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166. SCENARI NUOVI: GUERRA CON LO STRANIERO - VALMY
LA GUERRA MARITTIMA


Tre protagonisti contro la Francia
Federico Guglielmo II di Prussia, l'Imperatore Leopoldo II e il suo successore Francesco II

Una decisione singolare del destino ha voluto che le due potenze principali del continente europeo, e ad un tempo le due più in contrasto fra loro, procedessero l'una a fianco dell'altra ad un medesimo fine. Erano queste la democrazia francese e l'autocrazia russa; mentre quella creava nel comitato di salute pubblica lo strumento della sua vittoria, l'impero degli zar vinceva la mezzaluna, acquistava la maggior parte della Polonia e si atteggiava a capo dell' Europa monarchica.

Le idee della rivoluzione francese al suo inizio varcarono ben presto le frontiere e furono salutate come l'avvento di un'era nuova anche dai più prestigiosi intellettuali europei, primo fa tutti il filosofo tedesco Kant.
Anche nelle classi colte le notizie che giungevano da Parigi, furono accolte con generale favore, all'inizio salutate con grande esultanza, ma poi via via con i drammatici fatti l'entusiasmo presto si raffreddò sempre di più, specialmente nelle classi abbienti.

Ai sovrani d'Europa i fatti non furono per nulla graditi fin dall'inizio, prima ancora che diventassero drammatici e si noti che essi le credettero meno importanti di quello che fossero in realtà. "Le solite rivolte di rozzi contadini, basterà qualche fucilata" disse qualcuno.
Tuttavia nei mesi successivi, quando le piazze di Parigi erano diventati campi di guerra dei rivoluzionari che proclamavano la repubblica e la fine della monarchia, i governi monarchici assoluti europei temettero il contagio delle idee rivoluzionarie e misero in atto severe misure di polizia per controllare e perseguire nei loro paesi i gruppi filofrancesi e soprattutto censurare i giornali francesi che erano ormai in piena libertà di espressioni, e alcuni anche con eccessivo livore contro tutti e tutto ciò che era monarchico.

Ovviamente più attente di tutte le due due potenze piu vicine alla Francia, l'Austria dell'imperatore Leopoldo Il e la Prussia di Federico Guglielmo II, si mostrarono in particolar modo preoccupate dalla messa in discussione del potere regio. I due sovrani tedeschi furono inoltre oggetto di forti pressioni da parte della nobiltà francese fuggita dalla Francia, emigrata nelle corti amiche, e in particolar modo dal conte di Provenza Carlo di Borbone, fratello del sovrano francese (e futuro re Carlo X nel 1824-1830), il quale non mancò di partecipare con Austria e Prussia al congresso di Pillnitz fin dall'agosto 1791, dove fece l'indignato e quindi incitò un intervento per salvare la Francia (ma anche la sua dinastia Borbone). Le conclusioni a Pillnitz furono piuttosto vaghe: quelle di formare una coalizione pronta ad intervenire contro la Francia rivoluzionaria. Quel "pronta" non aveva una data e nessuno voleva anticiparla e tantomeno stabilirla. La diffidenza tra le due potenze dopo la non lontana guerra dei sette anni, era ancora reciproca. L'Austria si era coalizzata - allora e sembrò una cosa inaudita - proprio con la Francia contro la Prussia.
Qui non dobbiamo dimenticare che i gravi fatti nei confronti della monarchia francese non erano ancora accaduti, ma quando sul patibolo salirono re, regine, principi e nobili, le preoccupazioni nelel corti d'europa iniziarono a diventari drammi. Qualche sovrano iniziò ad accarezzarsi il collo come a voler fare degli spergiuri alle agghiaccianti notizie che giungevano da Parigi sempre più drammatiche giorno dopo giorno.



L'Inghilterra in seguito alla guerra americana era isolata, era diminuita nella sua potenza finanziaria, tuttavia la sua democrazia godeva buona salute. La rivoluzione preoccupò un po' meno gli inglesi, anzi ne erano quasi orgogliosi, del resto i Francesi volevano imitare proprio la loro democrazia.
Fin dal 19 dicembre 1783 Guglielmo Pitt era ritornato all'ufficio di primo ministro, aveva risollevato le finanze, concluso perfino con la Francia un trattato di commercio e nel 1788 con i Paesi Bassi e con la Prussia una triplice alleanza, che dominò in Europa.
Poi nel 1791 la Francia rivoluzionaria mise tutto sottosopra. E quando re Luigi XVI il 21 gennaio 1793 salì sul patibolo, due giorni dopo il 24 gennaio l'inghilterra ruppe le relazioni diplomatiche con la Francia. E prestò anch'essa attenzione alle varie coalizioni che si stavano formando sull'onda del terrore.

In Austria nel 1790 era sceso nella tomba l'imperatore Giuseppe II, lasciando l'impero in una semi-dissoluzione e in lite con quasi tutti i vicini. A lui succedette il fratello Leopoldo II, principe pieno d'ingegno e più accorto, che risollevò le condizioni dello Stato.

In Russia regnava Caterina II, la quale con animo virile si adoperava ad accrescere il suo impero. Con l'aiuto dell'Austria fece guerra alla Porta, quando questa era riuscita a guadagnarsi l'appoggio della Prussia. Già un esercito prussiano da nord ed uno turco da sud stavano per entrare in Austria, allorché il 27 luglio 1790 Leopoldo giunse a stipulare con la Prussia il trattato di Reichenbach e subito dopo anche una tregua col sultano.

Caterina invece continuò le ostilità. Parve imminente una guerra europea, quando la Russia per le sollecitazioni dell' Inghilterra nel gennaio 1792 concluse con la Turchia la pace di Jassy, che salvò la Turchia.
Caterina a quel punto rivolse sempre più l'attenzione generale verso la Francia e la Polonia. Una distruzione della prima gli avrebbe reso facile il lavoro nella seconda.
I Polacchi si erano dati loro stessi una nuova costituzione e l'Austria e la Prussia, contro il desiderio della Russia, si erano trovate d'accordo nel garantirla. Quindi i polacchi divennero protetti dall'Austria ma anche dalla stessa Francia.
D'altra parte Leopoldo era il parente più prossimo della dinastia francese. Ma con l'andamento preso dalla rivoluzione ora si trovava in una situazione ambigua oltre che critica; la rivoluzione in Francia era in continua ascesa, e stava diventando pericolosa anche per la stessa Austria.

Per dare ordine a queste cose i sovrani di Austria e di Prussia il 25 agosto 1791 si erano già incontrati a Piilnitz in Sassonia, rinnovarono l'accordo per la Polonia e dietro insistenza del conte di Provenza - là rifugiato - fecero un modesto intervento contro la Francia, facendo assegnamento sulla cooperazione delle altre potenze europee. (vedi più avanti nei dettagli)
I rappresentanti del popolo francese la interpretarono come una minaccia e decisero di non aspettare un attacco, ma di assalire portando la rivoluzione oltre i confini.
La posizione di Luigi XVI divenne pericolosa ed egli accettò la costituzione, che gli si presentava. Nessuno ne fu lieto più di Leopoldo, che comunicò alle corti d'Europa in allarme non esservi più alcuna ragione per immischiarsi nelle cose di Francia. Essa aveva risolto i suoi problemi da sola e per di più con l'accondiscendenza del proprio sovrano.

Ma presto sorsero nuove difficoltà per i maneggi degli emigrati sul Reno e per il contegno dell'assemblea legislativa. Nella credenza che non vi fosse serietà nelle teste calde della Senna e sperando di poter sostenere il trono vacillante del cognato, Leopoldo prese un'aria alquanto provocante. Ma per questo divamparono soltanto più violenti gli animi bellicosi dei Francesi e ancora di più quando una colonia di emigrati si era rifugiata presso Federico Guglielmo II e spingeva anche lui a farsi avanti.

Prussia ed Austria si trovarono perciò nella condizione di dover concludere il 7 febbraio 1792 una lega difensiva, con la quale le due potenze si garantivano i loro territori e si obbligavano a respingere ogni attacco esterno con le loro forze riunite. Non si parlava quindi di offensiva ma solo di difenziva! Nel frattempola Francia soppresse i privilegi feudali dei principi tedeschi nell'Alsazia e nella Lorena, sebbene questi appartenessero alla dieta dell'impero, mentre gli agitati emigrati erano sostenuti dalla dieta tedesca e specialmente da Treveri.

