanea deposizione di sedimento, sarebbe per eccedere la durata media delle stesse forme specifiche; ora queste contingenze sono indispensabili per la conservazione di tutte le gradazioni transitorie fra due o più specie. Se queste gradazioni non fossero tutte preservate completamente, le varietà transitorie non sarebbero considerate che come altrettante specie distinte. È anche supponibile che ogni grande periodo di abbassamento sarebbe interrotto dalle oscillazioni di livello, e che anche i piccoli cambiamenti del clima interverrebbero in questi lunghissimi periodi; in questi casi gli abitanti dell'Arcipelago emigrerebbero e non resterebbe in ciascuna formazione alcuna memoria rigorosamente progressiva delle loro modificazioni.

Moltissime specie marine viventi nell'Arcipelago si estendono attualmente per migliaia di miglia oltre i suoi confini; e l'analogia facilmente ci persuade che queste specie tanto diffuse dovrebbero produrre più di sovente delle nuove varietà; queste varietà sarebbero in principio locali o ristrette ad un solo luogo, ma possedendo un deciso vantaggio ed essendo ulteriormente modificate e perfezionate, si estenderebbero lentamente e soppianterebbero le loro forme-madri.
Quando queste varietà tornassero alla loro antica dimora, siccome diversificherebbero dallo stato primitivo quasi uniformemente, benchè forse in un grado molto leggero, e siccome si troverebbero involte in altri substrati della stessa formazione, così sarebbero riguardate quali specie nuove e distinte, dietro i principii seguiti da molti paleontologi.
Se in queste osservazioni abbiamo qualche fondo di verità, non dobbiamo aspettarci di trovare nelle nostre formazioni geologiche un numero infinito di queste forme gradatamente transitorie, le quali, secondo la mia teoria, hanno collegato fra loro le specie attuali colle passate di uno stesso gruppo, in una lunga catena di forme viventi con diverse ramificazioni. Invece noi non dobbiamo trovare che pochi esseri intermedi, alcuni più distanti, altri più prossimi fra loro, come appunto avviene; e queste formazioni intermedie, per quanto siano vicine, quando si incontrino in strati diversi di una formazione, saranno classificate tra le specie distinte da molti paleontologi. Tuttavia io confesso che non avrei mai sospettato che anche la meglio conservata sezione geologica ci offra sì scarse notizie delle mutazioni degli esseri estinti, se la difficoltà che si oppone alla scoperta delle innumerevoli forme transitorie, fra le specie che esistevano al principio e alla fine di ogni formazione, non si fosse con tanta insistenza sostenuta contro la mia teoria.

SULLA IMPROVVISA COMPARSA DI GRUPPI INTERI DI SPECIE AFFINI

Il modo subitaneo con cui dei gruppi interi di specie inopinatamente si trovano in certe formazioni, fu riguardato da parecchi paleontologi, per esempio Agassiz, Pictet e Sedgwick, come una obbiezione ponderosa contro l'ipotesi della trasformazione delle specie. Se molte specie, appartenenti agli stessi generi o famiglie, fossero realmente sorte alla vita improvvisamente, il fatto sarebbe fatale alla teoria delle discendenza lentamente modificata per mezzo dell'elezione naturale.
Perchè lo sviluppo di un gruppo di forme, che tutte derivarono da qualche antico progenitore, deve essersi compiuto con un processo estremamente lento; e i progenitori debbono avere vissuto per lunghe età prima dei loro discendenti modificati. Ma noi continuamente esageriamo la perfezione delle nostre memorie geologiche e falsamente ne deduciamo, dal non trovarsi certi generi o famiglie sotto certe formazioni, che essi non esistevano prima di quegli strati. In tutti i casi le prove positive tratte dalla paleontologia possono ritenersi fondate; ma al contrario le prove negative sono senza valore, come l'esperienza lo ha spesso dimostrato. Noi continuamente dimentichiamo quanto sia grande il mondo in confronto di quella superficie sulla quale le nostre formazioni geologiche furono accuratamente esaminate; dimentichiamo che possono esservi stati altrove, per lungo tempo, dei gruppi di specie ed essersi anche lentamente moltiplicati, prima che invadessero gli antichi arcipelaghi d'Europa e degli Stati Uniti. Noi non teniamo inoltre in dovuto conto gli enormi intervalli di tempo che passarono fra le nostre consecutive formazioni, che in molti casi furono più lunghi del tempo necessario per l'accumulazione di ogni formazione. Questi intervalli avranno permesso alle specie di moltiplicarsi, partendo da una sola o da poche forme-madri; nelle formazioni posteriori questi gruppi di specie appariranno, come se fossero stati creati repentinamente.

