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47. IL REGNO DI TIMUR (TAMERLANO) E IL GRAN MOGUL


Timur (Tamerlano) sul trono dell'Impero mongolo

 

Come abbiamo visto nel precedente capitolo su Gengis Khan, dopo la divisione del grande impero mongolo in regni distinti, lo Stato orientale di kubilai fu assorbito dalla cultura cinese; in Persia gli Ilchani abbracciarono l'islamismo, mettendosi così in contrasto con i Mongoli dell'Asia centrale, contro le cui invasioni i sovrani mongoli della Persia dovettero difendersi.
Il regno degli Ilchani fu invaso tanto dalla parte del Kipc'ak quanto da quella del G'agatai. Gli Ilchani furono sconfitti da Abaka, presso Herat. Il regno di G'agatai, così chiamato dal sovrano, figlio di Gengis Khan, conservò il carattere mongolo.
Quello di Kipc'ak aveva il suo centro in Sarai e comprendeva il bassopiano della Siberia occidentale e della Russia meridionale. La sua potenza, fondata mediante le grandi conquiste di Batu, fu rafforzata dalle incessanti lotte coi Russi, Polacchi, Bizantini e Persiani.

Lo sfacelo ne fu per breve tempo trattenuto dall'unirsi che fecero le due Orde, bianca e azzurra, sotto Toktarnish (1378); ma precipitò dopo la morte di lui (1406). Nella Crimea sorse uno Stato tataro (1420); sin dal 1438 il chanato di Kazan formò uno Stato indipendente, mentre i Tatari Nogai si costituivano in regno nei pressi di Astrachan.
L'«Orda d'oro» si sciolse nel 1502 ; uno staterello tataro sopravvisse in Crimea fin verso il 1783.

L'importanza del G'agatai si fece sentire molto al di là dei suoi confini; da questo Stato mossero nuove orde mongoliche ad invadere le regioni civili; terribile soprattutto, e feconda di più gravi conseguenze, l'invasione di Timur.
Finchè gli Stati mongoli crebbero all'interno alla loro propria civiltà, le forze dissolventi del nomadismo non ebbero modo di esplicarsi. Solo nel G'agatai il carattere mongolo si affermò congiungendosi con le forze dei Turchi. Da questo ambiente speciale sorse il secondo dei grandi conquistatori mongoli, Timur.

TIMUR ovvero Timur-e lang (occidentalizzato TAMERLANO ) nacque a Kish vicino a Samarcanda nel 1336, da una famiglia mongola turchizzata dei Barlas, che vi si era stabilita. Suo padre, pare in seguito a un sogno nel quale un angelo aveva profetizzato che il piccolo avrebbe "conquistato il mondo con la spada", gli pose il nome "Timur", che persiano significa "ferro".
Vera o no la profezia, appena fu abile alle armi Timur volle andare incontro al suo destino con determinazione. Rifacendosi da un lato alla tradizione gengiskhaniana, dall'altro all'Islam, si sentì destinato a restaurare l'impero mongolo.

Il regno dei G'agataidi, lacerato da lotte interne, stava per sfasciarsi. In mezzo alle ostilità dei piccoli Stati, tra alterne vicende, Timur divenne quel guerriero e condottiero quale poi si mostrò. A 30 anni con una smisutrata volontà di dominio scese sul piede di guerra con tutta la sua feroce determinazione

Assicuratosi il principato di Kesh, assalì Kabul e dopo alterne lotte raggiunse la dignità di Chan supremo o Chakan del Turkestan (1369).
I discendenti di G'agatai già da tempo ne erano padroni solo di nome, e tali rimasero anche sotto Timur.

