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165. GLI ULTIMI TEMPI DELLA CONVENZIONE

A parte ciò che stava avvenendo all'interno, e che abbiamo narrato nel precedente drammatico capitolo, anche la guerra con lo straniero era costata terribili sacrifici di uomini e di denaro. Tutto quello, che si era già considerato come sacro ed eccelso, giaceva distrutto, il benessere e la civiltà erano una rovina. Attorno non si vedeva che furore, terrore, passioni e una tormentosa e squallida fame. Mancavano imposte regolate, il suolo trascurato dai fatti d'armi e da mancanza di braccia, dava appena appena la metà del prodotto del 1789.

Il paese più ricco d'Europa dovette sacrificare la sua flotta, soltanto perché delle navi americane gli portassero del grano. L'onnipotente comitato di salute pubblica era privo di mezzi e in preda agli usurai. Gli artigiani non lavoravano più, l'oro era scomparso, sostituito da carta priva di valore. Le relazioni dei prezzi si erano del tutto mutate, il credito appena esisteva e solo in mano agli usurai, l'imposta saliva fino al 60 per cento, le scuole, gli ospedali, le strade maggiori e minori erano abbandonate, nella vita pubblica dominavano la frode e le malversazioni.
I matrimoni fra persone non legate da parentela diminuivano rapidamente, perché ognuno dei coniugi temeva di essere spinto dall'altro alla ghigliottina. Il Diritto e il sentimento del bene comune si spegnevano a poco a poco nell'egoismo e in una «virtù» ormai logora. Gli ideali del 1789 erano a terra infranti. La libertà si era mutata in una smorfia, in una brutta servitù e l'uguaglianza in una violenza brutale.

I delegati della convenzione avevano versato torrenti di sangue. Soltanto a Parigi il tribunale rivoluzionario dal 6 aprile 1793 al 27 luglio 1794 (9 termidoro) aveva fatto giustiziare 2625 sventurati. Poche ore prima del colpo di stato perirono 45 vittime. E tutto questo perché il potere era qui in mano a circa 3000 uomini disumani. La buona società fu per così dire chiusa in carcere. Qui si trovarono insieme uomini e donne vittime della vendetta o della rapacità dei proletari. Ogni prigioniero stava sulla soglia dell'eternità, e la morte era cosa di ogni giorno, anzi era, per così dire, l'avvenimento del giorno.
Era meglio godersi il breve tempo, che ancora avanzava. Non si stava a lambiccarsi a lungo il cervello, ma con gusto della vita e con leggerezza schiettamente francese si prendevano le cose dal lato migliore. Si chiacchierava, si cercava di divertirsi, si rideva e si faceva all'amore; si dettero nelle prigioni perfino dei balli in maschera.

Ora poi - dopo le ultime esecuzioni di massa seguite a quelle di Robespierre e dei suoi seguaci, si poteva vivere, essere liberi e rivedere la luce del sole ! In effetti centinaia furono posti in libertà per servire da alleati contro i precedenti governanti; ma nonostante ciò il 6 settembre ancora 5261 persone languivano dietro le mura di un carcere.

Il colpo di stato - lo abbiamo già detto a conclusione del precedente capitolo - non era stato opera dei moderati, ma opera di vari gruppi terroristici, che volevano mettere da parte non tanto il terrore, quanto i suoi rappresentanti divenuti pericolosi per ognuno di loro, ed impadronirsi essi stessi della loro eredità. Sembrava quindi che il futuro prima e poi appartenesse ai giacobini. L'ideologia pur essendo simile tra loro, o almeno uguale, non lo era più quando si trattava di prendere in mano il potere.

Comparve allora una potenza, ormai quasi dimenticata, la pubblica opinione. La sua voce all'inizio trascurabile, rimbombò sempre più forte, finché coprì il gioco dei partiti in nome della volontà della Francia.
Con i metodi precedenti non si poteva andare più avanti. Ovunque Robespierre aveva dato gli uffici ai suoi partigiani, e morto lui e tanti suoi seguaci, bene o male si doveva allora fare un lavoro di epurazione; con questo obiettivo il movimento di reazione prese le mosse da sé stesso.
I giacobini si mantennero con maggior vigore ed energia nel comitato di salute pubblica, che ricevette un colore termidoriano tramite Tallien e altri, come Merlin, Cambacérés e specialmente Carnot. Questi volevano certo moderare le cose, ma non rinunciavano nello stesso tempo a esercitare il loro dominio con la violenza.

