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88. L'INGHILTERRA E LA FRANCIA NEL XV SECOLO

 

Avevamo nel capitolo 80° lasciato l'inghilterra alla morte di EDOARDO III avvenuta nel 1377, all'età di 65 anni, dopo 50 anni di regno. Durante il suo periodo in grazia delle grandi guerre con la Francia e delle gloriose gesta del suo esercito, la nazione inglese raggiunse la sua completa formazione; una nazione che diventa il simbolo delle libertà con il suo Parlamento, che si trasformò definitivamente in quella struttura che nella sua sostanza si è conservata fino ad oggi, e che aveva già conquistato quella sua incrollabile posizione nella vita politica nazionale e fra le istituzioni dello Stato.

In Inghilterra ad Edoardo III successe il nipote undicenne RICCARDO II (re 1377-1399) il figlio del principe nero; in suo nome tenne la reggenza lo zio Giovanni, duca di Lancaster, uomo irrequieto ed ambizioso, sotto il cui governo andarono perduti gli ultimi possedimenti inglesi nella Francia meridionale.
Anche nella politica interna il Lancaster non ebbe la mano felice. Il tentativo da lui fatto di ridurre nell'antico stato di asservimento la classe dei contadini che dalla metà del secolo XIV aveva cominciato ad elevarsi ad una condizione di maggiore indipendenza sociale ed economica, provocò nel 1381 una pericolosissima sollevazione delle classi inferiori della popolazione, le quali si diedero su larga scala a saccheggiare ed incendiare le dimore ed i castelli nobiliari nella campagna.

Anche Londra cadde nelle mani degli insorti, cui il giovanissimo re dovette personalmente promettere la rimozione di ogni molestia, l'abolizione della servitù della gleba e lo svincolo delle servitù personali. In seguito però, avendo la borghesia londinese preso in mano le armi per respingere gli invasori, anche la nobiltà si riebbe dalla primitiva sorpresa e l'insurrezione anche con loro venne domata con la forza; il parlamento dopo questo successo delle armi dichiarò di nessun effetto le concessioni fatte dal re agli insorti.

Così la sconfitta dei contadini fu fino ad un certo punto anche una sconfitta della corona; essa inaugurò un'epoca di predominio del parlamento, contro il quale il re invano tentò ancora nel 1386 di ribellarsi. Ed allorché, raggiunta la maturità tre anni dopo, assunse il governo personalmente, fu costretto a promettere di mantenere i decreti emanati dal parlamento durante la sua minore età. Ma nel suo intimo Riccardo non abbandonò la speranza di innalzare l'autorità della corona al di sopra di ogni altro potere concorrente e di vendicarsi nel tempo stesso di coloro che gli avevano angustiato la sua giovinezza. A tale scopo pose ogni impegno per formarsi un partito all'interno ed a trarre profitto per i suoi fini dalle complicazioni esterne; nel 1394 poi intavolò trattative di matrimonio con una figlia di Carlo VI di Francia per procurarsi un appoggio da questa parte.

Finalmente si sentì abbastanza forte per mettere ad esecuzione i suoi disegni. Un buon numero di nobili salirono il patibolo sotto l'accusa di alto tradimento; anche lo zio del re, il duca Tommaso di Gloucester, fu imprigionato e trovò poco dopo una morte misteriosa in carcere. Il figlio del duca di Lancaster, il conte Enrico di Hereford, che il re temeva, fu costretto nel 1398 ad andare in esilio. Ma allorchè, morto poco dopo il vecchio duca di Lancaster suo padre, Riccardo II ne incamerò illegalmente l'eredità, il vaso traboccò. Il conte di Hereford tornò in Inghilterra con un manipolo di seguaci (luglio 1399) e spiegò la bandiera della rivolta contro Riccardo, il quale nulla sospettando aveva intrapreso una spedizione in Irlanda.

I venti contrari ritardarono il suo ritorno, e quando poté toccare nuovamente il suolo inglese trovò tutto il paese insorto e cadde egli stesso nelle mani del conte Enrico di Hereford. Nella speranza di salvare la vita Riccardo rinunziò al trono; ma all'inizio dell'anno seguente si seppe che era morto; indubbiamente egli morì di morte violenta.
Dopo la rinunzia di Riccardo, il parlamento attribuì la corona ad Enrico di Hereford (Lancaster), discendente del terzo figlio di Edoardo III, ad onta che esistevano discendenti anche del secondo figlio. E perciò pure il regno di Enrico IV (1399-1413) stette sotto l'influenza dominante del parlamento e delle classi in esso rappresentate.
Il re concesse al parlamento il controllo dell'impiego dei fondi a lui accordati dall'assemblea nonché il controllo sull'amministrazione della casa reale e del paese.
Abbiamo già visto a suo tempo in un altro capitolo (l'87° quello sullo "scisma della chiesa") come Enrico abbia inoltre sacrificato all'alto clero i Lollardi, i seguaci di Wycliffe, ed abbia introdotto la pena del rogo per gli eretici.
Ciò malgrado non mancarono perturbamenti interni. Più' volte il re ebbe a lottare con ribellioni di nobili, persino di coloro cui in sostanza andava debitore del proprio trono. Al suo governo mancava quel carattere di legittimità che gli avrebbe reso possibile di frenare la tracotanza e l'insubordinazione della nobiltà. Tuttavia Enrico in grazia della sua accortezza e delle sue spiccate qualità militari riuscì a domare tutte queste rivolte come pure la pericolosa sollevazione del Paese di Galles, capitanata da Owen Glendower, il quale peraltro si rifugiò sui monti inaccessibili della regione, dove continuò a tener testa.

