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149. LA CULTURA ANCORA SOFFOCATA - I COSTUMI


Si iniziò in sordina nei piccoli circoli, poi divennero sempre più grandi

Mentre il principato si andava rafforzando, rivolgeva le sue cure non solo alla crescita della prosperità materiale, ma anche allo sviluppo intellettuale dei popoli, che veramente fu promosso da una scaltra tendenza critica e da un'attività dello spirito, che sempre più spiccava nei circoli colti di tutte le nazioni occidentali.
All'inizio del secolo XVII si conoscevano soltanto tre grandi biblioteche pubbliche: l'Angelica di Roma, l'Ambrosiana di Milano e la Bodleyana di Oxford. Ma presto si fece sentire in tutti i paesi la necessità di rendere generalmente accessibili agli studiosi ed agli operosi nel campo intellettuale i tesori della letteratura e della scienza.

Furono fondate in Italia e specialmente in Roma numerose biblioteche private e pubbliche; così pure in Germania, dove la libreria imperiale di Vienna intorno al 1700 contava già centomila volumi, dove il Grande Elettore nel suo palazzo di Berlino fondava una biblioteca, che poteva essere liberamente frequentata da coloro che lo desiderassero, e sorgevano ancora durante la guerra dei trent'anni le importanti biblioteche di Wolfenbüttel, di Dresda ed altre.

Anche il re Federico III di Danimarca ne istituì in quei tempi una in Copenhagen. In Parigi furono i primi ministri, i cardinali Richelieu e Mazarino, che posero le basi di grandi biblioteche pubbliche. Oltre a queste, principi e privati raccoglievano con grande passione e formavano gabinetti di storia naturale, di etnografia, di numismatica, di fisica e di curiosità, che riuscirono essenzialmente utili a importanti ricerche scientifiche di ogni genere.


Un altro mezzo di cultura, di somma importanza, furono i giornali, specialmente interessanti sotto l'aspetto politico e che proprio per questo ben presto godettero di un grande sviluppo. Sono derivati da una doppia fonte; prima dai fogli volanti stampati, che già si pubblicavano fino dalla fine dei secolo XV su tutti gli avvenimenti di rilievo, come battaglie, assedi, sollevazioni, nozze e morti di principi, gravi delitti, pestilenze, inondazioni e incendi; poi da giornali
manoscritti, che ricchi uomini politici e principi, si facevano inviare regolarmente da uomini esperti. Questi giornali manoscritti furono già mandati nel 1536 da Venezia, poi anche da Roma; a Venezia si chiamarono «gazzette» dalla piccola moneta «gazza», che costava ogni numero.
Ben presto questa industria si estese anche ai paesi a settentrione delle Alpi. Poiché i giornali stampati erano soggetti a una rigorosa censura e messi insieme per esser letti da persone di scarsa cultura politica, le gazzette (quali furono descritte) rimasero ancora lungamente in uso insieme ai giornali, in Germania sino alla metà dei secolo XVIII.

I primi giornali stampati e pubblicati regolarmente in Germania si trovavano in Vienna fino dai primi anni del secolo XVII, dove comparivano ogni settimana. Di solito si occupavano di redigerli e di diffonderli i maestri di posta, che per il mestiere che facevano ricevevano notizie da tutte le parti per mezzo dei loro viaggiatori. Tali giornali settimanali si pubblicavano a Strasburgo, a Francoforte, a Norimberga, soprattutto a Berlino; nella prima di queste città, come si può dimostrare, dal 1609, in Berlino dal 1617. I giornali cattolici, i quali oltre che a Vienna comparivano anche a Monaco e a Praga, hanno colore e tendenze più spirituali rispetto ai giornali protestanti ricordati. Ma in complesso tutti contengono soltanto cronoache di fatti, senza giudizi e senza apprezzamenti.

La vita nazionale, quella politica e sociale purtroppo non trovano nei giornali la loro espressione; troppo forte era la pressione di una censura estremamente rigorosa che veniva esercitata su di essi. Tuttavia erano molto letti nei paesi stranieri e ci offrono ancora oggi un materiale storico prezioso e in complesso veritiero.
Durante il regno del Grande Elettore furono fondati in Berlino gli «avvisi» (1655), che dopo svariate vicende furono pubblicati dalla libreria Rüdiger, dal 1704 con privilegio reale, e poi passarono alla famiglia Voss; esistono anche oggi sotto il nome di «Vossische Zeitung». La «Magdeburgische Zeitung», come si può constatare, compare fino dal 1626, la «Konigsberg Hartungsche Zeitung» fino dal 1660.
Secondo il modello del «Journal des Savants» sorto nel 1665 a Parigi, dalla fine del secolo XVII si pubblicarono in Germania numerosi giornali colti, scientifici- il primo, gli «Acta Eruditorum» compare a Lipsia dal 1683. Questi giornali interessanti si ricollegarono alcuni anni più tardi al tipo inglese dello «Spectator» e del «Tatler».
Molto più tardi e più modestamente che in Germania comparvero i veri e propri giornali in Francia.

Soltanto nel 1631 il medico Teofrasto Renaudot vi fondò la «Gazette», che col nome di «Gazette de France» dura ancora in vita. Allora era del tutto ufficiosa; Richelieu e perfino il re Luigi XIII si contavano tra i suoi collaboratori. Le fu perciò fatta poca concorrenza, finché fu pubblicato nel 1777 il «Journal», il primo giornale francese. Il giornalismo francese, regolato sospettosamente dalla polizia, rimase insignificante fino alla rivoluzione del 1789.

Mentre il governo assoluto manteneva sottosviluppata la stampa francese, questo difetto fu in parte compensato dai giornali, che comparivano in lingua francese nella libera Olanda. I primi giornali olandesi sono l'«Amsterdamsche Courant» (1637) e la «Gazzetta di Amsterdam», che era stampata anche in francese. Già nel 1672 questo giornale si pubblicava due volte alla settimana. Ma più importante era però la «Gazette de Leide», di cui si può dimostrare l'esistenza fino dal 1680; essa divenne presto il giornale che dirigeva ovunque l'opinione pubblica. La libertà di stampa quasi illimitata, che regnava nei Paesi Bassi, come la vasta estensione delle relazioni commerciali e politiche del paese, fecero della gazzetta di Leida il portavoce di tutta l'Europa politicamente colta. Arrivavano anche nei più sperduti villaggi. Le «gazzette olandesi» divennero una così grande potenza, che impauriva anche i sovrani più potenti.

A lato della stampa periodica olandese si era sviluppata vigorosamente anche quella britannica. II primo giornale inglese, pubblicato ad onta di una censura draconiana e di una dura legge penale, furono le «Weekly News» dell'anno 1622. Durante la guerra civile e nei primi tempi della restaurazione degli Stuart vennero alla luce numerosi giornali, che al massimo si pubblicavano due volte per settimana e di cui ogni numero comprendeva un solo piccolo foglio.
Carlo II li soppresse poi tutti, ad eccezione dell'ufficiale «London Gazette» e dell'«Observator», dove un «tory» fanatico non dava delle notizie, ma dei discorsi politici, ovviamente tutti di parte, quindi alla maggior parte dei cittadini non vi trovava nulla di interessante, solo propaganda di bassa lega.

Gazzette manoscritte e pettegolezzi da caffè dovevano, necessariamente compensare la mancanza di una stampa periodica.
La rigida legge sulla censura sopravvisse alla caduta degli Stuart, cadde poi in disuso nel 1695 e non fu più rinnovata. Da quel tempo nacquero numerose gazzette, tutte di piccolo formato e di scarso contenuto. Solamente sotto la regina Anna avvenne un rivolgimento importante. I partiti più svariati riconobbero nella stampa uno dei mezzi più efficaci di potenza politica. Perciò vi collaborarono gli statisti e gli scrittori più eminenti, articoli di fondo geniali e ricchi di cognizioni li resero istruttivi, la mole aumentò e già dal 1702 i giornali più importanti e seguiti comparivano ogni giorno. Così la stampa inglese si avviò ad un grande avvenire.