Prese poi forza la tendenza ad avvicinarsi alla Convenzione, dove la direzione fu presa dal partito della «pianura». Nella sua lotta contro il partito di Robespierre la pianura si era dovuta appoggiare alla borghesia e perciò iniziò a piegarsi sempre più a destra.
La Convenzione mutò il carattere e il numero delle sue delegazioni, che fino allora avevano avuto nelle loro mani il potere esecutivo nel comitato di sicurezza e in quello di salute pubblica. Questo d'ora in poi dovette limitarsi alla guerra e agli affari esteri.
Dovette moderarsi anche la tremenda azione del tribunale rivoluzionario, per cui diminuì il numero delle esecuzioni. Il posto del consiglio della comune fu preso da dodici piccole «mairies» per i singoli rioni di Parigi. Le sezioni furono conservate, ma cessò l'indennità di 40 soldi per chi le frequentasse; perciò i proletari non vi andarono più e i migliori cittadini vi presero il sopravvento.

Il comando in capo della guardia nazionale fu assegnato ad un comitato di ufficiali di stato maggiore e fu limitato il potere dei commissari della Convenzione, quello dei club e delle pubbliche adunate. Il club dei giacobini fu preso da una malattia insanabile. Né di meno furono frenati i comitati della città minori e diminuiti quelli delle province. Inutilmente i giacobini ed anche i termidoriani cercarono di mettere in rotta questo movimento. La storia aveva mutato il suo corso.

Le bluse e gli zoccoli scomparvero. Gli uomini si adornarono e si ripulirono a nuovo; i salotti signorili e i luoghi di divertimento si riempivano a misura che i club politici e le sezioni si andavano vuotando, e le picche dei «sans culottes» cedettero il luogo ai bastoni nodosi della «jeunesse dorée». Il terrore aveva distrutto ogni ideale e imposto un'apparenza austera di virtù. E col suo regno cadde anche quel manto di virtù e tutti si precipitarono a capo fitto nei godimenti, di cui erano stati privi così a lungo. Ai giacobini, che si vantavano della rigidità dei loro costumi, seguirono i «muscadins» gaudenti col loro bizzarro abbigliamento e le «merveilleuses», il cui costume greco si limitava presso a poco ad un cinto. Boissy d'Anglas poté dire crudamente: «Soltanto un paese, che é retto dai proprietari, può godere di un legittimo ordine sociale».
La «seconda generazione» stava calcando la scena.

Quando fu commesso un mancato tentativo di assassinio contro Tallien, si radunò in sua difesa la gioventù facoltosa, la «jeunesse dorée», o le «jeunes gens», che armati di mazze piombate assalirono il club dei giacobini, combattendo apertamente nelle vie. Poiché il governo stava dalla loro parte, fece chiudere il 12 novembre le sale del club, e con questo ebbe fine ingloriosa quella società poco prima onnipotente.
Si solennizzò questo avvenimento con esultanza e con pubbliche gozzoviglie. Il movimento di reazione prendeva un andamento sempre più rapido. L'infame Carrier subì la pena capitale; Billaud, Collot e Fouquier si sentirono gravemente minacciati.

Intanto nella Convenzione si erano formati tre gruppi. Prima di tutto quello dei giacobini e dei termidoristi, che sedevano a sinistra, Barras, Merlin di Douay, Cambacérés, Sieyés ed altri, ai quali per lo più stava dinanzi un avvenire splendido. Essi desideravano un governo, che si reggesse sul terrore. Il secondo gruppo comprendeva i veri termidoristi e gli amici di Danton, 150 deputati, fra i quali apparivano più importanti Tallien e Freron.
Il centro sociale di questi uomini erano i salotti della signora Tallien, la figlia seducente di un ricco banchiere, la quale assunse la parte della Roland del tempo della Gironda, anche se piuttosto sbiadita in relazione allo stato delle cose in quel tempo.
Finalmente rimanevano ancora il vecchio centro e la vecchia destra, i 60 deputati, che consideravano la repubblica come già condannata ad una prossima fine, a vantaggio di una monarchia con la costituzione liberale del 1791. Ed erano i
ngrossati da 73 deputati di tendenze girondine, che dopo essere stati imprigionati, erano scampati alla morte. Poiché questi si accordavano con i termidoristi nel difendersi dalla sinistra, si poté avere una legislazione moderata nell'inverno tra il 1794 e il 1795.