Enrico poi tenne a bada la Scozia approfittando della circostanza che aveva potuto impadronirsi del legittimo erede del trono, Giacomo (I) Stuart, che era stato scacciato da suo zio Roberto d'Albany.
E già il re cominciava ad assumere una attitudine più indipendente ed energica anche verso il parlamento quando nel 1413 lo colse la morte in età di soli 47 anni.
Gli successe il figlio ENRICO V (1413-22), meritamente immortalato da Shakespeare. Questo sovrano, che da principe ereditario si era fatto notare per la sua vita scapigliata, si mostrò dopo la salita al trono pari all'elevatezza della sua missione. Deciso di romperla col passato, cercò mediante generose amnistie ed altri provvedimenti di eliminare le opposizioni che suo padre, considerato da molti usurpatore, gli aveva tuttora trasmesso in eredità; soltanto le persecuzioni contro i Lollardi continuarono come prima; la più nobile delle vittime di tali persecuzioni fu lord John Oldcastle che venne giustiziato nel 1419.

Ma soprattutto Enrico V spinse nuovamente la nazione inglese contro la Francia, sia perché comprese che questo era il mezzo più adatto per far dimenticare l'origine illegittima dell'assunzione al trono della casa di Lancaster, sia perché le stesse condizioni interne della Francia costituivano il migliore incentivo a riprendere la politica di Edoardo III.

Anche in Francia dopo la morte prematura di re Carlo V (1380) la corona era passata ad un fanciullo, l'allora dodicenne suo figlio CARLO VI (1380-1422); la somma del potere - data la minore età dell'erede - si concentrò nelle mani dei fratelli del re defunto, i quali sfruttarono le risorse del paese per i loro interessi personali. Fra costoro acquistò autorità ed influenza preponderanti il duca Filippo di Borgogna, il più giovane degli zii di Carlo VI, in seguito ai suoi successi nelle Fiandre: egli aveva infatti aiutato suo suocero, l'ultimo conte di Fiandra, ad abbattere la democrazia delle città fiamminghe, a capo della quale stava Filippo, figlio di Giacomo di Artevelde, con la vittoria riportata su di essa a Roosebeke (non lontano da Bruges) nel novembre del 1382; poi aveva ereditato egli stesso le Fiandre (1384).

Nel frattempo era cresciuto il giovane re, che nel 1385 fu sposato con Elisabetta (Isabeau) di Wittelsbach, figlia di Stefano di Hennegau; nel 1388 poi egli prese in sua mano le redini del governo, ma, dopo lodevoli inizi, si abbandonò con grave danno della sua salute alla vita sregolata, abituale allora nella nobiltà francese, e dal 1392 cominciò ad andar soggetto ad accessi di alienazione mentale, che alla fine lo resero incapace di governare. Da principio tornò ad impadronirsi dei territori di Filippo di Borgogna, ma ben presto la posizione gli venne disputata dal fratello del re, il duca Luigi d'Orleans.

Il duca d'Orleans, elegante, ambizioso, dotato di spirito, era la vera incarnazione del tipo della nobiltà feudale. Da un lato, come genero di Giovanni Galeazzo Visconti di Milano, egli mirava ad estendere l'influenza francese all'Italia settentrionale, e dall'altro era il rappresentante di un partito anglofobo che si era formato in Francia in conseguenza della deposizione di Riccardo II, il fidanzato della figlia di Carlo VI. Invece gli interessi dei suoi dominii di Fiandra spingevano il duca di Borgogna a mantenersi in buone relazioni con l'Inghilterra.

Sotto il figlio e successore di Filippo di Borgogna, Giovanni « l'Intrepido » (dal 1404) l'antagonismo tra i due partiti si fece più aspro, e quando il 23 novembre 1407 Luigi d'Orleans cadde assassinato nelle vie di Parigi nessuno dubitò che la sua morte era opera di Giovanni di Borgogna. Ciò malgrado quest'ultimo, che aveva come sua alleata specialmente la borghesia cittadina e soprattutto poteva contare sull'appoggio della popolazione di Parigi, tenne per molti anni il potere quasi senza opposizione.
In seguito però contro di lui si levò e gradatamente acquistò vaste aderenze il duca Carlo d'Orleans, figlio del duca assassinato; e ciò subito dopo il suo matrimonio con la figlia del ricco conte d'Armagnac, un discendente degli antichi duchi d'Aquitania, il quale aveva costituito con i fieri Baschi una truppa agguerrita.