L'istruzione della gioventù fu essenzialmente trasformata per opera del moravo Giovanni Amos Komensky, detto Comenio, uomo nobile d'indomabile idealismo, che dette prove di purezza di sentimenti e di un elevata filantropia, in mezzo agli orrori di un tempo selvaggio, che ripetute volte lo colpirono personalmente nel modo più doloroso e lo costrinsero a peregrinare senza tregua. Mentre mirava ad un compromesso tra le chiese cristiane in lotta tra loro, aspirò soprattutto ad un rinnovamento fondamentale dell'insegnamento e dell'educazione della gioventù, che si erano irrigidite nel formalismo ed in una arida erudizione.
Prendendo come base le dottrine di Bacone, volle che l'istruzione intera si fondasse sull'osservazione della natura e soltanto in seconda linea sugli scritti di autori antichi e moderni. Perciò si doveva distinguere accuratamente le varie discipline, seguire il corso degli studi in massima dal facile al difficile, evitare ogni inutile accessorio e chiamare sempre in aiuto l'intuizione sensitiva. In armonia con questo concetto, Comenio ha corredato di figure l'abbecedario e composto anche per gli alunni più avanti negli studi un «Orbis pictus», un libro sistematico di immagini di tutto quello che merita di esser conosciuto.

Si può dire che le sue opere contengono già in germe tutte le conquiste ulteriori della pedagogia. Inoltre sono animate da uno spirito elevato, riorganizzante e umanitario, che contrasta in modo benefico con l'animo arido ed angusto del suo tempo (1592-1670). La sua efficacia immediata fu, a dire il vero, piccola; nel suo complesso tutto l'insegnamento rimase allora sotto l'influenza sia dell'arida linea formale dell'ortodossia protestante, sia dell'elegante vanità del sistema pedagogico dei gesuiti.
Tuttavia si ponga qui in rilievo che il duca Ernesto il Pio di Sassonia-Gotha (dal 1640), abile conoscitore della scuola, ha ordinato in modo esemplare le scuole popolari del suo piccolo paese.

Ma nonostante simili sforzi per l'insegnamento, nonostante i giornali, le biblioteche ed altri mezzi di cultura, scomparvero solo lentamente i pregiudizi e le superstizioni e le paure dei castighi divini che in precedenza avevano dominato tutto il pensiero umano, lo avevano mantenuto nel terrore. La credenza che si potesse divenire con una preghiera e con altri artifici invulnerabili dalle palle e dai colpi di taglio e di punta - la così detta arte di Passau - era generalmente diffusa.
Il famoso maresciallo di Lussemburgo si pretendeva fosse stato in lega col diavolo. Era diffusa fino nelle classi più elevate la convinzione della potenza di rimedi arcani e della pietra filosofale, che poteva cambiare tutti i metalli in oro, della bacchetta magica e degli amuleti. Più forte che mai era divenuta fra i protestanti e fra i cattolici la credenza nelle streghe e nei maliardi e più tremende che mai, in pieno accordo con la pubblica opinione, infuriavano le persecuzioni giudiziarie contro infelici indubbiamente un pochino malate di mente; innumerevoli roghi ardevano, sui quali erano ridotte in cenere le accusate di essere alleate di Satana.

Le confutazioni di filantropi ben pensanti facevano poca impressione. Malattie e disgrazie di ogni sorta si attribuivano a maliardi ed a streghe, e si cercava di scoprire con presagi di ogni sorta gli autori dei furti e a questo davano mano amica perfino parroci e sagrestani. In complesso si arsero 7000 streghe a Treveri, 600 da un solo vescovo di Bamberga, 800 durante un anno nel vescovado di Würzburg. Remy, giudice a Nancy, condannò a morte 800 streghe. In un giorno solo furono giustiziate per fattucchieria 50 persone a Douai e perfino 400 a Tolosa. A Parigi nello spazio di pochi mesi ebbero luogo «innumerevoli» esecuzioni per lo stesso delitto immaginario.
Durante un anno nella piccola diocesi di Como nell'Italia superiore, salirono il rogo 1000 maliardi e streghe - l'uno per cento di tutta la popolazione ! - in altre parti d'Italia la persecuzione fu così generale da provocare delle sollevazioni.

Nel 1670 furono condannate per stregoneria 70 persone nella Svezia. In Inghilterra fu promossa e diffusa questa insania intorno alle streghe specialmente dagli scritti del dotto pedante, che allora sedeva sul trono, il re Giacomo I. Matteo Hopkins, che un quarto di secolo più tardi percorse il regno per rintracciare il diavolo nel corpo delle infelici, riceveva una lira sterlina per la scoperta di ogni maliarda. Eminenti naturalisti, dotti e teologi sostenevano la causa della superstizione fino verso la fine del secolo XVII. Nell'anno 1682 certamente, forse anche nel 1705 furono giustiziate delle streghe in Inghilterra. «Sotto il regno di Carlo II - dice Lord Campbell - un giudice, che dal suo seggio avesse espresso la sua incredulità a proposito delle streghe, sarebbe stato dichiarato colpevole di ateismo e di mancanza di rispetto alla legge».

Tuttavia il numero delle vittime in Inghilterra, data la sua liberale procedura giudiziaria, rimase relativamente piccolo. In modo ancor più spaventoso infuriava la persecuzione nella Scozia, dominata da fanatici calvinisti, dove ancora fino all'anno 1700 si bruciarono regolarmente molte dozzine di streghe. L'ultima esecuzione di questo genere avvenne nel 1722.

Tuttavia, specialmente in seguito ai progressi delle scienze naturali, verso la fine del secolo XVII almeno gli Stati colti d'Europa avevano perduto la credenza nella demonologia. Gli scritti, che il grande Cristiano Tomasio rivolse nel 1701 e nel 1702 contro i processi di magia e di stregoneria, produssero fortunatamente un effetto profondo e durevole. Nel termine di pochi decenni si spense il flagello più spaventoso e pernicioso che abbia mai moralmente e materialmente desolato l'Europa.


Ma durante la maggior parte del secolo XVII dominò ancora vittoriosamente. Si era inoltre persuasi che le comete e le insolite meteore annunziassero guerra e pestilenza e se ne aveva grande spavento. Un mugnaio, che sosteneva di avere visto due eserciti sulle nubi del cielo settentrionale, fu su questo miracolo interrogato formalmente dal magistrato di Küstrin. Ogni parto mostruoso non solo umano, ma anche di animali, era considerata come un segno spaventoso dell'ira divina e come un ammonimento alla penitenza e aI ravvedimento. Indovini maschi e femmine trovavano numerosi ascoltatori; soprattutto si prestava fede alle imposture degli astrologi. Anche il Grande Elettore, che pure era istruito. e di mente solida, trattenne suo figlio maggiore nel fare una passeggiata a cavallo, perchè l'astrologo di corte prediceva in essa una disgrazia.

E come la superstizione, così erano generalmente diffuse la brutalità, l'indifferenza verso le sofferenze degli uomini e degli animali. La «caccia all'orso» era considerata come un divertimento speciale, a cui assistevano anche i fanciulli delle famiglie più colte. Ovunque era in voga l'abuso del duello, anche nelle classi superiori delle città di tutti i paesi, sebbene fosse minacciato dei più severi castighi e per i duellanti perfino di morte.

Il mangiare smoderato, il numero eccessivo di pietanze si accompagnava col troppo bere. I Tedeschi d'allora non tenevano tanto alla bontà quanto all'abbondanza dei cibi e delle bevande, che specialmente in occasione di feste si consumavano in quantità quasi inconcepibili. In genere, d'accordo con la semibarbarie del tempo si considerava come segno di distinzione e di potenza quello che era sovrabbondante, che dava nell'occhio, che era enorme.
Il gioco dominava in tutti i circoli, dai più infimi a quelli sommi. E a tutti i vizi se ne accompagnava uno nuovo e dannoso per le menti più deboli senza riguardo al ceto: l'uso dell'acquavite, che si diffuse con una incredibile rapidità. La miseria, il cattivo nutrimento del popolo, la frustazione negli alti ceti, durante e dopo la guerra dei trenta anni, hanno provocato come una necessità fisiologica l'uso dell'acquavite. La scoperta della preparazione di questa bevanda dalla patata, fatta intorno al 1680, ne aumentò il mercato a basso prezzo e nello stesso tempo aumentò le gravissime conseguenze per la salute.