Venne in loro aiuto la miseria crescente; i prezzi salirono quasi come in tempo di carestia, ed inoltre non vi era quasi più alcuna fonte guadagno, non vi era denaro contante ma assegnati, non solo deprezzati, ma circolavano una considerevole quantità di biglietti falsi (stampati e introdotti dagli inglesi).

Parigi e le grandi città erano decadute, le strade sporche, quelle principali della capitale appena illuminate di sera, rese malsicure da gente sospetta, sia essa uomini o donne. Alcune regioni, come la Vandea, apparivano per grandi estensioni morte, erano solitudini devastate e spopolate. Quelli che ancora vivevano in esse, combattevano una lotta disperata d'imboscate, che si era diffusa anche nella Bretagna. Gli «chouans», come erano chiamati gli insorti bretoni, combattevano con le milizie repubblicane una guerra interminabile, senza misericordia, e cercavano di ottenere aiuti inglesi. Il governo cominciò delle trattative, che andarono però andarono per le lunghe.

La tendenza reazionaria si estese anche ai comitato di salute pubblica, ma qui non fu efficace, perché vi erano più uomini sperimentati nella direzione tecnica degli affari, che non rappresentanti di opinioni politiche, e questi vi avevano messo piede solidamente fin dall'inizio.
Migliori successi riportarono i moderati nella Convenzione. Fu abolito il «maximum» e si aprì un'inchiesta contro i suoi autori, Billaud, Collot e Barère; si cessò di vendere i beni dei parenti degli emigrati, si rimisero in libertà i preti e i nobili condannati all'esilio. Si giunse finalmente a far la pace con la Bretagna e la Vandea a condizioni ragionevoli ed a vincere le ultime resistenze dopo una lotta di due mesi.
Le province occidentali ebbero libertà di culto e promesse di franchigie militari, in compenso delle quali riconobbero la repubblica. Pareva che vi fosse ancora un solo passo per accordare alla Francia intera quella libertà di culto, ossia per restituire in realtà al popolo la sua confessione cattolica. Tuttavia in questo si agì con molto riserbo. Le chiese dovevano ancora restare chiuse, nessun luogo di venerazione religiosa poteva portare un segno esteriore, non si concedette d'invitarvi pubblicamente i fedeli né di vestire abito ecclesiastico e tutte le riunioni di culto furono sottoposte alla sorveglianza dello Stato.
Tuttavia il 3 ventoso (21 febbraio), la questione principale fu approvata; presto si ravvivò il sentimento religioso e dovunque si ripopolarono le chiese.

Quantunque ora era salva la libera "preghiera" e l'invocazione della "provvidenza divina", non si poteva ovviare con questi semplici provvedimenti alla terribile miseria. L'abolizione immediata del «maximum» esercitò un'azione sfavorevole. Non si seppe rimediare se non promettendo ogni giorno una libbra di pane a ciascun cittadino di Parigi, senza che si fosse in condizione di poterla distribuire.
La disperazione condusse a continui tumulti a causa del pane. Nondimeno i moderati andarono ancora avanti; Billand, Collot e Barére furono rinviati davanti al tribunale rivoluzionario e 16 girondini tuttora viventi furono di nuovo accolti nella Convenzione.