Posso richiamare una osservazione fatta da principio, cioè, che debba richiedersi una lunga successione di età, per adattare un organismo ad alcune nuove e particolari abitudini di vita, per esempio al volo, per cui le forme transitorie resteranno spesso limitate per molto tempo ad una data regione; ma che quando questo adattamento sia stato raggiunto, e alcune poche specie abbiano così acquistato un grande vantaggio sugli altri organismi, non sarebbe più necessario che un tempo relativamente breve per la produzione di molte forme divergenti, che sarebbero acconcie a diffondersi con rapidità ed estesamente sulla superficie del mondo. Il prof. Pictet, nella sua eccellente rivista di quest'opera, nel commentare quanto si è detto delle forme transitorie primitive e prendendo gli uccelli per un esempio, non può capacitarsi come le successive modificazioni delle estremità anteriori di un supposto prototipo abbiamo potuto riuscire di qualche utilità. Ma se poniamo mente ai pinguini dell'Oceano del Sud, non vediamo forse in questi uccelli le estremità anteriori nel preciso stato intermedio, nè di vere braccia, nè di vere ali? Nondimeno questi animali mantengono vittoriosamente il loro posto nella battaglia per la vita; perchè esistono in grandissimo numero ed in molte razze. Non voglio supporre che noi abbiamo in essi il grado transitorio effettivo pel quale sono passate le ali degli uccelli; ma quale speciale difficoltà si trova nel credere che abbia potuto giovare ai discendenti modificati del pinguino il divenire atti a battere colle ali la superficie del mare come l'anitra stupida, ed infine giungere a staccarsi da quella superficie, sostenendosi a volo per l'aria?

Esporrò qui pochi esempi, che serviranno a spiegare le cose dette precedentemente, e a dimostrare quanto siamo esposti ad errare, nel supporre che interi gruppi di specie siano stati improvvisamente prodotti. Anche nel breve lasso di tempo trascorso tra la prima e la seconda edizione della grande opera di Pictet sulla Paleontologia, pubblicate nel 1844-46 e nel 1853-57: le conclusioni prese intorno alla prima apparizione ed alla scomparsa di parecchi gruppi di animali furono grandemente modificate; e siamo persuasi che una terza edizione recherà ancora nuovi cambiamenti. Io richiamerò questo fatto bene conosciuto, che nei trattati di geologia pubblicati non sono molti anni, tutta la classe dei mammiferi si riguardava come apparsa improvvisamente, in sul principio della serie terziaria; oggi invece una delle più ricche accumulazioni conosciute di mammiferi fossili, per la sua potenza, appartiene alla metà dell'epoca secondaria; ed un vero mammifero fu scoperto nella nuova arenaria rossa, quasi nei primi strati di questa grande formazione. Il Cuvier soleva sostenere non si trovasse alcuna scimmia negli strati terziari; ma ora le specie estinte delle scimmie furono scoperte nell'India, nell'America del Sud e nell'Europa, anche spettanti al periodo eocenico. Senza il raro accidente della conservazione delle orme dei piedi nella nuova arenaria rossa degli Stati Uniti, chi si sarebbe azzardato a supporre che, all'infuori dei rettili, esistessero non meno di trenta razze di uccelli, alcuni dei quali giganteschi, durante questo periodo?
Eppure in questi strati non si rinvenne un solo frammento di osso. Fino a questi ultimi tempi i paleontologi hanno sostenuto che l'intera classe degli uccelli sia apparsa d'improvviso nei primordi del periodo eocenico; ma sappiamo, dietro l'autorità del prof. Owen, che un uccello certamente visse contemporaneamente alla deposizione dell'arenaria verde superiore; ed in tempo ancora più recente fu scoperto negli schisti oolitici di Solenhofen quel singolare uccello che è l'Archcæopteryz, con coda lunga a foggia dei sauri, portante un paio di penne ad ogni articolo, e con due unghie libere alle ali. Nessuna scoperta dimostra più efficacemente la nostra ignoranza intorno agli estinti abitatori della terra.