Quel tempo infelice della guerra dei trenta anni e dei decenni seguenti con l'imbarbarimento della cultura produsse anche nella giurisprudenza da un lato un inaridimento del sentimento di giustizia, dall'altro un pullulare sempre più rigoglioso della «dotta» cavillosità. Andò perduto del tutto l'accordo tra il sentimento popolare e i giudici, che si fondavano sullo studio del diritto romano. Gli ultimi avanzi di giudizi provenienti da giudici popolari e da scabini ricevettero ormai il colpo mortale a favore della procedura segreta e dei giuristi di professione. Le pene, quali erano comminate dalla «carolina», cioè dall'ordinanza penale dell'imperatore Carlo V, erano terribilmente gravi e le esecuzioni e le mutilazioni si facevano con la massima pubblicità, scuola eccellente di crudeltà sanguinaria.
Esecuzioni simili erano addirittura feste per la popolazione, a cui assistevano con passione specialmente le donne, anche dei ceti più elevati ; tutto questo in un epoca che si vantava della propria sensibilità. Nei gravi delitti non bastava la morte per decapitazione, impiccagione o annegamento, ma il delinquente era martoriato nel modo più ignominioso. Esso era diviso in parti con una sega o squartato, o sventrato, o lacerato da quattro cavalli, o abbruciato, o impalato, o sepolto vivo, o murato, o anche arrotato, cioè che il suo corpo era in diversi punti rotto dai raggi di una ruota pesante; tortura, sotto la quale il misero poteva vivere ancora vari giorni, fino a nove! e se il condannato non moriva gli si strappava a striscie la pelle, lo si tormentava con tenaglie arroventate, gli si strofinavano le ferite con il sale. Il taglio della mano, lo strappo della lingua erano castighi frequenti. Nelle mancanze minori si privava il reo dell'onore, esponendolo allo scherno del pubblico legato al diffusissimo palo della berlina o con un collare di ferro dentro una gabbia esposta al pubblico per più giorni.

Appunto dopo la guerra dei trent'anni questa crudeltà infuriò in Germania nel modo peggiore. Poco potè ottenere l'egregio giurista Carpzow, che nel suo scritto Practica nova rerum criminalium, comparso nel 1635, assegnò maggiore libertà alla difesa e concesse all'accusato il diritto di conoscere l'atto di accusa.
Veramente nella maggior parte degli altri paesi non si stava molto meglio in fatto di amministrazione della giustizia criminale. L'Italia papale non scherzava affatto con i rei di stregoneria, di eresia, o rei di bestemmie.

L'assolutismo dei principi riconosceva il potere giudiziario dei grandi proprietari fondiari, tramandato dal feudalismo, e lo lasciò sussistere, curandosi soltanto che restasse soggetto alla loro supremazia. Si poteva sempre interporre appello dai tribunali nobiliari o cittadini a quelli superiori del sovrano: un certo numero di casi erano riservati a questi; e finalmente tutte le cause dovevano presentarsi al loro foro, se ad essi andava bene.
Anche la giurisdizione feudale e cittadina si doveva esercitare per mezzo di giuristi dotti e appositamente nominati, che in seguito alla loro istruzione in materia, fondata sul diritto romano, erano orientati ormai ad insistere più sui diritti dello Stato che su quelli dei loro padroni. Si comprende che essi dovevano procedere e giudicare in conformità delle leggi dello Stato.

Anche nella Francia così colta le pene capitali erano crudeli e comminate ai delitti più svariati; così per tacere dell'assassinio, alla bestemmia e al sacrilegio, all'eresia, alla stregoneria, alla sedizione, al delitto di lesa maestà, alla falsificazione delle monete, al duello, all'adulterio, alla sodomia, all'incesto, alla bancarotta fraudolenta, al furto accertato. In breve, anche qui i severi giudici non se ne stavano oziosi ed avevano inoltre non meno da fare con le pene del marchio, della frusta, della mutilazione.
Erano equiparate alla pena di morte la condanna alla galera a vita e l'esilio perpetuo. Tutte le pene ricordate avevano per conseguenza un grave danno per i congiunti del delinquente in seguito alla confisca dei suoi averi o di una parte di essi. Era diffusa la tortura più atroce e non solamente quale mezzo per ottenere le confessioni, ma anche come pena che inaspriva la sentenza.

In tutti i paesi del continente europeo nei processi penali dominava la procedura segreta e scritta; l'accusato, privo d'ogni aiuto, poteva a beneplacito del giudice esser privato perfino di un difensore e potevano essergli tenuti nascosti l'atto d'accusa e i nomi dei testimoni a carico. La prova testimoniale non bastava; l'accusato doveva invece confessare egli stesso il suo delitto e denunziare i nomi degli eventuali complici - per questo trovava luogo così frequente in ogni caso la tortura, a beneplacito del giudice. Invano uomini egregi, come il celeberrimo Ugo Grozio, attaccarono la tortura non solo come inumana, ma anche come inconcludente - l'immensa maggioranza dei giudici credeva di non poterne fare a meno.

Più ancora che in Francia si usava la tortura nella Spagna, dove si ponevano anche i testimoni per far dire loro la verità. Naturalmente ognuno, se poteva, evitava di dover servire da testimone o di offrirsi come tale o di denunziare un delitto. Questa era la bella conseguenza di una procedura tanto assurda quanto crudele.
Tra queste pratiche giudiziarie dure, brutali e irrazionali erano un'eccezione gloriosa quelle vigenti in Inghilterra. Qui nei processi penali come in quelli civili predominava la procedura orale e pubblica non dinanzi a giudici di professione, ma a giudici popolari o giurati. Qui ogni prigioniero nel termine di ventiquattro ore doveva esser condotto dinanzi al giudice; non vi erano torture, ma solo prove indiziarie o testimoniali. Disgraziatamente però l'Inghilterra era la sola ad aver così belle istituzioni. Le altre si dicevano civili ma erano invece ancora barbare.
Naturalmente il prevalere dei principato assoluto accanto a frutti benefici ne maturava anche dei cattivi e dei nocivi. Se i tempi della riforma, selvaggiamente agitati e pieni di tumulti e di lotte, erano stati un'epoca di grandi caratteri, liberi ed elevati, d'indipendenza. personale e d'iniziative, successe invece nel secolo XVII una reazione di indolenza. Il bisogno profondo e generalmente sentito di tranquillità produsse soggezione ed anzi servilità di sentimenti. Nessuno osava più nuotar contro la corrente; di qui una certa uniformità e indeterminatezza dei caratteri. In pochi periodi della storia gli uomini di tutte le classi, e di tutte le regioni civili sono stati tra loro somiglianti internamente ed esteriormentecome nell'intervallo tra il 1650 e il 1720, sotto il dominio uniforme della civiltà della corte francese.

Caratteri grandi ed eroici al più si vedono nell'Inghilterra della rivoluzione parlamentare e puritana. Invece in quelli plagiati dalla corte del Re Sole, sono in voga il servilismo, il sentimentalismo e la fiacchezza morale, tuttavia ricoperta da una vernice brillante di cortesia, di costumi raffinati e di socievole spigliatezza, quale mai prima era stata raggiunta , e purtroppo è andata di nuovo perduta

Le signorine erano quasi esclusivamente istruite nelle arti della buona società; i giovani non andavano all'osteria, ma nelle famiglie imparavano a conoscere il mondo e ad usare maniere eleganti.
Come in ogni altra cosa si cercò d'imitare i principi anche nella prodigalità e nel libertinaggio. Il governo della casa, la servitù, la magnificenza degli abiti e degli ornamenti, il gioco e le splendide feste costavano somme favolose.
Nessuno badava se spese fatte così corrispondessero alle proprie entrate. E veramente le più grandi sostanze non reggevano, a tanto sperpero. Il principe di Condé che viveva alla grande, aveva otto milioni di lire (livres) di debiti. Questo lusso favoriva straordinariamente un disastroso rilassamento nei costumi, che dalla corte si diffondeva in tutte le classi della società. E oltrepassava alche le Alpi, i Pirenei, il Reno, un po' meno La Manica.
Anche in questo la Francia dava l'esempio.