Finalmente l'Austria e la Prussia dichiararono che una violazione di confini sarebbe considerata come un casus belli, ma nel tempo stesso invitarono l'elettore di Treveri a vietare nel suo territorio l'asilo a schiere di emigrati francesi. Specialmente tra Francia ed Austria si venne ad uno scambio di note, finché la morte improvvisa di Leopoldo II il 1° marzo distrusse le ultime moderate speranze di pace.

Francesco II, successo a Leopoldo, era giovane, inesperto, autocratico, circondato da emigrati francesi. Diveniva sempre minore l'appoggio della Prussia, mentre in Francia veniva a dirigere gli affari esteri il ministero girondino e con esso il partito della guerra.

Le pretese dell'Austria e le esigenze rivoluzionarie urtavano tra loro né potevano conciliarsi. Ne derivò finalmente un'immensa eccitazione a Parigi e il 20 aprile 1792 la dichiarazione di guerra all'Austria. Il pretesto fu che l'Austria minacciasse la sicurezza della Francia e avesse offeso il suo onore.
Su Federico Guglielmo prevaleva molto di più il pensiero delle cose di Polonia, ma tuttavia egli scorgeva nella rivoluzione un pericolo per tutte le teste coronate, e prese le sue misure per sostenere l'alleato austriaco.
Nessuno sospettava che si fosse al principio di una guerra mondiale, che con brevi interruzioni doveva durare 23 anni. Pareva che la Francia fosse appena in grado di mettere in campo un modesto esercito.

L'esercito austriaco in tempo di pace contava circa 270.000 uomini, che in guerra potevano salire a circa 400.000. Le forze prussiane ammontavano a 162.000 uomini e potevano essere aumentate fino a 250.000. Erano soldati molto istruiti e comandati da ufficiali sperimentati.

Le cose erano ben diverse presso il loro avversario. In Francia il suo esercito si trovava in piena dissoluzione, che forser però si poteva benissimo sanare con una guerra esterna. L'assemblea nazionale formò tre corpi lungo i confini minacciati; quello del centro era comandato da Lafayette. Vi erano ancora dei soldati della vecchia monarchia, ma un corpo di ufficiali, formato in maggioranza di uomini nuovi, ardenti di ambizione patriottica.
Fallì un tentativo di trasformare in truppe di linea le guardie nazionali di quella regione. In questo momento di bisogno furono chiamati alle armi 100.000 volontari. Però soltanto una parte di questi si presentò o erano tutti privi d'istruzione e indisciplinati, così che Lafayette riuscì appena a riunire questi volontari per farne delle brigate, per formare una la spina dorsale di fronte ad altri malmessi
in arrivo.

Tutto compreso la forza combattente si poté portare presso a poco a 300.000 uomini. Mancava però di unità ed era di qualità inferiore, armata insufficientemente, senza intima saldezza. Sei ministri della guerra si avvicendarono in sei mesi e un'assemblea profana a ogni cognizione di cose militari aveva da ridire su tutto. Se un pericolo sovrastava alla Francia, questo non dipendeva dai suoi avversari ma dalla Francia stessa.

Questa volta la guerra era fatta non da una potenza, ma da due, che fino allora (dalla guerra dei sette anni) si erano osteggiate gelosamente. Questo (ma la stessa cosa era accaduta quando era stata la Francia a unirsi all'Austria nella stessa guerra dei sette anni) era cagione di sospetti e di malintesi e paralizzava in parte le loro forze. Ed inoltre gli uomini di Stato che le guidavano non erano d'accordo; gli uni gravitavano verso occidente, gli altri verso oriente. Dal lato della Prussia non si voleva impegnarsi troppo a fondo con la Francia per usare in Polonia le proprie truppe, mentre l'Austria temeva che dei buoni successi prussiani contro la rivoluzione rafforzassero la potenza vicina.
Inoltre gli eserciti ed ancora di più i comandanti lasciavano a desiderare. La fanteria e la cavalleria prussiana erano buone, ma l'artiglieria e l'arma del genio erano arretrate.
L'opera dello stato maggiore, gli addestramenti militari e la condotta della guerra persistevano irrigidite nelle tradizioni di Federico il Grande. A capo delle truppe stava nominalmente re Guglielmo II, che ignaro delle cose militari aveva trasmesso il comando effettivo al duca di Brunswick. Il primo era pronto e determinato solo a parole, il secondo vecchio, lento e pieno di dubbi non era determinato nei fatti; ambedue si trovavano al quartier generale sempre in discordia e a fare solo confusione con gli ufficiali a loro sottoposti.

Dall'altro lato l'esercito austriaco soffriva penuria di denaro e di vettovaglie; i suoi generali erano mediocri e ricevevano gli ordini da Vienna. Per giunta vi erano gli emigrati, che coi loro incitamenti o volevano loro dire come e cosa bisognava fare suscitavano imbarazzo.
Se gli alleati con le loro efficienti truppe si fossero semplicemente gettati subito sul nemico impreparato, lo avrebbero certamente sconfitto dovunque. Però questo non avvenne; gli lasciarono invece tempo quanto ne volle e gli resero agevole riaversi dal primo sgomento e ritrovare il suo coraggio. Così i vecchi soldati riacquistarono la loro prima valentia, e gli apatici volontari del 1791 si trasformarono a poco a poco in ottimi soldati e così i due elementi si fusero divennero uniti, pieno di amor proprio e di orgoglio nazionale.

Comparvero per primi i Prussiani sul Reno, dove il duca di Brunswick, indotto dagli emigrati, pubblicò di malavoglia un manifesto, che veramente minacciava di distruggere tutta la Francia, se qualcuno avesse torto un solo capello al re.
Era questa una minaccia piuttosto vaga in quanto era di sole parole e quindi servivano solo ad accrescere gli spiriti bellicosi del nemico. Sopraggiunsero gli Austriaci con infinita lentezzae per di più in numero ancora minore, così che il Brunswick, che non si riprometteva in genere nulla di buono da quell'alleanza, avrebbe preferito tornare subito indietro.

Ad onta di tutto ciò le cose erano all'inizio estremamente sfavorevoli alla Francia. Il suo esercito, schierato sulla lunga frontiera da Basilea fino a Dunkerque, contava di fatto soltanto 82.000 uomini, della cui metà sinistra (41.000) aveva ricevuto il comando Lafayette. I Prussiani erano forti di 42.000 uomini, mentre l'Austria a poco a poco ne concentrò altri 81.000. Finalmente negli ultimi giorni di luglio cominciò da Coblenza la marcia in avanti dei Prussiani.
Dove vennero a contatto col nemico, questi si dette alla fuga. Longwy e Verdun caddero nelle loro mani. Il Re con rapide mosse voleva spingersi su Parigi, ma il duca trovava la cosa troppo arrischiata; egli credeva di non dover lasciare alle sue spalle nessuna fortezza non ancora conquistata. Eppure il momento era tanto favorevole per un'audacia!
Lafayette difatti non riconobbe gli avvenimenti parigini del 10 agosto e si arrese agli Austriaci. Per questo il suo esercito, già poco solido di per sé, si sfasciò fino al punto che il nuovo comandante, il generale Dumouriez, trovò ancora insieme (dei 41.000) soltanto 20.000 uomini. Con questi si collocò di fronte ai Prussiani sulle colline boscose delle Argonne, attirando a sé nel tempo stesso il Kellermann, che guidava l'esercito del centro.

Presso Valmy questi si trovò in una posizione insostenibile davanti al fronte principale francese. Tuttavia il Brunswick non lo assalì, ma volle farlo sgombrare di là a forza di manovre. Finalmente il re perduta la pazienza comandò di assalire il nemico. I Prussiani avanzarono lentamente, seguiti dagli Austriaci. Venuti sotto il fuoco dei cannoni francesi, impegnarono la battaglia con le loro batterie. Dietro a queste stavano le colonne d'attacco aspettando l'ordine di assalire, che non venne. Il re voleva combattere, il Brunswick voleva manovrare e invece non si fece né l'una né l'altra cosa. Il giorno stava per finire. Con sorpresa di loro stessi i volontari straccioni avevano tenuto e dato scacco ai temuti soldati del grande Federico. Nell'oscurità della notte Kellermanu si ritirò e nel mattino seguente i Francesi avevano preso una forte posizione.