Queste cose spinsero gli ultimi giacobini ad agire, poiché lo spettro di un forte ridimensionamento delle loro retribuzioni incombeva su di loro minaccioso. II 16 marzo fu fatta la proposta che la Convenzione si sciogliesse e che si richiamasse in vita la costituzione del 1793. Questo fu rifiutato, ma ebbe un forte contraccolpo nelle strade, perché da ciò si sperava il pane a buon mercato. I giacobini approfittarono della esasperazione d'animo del popolo per portarli a una sollevazione. Il 1° aprile (2 germinale), una folla affamata invase la sala della Convenzione e reclamò del pane, la liberazione dei giacobini arrestati e la costituzione del 1793.
Fu tutto inutile; i moderati tennero un atteggiamento fermo e deciso e finirono col prevalere; deportarono a Cayenna Billaud e i suoi compagni, fecero imprigionare altri 16 giacobini, pubblicarono varie ordinanze per disarmare i terroristi, per epurare la guardia nazionale e così via dicendo, proposero perfino che si restituissero i loro beni alle vittime ancora viventi del tempo del terrore. Istituirono inoltre, per prendere in esame la costituzione del 1793, un comitato, che presto procedette ad elaborarne una del tutto nuova.

Se queste circostanze erano favorevoli al governo, aumentarono tuttavia le difficoltà. L'affrancazione dei metalli preziosi deprezzò stabilmente gli assegnati; ad onta della pace di Basilea la guerra continuava e il tesoro dello Stato rimaneva vuoto. La miseria aumentò, le porzioni di pane, che si distribuivano divennero sempre più piccole, gli uomini morivano di fame sulle pubbliche strade, una cupa disperazione s'impossessò di tutte le classi della popolazione. La moralità e la sicurezza pubblica cessarono quasi del tutto.
I partiti stavano l'uno di fronte all'altro, reciprocamente assetati di vendetta, principalmente nel Mezzogiorno; se prima i giacobini avevano fatto strage dei loro avversari, ora i superstiti di questi si presero una inesorabile rivincita. Risuonò il grido: "Le ossa degli uccisi disseppelitele dalle tombe e metteci dento quelle dei loro assassini !"

Quasi per tutta la Francia meridionale infuriò questo movimento reazionario, questa rappresaglia, che fu detta il «terrore bianco».
Per quanto queste condizioni fossero soltanto le conseguenze della cattiva amministrazione precedente, con questa nuova aumentò tuttavia il malcontento. L'opinione pubblica, che viveva nel presente, ne attribuiva le responsabile al governo. E questo incoraggiò i terroristi ad una nuova sollevazione. Il 1° pratile (20 maggio) la tempesta si scatenò nel modo ormai tradizionale.
Il palazzo comunale fu invaso da folte masse di plebaglia, fu forzata l'entrata nella Convenzione tra le grida di «pane e costituzione». Per delle ore intere i deputati moderati sfidarono il pericolo, finché rimase soltanto una minoranza giacobina, che subito pubblicò vari decreti, conformi ai sentimenti degli insorti, e istituì con i suoi uomini un governo provvisorio.

Ma comparve allora la guardia nazionale, che scacciò di là i ribelli tra le fucilate e il fragore dei tamburi e imprigionò i loro capi. Il mattino seguente gli insorti furono respinti verso il sobborgo S. Antonio, ma poi la guardia nazionale dovette ritirarsi nel pomeriggio, finché giunsero le truppe di linea, che ristabilirono l'ordine.
Allora anche i più moderati agirono energicamente; fecero fucilare i principali caporioni, sciolsero definitivamente il tribunale rivoluzionario, epurarono la guardia nazionale, allontanarono dalla Convenzione 62 deputati, trasferirono a Parigi una guarnigione di soldati dell'esercito attivo.
L'ultimo divampare dell'antico regno del terrore era mal riuscito.

I termidoristi e i dantonisti rimasero vincitori, ma soltanto per vedersi presto sopravanzati dalla destra, poiché andava prendendo forza l'opinione che soltanto restaurando la monarchia si potesse rimediare alla miseria generale. Si decise allora il fato di colui, cui si rivolgevano i pensieri della Francia.