Dal 1411 infuriò in Francia la guerra civile tra gli «Armagnacchi» ed i «Borgognoni », due partiti che incarnavano antagonismi nazionali, politici, sociali e storici; il mezzogiorno della Francia si pose contro il nord, la nobiltà feudale terriera contro la borghesia industriale, le province di più recente acquisto contro il vecchio nucleo dei territori della monarchia francese.
La vittoria arrise agli Armagnacchi, i quali, dopo aver avuto ragione della demagogia parigina alleata del duca di Borgogna (i così detti « cabochiens »), furono padroni della situazione e bandirono il duca.

Questa era la condizione interna della Francia allorché re Enrico V d'Inghilterra, conclusa nel 1414 una alleanza offensiva e difensiva con Giovanni di Borgogna, risollevò le pretese dei suoi antenati al trono francese e comparve con notevoli forze sotto Harfleux, la cui conquista gli aprì la via verso il cuore della Francia. Ma ad Azincourt sulla Somme venne a fronteggiarlo un esercito francese superiore di numero.
Peraltro i francesi non tennero alcun conto degli insegnamenti che loro avrebbe dovuto ricordare il vicino campo di battaglia di Crecy; ed anche questa volta, come nel 1347, le loro dense masse di cavalieri furono facile bersaglio degli arcieri nemici riparati in posizioni ben coperte ed inaccessibili alle cariche frontali. Più di diecimila francesi rimasero uccisi; altri, fra i quali il duca d'Orleans, caddero prigionieri (25 ottore 1415).

La sconfitta di Azincourt, cui seguì nel 1416 una vittoria della flotta inglese ad Harfleux, fu tanto più rovinosa per la Francia, in quanto la guerra civile durò a lungo all'interno. Nel corso di essa il duca di Borgogna si impadronì nel maggio 1418 di Parigi dove il conte d'Armagnac e molti dei suoi seguaci furono trucidati; i residui degli Armagnacchi però si riannodarono attorno al delfino Carlo (VII) per continuare a tener testa al partito di Borgogna. Nel frattempo gli inglesi occuparono la Bretagna e la Normandia. Questo fatto provocò un ravvicinamento tra il duca di Borgogna ed il delfino; si fissò un convegno; ma durante lo svolgimento di esso sorse un diverbio, dalle parole si passò ai fatti ed il duca fu ucciso dai gentiluomini del seguito del delfino (1° settembre 1419).

L'assassinio di Luigi d'Orleans era vendicato, ma la Borgogna veniva spinta nuovamente nelle braccia del nemico della Francia. Il trattato di Troyes suggellò infatti il completo passaggio del duca Filippo « il Buono », figlio di Giovanni di Borgogna, cui aderì pure il demente re Carlo VI nonché l'ambiziosa Elisabetta, sotto le bandiere di Enrico; fu stabilito che questi avrebbe sposato una figlia di Carlo VI e gli sarebbe succeduto sul trono francese; il delfino fu dichiarato decaduto dal suo diritto alla corona (1420); a Parigi, dove il re inglese fece il suo ingresso sulla fine dell'anno, gli stati del regno ratificarono il trattato, e dopo la firma avvenne il matrimonio di Enrico con Caterina di Francia.

Tutto il paese fino alla Loira cadde in sue mani. Ma Enrico non godette a lungo di questo trionfo perché la morte lo colse il 31 agosto 1422 in età di 35 anni; otto settimane dopo anche Carlo VI scendeva nel sepolcro, ed a Parigi veniva proclamato re d'Inghilterra e di Francia ENRICO VI, figlio di Enrico V e di Caterina, che non aveva ancora un anno.
In suo nome assunse la reggenza lo zio, duca di Bedford. Il legittimo erede del trono francese, l'imbelle e debole Carlo VII, completamente dominato dalla sua amante, la bella Agnese Sorel, si trovò ridotto nella condizione di un pretendente con scarse prospettive di migliore avvenire. La sua posizione anzi minacciò di diventare addirittura insostenibile allorché gli inglesi, nuovamente alleatisi con la Borgogna, ripresero nel 1428 la loro politica di conquista e si accinsero a penetrare nella Francia meridionale, ponendo l'assedio ad Orleans.

Ma qui le sorti cominciarono a volgersi contro di loro per opera della «Pulzella d'Orleans», Giovanna d'Arco, una pastorella del lorenese, la quale, guidata dalla ferma fede di essere stata inviata da Dio per liberare la propria patria, dopo aver superato non poche difficoltà ed ostacoli, riuscì ad entrare in Orleans, dove la sua comparsa ravvivò ed infiammò talmente il sopito sentimento patriottico dei suoi connazionali, che gli assedianti, invasi da terrore superstizioso, furono battuti e la città liberata (1429).