Alla sera presso il fuoco dei bivacchi Goethe pronunciò le parole significanti: «Da questo luogo e da oggi comincia una nuova epoca nella storia del mondo e voi potrete dire di esservi stati».

In sostanza a Valmy la controrivoluzione (voluta dagli emigrati all'estero) aveva dovuto soccombere. Brunswick non si arrischiò a intraprendere nulla di serio: Dumouriez lo tenne accortamente a bada con delle trattative, finché la fame, le malattie e lo scoramento non misero gli alleati in una situazione sempre più sfavorevole, mentre invece i Francesi - dopo le strabilianti notizie giunte a Parigi - s'ingrossavano con i nuovi rinforzi che ricevevano.
Gli Austriaci insospettiti si allontanarono, ritraendosi nel Belgio. La stessa decisione la presero anche i Prussiani. Il 30 settembre sgombrarono quei luoghi disgraziati e abbandonarono perfino Verdun e Longwy. Si vuole che raggiungessero il confine soltanto con 10.000 uomini in grado di combattere.

Frattanto in Parigi gli avvenimenti seguivano il loro corso. Fu dichiarata la repubblica e l'imperatore Francesco non ebbe più bisogno di usare alcun riguardo al cognato Luigi, ma poté trattare la Francia come un paese nemico. Invitò Federico Guglielmo ad una guerra di conquista, e questi era sì pronto, ma chiedeva compensi maggiori in Polonia. Una richiesta simile turbò l'alleanza e le preparò la tomba.

A quel punto dopo Valmy, non più gli alleati, ma i Francesi osarono compiere un gran movimento offensivo, accompagnato da successi insperati. Si formò un esercito dei Vosgi sotto il generale Custine, il quale con un ardito colpo conquistò Spira, Worms e perfino Philippsburg oltre il Reno. Dopo che ebbe riannodati rapporti con un partito francese a Magonza, anche questa valida fortezza e poco dopo Francoforte caddero nelle sue mani.

Tremarono spaventati i paesi tedeschi anche meno vicini. I Prussiani temettero di esser tagliati fuori e se ne tornarono a Coblenza, dove il proprio esercito si rinfrancò dalle fatiche passate. Custine annunziò a Parigi che se gli avessero dato dei rinforzi avrebbe messo sottosopra tutta la Germania.
I governanti rivoluzionari invece sognavano di poter prendere alle spalle l'Austria grazie a un movimento della flotta unita alla Turchia. Somme notevoli di denaro furono inviate in Inghilterra per ordire delle sollevazioni; la Savoia e Nizza furono occupate.

Ebbe un'importanza grandissima, il fatto che Dumouriez, appoggiato da Danton, decidesse la Convenzione ad una grande impresa contro il Belgio, dove si sperava nell'aiuto di un partito avverso all'Austria. Il Belgio doveva essere inondato da quattro divisioni, costituite però in massima parte da volontari non molto addestrati, ai quali l'Austria poteva opporre soltanto 25.000 uomini sotto il duca Alberto di Sassonia-Teschen.
Quelle di Dumouriez erano tuttavia però buone truppe e la cavalleria era anzi eccellente. II 6 novembre con 50.000 uomini piombò sopra 13.000 Austriaci. Gli riuscì di avvolgerli, di respingerli verso Bruxelles grazie alla sua superiorità anche di numero di riportare così a Jemmapes la prima vera vittoria della repubblica in campo.

Fu grande in Francia l'esultanza e grande lo spavento dell'Europa monarchica. Fin dal 28 gli Austriaci abbandonarono il Belgio che fu ben presto occupato dai Francesi. Tuttavia appunto in seguito a queste vittorie qualcuno del governo a Parigi nutrì sospetti invidiosi verso il generale, che dal canto suo ripagava quelle malelingue con il disprezzo tipico del soldato.
Ma in effetti egli pensava di gettarsi con il suo esercito sulla capitale per restaurarvi un governo ragionevole. I giacobini conoscevano i suoi sentimenti e per impedirgli quanto era loro possibile di non nuocere non gli mandavano denaro né provviste per la guerra, cosicché nell'esercito - che era fatto in buona parte di volontari - una buona parte si disperse, ognuno tornò a casa propria.
Dei commissari della Convenzione comparvero nel Belgio, crearono ordinamenti rivoluzionari, incassarono denaro e commisero spoliazioni e perfino ottennero con la violenza un voto plebiscitario per l'unione con la Francia. L'arroganza dei governanti giunse al punto che il 1° febbraio dichiararono la guerra all' Inghilterra e poi subito dopo alla Spagna.
Anche l'impero tedesco, i regni di Napoli e di Sardegna erano in armi. I Parigini pensavano che quanto più folta fosse l'erba, tanto meglio si lascerebbe falciare; speravano che dovunque i popoli si unirebbero esultanti al popolo liberatore.

A questo fine cominciarono una brutta agitazione demagogica, che si spingeva molto lontano. A tutti i popoli che si levassero contro i loro oppressori promettevano la protezione della repubblica; nessun sovrano - dissero - era più sicuro della sua corona. Nello stesso tempo facevano poderosi sforzi per la guerra generale. Si dovevano porre in campo tre eserciti di 62.000 uomini ciascuno, uno nel Belgio, uno sul Reno di mezzo ed uno sul Reno superiore, ed inoltre si dovevano raccogliere a Châlons 25.000 uomini di riserva. Si voleva aumentare fino a un mezzo milione la forza totale combattente.

A un così gran divampare di passioni guerresche dei francesi non corrispondeva per nulla la condotta dei nemici. In Austria la guerra era poco popolare; i generali la consideravano come una sciagura e i cittadini temevano una nuova imposta, così che l'imperatore si vide costretto a dichiarare che avrebbe provveduto agli armamenti con i denari demaniali e di famiglia. Il conte Cobenzl diceva all'ambasciatore prussiano: «I Viennesi non possono prender gusto alla guerra, perché credono che il nostro governo sia ingannato da voi Prussiani». A cui l'alleato ribatté: «Né diversamente pensa o parla il pubblico di Berlino».

Dovunque si sentiva dire che l'Austria voleva sfruttare la Prussia solo per i suoi interessi di famiglia. Negli altri stati tedeschi si aveva la medesima voglia di far la guerra. La massa della popolazione si conservava così indifferente, come se si dovesse consumare della polvere inutile. Mancava ogni vigore perché non si comprendevano gli avvenimenti, i pericoli politici ed economici, che minacciavano la patria. Per tutte queste ragioni gli alleati ad onta del loro numero si trovavano in un certo svantaggio di fronte alla Francia unita, così piena di abnegazione e di entusiasmo.
Presso di loro i soli gabinetti facevano la guerra, mentre in Francia dal 1792 con la leva in massa veniva sulla scena del mondo la forza schiacciante dell'intera nazione. E la guerra i francesi la facevano per davvero sui campi di battaglia. Vedi Dumouriez.

Ma purtroppo anche qui nondimeno vi era qualcosa che non andava. Dumouriez si trovava in grandi angustie. Per potersi sostenere si gettò con 16.000 uomini sull'Olanda male armata. Sperava di giungere rapidamente ad Amsterdam. Ma prima che avesse superato quei larghi fiumi, 40.000 austriaci sotto il principe Giosia di Coburgo s'inoltrarono alle sue spalle, liberarono Maestricht assediata dai Francesi e costrinsero Dumouriez a ritirarsi fin dietro la Schelda. Le cose andavano male, il suo esercito si trovava in uno stato di semi-dissoluzione e i Belgi erano sul punto di sollevarsi. Solo la risolutezza del generale ristabilì la fiducia ai suoi soldati.