Con un'inversione completa delle idee, parve onorevole soltanto la galanteria, «selvatica» e «contadinesca» la purezza di costumi. Si chiamava addirittura "opposizione ai principi" il volere e azzardarsi a fare il virtuoso, il «Catone» di turno. «La nostra corte è una piccola Sodoma », osserva nel 1682 il marchese di Souches nelle sue memorie di Versailles. I principi di Conti quasi pubblicamente con alcuni compagni, tra cui degli ecclesiastici, celebravano delle orgie, famigerate sotto il nome di "Cabala del Tempio".
Il palazzo del duca di Orléans era poco meno di un postribolo. Fanciulle delle prime famiglie abbandonavano i loro genitori per correre il mondo con i loro. amanti. Donne, annoiate dai loro mariti, sapevano scoprire ragioni ributtanti per invalidare il loro matrimonio e dichiaravano apertamente bastardi i loro figli.

Anche la classe cittadina imitava questi vizi con slancio ancora più grande, in quanto allora i matrimoni, in proporzioni ancora assai maggiori che non oggi, erano conclusi solamente per interesse, spesso anche mentre gli sposi erano bambini.
La violazione delle leggi più elementari del costume, la derisione di ogni freno, di ogni elemento intellettuale e morale si diffusero dall'alto al basso per l'intera nazione. La borghesia facoltosa poi cercava di scimmiottare la nobiltà nell'immoralità come nel lusso. Essa comprò ad un prezzo elevatissimo il diritto di portare stemmi, al pari dei nobili. Gli uomini della classe media portavano al cappello piume ondeggianti, le donne pizzi e ricami costosissimi ad onta delle leggi che limitavano il lusso, accontanate o rinnovate con la disperazione dei negozianti. Del resto si disprezzavano volentieri l'un l'altro; così il parigino, disprezzava il provinciale, il nobile disprezzava il parigino, la gleba della campagne entrambi.
Le altre nazioni non restavano molto indietro alla francese. La corte, la nobiltà e la borghesia in Inghilterra sotto gli ultimi due Stuart erano altrettanto dissolute e molto più brutali che i loro simili in Francia. L'ardita sfrenatezza e la furba oscenità della commedia inglese di quel tempo non sono state raggiunte nemmeno dai poeti da osteria. Si accresceva l'effetto, ponendo gli scherzi più osceni sulle labbra delle attrici più giovani e più graziose.

Per la sua miseria la Germania resistette a lungo alla penetrazione dello spirito francese nelle classi più numerose del suo popolo; forse non si era molto morali, ma meno voluttuosi e raffinati. Invece la corte e la nobiltà secondo il loro potere facevano come i Francesi. La parrucca, tanto contro natura quanto pomposa, il vero simbolo del dominio del «Re Sole», divenne abituale tra le persone ragguardevoli; nelle loro signore troviamo il busto rigido con un profondo incavo, che spingeva fuori artificialmente il seno, come i capelli rialzati, che culminavano nella «Fontange», cuffia sostenuta da un'armatura di fili metallici, che saliva sopra la fronte a modo di ventaglio, spesso fino a 60 cm. di altezza e faceva riscontro alla parrucca.
Allora, alla fine del secolo XVII comparvero anche i finti nei civettuoli. Le mode degli uomini erano costose come quelle delle signore. Gli abiti dovevano essere di seta o di velluto guarniti riccamente di ricami costosi in oro e in argento e di pizzi. Ognuno viveva al di sopra della propria condizione. «Vien fuori uno con un pennacchio di piume, con catena d'oro, con abito a sparato ed è un mercante (un sacco di pepe); vuole esser un giovane gentiluomo ed è figlio di un sarto; non vuole esser più chiamato Metzger, ma signore di Metzegern».

Invece le donne tedesche delle classi medie cittadine conservarono ancora a lungo, come le inglesi, la foggia attillata del 1630.
Insieme con le classi superiori corrotte, anche la monarchia assoluta guardava con disprezzo la grande massa del popolo. L'assolutismo aulico era per tutta la sua indole così «distinto» che tutto quello che stava al di sotto della nobiltà, destinata esclusivamente alla sua glorificazione, era considerato come «canaglia» e trattato come tale. Il bene e il male, anzi la vita dell'uomo ordinario non pareva meritasse alcuna considerazione. Naturalmente la nobiltà e i funzionari anche in questo imitavano fedelmente il contegno del principe. Di simpatia, di compassione, di cuore nessuno parlava tra i sovrani intenti a deificarsi, i loro ministri altrettanto egoisti quanto servili ed i cortigiani risplendenti d'oro.
Un tempo il principe aveva spontaneamente frequentato il popolo, ne aveva diviso dolori e gioie, ed ora egli e la sua corte sfuggivano scrupolosamente ogni contatto con la «plebaglia». La popolazione rurale, come già accennato, languiva in un indegno servaggio. «Alla intera classe dei contadini si erano legate le mani; essa non poteva trovare in ciò che possedeva nè la soddisfazione nè l'interesse, che vi trova il proprietario indipendente; essa doveva continuamente cedere una grande parte del prodotto del suo lavoro; per essa non esisteva lo scopo di una lieta operosità, che alletta il coltivatore libero, l'accrescimento e il miglioramento della propria eredità. Lo sprone a un lavoro gagliardo gli era così interamente tolto».

Perfino degli schiavi esistevano allora nell'Europa civile e cristiana: Mori al servizio di personaggi ragguardevoli, o quali trombettieri o tamburini delle guardie del corpo dei principi; Turchi e Berberi per rematori nelle galere: schiavi di ogni sorta in gran numero, specialmente nella Spagna, dov'erano in commercio ad alto prezzo e martoriati impunemente con la durezza castigliana. Ma anche altrimenti si accentuava fortemente la differenza delle varie classi. Il matrimonio tra le persone delle famiglie dei nobili o degli alti funzionari e di quelle della gente comune era proibito in molti Stati, come in Prussia.

Ragazzi e giovinetti nobili nelle scuole e nelle università stavano in banchi diversi da quelli: dei cittadini. Era considerato come «cosa che toglie credito il battezzare un bambino di famiglia ragguardevole con la stessa acqua, con la quale si era battezzato un bambino di famiglia comune».

L'attività delle industrie perciò era del pari sottoposta a una tutela continua da parte dello Stato. L'amministrazione di Colbert in questo divenne un modello per le altre. Coloro che esercitavano un mestiere erano obbligati ad entrare nelle corporazioni, i cui statuti erano fissati dallo Stato, che vigilava poi sopra di esse per mezzo di propri ufficiali. Soltanto i regolamenti di Colbert per le tessiture riempivano tre volumi in quarto; tutte le sue prescrizioni industriali formerebbero una mole dieci volte maggiore. Un editto del 1673 puniva la bancarotta frodolenta con la morte. Di alcuni rami d'industria si fece un monopolio a vantaggio di singole persone, inoltre Colbert favorì in genere la grande industria a danno della piccola. Per mezzo di questi vincoli, imposti all'attività industriale da ordini superiori, fu impedita o ritardata a lungo la possibilità di progressi e di un miglioramento della fabbricazione, che procedesse dall'iniziativa privata, finché la concorrenza di altre industrie più libere non l'ebbe del tutto depressa quella francese, cosa che tornò specialmente a profitto degli Inglesi. La legittima consapevolezza del proprio valore di ogni singolo fabbricante e quella di tutta la classe ne era gravemente offesa. Talora questi erano posti alla berlina poichè per desiderio del committente avevano fabbricato un tessuto, che non era previsto nei regolamenti. Il fatto che vi erano molti consumatori, i quali chiedevano merci a buon mercato, e, sia pure di minor valore, sfuggì agli artefici di Stato. Il consumo di prodotti di massa era non solo ignorato, ma nemmeno concepito