Fu l'inizio della resurrezione della Francia. Giovanna stessa condusse Carlo VII a Reims perché vi fosse incoronato; il che rappresentò agli occhi dei francesi il suggello della sua legittimità; essa, approfittando del fuoco di entusiasmo che si era propagato nel paese, questo fuoco lo avrebbe portato anche a Parìgi, se la fortuna non gli avesse volto le spalle.il pusillanime non si fosse mostrato restio a tentar la sorte.
Inaffti l'entourage di Carlo cominciò a considerare l'eroica fanciulla più che altro come una noia ed un imbarazzo. A lei quindi non rimase che proseguire di propria iniziativa, come duce di un esercito di volontari, la guerra di liberazione della Francia. Ma sfortuna volle che sotto Compiégne essa cadesse nelle mani dei borgognoni, che la consegnarono agli inglesi.

Giovanna fu condannata per stregoneria ed il 30 maggio 1431 subì il rogo, salda nella sua fede sino all'ultimo respiro.

Ma la riscossa del sentimento nazionale francese, cui essa aveva dato l'impulso, non si affievolì; gli inglesi, che già cominciavano a sentire il difetto di mezzi finanziari per continuare la guerra sul continente e che non si trovarono più appoggiati come prima dalla Borgogna, furono arrestati nella loro avanzata. Un primo tentativo di concludere la pace mediante un congresso tenuto ad Arras, fallì (1435); ma poco dopo, venuto a morte il duca di Bedford, Filippo di Borgogna si staccò definitivamente dagli inglesi e fece una pace separata con Carlo VII. Riaccesasi subito dopo la guerra, la vittoria arrise completamente ai francesi e borgognoni alleati. Nel 1436 fu riconquistata Parigi, e gli inglesi si videro ridotti alla Normandia e ad alcune piazzeforti del Maine e della Piccardia.

L'esaurimento di ambedue i belligeranti fece poi languire la guerra e dal 1444 regnò fra loro un armistizio formale. Nel 1448 gli inglesi tentarono nuovamente la sorte delle armi, ma invano; anzi ricevettero i colpi decisivi. Negli anni 1449 e 1450 perdettero Rouen, Harfleux, Cherbourg e subirono la disfatta di Formigny; nel 1451 videro cadere Bordeaux e Baiona. In seguito la lotta si concentrò ancora una volta attorno a Bordeaux; Talbot, conte di Shrewsbury, il famoso condottiero ottantenne degli inglesi, riprese la città; ma alla fine perse a Castillon con molti del suo esercito, e Bordeaux ricadde definitivamente in potere della Francia (1453).

La lotta fra le due nazioni era così finita; il tentativo dell'Inghilterra di insediarsi in Francia era fallito; di tutte le sue conquiste non le rimase in mano che Calais.
Nel frattempo in Francia si era già iniziata la riorganizzazione dello Stato. In una assemblea degli stati tenuta ad Orleans nel 1439 furono concordate importanti riforme e si avviò alla restaurazione delle finanze e dell'esercito.

Mentre cioè si provvide ad assicurare il regolare introito dei redditi dei beni della corona destinati al mantenimento della corte, e delle accise e dazi (aides) destinati a sopperire alle spese dell'amministrazione, si creò con la così detta taille (imposta fondiaria e personale permanente) una nuova fonte d'entrata che doveva servire all'organizzazione di un esercito permanente. Mentre dalla taille si esentarono la nobiltà, il clero e la borghesia delle città autonome, vi furono invece assoggettati i vassalli dei signori feudali, che così entrarono per la prima volta in rapporto diretto con lo Stato e con la corona.
La nobiltà rispose all'introduzione di queste riforme con una rivolta contro il re, ma questi riuscì facilmente a domarla, cosicchè venne tolto di mezzo ogni ostacolo all'attuazione della iniziata riforma dell'esercito. Con i migliori elementi delle truppe mercenarie furono costituite 15 compagnie di 600 uomini e di 100 lance, le così dette gens a'armes, le quali, assoggettate a rigida disciplina e distribuite in drappelli per tutto il paese a custodia della pace e dell'ordine, rappresentano il più antico esercito permanente stipendiato che abbia visto l'Europa.

Gli ufficiali erano nominati dal re. Venne inoltre organizzata una milizia, i così detti francs archer (16.000 in tutto), scelti fra gli idonei d'ogni regione della Francia e addestrati principalmente nel maneggio dell'arco, i quali in tempo di pace accudivano alla propria professione, ed in tempo di guerra erano chiamati in servizio e pagati dallo Stato; essi costituivano un corpo di fanteria. Sorse pure una artiglieria ad opera di Jean Bureau.

Re Carlo VII regnò sino al 1461. Quanto poco merito personale egli ebbe nel felice esito della guerra contro gli Inglesi, altrettanto poco ne ebbe nell'iniziata riorganizzazione dello Stato francese. A quest'ultimo riguardo chi lo assisté col consiglio e con l'opera fu realmente il suo cancelliere Jacques Coeur, ricco cittadino di Bourges, che il re poi ricompensò sacrificandolo alla gelosia dei suoi avversari.