Sciolse nel Belgio i club dei giacobini, rivolse severi rimproveri ai commissari della Convenzione che non capivano nulla di strategie militari, migliorò la disciplina delle sue truppe e il 18 marzo presso Nerwinden mosse contro gli Austriaci. Si venne ad una aspra combattuta battaglia, finché i volontari della repubblica si dettero ad una fuga sfrenata fra le grida di tradimento. Dumouriez sapeva che la mutata fortuna della guerra avrebbe deciso il suo destino, se non gli riusciva a risollevarsi. Volle quindi rischiare il passo estremo, cioè la controrivoluzione già da lui meditata e a Parigi maliziosamente temuta.

Aprì delle trattative col Coburgo per coprirsi alle spalle e poi marciare su Parigi. Ma non poté condurre a termine il suo piano, perché l'esercito fu preso dal sospetto, i volontari gridarono al tradimento e comparve il ministro della guerra per fare un'inchiesta. Invano Dumouriez lo fece arrestare; non gli rimase infine altro partito che di rifugiarsi il 4 aprile presso il nemico con alcune centinaia di compagni che la pensavano come lui.
Dumouriez meritava un destino migliore!

Come diplomatico si fece iniziatore di quella politica, che condusse alla pace di Basilea, come generale seppe trarre partito splendidamente delle doti nazionali dei Francesi, e come stratega è stato il precursore di Napoleone nell'arte degli arditi attacchi.

Con Dumouriez era stato rovesciato l'ultimo avversario pericoloso della Convenzione, ma si era anche sfasciata l'unica armata utile della Francia. Preziosa anche per l'effetto psicologico che il Dumouriez vincitore portava dentro le file di combattenti di tutta la Francia.

Ad una risoluta marcia in avanti degli Austriaci non si era potuta opporre alcuna seria resistenza. Tuttavia appunto allora germogliò il seme sparso con la divisione della Polonia; e questo paralizzò le forze degli alleati. A Vienna giunse a reggere il timone dello Stato il barone di Thugut, diplomatico della scuola del Kaunitz, pieno di avversione per la Prussia e per il repubblicanesimo francese, e pur dotato d'ingegno e sperimentato negli affari era di animo doppio e pieno di livori. L'idea che lo guidava era l'umiliazione della Prussia. A Berlino dovevano riconoscere che quanto più decisivamente si vincessero i Francesi, tanto più l'Austria avrebbe avuto le mani libere per gli affari della Polonia. Si divenne quindi assai riservati e passò intanto del tempo prezioso.

A Magonza si erano presentati dei commissari della Convenzione ed avevano proclamato l'annessione di quella fortezza. Il 21 marzo una assemblea nazionale renana fu costretta con le baionette a pronunciare la sua unione alla repubblica. Non meno sfavorevoli si dimostrarono gli avvenimenti di guerra vera e propria. Presso Treveri i Francesi subirono una sconfitta e Custine fu respinto verso Magonza. Minacciato da mezzogiorno e da settentrione, sgombrò Worms e Spira, dopo di che i Prussiani costrinsero Magonza ad arrendersi.
La Convenzione a Parigi era furibonda e fece comparire gli ufficiali del quartier generale dinanzi ad un consiglio di guerra, mentre ai soldati si attribuiva un eroismo mitico. Il disordine delle truppe di Custine era tale che egli, dopo essere stato un poco incalzato dagli alleati, aveva dovuto abbandonare tutta l'Alsazia. Ma per la disunione di quelli non si potò venire ai fatti. I Francesi aumentarono fino a 40.000 uomini l'armata della Mosella, fino a 60.000 quella del Reno, rafforzarono le linee di Wissemburgo e lentamente si spinsero di nuovo avanti.
Anche in Fiandra le cose rimanevano indecise. Dampierre, succeduto a Dumouriez, cercò di condurre sotto la protezione delle fortezze di frontiera i suoi battaglioni disorganizzati. Coburgo rimase inattivo. Invece di combattere, le potenze Inghilterra, Olanda, Prussia ed Austria si misero a discutere e l'Inghilterra e l'Austria litigarono con violenza a causa dei futuri acquisti di territorio in Francia in caso di vittoria.
Dampierre fu così ardito da assalire egli stesso gli alleati, perì però in questa impresa. Prese allora il comando supremo il Custine, ma naturalmente riconobbe presto che nulla si poteva fare con quelle bande indisciplinate, cui si dava il nome di armata del nord. Le condusse in una forte posizione e cercò di renderle di nuovo adatte a combattere con provvedimenti rigorosi e grazie ai rinforzi che si avvicinavano.

Gli alleati gli lasciarono tempo in abbondanza, così che alla metà di luglio aveva a sua disposizione 40.000 uomini discretamente agguerriti. Viveva però in contese continue con i giacobini e col ministro della guerra, fu chiamato alla capitale, accusato con vari pretesti e nell'agosto decapitato.

Al suo posto fu messo l'irlandese Kilmaine. Poiché intanto l'esercito di Coburgo era cresciuto a circa 80.000 uomini, non riuscì ad impedirgli di espugnare Valenciennes e di aprirsi la via di Parigi, di cui però non approfittarono, per la disunione degli alleati. Nondimeno la situazione della repubblica appariva sempre pericolosa: Marsiglia, Lione e la Vandea si erano sollevate, Tolone era occupata da una flotta inglese.

Gli Inglesi potevano sbarcare sulla costa occidentale; i Piemontesi intervenuti nella guerra potevano spingersi in avanti sopra Lione; i Prussiani sopra Metz. Nulla di tutto questo avvenne. L'Austria era gelosa del Piemonte e teneva indietro le sue truppe, l'Inghilterra contendeva con l'Austria per il possesso delle fortezze del Belgio e offendeva l'Olanda. Finalmente si separarono tutte e tre indignate l'una contro l'altra e ognuna andò per la sua strada.

Tra la Prussia e l'Austria si venne quasi a una rottura. Federico Guglielmo ritirò le sue truppe dall'esercito del Coburgo e sul Reno di mezzo stava immobile e tranquillo il Brunswick con grande dispetto del Wurmser, che qui comandava gli Austriaci. Invano questi cercò di espugnare da solo le linee di Wissenburgo; soltanto quando ebbe ottenuto l'aiuto dei Prussiani, i Francesi si ritrassero in disordine fino sotto il cannone di Strasburgo. Anche allora gli alleati non approfittarono del loro vantaggio e intanto in Francia le cose prendevano una piega decisiva.
Questo si dovette al comitato di salute pubblica, che si mise a dirigere quanto riguardava l'esercito e trovò uomini adatti per portare a compimento l'immenso lavoro. Due ufficiali del genio dirigevano i servizi logistici e Carnot gli affari relativi al personale. Carnot era pure un ufficiale del genio e ad un tempo un matematico, che ha lasciato scritti di valore. Chiaroveggente, onesto, freddo, di una fermezza soldatesca e di provata fede, conduceva a termine i suoi piani con un vigore inflessibile di volontà e di lavoro. Intimamente mite, era pure giacobino fanatico, che non temeva né Dio né gli uomini. Tutto il suo essere era concentrato nella sua opera; chiacchieroni e fannulloni non trovavano posto nel suo gabinetto. Fu opera di Carnot che «la leva in massa» non rimanesse solo sulla carta. Egli seppe istituire un esercito nazionale, pieno di fiducia in se stesso, di amore di patria e di sentimenti democratici, tenuto insieme e in ordine da una rigida disciplina.

Il 16 agosto 1793 la Convenzione deliberò che la Francia intera dovesse sollevarsi per difendere la propria indipendenza dagli stranieri. In seguito a una proposta di Danton i giovani da 18 a 25 anni dovevano formare la prima chiamata, mentre si doveva usare uomini meno abili dietro la prima linea e nelle guarnigioni. Questa proposta, approvata il 23 agosto, conteneva in sé l'obbligo generale del servizio militare, che colpiva specialmente la classe dei contadini e quella borghese, mentre la plebaglia non si sa come riusciva a sottrarsi alle chiamate.
Una delle prime misure del regno del terrore era stata di destituire tutti gli ufficiali nobili. Quegli ufficiali dovevano essere sostituiti e in questo delicato lavoro ci riuscì il Carnot in un modo degno di ammirazione. Egli aveva uno sguardo infallibile per il talento, riuscì presto a scoprire Napoleone Bonaparte e Lazzaro Hoche.