Il giovane delfino, che era stato strappato ai suoi genitori e rovinato da un calzolaio chiamato Simon a forza di percosse e di acquavite, morì il 10 giugno. Spirò dicendo che ascoltava una musica celeste e la voce della madre. Al governo la sua morte fu gradita, perché le pretese al trono passavano al conte di Provenza, rigido emigrato, i cui sentimenti rendevano quasi impossibile una resurrezione pacifica della monarchia. Quello che con le buone non riusciva, alcuni uomini autorevoli tentarono di ottenere con la violenza, fra gli altri il generale Pichegru, che comandava l'esercito belga-francese. Nella Vandea e nella Bretagna vi era del fermento dopo come prima; gli emigrati convogliarono 3600 partigiani sulla costa bretone presso Quiberon, dove affluirono anche molti «chouans».
Ma non si aveva energia né unità, si perdette tempo, e così nel frattempo accorreva con le sue truppe repubblicane il generale Hoche, che domò e fece prigionieri moltissimi ribelli. Per ordine della Convenzione 700 di loro furono giustiziati.
Con questo agire non poteva di sicuro aumentare la considerazione di coloro che governavano in quel momento.

Per arrivare finalmente a una condizione di cose ragionevole s'insistette affinchè fosse varata la costituzione, i cui autori volevano soprattutto impedire il ritorno del terrore. Perciò separarono il potere legislativo da quello esecutivo, semplificarono e rafforzarono le autorità locali, infransero la potenza della plebaglia parigina e posero il governo in quelle mani, che a loro parevano adatte.

Il diritto di eleggere e quello di essere eletto furono limitati e con questo fu dato un colpo mortale alla democrazia a favore della borghesia. Per togliere di mezzo il pericolo, che derivava dall' avere una sola camera, si divise il corpo legislativo nel consiglio dei cinquecento e il corpo degli anziani, costituito da 250 membri di oltre 40 anni.
Il primo esercitava il potere legislativo, mentre gli anziani possedevano soltanto il diritto di respingere o di approvare le leggi. Il mandato durava tre anni, poi un terzo del consiglio doveva essere sostituito da nuovi eletti.
Dopo lunghe esitazioni il potere esecutivo fu assegnato a un direttorio di cinque membri, che dovevano essere eletti con la cooperazione delle due camere, e che ogni anno dovevano eliminare uno dei loro componenti e accoglierne un altro nuovo.
I direttori ottennero i poteri del comitato di salute pubblica; vigilavano sui ministri, ma non avevano né seggio né voto nel corpo legislativo. Ciò aveva un significato relativamente conservatore, ma un governo di cinque persone nascondeva la discordia nel proprio seno ed ogni dissidio tra governo e rappresentanza della nazione spingeva ad atti di violenza.

Si garantì la libertà delle camere e il segreto del voto. Le sedute dovevano essere pubbliche, ma il numero degli ascoltatori nelle tribune pubbliche fu limitato. Il consiglio degli anziani ebbe il diritto di trasferire fuori di Parigi il corpo legislativo, alla cui difesa serviva una guardia di 1500 uomini. Altre truppe non potevano avvicinarsi ad esso. Inoltre la costituzione garantiva i diritti privati. Non vi erano differenze di ceti né una religione di Stato, ma libertà di stampa e sicurezza della proprietà. Furono proibiti i club e le adunanze pubbliche di società politiche e inoltre il ritorno degli emigrati; fu garantito ai compratori il possesso dei beni confiscati al clero e agli emigrati.

Dopo lunghe discussioni la Convenzione approvò questa costituzione. Nessuno poteva prevedere l'esito delle nuove elezioni; si era certi soltanto che la nazione non avrebbe sicuramente riportato al potere i suoi "vecchi" ottusi rappresentanti. Sbagliarono di grosso!
Questi stessi "vecchi" avevano preso gusto a possederlo il potere e desideravano conservarlo. Quindi il 22 agosto (15 fruttidoro) deliberarono che alle nuove elezioni si dovesse eleggere soltanto un terzo dei nuovi deputati e che gli altri due terzi fossero presi dall'attuale convenzione (cioè con dentro loro, i "vecchi").
La costituzione e i decreti di fruttidoro furono presentati alle assemblee primarie del popolo e da queste frettolosamente approvati.
La Convenzione si avvalse di ciò, come di una manifestazione di fiducia, per fissare la data delle varie operazioni elettorali e dell'apertura delle camere.