Tipo ben diverso di principe fu il figlio e successore di Carlo, re LUIGI XI (1461-83). Temperamento tirannico, privo di riguardi umani, per cui ogni mezzo era buono purché utile a raggiungere i propri. fini, tuttavia mente politica di primo ordine, Luigi XI, ammaestrato dalle dolorose esperienze della sua gioventù, portò con sè sul trono il programma di accentrare nuovamente nella corona la somma dei poteri pubblici. Gli strumenti della sua politica egli se li scelse nelle classi inferiori per poterli avere interamente fedeli alla sua volontà ma anche per potersene liberare in qualsiasi momento senza difficoltà.

In generale Luigi, che accoppiava in sé in maniera singolare un'anima da tiranno con dei gusti da borghesuccio, si mostrò propenso a favorire la borghesia, le classi popolari ed i loro interessi, mentre fu acerrimo nemico di nobili, specialmente dei grandi feudatarii, il cui assoggettamento alla corona costituì la mira costante della sua politica.
Le maggiori difficoltà gli si offrivano a tale riguardo dalla parte della Borgogna. Il cosiddetto nuovo regno di Borgogna era stato fondato da Filippo, terzogenito di re Giovanni. Esso prima abbracciava, oltre il ducato francese di Borgogna ed Artois, la contea di Borgogna acquistata in seguito a matrimonio, la quale apparteneva alla Germania, ma era già caduta sotto l'influenza francese. Vi si aggiunsero poi nel 1384 le Fiandre (anch'esse acquistate in grazia di un matrimonio), e, sotto il nipote omonimo di FILIPPO, l'Olanda, la Zelanda e l'Hennegau; poi lo stesso principe estese il suo dominio anche su Namur, il Limburgo ed il Lussemburgo.
Erano fiorenti province, ricche di città, ed abitate da una popolazione benestante, industriosa e bellicosa, che unite insieme vennero a formare uno dei più superbi principati; il duca FILIPPO II «il Buono» era il principe più ricco dei suoi tempi e la sua era la corte più splendida dell'epoca; anche dopo essersi riaccostato alla monarchia francese egli aveva in sostanza la posizione di un sovrano indipendente.

Gli altri elementi feudali della Francia erano bensì dal 1439 più strettamente subordinati allo Stato francese e limitati nella loro autonomia, ma non solo conservavano sempre una giurisdizione concorrente con quella della corona ed erano di fatto padroni di vaste regioni, ma con l'assunzione al trono di Luigi XI concepirono la speranza di poter riconquistare i diritti di sovranità che avevano perduti a vantaggio della corona e spezzare la compagine dello stato unitario che si andava formando.
Infatti essi stinsero tra loro la «lega del bene pubblico», ed appoggiati dalla Borgogna e capitanati dal fratello di Luigi, il duca Carlo di Berry, si ribellarono al re, che fu costretto a lottare con loro per molti anni per salvare l'avvenire dello Stato francese.

Ciò che alla fine gli diede il sopravvento fu in primo luogo l'aiuto devoto e pieno di abnegazione della borghesia e di una parte della bassa nobiltà, in secondo luogo la tenacia con cui egli perseguì il suo fine, e finalmente l'intima superiorità dell'idea dello Stato come custode degli interessi generali in antitesi ai moventi e fini più o meno egoistici, e non sempre armonizzanti tra loro, dei suoi avversari.

Tuttavia all'inizio la nobiltà feudale ebbe qualche successo: Luigi nel 1465 subì da parte della lega una grave disfatta che lo costrinse ad accettare una pace umiliante; nel 1468 poi a Peronne cadde egli stesso nelle mani di Carlo «il Temerario» successore di Filippo di Borgogna (1467-77).

Le cose cominciarono a prendere una piega più favorevole alla corona solo con la morte del duca di Berry (1472), morte che a ragione o a torto viene attribuita a re Luigi. Carlo di Borgogna ricorse nuovamente alle armi e cercò di congiungersi, attraversando i domini regi, col duca di Bretagna, ma la valorosa difesa di Beauvais arrestò sull'inizio la sua avanzata, e poco dopo una invasione in Borgogna operata da Luigi XI lo indusse a concludere un armistizio vantaggioso per il re. Né in realtà osò più riprendere la lotta contro Luigi, il quale gli sopravvisse e come vedremo altrove riuscì ad avocare alla corona una parte della Borgogna.

Messosi al sicuro dal lato della Borgogna, Luigi XI ebbe le mani libere contro la lega; tutta la nobiltà della Francia meridionale subì la stessa sorte; gli Armagnac, i Nemours, gli Alencon furono abbattuti, ed i loro domini assoggettati incondizionatamente alla corona; il mezzogiorno della Francia ora soltanto venne saldamente e per sempre annesso allo Stato francese. Accortamente il re favorì qui le famiglie a lui devote, come i Borboni, fra i quali Pietro II, signore di Beaujeu, venne unito in matrimonio con la primogenita di Luigi e nominato luogotenente regio nella Guienne.