Il contrasto fra soldati regolari e volontari cessò. Fino a quel momento i regolari avevano indossato l'uniforme borbonica bianca, i volontari quella azzurra repubblicana. D'allora in poi quest'ultima fu adottata in tutto l'esercito. Al posto dei reggimenti uniformi di fanteria, due battaglioni di volontari e un battaglione di regolari furono uniti in una mezza brigata, mentre la cavalleria fu distinta in reggimenti di cavalleria pesante e leggera. Il numero totale dei soldati sotto le armi aumentò fino a 850.000 uomini, numero fino allora inaudito.
Un comitato attendeva alle vettovaglie, nove grandi officine fabbricavano ogni giorno mille fucili, le campane delle chiese si convertivano in cannoni, dei documenti in pergamena in bossoli di cartucce; si scopri un nuovo metodo per fabbricare la polvere e un altro per temperare l'acciaio. Secondo le parole di Barére la repubblica somigliava ad un'immensa fortezza assediata e la Francia ad un grande accampamento.

I genitori e i municipi rispondevano per le reclute renitenti. I giovani soldati furono addestrate ed anche educate politicamente, suscitando in loro l'amore dell'ordine e il desiderio di onore. Senza barriere stava aperta la via al talento naturale, ogni soldato poteva divenir generale. Sorsero così eserciti sregolati, ma pieni di disprezzo della morte, devoti al loro servizio e alla gloria della rivoluzione. Come avrebbe potuto l'Europa decrepita e discorde resistere a un simile sviluppo di energie?

Però queste truppe repubblicane poco esercitate non erano adatte all'impiego rigido della tattica lineare. Si sostituì perciò ad essa la tattica del combattimento in ordine sparso, vale a dire si cercò di stancare il nemico con cacciatori quasi messi in catena e con batterie avanzate, per poi disorientarlo con l'urto di colonne serrate. In se stessa era soltanto un espediente, adoperato anche dai contadini della Vandea. Richiedeva un grande spreco di uomini, ma data la superiorità numerica, lo spirito delle truppe repubblicane e la lentezza degli alleati, conseguì successi sorprendenti.
L'antica maniera metodica di far la guerra con movimenti complicati, l'importanza dei punti strategici e delle azioni di fianco dovette cedere ormai dinanzi al brutale attacco di fronte, la manovra davanti alla battaglia in campo aperto. Si svolgevano azioni di massa a forma di testa d'ariete, irresistibile e si aveva un solo scopo, vincere ed annientare il nemico.

Gli uomini, che nel 1794 sperimentavano queste innovazioni nel modo di combattere, erano Pichegru per l'armata del Reno, Hoche per quella della Mosella e Jourdan per quella del Nord. Tra questi Pichegru é il primo giovane generale, sorto dalla rivoluzione, che sia salito a quel grado da semplice soldato di artiglieria. Non cosi Jourdan, che aveva servito come ufficiale in America. Ambedue erano superati per ingegno naturale da Hoche, che con audacia batté nuove vie con vere idee da gran capitano. Dapprima mozzo di stalla, entrato poi nelle guardie, ottenne già a 25 anni un comando superiore. La sicurezza di sé gl'impediva d'andar d'accordo con Pichegru.
Alla fine di novembre poteva disporre di 40.000 uomini. Solo, senza Pichegru, mosse contro i Prussiani, ma fu respinto da loro nella battaglia di Kaiserlautern durata tre giorni. Pichegru approfittò dell'immobilità dei Prussiani per gettarsi con 33.000 uomini sopra il Wurmser e respingerlo. Hoche venne in aiuto del suo camerata, ma non poté anche allora andar d'accordo con lui, e perciò non si raggiunse alcun successo pieno, finché egli non ottenne il comando supremo.

Allora batté il Wurmser e costrinse prima lui e poi il Brunswick a ripassare il Reno, così che nel gennaio 1794 tutto il Palatinato si trovò di nuovo in possesso dei Francesi.
Anche a settentrione mutò la fortuna della guerra; qui Carnot aveva portato i combattenti al numero di 100.000 e dietro ad essi seguivano ancora 30.000 uomini di riserva. Una parte delle truppe fu destinata a far levar l'assedio da Dunkerque; con l'altra metà Houchard battè un esercito inglese presso Hondschooten, ma non seppe trarre frutto dalla vittoria e fu sostituito da Jourdan.
Frattanto Dunkerque era caduta e Coburgo assediò Maubeuge, l'ultima fortezza di frontiera in quella regione. Accorse Jourdan in suo aiuto, dette presso Wattignies una battaglia sanguinosa e indecisa agli Austriaci, la quale ebbe per conseguenza che Coburgo si ritirasse, abbandonando Maubeuge. Poiché intanto anche i Piemontesi erano stati battuti, la campagna del 1793 finì dovunque vittoriosamente. Soltanto a nord-est gli alleati conservarono ancora Valenciennes e Condé e a sud-ovest gli Spagnoli il Rossiglione.

Durante l'inverno posarono le armi; la repubblica ne approfittò per compiere grandiosi armamenti, gli alleati per condurre trattative inefficaci e per continuare i loro litigi. L'Inghilterra e l'Austria erano in cattive relazioni ed in relazioni anche peggiori l'Austria e la Prussia. Thugut non mandava rinforzi, temendo molto dalla Prussia e credendo che le sue truppe fossero più necessarie in casa propria contro la Polonia.

Diversamente l'Inghilterra. Qui Pitt concluse con la Prussia il trattato dell'Aia, per il quale l'ultima in cambio di un forte sussidio in denaro doveva fornire 62.000 uomini per muovere con gli Inglesi verso il Belgio. Ma questo parve di nuovo pericoloso al Thugut. In breve tutto si faceva senza alcun nesso. Alla miseria politica si accompagnava uno spirito retrivo, che s'irrigidiva in una tattica lineare senza genialità.

Per portare un cambiamento in questo intollerabile stato di cose, l'imperatore Francesco lasciò la Corte di Vienna e la sua vita d'intrighi e comparve sul Reno. Vi era appena arrivato che scoppiò una sollevazione in Polonia, attirando lo sguardo nella direzione opposta, dove parve giunta l'ora delle conquiste austriache in oriente. Queste però erano possibili soltanto con un adeguato spiegamento di forze.

Si mosse con malumore a combattere contro un nemico, la cui energia e sete di gloria cresceva irresistibilmente. Carnot considerava il teatro belga della guerra come il più importante. Nominò qui il Pichegru comandante dell'armata del Nord e pose il Jourdan alla testa di un esercito di nuova formazione, che contava 100.000 uomini e fu chiamato più tardi l'armata di Sambra e Mosa. Nello stesso tempo mandò al Pichegru il suo piano d'attacco, che consisteva nell'avvolgere il Coburgo a dritta e a sinistra per prenderlo poi in mezzo. Però l'austriaco guidava 148.000 uomini, e manovrando per linee interne avrebbe potuto distruggere separatamente le divisioni del nemico.
Secondo il solito Pichegru non seppe tuttavia giovarsi del suo vantaggio, disseminò le sue truppe in marce e combattimenti, finché presso Tourcoing nel primo giorno riportò qualche vantaggio, ma nel secondo ebbe la peggio. Giunse allora nel quartier generale la notizia che i Russi non riuscivano a rendersi padroni della Polonia; che avevan perciò chiesto aiuto ai Prussiani, i quali avevano passato la frontiera.
Questo era troppo. Parve che si ponesse l'alternativa tra la Polonia o il Belgio. L'imperatore Francesco si decise per l'oriente e partì, mentre Thugut dichiarava agli Inglesi che all'Austria non era possibile difendere il Belgio e che questo toccava invece alle potenze marittime. Coburgo ricevette l'ordine di risparmiare il suo esercito.