Ma posso citare un altro fatto, che mi ha colpito assai, perchè accaduto sotto i miei occhi. In una mia Memoria sui Cirripedi sessili fossili io avevo stabilito che, se i cirripedi sessili esistettero fino dall'epoca secondaria, essi dovevano essersi conservati e si sarebbero scoperti, ed io lo argomentavo dal numero grande delle specie viventi e delle estinte, appartenenti all'epoca terziaria; dalla straordinaria abbondanza degli individui di molte specie sul mondo intero, partendo dalle regioni artiche fino all'equatore, in varie zone fra i limiti del flusso e alla profondità di 50 braccia di mare; dalla perfetta incolumità degli avanzi che furono trovati nei più antichi letti terziari, e finalmente dalla facilità con cui anche un frammento di valva può riconoscersi. Siccome poi niuna di queste specie era stata scoperta negli strati dell'epoca secondaria, io ne traeva la conclusione che questo grande gruppo si fosse sviluppato subitaneamente, al principio della serie terziaria. Questo risultato non mi soddisfaceva, perchè così si aveva un esempio di più della improvvisa comparsa di un grande gruppo di specie. Ma la mia opera era appena pubblicata che un abile paleontologo, il Bosquet, mi spediva il disegno di un campione perfetto ed incontestabile di cirripede sessile, che egli stesso avea estratto dal terreno cretaceo del Belgio. Il caso non poteva essere più stringente, perchè questo cirripede sessile era un Chthamalus, genere assai comune, molto sparso e grande, del quale però non si era trovato alcun resto nemmeno negli strati terziari. In epoca ancora più recente fu scoperto dal Woodward nella creta superiore un Pyrgoma, membro di una diversa sottofamiglia dei cirripedi sessili, per cui ora abbiamo prove sufficienti per sostenere l'esistenza di questo gruppo di animali durante l'epoca secondaria.

I paleontologi insistono più frequentemente sul caso dei pesci teleostei, che si trovano, al dire dell'Agassiz, negli strati inferiori del periodo cretaceo, per confermare l'improvvisa apparizione di un intero gruppo di specie. Questo gruppo include la maggior parte delle specie esistenti.
Ultimamente il prof. Pictet fece risalire la loro esistenza ad un substrato ancora più lontano; ed alcuni paleontologi ritengono che certi pesci molto più antichi, le affinità dei quali sono tuttora conosciute imperfettamente, siano realmente teleostei. Ove si ammetta, però, che l'intero gruppo apparisca, come crede l'Agassiz, al principio della formazione cretacea, il fatto sarebbe al certo sommamente rimarchevole; ma io non saprei vedere in ciò una difficoltà insuperabile per la mia teoria, almeno finchè non si potesse dimostrare che le specie di questo gruppo apparvero simultaneamente e d'improvviso, per tutto il mondo nel medesimo periodo. Riesce quasi superfluo il notare che non conosciamo alcun pesce fossile al sud dell'equatore; e, scorrendo la Paleontologia di Pictet, si vedrà che ben poche specie furono scoperte nelle diverse formazioni dell'Europa. Alcune famiglie di pesci, oggidì, hanno una estensione molto ristretta; e può darsi che anche i teleostei fossero anticamente così limitati, e dopo di essersi largamente sviluppati in qualche mare, si siano in seguito diffusi rapidamente. Inoltre noi abbiamo qualche ragione di supporre che i mari del mondo non fossero sempre così liberamente aperti dal sud al nord, come lo sono al presente. Anche oggi, se l'Arcipelago Malese fosse convertito in continente, le parti tropicali dell'Oceano Indiano formerebbero un bacino largo e perfettamente chiuso, nel quale potrebbe moltiplicarsi ogni grande gruppo di animali marini; e quivi rimarrebbero confinati, finchè alcuna di quelle specie si adattasse ad un clima più freddo e potesse girare i capi meridionali d'Africa o d'Australia e così recarsi in altri mari distanti.