Il debellamento del Turkestan orientale gli riuscì solo dopo varie campagne (1379). La regione della civiltà iranica era ormai facile preda per l'invasore. Nel 1381 Timur passò l'Oxus; il Chorasan e Herat soccombettero all'assalto dei nomadi. Nel 1388 cadde la dinastia iranica dei Muzaffaridi ed Isfahan venne distrutta.
Una rivolta del chan Taktamish richiamò Timur a Kipc'ak 1388-1391). Ma nel 1392 una nuova invasione mise la Persia a una più dura prova. I Muzafiaridi, ritornati nel loro territorio, furono tutti sterminati. La selvaggia crudeltà di Timur portò ad un macello senza esempio. Egli fece innalzare grandi piramidi di teschi o di cadaveri e prigionieri.
Dalla Persia passò nell'India. Dopo aver vinto egli stesso in difficili guerre i popoli confinanti e dopo la conquista del Multan per opera di suo nipote Pir Muhammad, l'esercito si presentò davanti Delhi (1398) che fu espugnata e devastata orrendamente.

Timur tornò a Samarcanda (1399) con un enorme bottino; la spedizione in India era stata intrapresa solo a scopo di preda. Dal 1399 in poi le spedizioni si volsero ad occidente, dove avvenne l'urto con gli Osmani, nell'Asia minore. Questi furono disfatti nella grande battaglia di Angora (1402); il sultano Bajezid I cadde prigioniero di Timur.
Allorchè Timur convocò l'assemblea dello Stato a Samarcanda (1404), il suo impero comprendeva il G'agatai, il Kipc'ak e la Persia con l'Asia minore, la Siria e l'Egitto.

Timur progettava di sottomettere anche la Cina e già si trovava sul Syr-darja con un esercito di 200.000 uomini quando, per fortuna dell'umanità, una febbre trasse alla tomba il sessantanovenne guerriero nomade (18 febbraio 1405).

Con Timur l'onda dei Nomadi era passata per la seconda volta, devastatrice, sopra l'Asia. In 35 campagne Timur aveva scosso la terra dai confini della Cina al Nilo, da Mosca e Costantinopoli a Delhi, lasciando dietro di sé soltanto le rovine di antiche civiltà: la desolazione di ampi territori. È vero che il torrente mongolo dopo la morte di Gengis Khan si era ormai disseccato, ma con Timur termina del tutto il periodo del dominio dei Nomadi.

Il giudizio su Timur non può essere dubbio: in lui trovò espressione tutta la ferocia e crudeltà della sua razza, tutta la barbarie del nomadismo, buona sola a distruggere. Pare che tratti di mitezza umana gli mancano del tutto.
Dotti e poeti orientali lo hanno celebrato e gli hanno dedicato le loro opere; ma questo è toccato ad ogni sovrano. Piuttosto è da considerare, perché difficile a chiarire, il suo atteggiamento verso la cultura del suo tempo.

Sembra che egli sentisse talvolta un certo interesse per le scienze e per l'arte. Gli «Annal» e gli «Editti» tramandati col suo nome formano un enigma tuttora insoluto; se sono veramente opera sua, stanno in contraddizione con tutte le sue azioni. Talvolta si mostra generoso e benigno verso un dotto sincero, quale il grande storico Ibn Chaldun; e che danno poteva fargli?

Riguardo alla religione Timur era indifferente come tutti i mongoli; ma l'Islam gli aveva insegnato a trovare una sanzione religiosa per tutte le sue efferatezze, nella volontà di Dio. Per Timur non esistevano che due classi di uomini: gli strumenti del terrore e le sue vittime. Dopo l'espugnazione di Delhi fece scannare in un sol giorno più di 100.000 prigionieri, perché il trasportarli gli riusciva troppo fastidioso: tale è il motivo che egli stesso giustifica, senza giro di parole, negli Annali.
Naturalmente, quando egli si decise ad abbandonare Delhi ad un orribile saccheggio, ciò avvenne «per volontà di Dio». (lo dicono tutti "Dio lo vuole", e "Dio lo volle"!