Ora appunto contro il Belgio Carnot mise in campo forze sempre maggiori; Saint-Just accorso sul fronte dell'esercito lasciava ai generali soltanto la scelta tra la vittoria o la ghigliottina. Jourdan passò a viva forza la Mosa, gettò una parte delle sue truppe su Clerfait, che fu vinto ad Hooglede, mentre un altro corpo dopo lunga lotta vinceva il principe d'Orange a Charleroi. Si avanzò allora per recargli soccorso il Coburgo con 70.000 uomini, quando presso Fleurus venne ad urtare su 80.000 uomini di Jourdan in una posizione fortificata.
Per tutto il 25 giugno la battaglia sanguinosa ondeggiò incerta, prima che Coburgo alla sera si ritraesse di molto. Fu per lui decisiva la notizia pervenutagli nel pomeriggio che Charleroi era caduta, per cui pareva senza scopo il prolungare la battaglia. Abbandonò quindi la lotta e con questo scatenò lo spirito della discordia.

GI' Inglesi si separarono, per proteggere l'Olanda, gli Austriaci si ritirarono verso il basso Reno. Questo sparpagliamento di forze dette ai Francesi del tutto il sopravvento. Avrebbero potuto porre termine alla guerra, se non fossero giunte da Parigi istruzioni di prender prima le fortezze. Nel frattempo i Prussiani sotto von Mollendorf sul Reno di mezzo avevano cacciato il nemico fino a Due Ponti. Avvalendosi della sua diversione, gli Inglesi domandarono che il generale prussiano marciasse sul Belgio. Ma non volendo lui abbandonare i paesi renani, sorsero vivaci contese, in seguito alle quali l'Inghilterra trattenne i promessi sussidi e la Prussia dichiarò non più esistente il trattato dell'Aia.

Qualche cosa di simile avvenne a Vienna. Anche qui vi era lotta tra l' lnghilterra e l'Austria. Si lasciò passare inutilmente il tempo e l'occasione, così che i Francesi poterono di nuovo prendere l'offensiva.
Cadde Anversa e Pichegru ricevette l'ordine d'invadere l'Olanda. Passò la Mosa, respinse dinanzi a sé le truppe anglo-olandesi e nel gennaio del 1795 raggiunse Amsterdam, dove fu ricevuto con entusiasmo dal partito repubblicano. Tutta l'Olanda cadde nelle mani dei Francesi; sul ghiaccio si spinsero fino all'isola di Texel, dove conquistarono la flotta olandese.

Frattanto Jourdan aveva riunito sulla Mosa i 55.000 uomini e con queste forze superiori respinse gli Austriaci, ormai comandati da Clerfait fin dietro il Reno ed occupò Colonia e Coblenza. Anche i Prussiani si erano ritirati per risparmiare le loro forze in vista dei pericoli, che sovrastavano in Polonia. Così i Francesi poterono prendere Mannheim e investire Lussemburgo e Magonza.

Con egual fortuna la repubblica combatteva sugli altri teatri della guerra.
Nel sud-est si riuscì ad indurre alla neutralità gli Svizzeri, ma non così i Sardi; nel 1793 questi penetrarono in Francia, ma furono respinti dal Kellermann. Nel 1794 la guerra si estese, essendo stati i Sardi rinforzati da un corpo austriaco. Un'armata-francese occupò in Savoia i passi delle Alpi, un'altra combattè presso i confini italiani, comandata da un generale incapace, consigliato però da Napoleone Bonaparte. Questi prese d'assalto il Colle di Tenda e penetrò in Piemonte; quando fu rovesciato Robespierre, il comitato di salute pubblica ordinò che quell'armata si arrestasse, accontentandosi di conservare i passaggi più importanti delle Alpi.

Gli Spagnoli consideravano la guerra come una lotta religiosa in favore del cattolicesimo contro i violatori e predatori delle chiese. Ma da entrambi le parti non ci si era preparati alla guerra.

Finalmente nel 1793 un esercito spagnolo si mosse attraverso i Pirenei, mentre andava a vuoto un attacco francese dal lato di ponente, riuscito poi nel 1794. Tutte le fortezze della Catalogna settentrionale caddero fino al 1795 nelle mani dei repubblicani. Questi rinforzarono il loro esercito occidentale e s'inoltrarono vittoriosamente contro Pamplona, quando una guerra di partigiani li costrinse a ritirarsi lentamente. Gli Spagnoli si avvalsero di questo per intavolare trattative di pace. Fallite queste, si presero nuovamente le armi.

La guerra, incominciata dai principi come una crociata contro i giacobini, dai Francesi in difesa della loro indipendenza, si era a poco a poco mutata in una guerra di conquista.

Il «gran comitato della santa insurrezione dei popoli», come Danton chiamava la Convenzione, tendeva senza scrupoli così ad acquisti di territorio, come alla diffusione delle sue idee rivoluzionarie, ma anche Thugut a Vienna ed Haugwitz con Lucchesini a Berlino, pure loro, non miravano che a questo ad ingrandimenti da ottenere non solo a spese della Francia ma anche a spese degli alleati.
L'anno 1794 aveva arrecato una timida ritirata dell'Austria e da parte della Prussia delle trame segrete con la Francia. La conseguenza di questo fu che la repubblica poté compiere imprese militari, che misero nell'ombra quelle di Condé e di Turenna. Batté infatti tutti i suoi avversari e raggiunse i suoi «confini naturali».

Con l'andar poi del tempo l'Europa si era stancata di questa lunga contesa ed anche a Parigi si andavano calmando le onde infuriate. E specialmente alcuni avversari agognavano alla pace, soprattutto la Spagna e la Prussia.
La situazione della Prussia si era fatta straordinariamente difficile; i Polacchi erano in rivolta e per una doppia guerra a levante e a ponente i mezzi non erano sufficienti. Quindi, dopo una certa esitazione il re decise di adoperare contro la Polonia le sue forze principali e di lasciare sul Reno soltanto un corpo di osservazione.
Dopo intrighi d'ogni sorta - a proposito della Polonia - la Russia si unì con l'Austria , con Venezia, la Baviera e
la Turchia a spese della Prussia. Quando anche l'Inghilterra sospese i pagamenti dei sussidi e l' armata sul mare non fu più neutrale, essa cominciò a suscitare delle preoccupazioni, prima i generali comandanti e poi anche il gabinetto di Berlino si abituarono sempre più all'idea di mettere fine alla guerra con la Francia. Il re desiderava una pace per tutta la Germania; ma opponendosi l'Austria ad una pace simile, Haugwitz iniziò delle trattative prima preliminari e poi ufficiali con Barthélemy, inviato francese nella Svizzera.
Queste trattative condussero il 5 aprile 1795 alla pace di Basilea, secondo la quale la Francia poteva occupare fino alla pace generale con l'impero i territori prussiani alla sinistra del Reno. In alcuni articoli accessori segreti ci si intese intorno ad eventuali compensi e alla neutralità della Germania del nord sotto l'egemonia della Prussia. Federico Guglielmo concepiva la pace separata di Basilea come il prodromo della pace con l'impero, ma in questo doveva ingannarsi. La guerra continuò, la Germania soffrì immensamente e in Austria si accusò apertamente la Prussia di aver tradito l'impero.

L'Olanda aveva già cercato di far pace e l'aveva ottenuta il 16 maggio, come repubblica batava, a gravi condizioni, cioé nei fatti la rendevano dipendente dalla Francia. Nel corso dello stesso anno fece la pace anche la Spagna e deposero pure le armi, la Sassonia, l'Assia, il Portogallo, Parma e il Papa. Così rimanevano ancora in guerra l'Austria, la Sardegna del Sabaudo e l'Inghilterra.

Questa piega delle cose era per la Francia una fortuna. All'interno si trovava in uno stato miserevole, per mare aveva soltanto delle perdite e con le vittorie sul continente si era dissanguata. Dal 1794 erano periti sul Reno circa 150.000 uomini in battaglia o in seguito a malattie e a affaticamenti; nella Vandea ne era perito un numero non minore. La nazione si sentiva profondamente debole dopo le perturbazioni e gli sforzi eccessivi del periodo del terrore.

Le due armate del Reno sotto Pichegru e Jourdan erano discese di numero a circa a 90.000 uomini ciascuna e ancora di più per le loro qualità belliche. Siccome la Francia si nutriva a stento, gli eserciti dovevano nutrirsi da loro stessi. I soldati commettevano estorsioni, furti e ladrocini dovunque potevano, e divennero così il terrore dei popoli, mentre vi erano andati in un certo modo come apostoli di libertà.