Veramente l'indignazione per la riserva dei due terzi era generale; si acconsentì soltanto perché altrimenti nulla si sarebbe ottenuto e la Convenzione avrebbe continuato a governare (con tutti i vecchi !).

Il desiderio di una monarchia ordinata non era stato mai più intenso. Che cosa avrebbe potuto recare con se il futuro, se Luigi XVIII (conte d'Artois, nipote di Luigi XV, indi fratello di Luigi XVI) fosse stato un altro uomo, se si fosse posto a capo di uno stato nuovo, dopo aver compreso le conquiste della rivoluzione e i mutamenti da essa prodotti? Nella Vandea i suoi partigiani raccoglievano forze considerevoli; il conte d'Artois incrociava su quelle coste, ma ritornò vilmente in Inghilterra senza nulla osare.

A Parigi, dove si era più direttamente fatta sentire l'oppressione della maggioranza della Convenzione, si giunse ad un'aperta rivolta. Il 5 ottobre (13 vendemmiaio) la guardia nazionale con 30.000 uomini armati marciò contro il governo, in difesa del quale si presentarono soltanto 1500 patriotti.
Il governo era perduto senza l'aiuto delle truppe di linea, della cui fedeltà pure si dubitava. In così gran pericolo la convenzione affidò il comando supremo della guarnigione di Parigi al Barras. Poiché questi era piuttosto uomo di parata che di azione, chiamò per esserne assistito una sua vecchia conoscenza fatta a Tolone, ma poi caduto in disgrazia e radiato dall'esercito: Napoleone Bonaparte.

Nominato generale di Brigata di Fanteria nel corso della guerra di Vandea era stato destinato all'armata dell'Ovest.
Napoleone inspiegabilmente non raggiunse il suo posto di comando; il suo rifiuto non solo venne considerato una grave insubordinazione, ma nacque anche il dubbio della poca lealtà, anche perchè qualcuno si ricordò di quell'oscuro precedente, la sua galera ad Antibes, quando amico del fratello di Robespierre, fu anche lui molto vicino a salire sulla ghigliottina.
Con un brutale decreto delle alte gerarchie, il generale Napoleone Bonaparte venne cancellato dalla lista degli ufficiali generali in servizio, radiato dai quadri "per non aver assunto il posto che gli era stato assegnato". 
"Non volevo uno Stato contro lo Stato, una nazione contro la nazione, una Francia contro la Francia, i francesi contro i francesi" (scriverà poi nelle Memorie). Non voleva una lotta di "cortile", fra esercito e tanti poveri diavoli, lui pensava già in grande! Purtroppo l'improvvisa radiazione lo fece ripiombare in un altro periodo di amarezze e di triste solitudine in una misera stanzetta di Parigi. Abbandonato da tutti, si lascia andare a profonde e amare riflessioni sugli uomini.
Ma il destino bussò ancora una volta alla sua porta. Era un nuovo destino! Era quello un momento grave per Parigi. Drammatico. Ma ecco saltar fuori quell'uomo che aveva criticato Napoleone a Tolone, che si era unito alle critiche sul giovanissimo comandante, ma che aveva alla fine riempito un rapporto sulle sue note caratteristiche abbastanza singolare.
Era BARRAS, allora e ora membro del Direttorio che governava la Francia dopo la caduta di Robespierre. Si ricordò dei cannoni di Tolone, e del "moto perpetuo" di quel giovane comandante, che aveva avuto perfino l'ardire di biasimare un suo intervento con "mi lasci fare il mio mestiere, e lei faccia il suo". Nessuno gli aveva mai parlato così, con "una arroganza così affascinante" ed aveva solo 23 anni quel giovane!