Rapporti amichevoli corsero inoltre fra il re e la casa d'Angiò, il cui capo, Renato, era re titolare di Napoli e pretendente di Lorena. Quando nel 1480 Renato venne a morte lasciando solamente una figlia, le contee di Anjou, Maine e Provenza, nonché le pretese della casa d'Angiò alla corona di Napoli, furono ereditate dalla corona francese.
Da ultimo non rimase che un solo grande vassallo che godesse di una qualche autonomia, il duca di Bretagna, e siccome questi era privo di discendenti maschi, l'avvenire si delineò anche qui favorevole alla corona.

Pur avendo così fatto compiere un passo poderoso all'unificazione della Francia, Luigi XI con saggezza lasciò sussistere i particolari ordinamenti ed i diritti provinciali in quanto non contrastavano all'esercizio dei larghissimi poteri che egli reclamò per la corona. Istituì nelle province del mezzogiorno recentemente assoggettate tribunali propri e convocò spesso le assemblee provinciali degli stati che erano non meno di 47. E se ad esse richiese ripetutamente forti sacrifici, si studiò pure di accontentare i loro desiderii e di ascoltare i loro reclami. Luigi favorì le città così per calcolo politico, come per simpatia personale; Beauvais ad esempio venne da lui particolarmente privilegiata in ricompensa della valorosa resistenza opposta a Carlo il Temerario. Anche Parigi dovette molto a Luigi, il quale in genere promosse dappertutto l'autonomia comunale altrettanto quanto fu promotore dell'istruzione popolare.

Mentre la Francia nella seconda metà del XV secolo si consolidava sotto la monarchia, l'Inghilterra, già spogliata dei suoi possedimenti continentali, veniva scossa anche all'interno da una grave crisi rappresentata dalla guerra cosiddetta "delle due rose". L'origine di essa risale all'usurpazione del 1399. L'usurpazione di Enrico IV fu scontata da suo nipote ENRICO VI, che era divenuto re prima ancora di avere un anno d'età. Sventuratamente però questo terzo Lancaster, allorché fu cresciuto, si rivelò un deficiente. Ne derivò una lotta di preminenza tra la energica regina Margherita d'Angiò e i principi reali tra i quali soprattutto il duca Humphrey di Gloucester, e dopo la sua morte il duca Riccardo di York, che come discendente del quarto figlio di Edoardo III era l'erede presuntivo del re tuttora privo di prole.

Se non che la nascita di un principe di Galles (13 ottobre 1453) venne a deludere le speranze del duca di York, il quale si vide pure allontanato (all'inizio del 1455) dall'ufficio di protettore di cui si era impadronito in seguito ad un accesso di follia di Enrico VI; allora egli ricorse alle armi, e se pur non si atteggiò apertamente a pretendente al trono, fece però comprendere che vi aveva maggior diritto della dinastia regnante. Mentre cioè quest'ultima discendeva dal terzo figlio di Edoardo III, egli riuniva nella sua persona i diritti della quarta linea maschile e per via della madre i diritti della seconda, dei discendenti del duca Lionello di Clarence.

Così ora scesero in campo l'una contro l'altra la rosa rossa dei Lancaster e la rosa bianca dei York. La lotta peraltro non ebbe unicamente carattere dinastico. Mentre la casa di Lancaster rappresentava sino ad un certo punto gli interessi della nobiltà feudale predominante nel nord dell'Inghilterra e ne ebbe quindi l'appoggio, il duca di York trovò sostegno nelle province meridionali dense di centri cittadini; la sua arma migliore fu la sua popolarità nelle classi inferiori della nazione e specialmente nella borghesia. Ma anche una parte delle famiglie nobili parteggiò per la casa di York; tra esse emerge la potente famiglia della moglie di Riccardo, i Nevil; il suo capo era il conte di Salisbury, ma la personalità più spiccata fu suo figlio, il cavalleresco, brillante conte Warwick, che aveva in moglie l'erede di un'altra grande casata, i Beauchamps.

Dopo una prima vittoria a St. Alban (21 maggio 1455) il duca di York riacquistò il suo posto di protettore ed avvenne una riconciliazione fra i due partiti, che però non fu di lunga durata. Riaccesasi la guerra la fortuna (in una battaglia combattutasi presso Northampton il 10 settembre 1460) fu nuovamente favorevole al duca di York che poté persino impadronirsi della persona del re.
Dopo ciò fu concluso un patto col quale dopo la morte di Enrico la corona sarebbe passata alla casa di York. Ma la regina Margherita, che teneva testa tuttora nel nord dell'Inghilterra ed aveva trovato anche appoggio nella Scozia, si oppose come è naturale a tale accomodamento; e quando il duca marciò contro di lei toccò a Wakefield, non lontano dalla città di York, una completa disfatta che costò la vita a lui stesso, al suo ultimo figlio Rutland ed a suo cognato Salisbury (30 dicembre 1460).