Per questi argomenti e per altri analoghi, ma principalmente per la nostra ignoranza sulla geologia delle altre contrade fuori dei confini dell'Europa e degli Stati Uniti; e per la rivoluzione che si fece, dopo le scoperte degli ultimi dodici anni, su molti punti delle nostre idee paleontologiche, mi sembra che siavi in noi troppa presunzione di sentenziare sulla successione degli esseri organizzati del mondo intero; come sarebbe avventato quel naturalista che, dopo di essere sceso a terra per cinque minuti in qualche punto sterile dell'Australia, volesse discutere del numero e della distribuzione delle produzioni di quella regione.

SULLA IMPROVVISA APPARIZIONE DI GRUPPI DI SPECIE
AFFINI NEGLI INFIMI STRATI FOSSILIFERI CHE SI CONOSCONO

Ora esaminiamo un'altra difficoltà analoga, ma molto più grave. Io alludo al modo con cui molte specie di uno stesso gruppo improvvisamente s'incontrano nelle inferiori roccie fossilifere conosciute. Quasi tutti gli argomenti che mi hanno convinto della discendenza delle specie viventi del medesimo gruppo da un comune progenitore, si estendono quasi col medesimo successo alle prime specie conosciute. Per esempio, non è a dubitarsi che tutti i trilobiti siluriani siano derivati da qualche crostaceo, che deve aver vissuto molto tempo prima dell'epoca siluriana, e che probabilmente differiva assai dagli altri crostacei viventi. Alcuni fra i più antichi animali siluriani, come il Nautilus, la Lingula, ecc., non sono gran fatto diversi dalle specie attuali; e, secondo la mia teoria, non posso supporre che queste specie antiche fossero i progenitori di tutte le specie degli ordini a cui appartengono, perchè tali specie non presentano caratteri in certo modo intermedi ai medesimi.
Per conseguenza, se la mia teoria è vera, è incontestabile che, prima che fosse depositato lo strato siluriano inferiore, passarono lunghi periodi, uguali e forse anche più lunghi dell'intervallo intero che separa l'epoca siluriana dall'epoca presente; e che in questi estesi periodi di tempo, che ci sono interamente ignoti, il mondo formicolava di creature viventi. E qui incontriamo una obbiezione molto seria; imperocchè sia cosa dubbia, che la terra abbia esistito un tempo abbastanza lungo in tale stato da essere abitabile pegli organismi. W. Thompson ha conchiuso che la solidificazione della crosta terrestre difficilmente è avvenuta avanti meno che 20 o più che 400 milioni di anni, ma probabilmente avanti non meno che 90 o non più che 200 milioni di anni. Questi limiti assai vasti dimostrano quanto siano incerte le indicazioni del tempo; e probabilmente saranno da introdursi nel problema altri elementi. Croll calcola il tempo trascorso dopo il periodo cambriano a circa 60 milioni di anni; ma a giudicare dalla piccola somma di cambiamenti avvenuta nel mondo organico dopo il principio dell'epoca glaciale, questo tempo sembra troppo breve per aver prodotto tutti quei molti ed importanti cambiamenti degli organismi, che di certo sono successi dal periodo cambriano in poi; nè possono credersi sufficienti i 140 milioni d'anni preceduti, per lo sviluppo delle svariate forme di vita che già esistevano durante lo stesso periodo cambriano. Sembra però probabile, come ha fatto osservar W. Thompson, che la terra nei primi tempi sia stata soggetta a cambiamenti delle fisiche condizioni più rapide e più violente che non al presente; al certo tali cambiamenti avrebbero prodotto dei cambiamenti corrispondentemente rapidi negli esseri organici che allora abitavano il nostro globo.