Eppure ad onta dei loro inconvenienti le istituzioni economiche francesi furono imitate dalla maggior parte degli Stati. Nel 1660, appena istituita in Danimarca la monarchia assoluta che qui del resto riuscì benefica, si accordarono monopoli industriali e si fondarono anche industrie artificiali, che in contrasto con la natura del paese e con le abitudini dei suoi abitanti, ben presto andarono in rovina.
L'Inghilterra proibì l'esportazione delle materie greggie, principalmente della lana, sotto pena di morte, e impedì non solo l'importazione di prodotti stranieri, ma anche di ogni sorta d'industria nelle sue colonie e perfino in Irlanda, per risparmiare ogni concorrenza alla madre patria. L'emigrazione di esperti operai era sottoposta in tutti gli Stati ai più severi gastighi, estesi perfino ai parenti dei contravventori; il governo veneziano mandava addirittura dei sicari contro qualche artigiano del vetro che era riuscito clandestinamente a emigrare all'estero.
La grande industria, protetta e promossa dal sistema mercantile per la sua attitudine all'esportazione, rivolse allora il primo assalto ai mestieri ordinati in maestranza. La piccola industria difatti, ad eccezione dell'Inghilterra, dove anche in questo campo prevaleva l'inclinazione alla libertà politica, giaceva dovunque nei ceppi di antiquate istituzioni, fondate sulle maestranze. L'attività dei vari mestieri era nel modo più rigido limitato per cui ognuno di essi gli veniva impedito di fare altro.
Così vi era una differenza tra sellai e fabbricanti di finimenti, tra questi ultimi secondo il colore dei finimenti stessi, tra fornai che cuocevano pane bianco oppure scuro, tra calzolai che facevano scarpe e fabbricanti di pantofole. Il fornaio non poteva fare delle focacce, il sarto non poteva lavorare delle pellicce, e al fabbro non era permesso di fabbricarsi dei chiodi.

In Francia troviamo sei diverse maestranze di tappezzieri, le sarte distinte dalle venditrici di piume e da quelle che fabbricavano cuffie. Quivi p. e. non poteva riuscire in genere la fabbricazione delle latte laccate, perchè cadeva nel dominio di diverse corporazioni. In Sassonia la fabbricazione dei pattini era contesa tra sette maestranze. Se per un cambiamento improvviso della moda una classe di industriali cessava di smerciare i suoi prodotti, agli operai che li fabbricavano si impediva con lo statuto delle maestranze di passare al mestiere più affine.
Le singole corporazioni erano in continui litigi sull'estensione e sui limiti della loro competenza. In Francia tra pollaioli e rosticceri imperversò per 120 anni un processo sulla questione se quelli avessero il diritto di vendere galletti arrosti. Per decidere che cosa s'intendesse per abiti vecchi e nuovi i rigattieri e i sarti francesi hanno dato occasione a trentamila decisioni giudiziarie.
I membri delle maestranze parigine spesero in un anno per un simile processo circa un milione di lire (livres), che naturalmente aggiunsero al prezzo dei loro prodotti.

In Germania p. e. furono intentati numerosi processi per decidere se i telai delle finestre fossero lavoro da falegname o da vetraio. Quanto erano maggiori i progressi, che l'industria era in procinto di fare, e tanto più vivamente le maestranze privilegiate combattevano ogni concorrenza che le minacciasse. Il tirocinio era molto lungo, per lo più fino a sette anni e aggravato da tanti maltrattamenti che le famiglie per bene rifuggivano dall'indirizzare i loro figli a un mestiere.
L'apprendista poteva ottenere il grado di maestro soltando fabbricando un capo d'opera e soddisfacendo delle pretese cavillose e costose, che spesso non si potevano sostenere da persone senza mezzi. Spesso vi era perfino un numero limitato di posti di maestro, che erano destinati a chi appartenesse a certe famiglie o possedesse certi terreni privilegiati. A Firenze, prima si poteva diventare maestro dopo un numero considerevoli di anni di apprendista, poi non contarono più nulla gli anni, maestro lo poteva diventare solo il figlio del vecchio maestro.

Più decadeva miseramente la costituzione per le maestranze nella Germania, dove la condizione economica era grave e le innumerevoli frontiere doganali bloccavano gli smercio, e più come unico rimedio idee grette e ottuse prevalevano e invocavano sempre nuove limitazioni.
Non si stancavano mai di trovare sempre nuove vessazioni, ridicole formalità e nuovi arzigogoli. Entrando durante la sua peregrinazione in un settore a lui vietato o violando un qualsiasi uso insignificante, l'apprendista poteva perdere per sempre il diritto ad ottenere il grado di maestro. Era bollato a vita come un delinquente.
In uno Stato assoluto la vita di tutte le classi sociali era rigorosamente limitata e regolata. È noto che nel maggior numero dei paesi tedeschi ed anche in Prussia il nobile non poteva esercitare nessuna industria borghese, il cittadino non poteva comprare dei beni nobiliari, nè il contadino praticare un mestiere.
I posti di ufficiale e di funzionario superiore furono in tutta l'Europa riservati sempre più alla nobiltà; solo un'abilità straordinaria poteva procurare alla borghesia un simile posto, ma solo in casi eccezionali, che tuttavia si facevano sempre più rari.

Tutto il popolo stava nella sottomissione più devota di fronte alla nobiltà ed ai pubblici ufficiali.
La massima felicità per un commerciante, per un artigiano tedesco, era di aver per cliente uno dell'alta nobiltà, un consigliere.
II principato assoluto francese si era fin da principio adoperato per regolare e determinare anche la vita intellettuale. Già nel 1635 Richelieu aveva fondato a questo fine l'«Académie française» e Luigi XIV aveva poi istituito le altre accademie, che dovevano imprimere il bollo ufficiale anche alle scienze ed all'arte.

Guai a colui che osasse pensare con la propria testa e di parlare secondo le sue convinzione! Quando Mezeray nella sua breve storia della Francia manifestò parecchie idee sgradite, Luigi subito gli tolse la pensione. Il «Gran Re» non poteva tollerare una stampa che avesse la pur minima idea di indipendenza. Tra i quarantaquattro prigionieri, che nel settembre 1661 si trovavano nella Bastiglia, vi erano non meno di dodici scrittori di gazzette che avevano "osato"!
Due altri furono chiusi nell'aprile del 1662 nella stessa prigione di Stato, non perchè attaccassero il governo, ma perchè senza il suo permesso avevano diffuso delle notizie manoscritte. Lo stato fondato sulla polizia ottenne in Francia uno sviluppo veramente ideale e divenne il modello di meschini governi burocratici in quasi tutti gli Stati dello corso del secolo XVII. In tutto s'immischiava l'autorità: che cosa si mangiava, chi dovesse portare abiti ricamati d'oro e chi d'argento, come dovessero essere adornate le carrozze, se si dovesse andare in chiesa con la maschera, chi dovesse vendere pollame crudo e chi cotto, quale forma dovessero avere le parrucche.

Aumento della prosperità, della civiltà materiale e della cultura intellettuale, assicurazione della tranquillità e dell'ordine, ma anche infiacchimento dei caratteri, prevalenza del lusso e della scostumatezza, disprezzo del popolo, norme tiranniche date all'attività industriale e a quella intellettuale: sono queste le conseguenze sociali del principato assoluto.

È una prova inoppugnabile degli stimoli sani e profondi che tutto il nostro pensiero aveva ricevuto dalle grandi conquiste succedutesi dal 1492 in poi, il fatto che, ad onta di tali impedimenti e difetti, appunto in questo periodo si svolse comuqnue - e forse per eazione - nell'Europa una vita intellettuale imprevista, nuova, originale e vigorosa.
Il secolo XVI si è conquistato per sempre un luogo eminente nella storia dello sviluppo del genere umano in seguito a due grandi fatti: la scoperta dell'altro emisfero e la riforma religiosa.

L'ultimo movimento, che appartiene del tutto al campo intellettuale, derivò prevalentemente dai popoli germanici; l'opera delle grandi scoperte invece, affare più pratico, è dovuta in modo speciale ai popoli romanici. La scoperta dell'America confermò in modo sorprendente le teorie della antica scienza e questo fatto grandioso aumentò in modo straordinario la considerazione, in cui essa era tenuta, e la fiducia che in essa si riponeva.