Se gli alleati avessero avuto anche un mediocre dominio delle loro passioni, grazie a un serio volere sarebbe finita male per la repubblica. Ma quale poteva essere l'azione esterna di potenze, le quali, sebbene alleate, erano vicine a combattersi l'una con l'altra? Soltanto quando la Prussia ebbe dichiarato che aderiva agli accordi conclusi nel gennaio tra l'Austria e la Russia, il Thugut pensò di nuovo seriamente alla guerra.

La Francia fu in massima parte debitrice a se stessa della propria vittoria, ma in verità fu salvata dagli avvenimenti della Polonia.


LA GUERRA MARITTIMA


Fra i vari porti italiani, i francesi presero possesso quello di Livorno, prima in mano degli Inglesi


La flotta della monarchia francese era considerevole. Nell'anno 1789 contava 64 vascelli di linea e altrettante fregate e in complesso 214 navi con 13.310 cannoni e 80.000 uomini obbligati al servizio marittimo, distribuiti fra i tre porti militari di Brest, di Rochefort e di Tolone.
L'armamento, l'organizzazione, la disciplina e l'addestramento erano migliori che nella marina inglese. Ma poi scoppiò la rivoluzione e distrusse tutto. Un ammutinamento avveniva uno dietro l'altro. Si giunse ad atti di saccheggio e di omicidio; l'intero ordinamento marittimo decadde e la flotta si ridusse in una condizione miserevole.
Nonostante ciò la Convenzione il 1° febbraio 1793 dichiarò la guerra all'Inghilterra e all'Olanda. Questa dichiarazione offriva un motivo esteriore la condanna a morte di re Luigi (avvenuta due giorni prima, l'Inghilterra aveva subito rotto le relazioni diplomatiche con la Francia), ma la ragione vera consisteva nella concorrenza economica, nella propaganda mondiale per la rivoluzione, e nello sfruttamento del mare esercitato dall'Inghilterra.

Il momento scelto per la dichiarazione di guerra era estremamente sfavorevole, perché la Francia non si trovava in condizione di poter fare una guerra marittima, mentre per terra combatteva già contro l'Austria e la Prussia. Per dare vigore alle sue imprese marittime, la Convenzione formò un comitato, il quale aveva a capo Jean-Bon Saint-André, un uomo che procedette senza tanti riguardi per chicchessia e volle conseguire a forza la vittoria, ma purtroppo non s'intendeva proprio di nulla di cose marittime.

Per fortuna della Francia nemmeno l'Inghilterra si trovava in una situazione assai prospera. All'inizio del 1793 erano in servizio soltanto 26 vascelli di linea e 109 fregate con 45.000 uomini d'equipaggio. Ma con una rapida decisione si cercò di aumentare subito l'organico, così l'anno dopo nel 1794 poteva disporre di circa 85 vascelli di linea e di 194 fregate, nel 1797 di 108 vascelli di linea e nel 1801 la marineria inglese contava 135.000 uomini.
Anche la sua alleanza con la Spagna mutò poco le cose, perché la flotta spagnola era rimasta indietro più delle altre. Il suo contributo in navi era quasi insignificante. In seguito a questo stato di cose entrambe le due parti all'inizio non potevano e quindi evitarono di fare grandi imprese.

Dal lato dei Francesi la guerra prese in sostanza l'andamento di una guerra corsara per distruggere il commercio inglese e rimase tale anche in seguito, quando già erano state prese le misure più gravi. In tal modo i Francesi hanno depredato ogni anno in media 500 navi mercantili inglesi.
Ma anche l' Inghilterra non rimase a guardare, cercava di tagliar la via a tutte le vettovaglie, che per mare (soprattutto dai nuovi Stati Uniti d'America) giungevano in Francia, al fine di costringerla a sottomettersi per fame.

Il primo avvenimento più importante dipese dalle vicende interne della repubblica. I sollevati di Tolone consegnarono la città e la flotta agli Inglesi, per difenderle a favore dei Borboni. Ma le forze britanniche non poterono sostenersi in quel porto contro le artiglierie nemiche e dovettero abbandonarlo di nuovo, però soltanto dopo avere incendiato 9 vascelli di linea francesi e averne condotti via altri 4.
Tuttavia la repubblica salvò 14 vascelli di linea e le più importanti officine. A Brest governava Jean-Bon SaintAndré e con estremo rigore, con le destituzioni, con la prigionia, con la morte cercava di ristabilire la disciplina e l'ordine, che il suo stesso partito aveva disfatto. Mise in vigore una legge penale piuttosto dura e fece ammiragli degli uomini, che quattro anni prima erano sottotenenti.
Fu nominato capo della squadra Villaret de Joyeuse, che veramente era l'unico ufficiale anziano. Tuttavia questo rigore fece sì che gli equipaggi tornarono in certo modo ad essere idonei a combattere, per quanto gli armamenti prima e dopo lasciassero a desiderare.

Nonostante quest'opera ricostruttrice, la Convenzione guastò di nuovo le cose, specialmente quando nel gennaio del 1794 abolì la fanteria e l'artiglieria di marina e le sostituì con guardie nazionali.
Nella primavera del 1794 erano di nuovo abbastanza completi gli equipaggi della squadra di Brest. Erano in massima parte costituiti da novizi senza esperienza, mentre le navi inglesi avevano vecchi ufficiali e marinai, già esperti nelle burrasche non solo marine. Per servire di scorta a una grossa flotta carica di vettovaglie, che veniva dagli Stati Uniti, Joyeuse nel maggio lasciò la sicura rada e s'incontrò non lontano dall'isola di Ouessant con gli Inglesi sotto l'ammiraglio Howe. Si giunse a diversi combattimenti parziali e il 1° giugno ci fu la battaglia, nella quale da ambo i lati si combattè a oltranza, finché i Francesi furono vinti del tutto, perdendo 7 vascelli di linea e 5000 uomini. Il resto dei bastimenti, in parte con avarie gravi, fu ricondotto felicemente a Brest da Joyeuse, con la flotta carica di granaglie.

Nel frattempo i Francesi perdevano la Corsica, ed anche l'anno seguente combatterono dovunque sfortunatamente o almeno senza buon successo. Il governo di Parigi dovette necessariamente riconoscere che la flotta inglese era assolutamente superiore e che non si poteva conquistare la vittoria contro di essa con mezzi e con le sole forze rivoluzionarie. Decisero quindi di rinunziare alla grande guerra marina con battaglie di alto mare e di fare esclusivamente solo la guerra corsara. Appostamenti e poi assalti.
Questa guerra fu condotta con ordine e con determinatezza e nell'anno 1795 fruttò non meno di 1142 navi catturate al nemico.

Finalmente nell'autunno del 1795 il direttorii si accinsero a rinnovare dalla base tutto l'organismo sbagliato della marineria. Un ammiraglio di grande prestigio, il Truguet, fu nominato ministro della marina; nei porti la direzione superiore fu data a veri esperti ufficiali della marineria; il corpo degli ufficiali che era stato improvvisato, formato in gran parte incapaci, fu sciolto e ne fu formato un altro, nel quale furono posti gli antichi titolari; l'artiglieria di marina fu creata del tutto nuova, e così altre cose.

Nel tempo stesso si accordò maggiore attenzione alle colonie. Quasi dovunque si era venuti in queste ad una guerra tra gli uomini di colore e i bianchi. Questo rese possibile agli Inglesi di prendere nel 1793 Tabago (presso Trinidad) e i strategici porti di Haiti. Nell'anno seguente l'ammiraglio Giovanni Jervis comparve con una squadra e con molte truppe da sbarco nelle acque delle Indie occidentali, dove conquistò la Martinica, S. Lucia, la Guadalupa e altre isole, delle quali la Guadalupa, a dire il vero, fu presto di nuovo perduta dagli Inglesi per diventare subito dopo una delle basi principali della guerra corsara fatta dai Francesi.