Intorno alla questione che non troviamo memorie di questi vasti periodi primordiali, non saprei dare una risposta soddisfacente. Diversi dei più eminenti geologi, alla testa dei quali si trova R. Murchison, erano convinti, fino a questi ultimi tempi, che i resti organici dello strato siluriano più basso costituissero l'alba della vita, sul nostro pianeta. Altri dotti assai competenti, come Lyell ed E. Forbes il giovane, combattono questa opinione. Ma non dobbiamo dimenticare che una piccola porzione soltanto del globo è stata esplorata convenientemente. Di recente il Barrande aggiunse al sistema siluriano un altro strato anche più depresso, nel quale abbondano specie nuove e particolari; ed ora l'Hicks ha trovato a profondità ancora maggiore, nella formazione cambriana inferiore del Wales meridionale, degli strati ricchi di trilobiti, i quali racchiudono diversi molluschi ed anellidi. La presenza di noduli fosforosi e di materie bituminose in alcuni degli infimi strati azoici accenna probabilmente ad una vita in questi periodi, ed è generalmente ammessa l'esistenza dell'Eozoon nella formazione lorenzina del Canadà. Vi hanno nel Canadà tre grandi serie di strati sotto al sistema siluriano, e l'Eozoon fu trovato nell'infimo di essi. W. Logan asserisce essere possibile «che la complessiva loro potenza superi quella di tutte le roccie successive, dalla base della serie paleozoica fino al presente. Noi siamo così trasportati in un periodo così remoto, che al confronto l'apparsa della così detta fauna primordiale (del Barrande) può considerarsi come un avvenimento recente». L'Eozoon appartiene alle infime classi del regno animale; ma pel posto che occupa è bene organizzato; esso viveva in gran numero, e, al dire del Dawson, si nutriva di altri piccolissimi organismi, che dovevano esistere numerosi. Le precedenti parole, ch'io scrissi nel 1859 intorno all'esistenza degli esseri viventi in epoca molto anteriore al sistema cambriano e che concordano con quelle che di poi espresse il Logan, si sono pienamente confermate. Ma non ostante questi molteplici fatti, è molto grave la difficoltà di spiegare la mancanza di vasti ammassi di strati fossiliferi, i quali, secondo la mia teoria, avrebbero certamente dovuto accumularsi in qualche luogo prima dell'epoca siluriana. Se questi antichi strati furono pienamente escavati per denudazione, o distrutti dalla azione del metamorfismo, noi non possiamo trovare che pochi avanzi delle formazioni immediatamente posteriori, e queste in generale dovranno trovarsi in una condizione di metamorfismo. Ma le descrizioni che ora noi possediamo dei depositi siluriani, negl'immensi territori di Russia e dell'America settentrionale, non vengono in appoggio dell'idea che quanto più antica è una formazione, essa debba avere subìto sempre maggiore denudamento e metamorfismo.

Questo caso può presentemente rimanere inesplicabile; e continuerà a formare un valido argomento da opporre contro i principii che abbiamo sviluppati. Pure per dimostrare che in seguito potrà ricevere qualche schiarimento, io farò una ipotesi. Dalla natura degli avanzi organici che non sembra abbiano abitato mari profondi, nelle varie formazioni dell'Europa e degli Stati Uniti, e dalla quantità di sedimento, di una potenza di parecchie miglia, di cui sono composte le formazioni, possiamo dedurre che dal principio alla fine del periodo dovevano trovarsi, in prossimità dei continenti attuali dell'Europa e dell'America settentrionale, delle grandi isole o tratti di continente, dai quali provenne quel sedimento. Ma noi non conosciamo quale fosse lo stato delle cose negl'intervalli trascorsi fra le formazioni successive; nè sappiamo se l'Europa e gli Stati Unità esistessero, durante questi intervalli, come terre emerse o come una superficie sotto-marina presso il continente, sulla quale non si formava alcun sedimento, o come il letto di un mare aperto e profondo.