Tuttavia il partito di York sopravvisse a questa sconfitta; anzi rimase padrone del mezzogiorno, e visto che dopo gli ultimi avvenimenti era impossibile una intesa amichevole con gli avversarti, osò persino proclamare re nella devota Londra il diciottenne figlio del duca caduto, col nome di EDOARDO IV, deponendo contemporaneamente dal trono ENRICO VI (1° marzo 1461).
Il nuovo monarca peraltro, se volle realmente la corona, dovette prima guadagnarsela sul campo di battaglia. E la battaglia decisiva avvenne poco dopo, il 28 marzo, a Towton. Fu la più grande che avesse visto la guerra civile; si dice che vi abbiano combattuto più di centomila uomini. La vittoria rimase ai Yorkisti le perdite dei vinti furono immense. Ma la guerra non cessò subito; la regina Margherita, sostenuta dalla Scozia e dalla Francia, proseguì la resistenza ancora per alcuni anni, e anche dopo che nel 1463 essa ebbe lasciato l'Inghilterra, si verificò (1464) una nuova sollevazione della rosa rossa, che venne non senza fatica domata da Warwick.

Dopo questi eventi, e soprattutto dopo che re Enrico VI venne nuovamente in potere dei suoi nemici e fu rinchiuso nella Torre di Londra, sembrò che la partita fosse definitivamente perduta per i Lancaster; ma le spaccature all'interno dei vincitori fecero risorgere le loro speranze. Il giovane re rimase talmente invaghito della bellezza di Elisabetta Wydeville, vedova di un partigiano dei Lancaster, che non solo la sposò, ma colmò di ricchezze e di onori gli amici ed aderenti di lei in maniera da alienarsi l'animo dei partigiani della sua casa, non escluso Warwick, che si era visto messo da parte anche nelle questioni politiche. Con quest'ultimo fece causa comune contro Edoardo persino il fratello del re, il duca Giorgio di Clarence, che Warwick unì in matrimonio con la propria sorella (1469).

Verso quest'epoca scoppiò nel nord del regno una insurrezione che ben presto assunse dimensioni pericolose. Il re, abbandonato dai suoi, si vide in piena balìa di Warwick, e dovette piegarsi al suo giogo. Ma in seguito Edoardo , dopo aver domato una nuova rivolta scoppiata nella contea di Lincoln, prese talmente il sopravvento che Warwick e Clarence furono costretti ad esulare in Francia, dove, con l'aiuto di Luigi XI, prepararono una invasione in Inghilterra; Luigi XI inoltre riuscì a riconciliare Warwick con Margherita ed a fargli promettere la restaurazione di Enrico VI sul trono, sul quale avrebbe dovuto poi succedere il figlio di Enrico, Edoardo , che a sua volta avrebbe sposato una figlia del conte.

Nel settembre del 1470 Warwick e Clarence sbarcarono senza incontrare resistenza in Inghilterra, dove trovarono largo seguito; la contea di Kent si sollevò e la stessa Londra si pose in fermento. Il re, che era occupato a sedare una nuova insurrezione nel nord, fu colto completamente alla sprovvista; non poté neppur pensare alla possibilità di opporre resistenza e a fatica riuscì a raggiungere la costa ed a salvarsi in Olanda, dove fu accolto con ogni onore dal governo borgognone.
Aiutato, per lo meno con discrezione, dalla Borgogna, egli allestì immediatamente una spedizione per riconquistare il suo regno, e vi pose infatti nuovamente piede il 14 marzo 1471. All'inizio fece finta di voler riconoscere re Enrico VI, che il conte Warwick aveva prelevato fuori dalla Torre di Londra e con l'aiuto di un parlamento a lui sottomesso l'aveva restaurato sul trono; ma quando il numero dei suoi aderenti fu cresciuto gettò la maschera.
Ma la cosa più grave fu che il duca di Clarence, deluso nelle sue speranze di succedere al trono in seguito al patto concluso da Warwick a favore della casa di Lancaster, passò nuovamente dalla parte del fratello. In grazia di questo sostegno Edoardo, venendo a battaglia il 14 aprile presso Barnet, non lontano da Londra, non solo poté tener testa ai suoi avversari, ma riuscì a riportare una decisiva vittoria che fu suggellata dalla morte di Warwick.

Ma già si avvicinava un altro nemico: la regina Margherita, la quale con suo figlio e con numerosi cavalieri partigiani dei Lancaster era sbarcata in Inghilterra lo stesso giorno della battaglia di Barnet; attorno a lei si erano ancora una volta riuniti i fautori della vecchia dinastia. Ma nella battaglia decisiva che ebbe luogo a Tewksbury presso Gloucester re Edoardo riportò nuovamente una completa vittoria, in grazia soprattutto del valore di suo fratello Riccardo; Margherita e suo figlio caddero nelle mani del vincitore; col giovane principe che fu spietatamente giustiziato, si spensero per sempre le speranze della casa di Lancaster. Poco dopo morì nella Torre di Londra re Enrico VI, indubbiamente di morte violenta.