Con la tendenza scientifica si congiunsero un secolo più tardi il profondo spirito critico e l'indifferenza di fronte alle formule confessionali, che erano derivate dalle lotte ostinate delle tre confessioni religiose cristiane, combattute con tutte le armi dello spirito e della forza materiale e tuttavia ancora indecise.

Così, volgendo le spalle ai dogmi ecclesiastici, le menti si volsero all'investigazione razionale del fondamento stesso dell'esistenza, prima nel campo filosofico, poi anche in quello delle scienze naturali, ed qui in tempo relativamente breve giunsero alle scoperte più stupefacenti e alle più meravigliose invenzioni tecniche. «Soltando scrutando addentro nelle cause fisiche dei fenomeni si poteva creare una tecnica, che non soltanto empiricamente con l'imitazione rafforzasse gli organi motori dell'uomo, ma tenesse conto di forze, per le quali non si può trovare nell'uomo alcuna misura. E inversamente soltanto i progressi della tecnica hanno reso possibile di penetrare profondamente nel più intimo della natura. L'immagine dell'universo è divenuta del tutto differente, ora soltanto il mondo si è dischiuso all'uomo in tutta la sua grandezza».

Così si forma il carattere dell'età moderna, col riconoscere cioè inevitabile un esame generale e profondo di tutti i primi e fondamentali principi della scienza. Questa massima è poi applicata anche alla scienza dello spirito, alle questioni sociali e politiche. La critica storica si risveglia, la filosofia si libera dai vincoli della scolastica, la letteratura si volge sopra tutto all'analisi dei processi psicologici.

La tendenza ascetica, impressa dal cristianesimo al pensiero europeo, è abbandonata a favore di un modo utilitario di concepire le cose, che si esprime anche nella vita dello Stato, con l'importanza attribuita ai motivi economici. Non si tiene più lo sguardo fisso all'altro tenebroso mondo, ma a questo sempre più solare; non più lo scopo dell'individuo e della società è un'esistenza priva di aspirazioni e povera, ma il maggiore aumento possibile del benessere materiale, diventa base per le aspirazioni più elevate.

Invece delle idee religiose e politiche di papato e d'impero, l'industria, il commercio, la diplomazia divengono i mezzi di unire tra loro popoli e Stati, che sempre più hanno pieno sentimento della loro individualità nazionale, anzichè sentirsi come prima soltanto membri sì della Cristianità ma con le ali tarpate e benedette con la "rassegnazione" oppure in attesa di un "provvidenza" che da quando si nasce e fino a quando si muore alla maggior parte della popolazione non arriverà mai.

Questo processo d'individualizzazione va sempre avanti. Non più le corporazioni professionali nel loro complesso rappresentano lo Stato, ma i singoli uomini senza distinzione della classe, da cui procedono.

Il diritto dell'individuo è il verdetto dell'età moderna. Ciò che è uniforme e tipico nell'uomo e nelle cose e che durante il medio evo ha dominato nella vita, come nella scienza e nell'arte, scompare e cede il posto a manifestazioni individuali espresse con coraggio, lucidità, intelligenza e vigore, che sono nazionali ma hanno una somiglianza cosmopolitica. Ciò che esprime un uomo di pensiero in Inghilterra, dopo qualche giorno viene recepito in Francia, in Germania, in Italia, in Russia; obvviamente per chi ha l'animo liberi per "sentire" e cervello per "vedere".

Nella concorrenza intellettuale di tutte le nazioni, di tutte le classi e di tutti gli individui si viene a scoprire tanta verità, quanto mai prima si era scoperta attraverso tutti i millenni della storia. Lo spirito scientifico, che durante il medio evo era soffocato dal misticismo e dalla credenza nel miracolo, che continuamente si riproducevano e tutto opprimevano, crebbe sempre più potente fino a divenire una potenza dominatrice del mondo.
L'intero modo di concepire il mondo prese una nuova forma e mutò con esso l'aspetto della terra e dell'umanità. Mai aveva prima avuto luogo un così grande rivolgimento nelle idee, nelle condizioni di vita, nei bisogni, nei mezzi di tutti e di ciascuno.

Si può dire che l'uomo del secolo XVI è più simile a quello dell'antichità che non all'uomo attuale, dopo tre secoli.
A dire il vero le potenze, che avevano dominato il mondo per un millennio e mezzo, non erano così facili a vincere. La Chiesa con un istinto sicuro riconosceva nella scienza della natura la sua nemica più pericolosa.
La dottrina di Copernico della rivoluzione della terra intorno al sole, relativamente fisso, fu condannata dalla Curia come eretica; la Curia poi, in lotta con le opinioni di Galileo intorno alla condizione dei pianeti, era preoccupata di trovare un ricovero agli angeli, che fin allora vi avevano dimorato, e dalla legge nwetoniana della gravità recentemente scoperta vedeva minacciato il diavolo nella sua tana sotterranea.

Quanto più vivacemente la lotta intellettuale minacciava la tradizione e tanto più i principi conservatori perseveravano in una bigotteria angusta e intollerante. Luigi XIV reprime duramente il giansenismo e revoca l'editto di Nantes.

Eccolo il grande Luigi celebrato dai "suoi" artisti, nel "Trionfo sul Giansenismo"

Nell'Austria-Ungheria l'imperatore Leopoldo I si mostra inesorabile nemico degli eretici ed arrischia dieci volte la sua corona ungarica piuttosto che accordare la minima tolleranza ai protestanti di quel regno. Suo figlio minore Carlo (VI) nutre devozione così grande verso la Chiesa da passare ogni giorno nove ore in chiesa, dalla domenica delle palme fino al mercoledì dopo Pasqua. Dovunque meno che nel Brandeburgo e in Prussia, gli eterodossi sono trattati ingiustamente e angariati.

Tuttavia per quanto fossero potenti quei sovrani, i loro sforzi non potevano arrestare lo svolgimento delle idee di tolleranza e di quelle razionalistiche, che generate dallo spirito scientifico e sempre più potenti riempivano le menti colte.
Nei secoli XVI e XVII quei cattolici, che erano infedeli alla loro chiesa, passavano al protestantesimo o al giansenismo; dalla fine del secolo XVII si tengono semplicemente lontani da ogni comunità ecclesiastica. Le questioni confessionali non destano più un interesse prevalente; perciò ogni tentativo di fondare una nuova comunità religiosa deve far naufragio nell'intima indifferenza perfino di coloro che sono esteriormente e devotamente religiosi.

La vera cittadella del razionalismo fu all'inizio l'Inghilterra. L'intolleranza dei puritani vi aveva già provocato una vivace reazione; perfino la chiesa di Stato, quella anglicana, dopo le persecuzioni che aveva dovuto soffrire da parte dei presbiteriani e degli indipendenti, divenne sostenitrice della tolleranza. Chillingworth, Hales e Taylor, sebbene teologi protestanti convinti, glorificarono intorno alla metà del secolo XVII la libertà di coscienza e la tolleranza e divennero così i fondatori della tendenza che nella chiesa inglese fu chiamata latitudinarismo.
Trovarono presto un forte alleato nello spirito razionale, diffuso dai filosofi Hobbes e Locke. Infine nell'anno 1677 fu abolita formalmente la legge, la quale prescriveva che gli eretici fossero arsi nei barbari e (questi sì) immorali e osceni falò.

In Germania già da lungo tempo una dinastia aveva dato luminoso esempio di tolleranza religiosa - il primo nell'Europa cristiana - quella degli Hohenzollern. Dacchè nel 1616 l'elettore Giovanni Sigismondo era passato alla confessione riformata, anche in mezzo agli universali odi religiosi e alle ardenti persecuzioni, essi non avevano cessato di proteggere tutti gli abitatori cristiani del loro Stato nell'esercizio della religione e del culto particolare da questi professato e di adoperarli negli uffici pubblici, sebbene con qualche preferenza per i riformati. Il Grande Elettore divenne un convinto e perseverante difensore della pace ecclesiastica nel suo stato e quando potè anche fuori di esso. E questo esempio accese molti animi. Già si vide un elettore arcivescovo di Magonza, Lotario Francesco di Schonborn (1695-1729), badare poco alla confessione religiosa dei sudditi e governare con sollecitudine speciale il suo territorio protestante di Erfurt. Tutti gli elettori ecclesiastici seguirono il suo esempio.