Nell'ora più turbolenta e ribelle della Francia, il destino bussò nel corso della notte ancora alla porta di un Napoleone sopraffatto nella sua stanzetta, dalla solitudine e dallo sconforto. Due giorni prima il fratello si era sposato ed era partito per la Corsica. Rimanendo solo si pentiva di non averlo seguito sposando la cognata Desirèe, la sorella di Julie che Giuseppe aveva preso in moglie.
E solo la sera prima, passando con Junot, un ufficiale che aveva conosciuto a Tolone, l'unico amico che non si era allontanato nella sua "disgrazia", guardando i preparativi degli insorti contro la Convenzione (che nelle sue miserabili condizioni pure lui odiava) aveva esclamato "Se costoro mi eleggessero capo, farei aprire le Tuilleris in due ore e caccerei quei miserabili della Convenzione".
Poi giunse il tocco del destino; in piena notte alla sua porta bussava Barras, che non esitò un attimo a togliere dall'ombra Napoleone, per offrirgli a lui l'incarico di annientare i movimenti sediziosi. Barras era convinto che non c'era un uomo deciso, energico e capace come Napoleone in tutta Parigi e fra tutti i generali della Francia. Non si sbagliava!!! Ed era anche appena arrivato in tempo! Perchè Napoleone con il veleno che aveva in corpo stava passando quasi dall'altra parte!
Riassunto repentinamente in servizio come comandante della piazza di Parigi. Napoleone in un baleno gli approntò le difese, schierò i suoi cannoni e annientò in poche ore "a suo modo" la rivolta parigina realista.

Barras aveva trovato l'uomo adatto, che ardeva dell'ambizione di farsi valere. Bonaparte giunto sul posto all'alba, riconobbe subito che la decisione dipendeva dall'effetto dell'artiglieria. Perciò fece venire rapidamente a Parigi 40 cannoni per presidiare abilmente con questi e con i suoi soldati la sede della convenzione, le Tuileries con i luoghi vicini. Quando i ribelli si spinsero avanti per gli assalti lui li affronta di petto e non esita a dirigere sugli insorti il fuoco dei cannoni con alzo zero. Alle 9 di sera tutto era finito: 100 cadaveri di insorti coprivano il selciato.


Dalla triste solitudine della stanza, all'uomo che il governo definisce ora "il salvatore" erano passate solo venti ore . E da questo momento ha davanti a sé venti anni esatti per sconvolgere l'intera Europa.
L'episodio lo rese famoso in tutta Parigi, metà dei parigini lo soprannominarono "il mitragliatore", l'altra metà il "Generale Vendemmiao", riferendosi non solo al mese ma al modo energico di come aveva affrontato la situazione e fatto diventare "rosse" le strade di Parigi. E non solo tornò ad essere riammesso come generale di brigata ma lo divenne questa volta di Divisione.
La straordinaria fortuna di Napoleone, inizia proprio nella notte del 5 ottobre, in seno al governo. In poche ore, dopo aver sedato una rivoluzione in quel modo, rimuovendo anche ogni velleità futura dei realisti.
Questo doveva essere indubbiamente opera di un uomo straordinario. Su questo ormai erano tutti d'accordo. Barras poi era al settimo cielo. Aveva visto giusto.

L'intervento risoluto e consapevole dei suoi fini di un giovane fino allora poco noto ha deciso del destino della Francia. Il governo lo nominò comandante dell'esercito dell'interno e ben presto Parigi fu così tranquilla, come da vari anni non era mai stata.

Non fu così nella Convenzione, dove questa vittoria ebbe - per alcuni - effetti decisamente sfavorevoli. I termidoriani si collegarono col partito della montagna e si dimostrarono quasi desiderosi di venire ad aperte violenze, perché le nuove elezioni potenzialmente potevano dare deputati moderati, anzi perfino realisti.
Proposero perciò una serie di misure rivoluzionarie e Tallien con i suoi amici andava diritto alla dittatura con la proposta d'istituire un comitato di cinque. Ma i moderati si rinfrancarono in tempo quando riuscirono a trarre a sé la maggioranza. Restò infine inteso che la nuova costituzione sarebbe andata in vigore il 26 ottobre e che a quella stessa data si sarebbe sciolta la Convenzione. Prevaleva tuttavia - di fatto e non di numero - pur sempre la sinistra e questo non assicurava stabilità, anzi poteva avere conseguenze non indifferenti in un nuova Convenzione nel dopo le elezioni.

Ma all'esterno della Francia stavano accadendo altre cose
e ne' la vecchia, ne' la nuova convenzione
erano preparate al nuovo scenario.

NUOVO SCENARIO: LA GUERRA CON LO STRANIERO > >

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