Se noi consideriamo gli oceani esistenti, che hanno una superficie tripla di quella del terreno emerso, noi li vediamo sparsi di molte isole; ma nessuna isola oceanica non ha finora somministrato qualche resto di una formazione paleozoica o secondaria. Quindi noi possiamo forse desumere che nei periodi paleozoico e secondario non esistevano continenti nè isole continentali laddove ora si estendono i nostri oceani. Se vi fossero stati continenti od isole, le formazioni paleozoiche e secondarie si sarebbero probabilmente accumulate col sedimento prodotto dal loro consumo e dalle loro convulsioni e sarebbero stati sollevati, almeno in parte, dalle oscillazioni di livello che certamente saranno avvenute in questi periodi enormemente lunghi. Se adunque noi possiamo fare qualche induzione da questi argomenti, dobbiamo inferirne che dove oggi si estendono i mari, vi erano anche dai periodi più remoti di cui si abbia memoria; e d'altra parte che grandi tratti di terre esistevano, dove oggi abbiamo i continenti, che erano certamente soggetti a grandi oscillazioni di livello, fino dal primo periodo siluriano. La mappa colorata unita al mio volume sugli scogli di corallo mi induce a ritenere che i grandi oceani sono, anche presentemente, superfici di abbassamento, i grandi arcipelaghi aree di oscillazione di livello, e i continenti superfici di sollevamento. Ma abbiamo noi ragione di ammettere che le cose siano così rimaste, fino dal principio del mondo? Sembra infatti che i nostri continenti siano stati formati per la preponderanza della forza di sollevamento nelle molte oscillazioni del suolo; ma non potrebbero nel corso dei tempi essersi cambiate le aree in cui questa forza predominava? Nel periodo che precede ad una distanza immensa ed incommensurabile l'epoca siluriana, possono i continenti avere occupato, il posto dei nostri mari attuali; e dove oggi stanno i nostri continenti, potevano allora trovarsi dei mari vasti ed aperti. Nè sapremmo come giustificare l'opinione che, per esempio, noi fossimo per trovare delle formazioni più vetuste degli strati siluriani nel letto dell'Oceano Pacifico, quando questo fosse sollevato e cambiato in continente, supponendo che quelle formazioni fossero state depositate in epoche più remote; perchè si sarebbe potuto dare che gli strati, i quali si fossero abbassati di alcune miglia verso il centro del globo e che fossero stati premuti da un peso enorme di acque sovrincombenti, avessero soggiaciuto ad un'azione metamorfica più intensa degli strati che rimasero sempre più vicini alla superficie. Le superfici immense di roccie metamorfiche nude in certe parti del mondo, per esempio, nell'America meridionale, le quali debbono essere state riscaldate sotto una pressione enorme, mi parve sempre che esigessero una speciale spiegazione; e possiamo credere che forse in queste grandi superfici noi vediamo le molte formazioni anteriori all'epoca siluriana, in una condizione completamente metamorfica ed anche denudate affatto.

Le difficoltà che abbiamo discusso sono certamente molto gravi, e sono: il trovarsi nelle nostre formazioni geologiche molti legami fra le specie che ora esistono e quelle che vissero in altre epoche, benchè non incontriamo molte forme transitorie che le rannodino strettamente fra loro; il modo subitaneo con cui alcuni interi gruppi di specie apparvero la prima volta nelle nostre formazioni europee; la quasi completa assenza, da quanto fu scoperto fino ad oggi, delle formazioni fossilifere sotto gli strati siluriani. Noi vediamo che per questi fatti i più eminenti paleontologi, come Cuvier, Agassiz, Barrande, Pictet, Falconer, E. Forbes, ecc., e tutti i nostri geologi più insigni, come Lyell, Murchison, Sedgwick, ecc., hanno unanimemente, e spesso con veemenza, sostenuta la immutabilità delle specie. Ma io ho dei motivi di pensare che una grande autorità, Carlo Lyell, dopo nuove e mature riflessioni conservi dei gravi dubbi su questo soggetto. Io riconosco quanto rischio vi sia nel dissentire da queste autorità, alle quali, insieme con altre, noi dobbiamo tutta la nostra scienza. Coloro che considerano le memorie naturali geologiche come perfette, in certa guisa, e che non danno molto peso ai fatti ed argomenti d'altra sorta dati in questo volume, certamente respingeranno a prima vista questa mia teoria. Per mia parte, seguendo una metafora di Lyell, stimo le memorie geologiche naturali come una storia del mondo conservata imperfettamente, e scritta in un dialetto variabile; di questa storia noi possediamo il solo ultimo volume, che si riferisce soltanto a due o tre contrade. Di codesto volume non ci è rimasto che qualche breve capitolo qua e là; e di ogni pagina non abbiamo che poche linee sparse. Ogni parola del linguaggio lentamente - variante, con cui questa storia è scritta, essendo più o meno diversa nei capitoli successivi, può rappresentare i cambiamenti, apparentemente improvvisi, delle forme della vita sepolte nelle nostre formazioni consecutive e interamente separate. Con questi concetti le difficoltà che abbiamo esaminate sono diminuite grandemente, od anche eliminate del tutto.

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