Il figlio di Timur, Shah Roch (1404-1447), fu valente guerriero ed abile sovrano, sì da mantenere unito l'immenso impero. La sua umanità gli conciliava la simpatia; favorì anche gli studi dell'astronomia e l'architettura. Il regno di Timur tornò a comprendere quasi tutta l'Asia centrale e settentrionale, insieme all'India settentrionale. In ciò stava la ragione del suo prossimo sfacelo; sorgevano dovunque, dalla famiglia di Timur, dinastie minori, le quali si rendevano indipendenti.
Il disfacimento cominciò subito dopo la morte d
i Shah Roch. Sotto Uzun Hassan i Turcomanni del «montone bianco» avevano preso la gran parte della Persia e della Mesopotamia, mentre gli Uzbechi turchi penetravano in oriente e s'impadronivano di Herat.

Però dopo la morte di Hassan (1478) la sua dinastia si disciolse in guerre interne, finché i Seffevidi ridiedero alla Persia unità nazionale (1500).

Durante queste agitazioni si affermarono nella Persia e nell'Afghanistan alcuni sovrani della stirpe di Timur. Gli Uzbechi avevano cacciato da Ferghana uno dei timuridi, che si rivelò poi un grande monarca: Sahir ed-din Muhammad, detto Babar (« Tigre »). Giunto a Kabul e fondato qui un piccolo Stato, penetrò nel Peng'ab (1520), distrusse nella battaglia di Panipat (1526) il dominio afghano in India ed entrò a Delhi come trionfatore. Egli fu così il fondatore del dominio mongolo in India.

La storia interna del regno di G'agatai rivela la rapida decadenza dei discendenti di Timur.
Per quanto i Mongoli abbian posto fine al regno degli Uiguri, questi rimasero i rappresentanti della cultura nello Stato mongolo dell'Asia centrale, finché essa non fu, anche qui, sopraffatta dall'Islam.

La decadenza dei G'agataidi rese possibile il formarsi dello Stato teocratico dei Chog'a, i quali, pur lasciando ai re mongoli una parvenza di potere, si costituirono in dinastia sacerdotale. Un preteso discendente di Muhammad, Machdumi Azem, si dichiarò rappresentante della rivelazione divina (circa 1520). Favorito dal g'agataide Abdurrashid Chan, conquistò la eminente posizione che doveva poi mutarsi in vera e propria potenza.
Sotto i suoi due figli cominciarono le lotte per la successione; Kashgar e Jarkend diventano i centri di due dinastie sacerdotali rivali. Nei primi anni del XVII secolo uno dei Chog'a ricacciato dal suo territorio, ottenne dal Dalai Lama di Lhasa che i Calmucchi di Kulg'a prendessero le sue parti: il che metteva nelle mani di questi ultimi la potenza dei re sacerdoti.

I Calmucchi lasciarono stare i Chog'a finchè parve loro opportuno; ma non appena uno di essi dava loro noia, avevano sempre pronto un pretendente da mettere sul trono. Questo curioso stato teocratico durò fino al 1758. Vi posero fine i Cinesi, chiamati nel paese da un calmucco ribelle, Amursana.

Ancora una volta parve dovesse formarsi un regno potente nell'Asia centrale, allorché il valente generale e uomo di Stato Jakub Bek costituì in Kashgar un governo apportatore di tempi migliori (1864-1877); ma esso si reggeva grazie alle sue alte qualità personali. Morto lui, cominciarono tra i suoi figli le solite contese per il trono; si che i Cinesi intervennero ed assoggettarono il Turkestan, con terribile spargimento di sangue (1878).
Poi il Turkestan (oggi Kazakistan) formò una regione di confine dell'impero cinese.

L'IMPERO DEI MOGUL IN INDIA

Abbiamo visto come sotto l'ultimo sovrano della dinastia Lodhi, Ibrahim II, un governatore ribelle di Lahore chiamasse Babar da Kabul nell'India. Ibrahim fu ucciso nella battaglia di Panipat (1526) e Babar s'impadronì presto di Delhi e di Agra. Accortisi gli Indi dell'intenzione di Babar di fondare qui un regno, gli si fecero contro con un forte esercito condotto dal principe di C'itor; ma subirono una grave sconfitta a Sikri ad occidente di Agra. Espugnata anche la munitissima fortezza dei Rag'puti, C'anderi (1528), ogni resistenza cadde.