Fino alla metà del secolo XVII un vero progresso scientifico si era avuto solo nella matematica e nell'astronomia come in alcune discipline fisiche, poichè il pregiudizio e la superstizione velavano ogni sguardo che volesse penetrare nel rapporto naturale delle cose. Ma dopo questa data un completo rivolgimento di principi, che procede dai grandi creatori della filosofia moderna, Descartes e Spinoza, accolto poi in Inghilterra, ma diffuso però principalmente dalla Francia. L'economia politica, la statistica, la fisiologia, l'etnografia e diverse discipline filosofiche prendono origine con la cooperazione di questi due popoli.
In Italia sorge una grande scuola di riformatori della giurisprudenza. Tutta la Germania è presa da questo poderoso movimento e poi nel secolo seguente è portata al sommo dello sviluppo filosofico, scientifico e letterario, ad un'età di grandezza intellettuale, che fu più splendida ed operò più estesamente che non all'epoca della maggior ricchezza Greca.

La rivoluzione compiutasi nel concetto filosofico della natura e nella tendenza delle scienze naturali si manifestò presto praticamente nella medicina.
Durante la maggior parte del secolo XVII dominava ancora il dogma del metodo galenico: costruzione aprioristica di un'immagine anatomo-filosofica, secondo supposizioni arbitrarie, senza badare ai fatti od anche alterandoli. Tuttavia il perfezionamento dell'anatomia, che si andava gradatamente compiendo, e la creazione recente di una fisiologia sulla base di esatte osservazioni e dell'esperienza, insieme alla partecipazione continua delle altre scienze naturali e specialmente della fisica alla soluzione dei problemi fisiologici e patologici, produssero finalmente, verso la fine del secolo, la caduta di Galeno e l'abbandono dei concetti della scolastica.
Più a lungo si sostennero nella medicina gli ultimi resti della mistica e della filosofia naturale, ma anche il loro potere era allora già distrutto. Sorgeva per la medicina pratica l'epoca del metodo esatto.
Dopo le idee mistiche di Giov. Battista van Helmont, che considerava tutte le malattie come una conseguenza del peccato originale e ne implorava la guarigione con la preghiera, gli esorcismi, gli incantesimi e le panacee, prevalse dapprima la fisiologia umorale, che cercava nei succhi del corpo le cause della malattia; la loro fermentazione provoca processi, che col prevalere di un sale «acido» o alcalino, producono tossine e quindi malattia.

I rappresentanti più segnalati di questa scuola furono il neerlandese Francesco de la Boe (Silvio) e l'inglese Tommaso Willis. La terapia di questa scuola ricorreva all'uso di tre grandi mezzi: vomiti, purganti e salassi. Cousinot, il primo archiatro di Luigi XIV, durante un raffreddore reumatico si cavò sangue sessantaquattro volte nello spazio di otto mesi !

Meno apprezzata era la dottrina opposta della patologia solidare, che si basava sulle azioni meccaniche degli elementi solidi del corpo e praticava una terapia del tutto arbitraria. A questa scuola appartenevano l'italiano Santori, che creò la dottrina dell'evaporazione insensibile (perspirazione) e Giovanni Borelli, che procedeva con metodo cauto ed obiettivo.
Indipendente da tutte le scuole si tenne l'inglese Tommaso Sydenham (1624-1689), acuto osservatore, che nel trattamento del malato badava accuratamente alla sua individualità. Lui notava che alcuni malati che non si angosciano, non si abbattono, non temono le sciocche fatalità del fato, guarivano meglio.

Intanto gli studi teorici prendevano un incremento confortante. L'anatomia divenne più profonda unendosi alla fisiologia; i medici si dedicarono con ardore ad imparare la chimica e la fisica. Nelle università furono istituiti appunto per i medici orti botanici, laboratori di chimica e teatri anatomici. In Olanda s'iniziò il vero insegnamento clinico universitario. La dottrina di Guglielmo Harvey sulla circolazione del sangue nel corpo animale, fertile di resultati e per lungo tempo combattuta, riuscì infine vittoriosa sui suoi avversari.

Marcello Malpighi (1628-1694) la rese compiuta con la scoperta pubblicata nel 1661 dei globuli del sangue e della sua circolazione nei capillari. Nicola Stenone, un danese, dimostrò che il cuore è il muscolo, cui è principalmente dovuta la circolazione del sangue, mentre prima si era considerato il fegato come l'agente di essa. Tutte queste scoperte, che trasformavano completamente la fisiologia del corpo umano, destarono il maggior rumore: Luigi XIV - non potendo farne a meno pena la decadenza della sua università - istituì in Parigi una cattedra speciale per la dottrina della circolazione del sangue.
In tal modo si perfezionò la medicina interna. Nuovi medicamenti furono scoperti ed usati, come la china, che i gesuiti introdussero in Francia dal Perù nel 1638 e l'ipecacuana, che dei mercanti portarono pure in Francia nel 1686 dal Brasile e che fu adoperata come specifico contro la dissenteria.
L'ostetricia passò ai medici dalle levatrici, che prima s'impiegavano esclusivamente, e fu essenzialmente promossa dalla invenzione del forcipe, fatta da Paolo Chamberlens intorno al 1650.
La chirurgia propriamente detta soffriva ancora un disprezzo del tutto irragionevole, ed era abbandonata ad esercenti (barbieri) rigorosamente distinti dai medici. L'insegnamento della chi
rurgia era regolato in modo soddisfacente solamente in Francia, dove per esisteva uno speciale corpo accademico. E fu così eccellente e rigorosamente scientifica che la chirurgia francese potè godere di progressi più rapidi e durevoli rispetto alla stessa medicina. Negli altri paesi i chirurghi costituivano una maestranza e la loro professione si insegnava e si apprendeva nella corporazione, come un mestiere manuale. Il chirurgo dotto, ponderato, che aveva studiato anatomia nelle università , ebbe a soffrire per ancora molto tempo la concorrenza dei barbieri.

Meglio ordinato era quello che riguardava la farmacia. I farmacisti in tutti i paesi colti dovevano dar prova del loro sapere davanti a una commissione di medici e percorrere un determinato tirocinio pratico, prima di potere esercitare liberamente.
I medici propriamente detti erano relativamente rari. In Parigi ve n'erano soltanto 250 sopra una popolazione di circa un milione di abitanti. Godevano di una grande considerazione e con molta serietà attendevano alla loro professione, non facendo altro che visitare i malati e scrivere delle ricette; evitavano d'intromettersi in ogni cosa che spettasse alla chirurgia.

Erano esenti da imposte e ricevevano onorari considerevoli. D'altra parte furono molte volte dileggiati a cagione della loro pedanteria e della loro vanità, come a motivo del loro spirito di sistema estremamente esagerato e furono in modo speciale presi in giro dagli autori di commedie.
I luoghi di bagni erano molto frequentati, in Germania specialmente Pyrmont e Karlsbad, in Italia a Lucca. Certo i luoghi adatti per bagnarsi o per bere le acque e gli alloggi erano estremamente semplici: molti malati dovevano col loro seguito accamparsi sotto tende.
Gli ospedali cominciarono ad essere molto frequenti e per lo più vi erano addette delle infermiere. Pochi medici si contavano nei corpi militari, mentre un numero molto maggiore erano i chirurghi, per amputare arti, lenire ferite ai reduci delle numerose battaglie.

Quanto più le scienze naturali e la medicina prendevano un indirizzo esatto e tanto più andava scomparendo la credenza non solo ai malefici e alle streghe, ma in genere al soprannaturale, a quelle solide basi , su cui avevano poggiato fino allora le chiese positive.
Era appunto un indizio di cultura, in Inghilterra come in Francia, il mostrarsi estraneo ad ogni religione. Lo studio delle scienze naturali divenne in tutte le classi l'occupazione prediletta; prima in Inghilterra poi in Francia.
Il sentimento storico - e con esso un sostegno dello spirito conservatore - si estinse per cedere il luogo a questi studi scientifici sulla natura, che tutto ponevano sottosopra; e soltanto nel secolo XIX si è ridestato col romanticismo.