Soltanto ora Edoardo IV poté dirsi sicuro sul trono. Egli avrebbe desiderato riprendere la guerra contro il nemico secolare di là dalla Manica, ma il progetto - per fortuna dell'Inghilterra - fallì a causa della poca fede dell'alleato Carlo di Borgogna. Così fu conclusa con la Francia la pace di Picquigny (1475), che chiuse formalmente la guerra, la quale peraltro di fatto era in stallo fin dal 1453. Invano Edoardo tentò poi di emancipare il commercio inglese dalla tutela dell'Hansa; egli chiuse arbitrariamente il fondaco (lo Stahlhof) della lega a Londra (1468); ma gli anseatici non gliela perdonarono; presero l'offensiva contro l'Inghilterra, e nella pace di Utrecht (l'ultimo grande trionfo dell'Hansa) Edoardo dovette adattarsi a riaprire lo stabilimento della lega.
Tuttavia il commercio tipicamente inglese aumentò sempre più. Le guerre delle due rose avevano danneggiato in misura relativamente scarsa le classi produttrici e i commercianti della nazione; chi aveva, col sangue e col denaro, fatto in sostanza le spese di questa guerra erano le classi superiori. Molte antiche famiglie erano completamente sparite, sia per le morti in battaglia, sia per le confische dei loro beni succedute ad ogni mutamento di regime.

E proprio queste confische servirono soprattutto ad arricchire la corona, la quale allora divenne padrona di più d'un quinto di tutto il territorio inglese. Quindi Edoardo IV, cui era già stata concessa a vita al momento dell'assunzione al trono la imposizione di alcune tasse, poté ad onta della sua prodigalità e del lusso di cui si circondò, governare senza bisogno di chieder nulla al parlamento.
Questa indipendenza finanziaria della corona, unita al prestigio che la vittoria definitiva riportata nella guerra civile aveva fruttato al re ed all'indebolimento della nobiltà, fece sì che si instaurasse un sistema di governo pressoché assoluto, per quanto teoricamente rimanessero intatte le prerogative che il parlamento si era acquistate sotto i predecessori di Edoardo.

In seguito però la morte prematura del re (9 aprile 1483) fu causa di nuovi perturbamenti interni del regno. Delle redini del governo in nome del dodicenne erede del trono, EDOARDO V, si impadronì per breve tempo lo zio RICCARDO duca di Gloucester, sotto la veste di protettore del piccolo re. A differenza del fratello, duca di Clarence, che aveva scontato la sua alleanza con Warwick con un processo di alto tradimento e con una misteriosa morte nella Torre di Londra (1478), Riccardo aveva costantemente parteggiato per il re Edoardo. Ma dopo la morte di quest'ultimo la sua sfrenata ambizione si scatenò. Egli cominciò col seminare sospetti sulla legittimità della nascita del nipote e del costui fratello minore, poi si impadronì con un sotterfugio dei due fanciulli e finalmente si fece offrire la corona dai suoi sostenitori.
Ed era appena salito al trono col nome di RICCARDO III che i due suoi nipoti per suo ordine vennero messi a morte nella Torre. Ad onta di ciò Riccardo, dopo aver tolto di mezzo anche la propria moglie, impalmò la sorella delle sue vittime, Elisabetta, per consolidare i suoi titoli di legittimità mediante questo matrimonio con l'unica erede rimasta della linea primogenita della casa di York.

Ma presto tosto il trono da lui acquistato al prezzo di tanti delitti, vacillò sotto i suoi piedi.
Si formò una vasta congiura di cui fu anima il conte Enrico Tudor di Richmond. Sua madre era l'ultima Lancaster del ramo dei Somerset, uscito da una unione, non proprio tanto legittima, di Giovanni di Gaunt. Ciò malgrado Enrico Tudor era considerato l'erede dell'antica dinastia dei Tudor. Con l'aiuto della Francia egli allestì una spedizione contro l'Inghilterra, ed il 1° agosto 1485 sbarcò sulla costa del Galles. Re Riccardo aveva poco prima domato una sollevazione dei seguaci di Enrico, prematuramente scoppiata, e ne aveva fatto giustiziare i capi; ma appena il pretendente Enrico Tudor in persona ebbe messo piede sul suolo inglese, il re si vide circondato da ogni parte dal fuoco della ribellione.

Temerariamente egli piombò sui suoi nemici ed il 22 dello stesso agosto si venne alla battaglia decisiva presso Bosworth. Ma durante la battaglia Riccardo fu abbandonato dalle sue migliori truppe che passarono in quelle di Enrico Tudor, ed allora comprese che la partita era perduta; si lanciò come un suicida nel folto della mischia e vi trovò la morte desiderata.
Questo Re Riccardo III, il quale durante il suo breve regno provvide a migliorare l'amministrazione della giustizia e promosse l'industria ed i commerci, avrebbe avuto le qualità per far molto bene al suo paese, qualora avesse acquistato la corona in maniera legittima e non come abbiamo visto nel modo più riprovevole.

Lasciamo ora Francia e Inghilterra e ritorniamo
all'impero tedesco in questo stesso periodo


L'IMPERO TEDESCO SOTTO SIGISMONDO E FEDERICO III > >

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