Nell'Isola di Francia (Maurizio) e nell'Isola Borbone, ribattezzata dalla repubblica in Isola Riunione, rimasero vincitori i bianchi e i meticci, che mantennero la schiavitù dei negri, senza però separarsi dalla Francia. Le cose avvennero in un altro modo ad Haiti. Qui furono liberati i negri, per cui questi e i meticci divennero i veri padroni dell'isola. Ovunque le colonie soffrirono gravemente in seguito a rivoluzioni di questo tipo; decaddero perciò economicamente e perdettero la loro forza contributiva.

L'anno 1796 vide il sorgere l'astro di Bonaparte. Aveva appena sottomesso l'Italia superiore che il suo pensiero si volse al Mediterraneo ed all'Oriente. Nell'estate fece già occupare Livorno, che era stato per gli Inglesi un punto importante d'appoggio. Nel principio dei 1797 prese Ancona. Nello stesso tempo rese dipendente dal suo comando la flotta francese del Mediterraneo, e cominciò a creare una squadra dell'Adriatico. Gli tornò utile che la Spagna dichiarasse la guerra all'Inghilterra, di modo che essa sgombrò il Mediterraneo, per cui la Francia vi poté svolgere liberamente le sue forze.

Nel maggio 1797 Napoleone entrò in Venezia, mise sotto sequestro le sue navi e i suoi cantieri e sottomise anche le Isole Ionie appartenenti a Venezia.
Spinse poi più oltre le sue mire irrequiete verso Malta e in Egitto, di cui voleva fare una importante base francese, un anello di congiunzione e un punto d'appoggio per l'impresa di rovinare nell'India il dominio degli odiati Inglesi.

Mentre gli sguardi di Bonaparte erravano sempre più verso mezzogiorno, i piani del suo principale emulo, del generale Hoche, volgevano verso il settentrione.
Fin dal 1793 tra i suoi pensieri dominava quello di un attacco diretto sull'Inghilterra. Si trovava allora in Dunkerque, da dove vedeva quasi a portata di mano quel suo inafferrabile nemico, separato da lui soltanto da un sottile braccio di mare: La Manica.

Il ministro Truguet della marina e il direttore Carnot ripresero nel 1796 quel piano d'invasione. Pareva tuttavia pericoloso il gettare un esercito sulla spiaggia nemica, dove una volta giunto sarebbe stato tagliato da ogni comunicazione con la madre patria. Si cercava perciò di raggiungere lo scopo per una via indiretta, per l'Irlanda, la cui popolazione odiava gli Inglesi e pareva che aspettasse soltanto di essere sostenuta dalla repubblica francese per sollevarsi e riconquistare la sua antica indipendenza.

Dovevano nello stesso tempo sbarcare in Britannia degli uomini francesi avventurosi, per istigare i minatori e i Celti ad una rivolta sul genere di quella degli «chouans» bretoni. Hoche fu scelto per compiere questa impresa. Dopo la sottomissione della Vandea era libero. Varie migliaia dei vinti Vandeani (cattolici) furono da lui convinti alla causa di questa guerra santa contro l'Inghilterra (infedele); guerra alla quale dedicò tutta la sua energia e il suo zelo.

Frettolosamente il naviglio necessario fu allestito a Brest e furono approntati 20.000 uomini. Ma le condizioni difettose della flotta ed altre circostanze sfavorevoli ritardarono la traversata fino alla cattiva stagione. Finalmente il 15 dicembre 1796 la squadra francese, forte di 44 navi a vele, lasciò il porto. Già nell'uscire fuori le navi si dispersero in modo che Hoche e l'ammiraglio comandante rimasero con tre sole navi oltre la nave ammiraglia la «Fraternité». Le rimanenti, sotto l'ammiraglio Bouvet, raggiunsero la meta destinata, cioè la Baia di Bantry. Tuttavia le burrasche, la mancanza del comandante supremo, il difetto di vettovaglie e di determinazione causarono il ritorno della squadra. Il 1° gennaio 1797 giunsero di nuovo nel porto sicuro di Brest.
La «Fraternité» non era andata fino alla Baia di Bantry, ma soltanto fino a Ràchefort in seguito a incidenti di ogni sorta. Così l'impresa ideata in un modo così tanto grandioso ebbe una misera fine per la direzione incapace e per l'insufficiente idoneità di navi e degli equipaggi.
Tuttavia anche questa volta il governo francese non rinunziò ai suoi tentativi, e ancora nel 1798 prestò aiuto ad un'insurrezione in Irlanda, però senza alcun successo.

La circostanza che la Francia nel 1795 dovette abbandonare la grande guerra marittima, ebbe un effetto funesto sui suoi alleati. Già quando Pichegru entrò in Olanda, gli Inglesi posero sotto sequestro tutte le navi mercantili olandesi, che erano nei loro porti. Quando poi nel maggio del 1795 l'Olanda si mutò in repubblica batava, gli Inglesi cominciarono a toglierle i suoi immensi possedimenti coloniali, dal Capo di Buona Speranza fino alle Indie e alle Molucche.
L'Olanda si rimise meglio che potè, ma l'11 ottobre 1797 perdette la maggior parte della sua piccola flotta nella battaglia presso Camperdown.

Anche la Spagna risentì dolorosamente la prevalenza degli Inglesi. Quando il 5 ottobre 1796 essa dichiarò la guerra e si collegò subito dopo con la Francia, le furono sequestrate tutte le navi che erano nei porti inglesi. Perciò gli Spagnoli riunirono in Tolone la loro flotta con la squadra francese del Mediterraneo, in modo che si trovarono là tutti insieme 38 vascelli di linea. Di fronte a questi l'ammiraglio Jervis (poi conte di S. Vincenzo per le sue imprese) con i suoi 15 vascelli di linea per ordine del patrio governo sgombrò il Mediterraneo con la Corsica e l'Elba e si ritirò a Lisbona.
Il 14 febbraio 1797 riportò una splendida vittoria presso il Capo S Vincenzo. Dei 25 vascelli di linea spagnoli ne prese quattro e agli altri dette la caccia fino a Cadice, che bloccò dall'aprile fino alla fine dell'anno.
Con questa azione divenne impossibile un'ulteriore cooperazione delle due flotte alleate, mentre gli Inglesi ne approfittarono per sottomettere nelle Indie occidentali l'isola spagnola di Trinidad.

L'armistizio che allora di fatto ebbe inizio venne molto utile alla superba Albione, perché nell'anno 1797 scoppiarono su tutte le sue flotte degli ammutinamenti, che in altre circostanze avrebbero significato un grave pericolo. Le riuscì invece, adoperando il rigore e l'arrendevolezza, di dominarli senza gravi danni .
Da questo armistizio fu reso impossibile il compito assegnato dal direttorio al generale Bonaparte di umiliare il nemico d'oltremare. Si fecero tuttavia di nuovo grandiosi preparativi per uno sbarco sulle coste britanniche. Considerevoli forze militari sotto il comando supremo del Bonaparte furono raccolte sulla costa settentrionale francese da Cherbourg ad Anversa; si approntarono e si aumentarono le batterie da costa e si costruirono centinaia di battelli di piccola cabotaggio per traghettare velocemente le truppe in Inghilterra.
La repubblica batava doveva fornire 400 navi, la Spagna tenere pronte a far vela le sue squadre di Cadice e dei Ferrol, per congiungerle a Brest con la flotta Francese. All'inizio del febbraio del 1798 il generale ispezionò la costa, ma riconobbe che un'impresa così poderosa, come egli aveva in mente, per essere veramente efficiente richiedeva molto tempo e non poteva effettuarsi nell'anno in corso.

Dovunque si trovavano ostacoli; mancavano operai e marinai adatti. E siccome gli Spagnoli erano bloccati a Cadice e gli Olandesi erano stati quasi distrutti a Camperdown, svaniva ogni speranza di aiuto da parte degli alleati, mentre la marina inglese era nel frattempo invece cresciuta fino al numero enorme di 451 navi da guerra con 120.000 uomini, fra le quali non meno di 104 navi erano grossi vascelli di linea.

Stando così le cose Napoleone rinunziò allo sbarco in Inghilterra. Poiché non poteva colpire direttamente il nemico sull'isola, doveva farlo almeno indirettamente in Egitto.

Ma prima di questi successivi eventi
noi ora dobbiamo tornare a Parigi, al varo della
Costituzione dell'anno III

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