Anche l'arte passò dalla Chiesa al mondo laico. Dopo che l'invenzione del recitativo, poco prima dell'anno 1600, ebbe reso possibili dei veri e propri drammi musicali, fu creata l'opera, che in tutti i paesi fu accolta trionfalmente e respinse in seconda linea la musica liturgica da chiesa, che fin allora aveva dominato da sola.
Eseguita dapprima soltanto alle corti dei principi, l'opera divenne poi un divertimento pubblico; nel 1637 fu aperto in Venezia il primo teatro d'opera (il S. Cassiano). Claudio Monteverde in Italia, Lulli in Parigi, Purcell a Londra fondarono scuole nazionali di composizione musicale; un periodo di splendore dell'opera cominciò poi, verso la fine del secolo XVII, con la scuola napoletana, fondata da Alessandro Scarlatti, che mise in trono la melodia.

La predilezione del pubblico di ogni paese per l'opera fu illimitata; soltanto in Venezia vi erano verso il 1700 non meno di dodici teatri d'opera. I compositori di canti ecclesiastici e di rappresentazioni strumentali cedettero il posto ai direttori delle orchestre teatrali, che divennero allora i capi del movimento musicale; loro cooperatori furono i cantanti d'opera, che si sostituirono ai membri sacerdotali delle cappelle ecclesiastiche. Un'altra creazione mondana fu quella della musica da camera nel mezzo del secolo XVII, un pleludio dei grandi lavori di concerto nel secolo XVIII.

Lo spettacolo teatrale propriamente detto era stato sempre solennemente condannato dalla Chiesa in tutte le sue varietà; le attrici erano considerate al pari delle prostitute; il teatro il cattolicismo lo aveva tollerato soltanto come mistero religioso, eseguito nelle chiese, il puritanismo invece in nessuna forma. Gli attori e le rarissime attrice per la loro professione venivano accusate da tutte le autorità vescovili come colpevoli di peccato mortale, e perciò incorrevano nella scomunica; al loro letto di morte si rifiutava loro l'assoluzione e poi si seppellivano i loro cadaveri come quelli dei cani.

Molière e Racine come poeti drammatici poterono a stento ottenere il perdono del clero. Nondimeno il gusto del pubblico accolse appassionatamente il teatro, gli attori più noti e celebrati dal pubblico furono ospiti di personaggi ragguardevoli, perfino dai re. Il dramma religioso - prescindendo dalla Spagna - era morto, quello mondano dominava.

I lineamenti individualistici della nuova epoca si mostrano chiaramente anche nelle arti del disegno. In tutto il medio evo furono del tutto considerate come speciali mestieri. La gilda dei pittori, a cui appartenevano gl'imbianchini e i doratori, la corporazione degli scalpellini, che comprendeva anche scultori ed architetti, stavano a fianco alle altre corporazioni; la professione di artista era ereditaria, come fu anche nei secoli seguenti nei sei Holbein, nei ventotto Tischein, negli otto Füssli, nei cinque van Huisum, nei Merian, nei Mieris, nei Breughel, nei Teniers, nei Quaglio e poi nei Bach e in molti altri. Gli artisti medioevali pensavano così poco a segnare le loro opere col nome, come all'incirca un calzolaio e un sarto. Il posto di pittore di corte era ereditario come quello di trombettiere di corte, del suonatore di cornetta della città, del cantore.

'elemento puramente tecnico, che poteva essere ereditato e appreso, era considerato anche nell'arte come la cosa principale, e l'artista (quando lo diventava dopo aver fatto anni e anni di "bottega") non più di un artigiano. Salvo quei pochi che avevano una genialità e creatività fuori dal comune.

Con la vittoria del rinascimento e con la splendida fioritura dell'arte italiana la cosa fu diversa. D'allora in poi l'artista tiene gran conto di sè stesso, esprime l'individualità sua più caratteristica, è riconosciuto come tale anche dai profani, è da loro giudicato e ammirato. Indizio di ciò è il formarsi di un gran numero di leggende intorno ad ogni artista importante, le quali riflettono tutto il soggettivismo dell'arte nuova e l'ambizione personale dei suoi seguaci. Con questo scompare anche la «pietà» speciale, già vantata negli artisti precedenti che era propria in ogni corporazione. Invece allora, specialmente i pittori, credevano di dovere dimostrare la loro genialità con un tono possibilmente sfrenato ed esuberante.
Questa sfrenatezza e questi sentimenti eccessivi si mostrano anche nell'architettura. La dignità nobile e tranquilla del rinascimento nell'eta di Luigi è abbandonata; si vuole imporre con la grandezza e la magnificenza, con l'effetto pittoresco, con l'eccessivo ornamento dei singoli membri architettonici e in pari tempo creare del nuovo, che risponda al gusto fastoso di quel tempo cortigiano.

Questo è la così detta «stravaganza» dello stile «barocco», che presto conquistò tutti i paesi d'Europa. Prima di tutto l'Italia, dove il fantastico e capriccioso Borromini e i suoi scolari sacrificarono ogni schietta bellezza, ogni nobile e appropriata misura, ogni significato logico dei singoli membri architettonici alla violenta e tuttavia fredda ricerca di effetti grandiosi, variati, sorprendenti. Il barocco francese compensò il difetto di slancio e di fantasia con una vuota sovrabbondanza ed una pompa stucchevole.

Anche nell'architettura tedesca del secolo XVII, specialmente in Austria, in Baviera e negli altri domini cattolici, fu prima imitato il variopinto e splendido barocco italiano. Presto però vi venne di moda l'onnipotente gusto francese, perché i giganteschi palazzi di Luigi XIV provocarono l'invidia operosa dei principi tedeschi. Ognuno di loro volle avere la sua Versailles, il suo Trianon.
Di una qualsiasi indipendenza e individualità non era il caso di parlare più sia per le cose sia per gli uomini, sotto l'influenza dell'illimitato assolutismo derivato dalla Francia.

Questo ci mostrano le molte costruzioni di residenze principesche di quel tempo con le loro lunghe strade uniformi, rettilinee e in modo del tutto speciale la Friedrichstadt a Berlino, edificata dall'architetto Nehring della corte elettorale.

Eppure Nehring avrebbe potuto compiere qualche cosa di ben differente e di più grande. Una nobile tendenza classica si mostra nell' «arsenale di Berlino, costruito da lui dal 1685, forse meno disturbato dal committente. Per quest'opera a lui si associò il grande Andrea Schlüter, collocando sulle finestre dell'arsenale le teste commoventi di guerrieri moribondi; il medesimo ha trasformato in maniera più vasta e poderosa un altro edificio berlinese, il castello del nuovo re. Qui ha creato qualche cosa di caratteristico e d'indipendente. Ma in questo Nehring e Schlüter si trovano soli.
Dresda fu la sede principale dell'architettura francesizzante; il Krâger Palais nel Grande Giardino, edificato verso il 1680è in certo modo una miniatura di Versailles. E così percorrendo gli innumerevoli palazzi principeschi, che in quel tempo sorsero in tutti gli Stati e in tutti gli Staterelli germanici, uno somiglia esattamente all'altro, tutto è una servile imitazione del modello delle residenze francesi.

Anche nella scultura tedesca Schlüter è un'eccezione in mezzo al periodo rilassato e arabescato del più tardo barocco; egli, il creatore della nobile statua equestre del Grande Elettore in Berlino, modellata vigorosamente e dotata di un bel movimento.
Al suo fianco sta Raffaello Donner di Vienna, che qui vi ha modellato le figure nella fontana del nuovo mercato, finamente concepite ed eseguite con naturalezza. Questi uomini appartengono alla serie di quegli spiriti, che alla Germania di quel tempo additarono nuove vie al pensiero e al sentimento nazionale.
La fine del secolo XVII e il principio del XVIII segnano il momento, in cui il popolo tedesco nella sua indistruttibile vitalità comincia a sollevarsi dalla profonda miseria morale e intellettuale, portata alla nazione dalla guerra dei trent' anni, e ad avviarsi a un migliore e più glorioso avvenire.

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