In tre anni Babar aveva sottomesso tutto il nord-est dell'India allorché, non ancora cinquantenne, morì (26 dicembre 1530), non senza aver prima durevolmente assicurata la potenza della sua dinastia in India, mediante la ottima amministrazione instauratavi sin dal 1527.
Babar appartiene ai grandi uomini della storia. In una vita piena di asprissime vicende non perdette mai l'energia e l'elasticità del suo carattere; dagli insuccessi e dalle sconfitte lui risorge sempre con delle grandi imprese, contro l'avversa fortuna lui mette avanti la forza della sua genialità.

In tutte le lotte della sua vita di conquistatore la nobiltà dell'anima non gli viene mai meno; egli ci attira e ci avvince coi suoi tratti di umanità. L'affetto per la madre, l'ardore de' suoi sentimenti, la mitezza verso i vinti mostrano che non era soltanto un valoroso guerriero.
Né gli mancava finezza di cultura: le sue poesie in turco e in persiano e le sue memorie, composte in turco, mostrano la vivacità dello spirito di quest'uomo straordinario.

Humayun (1530-1556), figlio e successore di Babar, non possedeva né la grandezza d'animo né la saggezza politica del padre, ma era valoroso e non senza simpatiche qualità; ebbe oltre a ciò notevole cultura scientifica. Contro di lui sorse presto, quale capo di tutti gli avversari del dominio mongolo, l'afghano Ferid Chan, detto Shir Shah. Sconfitto due volte, Humayun si rifugiò nell'Afghanistan (1540) presso suo fratello, mentre Shir Shah s'impadroniva di tutto l'Hindustan e Peng'ab.

Come sovrano, Shir Shah mostrò ottime qualità: promosse l'agricoltura e il commercio, curò le finanze, l'amministrazione, la giustizia. La morte chiuse improvvisamente la sua attività di monarca (1545).
Humayun conduceva frattanto vita di fuggiasco, nei deserti dell'India occidentale, in mezzo alle più grandi privazioni. Qui gli nacque un figlio (1542), che fu più tardi l'imperatore Akbar.

Il regno fondato da Shir Shah si sfasciò rapidamente sotto i suoi successori. Le rivolte che scoppiavano dovunque, permisero a Humayun di tornare a Delhi, dove morì di lì a sei mesi di morte accidentale.


Gli successe il giovane AKBAR (Salah Al-Din Muhammad - 1542-1605), la più grande figura di sovrano dell'India, uno dei più grandi e simpatici di ogni tempo. Coraggioso fino alla temerarietà, di gigantesca forza fisica, possedeva doti altrettanto ammirabili di intelligenza e grandezza d'animo, sì da avvincere a sé tutti i cuori dei suoi sudditi. Oltre che ampliare il suo impero, lo dotò di una amministrazione ordinata e tollerante.

All'inizio dovette debellare gli Indù sempre pronti alla rivolta; in numerose campagne riconquistò quasi tutta l'India. Il regno di Gug'erat fu conquistato, i resti della potenza afghana a oriente di Delhi distrutti, presi il Bengal e l'Orissa e il Kashmir riunito all'impero.
Quando entrò a Dehli c'era tutta l'India a portarlo in trionfo.

Akbar combatté anche nel Dekkan, conquistandovi Berar e Kandesh. Ma Akbar cercava innanzi tutto di guadagnare al proprio dominio i popoli vinti. Tentava di superare i contrasti delle razze e delle religioni, concedendo eguali diritti a tutti i popoli del suo impero. Si comportò con ogni riguardo verso i sentimenti degli Indiani e le loro concezioni religiose, sopprimendo anche la tassa di testatico basata sul dirito di guerra islamico. Fu insomma un grande imperatore. Ricordato, venerato, imitato.

Chiudiamo qui questa sezione dedicata agli Indoeuropei
e ci spostiamo più a Oriente, cioè in Cina.

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