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48. LA CINA - FONDAMENTI GENERALI

 

A Pechino, nel 1929, fu rinvenuto uno dei più antichi resti umani. La datazione eseguita su questo «uomo di Pechino» e su altri importanti reperti archeologici, ha indotto gli studiosi ad affermare che la Cina era abitata già in un'epoca che va da 500 mila a 1 milione di anni fa. La fertile vallata del Fiume Giallo fu dunque una delle «culle» dell'umanità.

Infatti, come abbiamo visto nei capitoli precedenti, la prima migrazione dall'Africa dei primi ominidi si era diffusa nell'arco di circa un milione di anni su tutto il pianeta. Costoro sapevano utilizzare la pietra, conoscevano il fuoco, la caccia con vari utensili, facevano gesti mimici ma non conoscevano ancora un linguaggio, nè si cibavano con un'alimentazione ideale, e pur avendo una capacità cranica simile alla attuale non progredirono affatto, fino al punto che scomparvero del tutto. Quindi non è da questa prima migrazione che l'ominide è diventato "Homo Sapiens".


"Sapiens" lo diventa infatti con la seconda migrazione. L'ominide rimasto in Africa - invece di inseguire nelle aride savane le sempre più scarse mandrie di animali, per necessità, quindi senza volerlo (ma così facendo vinse la "lotteria" del "progresso") invece di nutrirsi con la sola dieta carnea, ha adottato una alimentazione che sembra in apparenza povera, mentre invece è molto più ricca dell'altra; ha infatti o per fame o incidentalmente scoperto importanti alimenti, e ha così integrato
alla carne i vegetali (frutta, verdure, cereali) e questi ultimi possiedono i famosi 8 amminoacidi essenziali al nostro organismo di "umano pensante", hanno poi le vitamine, ma soprattutto possiedono gli zuccheri necessari più che a far sviluppare il cervello in quantità lo fa sviluppare in qualità, alimenti fondamentali per lo sviluppo della neocorteccia, la parte più recente ma anche la più complessa del nostro cervello.

Questo sviluppo fu quindi una conseguenza dell'eleborazione di nuove attività sempre più complesse, indi in parallelo accumulo di nuove esperienze, e avendo fatto ormai gruppo, inizia con i suoi simili ad esprimersi con un linguaggio, a trasmettersi reciprocamente informazioni. Rispetto ai precedenti gruppi spintisi nei continenti, l'uomo di questa seconda emigrazione è ormai padrone del suo ambiente e del territorio che lo circonda. Sviluppato il senso dello spazio e del tempo, coordinati i comportamenti del gruppo, questi uomini iniziano a muoversi con maggiore intelligenza in ogni direzione. Ma principalmente in due direzioni a ovest e a est, e su un territorio come clima e stagioni ideali proprio all'agricoltura, su una enorme fascia posta in mezzo tra il 25° e il 50° parallelo del nostro pianeta, quindi li sceglie come insediamenti.

Circa 40.000 anni fa, questi nuovi gruppi muovendosi sono i primi veri esploratori e colonizzatori del Pianeta Terra. Migrazioni che portano l'uomo a una comparsa poligenetica nei vari continenti partendo (anche questa, come la precedente) da un origine policentrica. Nel corso dei successivi millenni questi insediamenti via via creeranno quelle che scientificamente sono dette differenze di popoli. Abbiamo detto "differenze" e non "razze".

Non esiste una "razza", ma solo diversi popoli spesso di lingue affini che l'ambiente condiziona. E se vogliamo ancora abusare del vecchio termine, nell'età a noi storicamente accessibile, i popoli storici non sono mai stati "razze pure", perchè non sono mai esistite "razze impure". Gli uomini di questa nuova migrazione appartengono tutti a uno stesso ceppo: bianchi, rossi, gialli o neri.
Dice Cavalli Sforza: "Le differenze tra i popoli sono meno marcate di quanto si creda e soprattutto sempre e solo di natura quantitativa: certi geni compaiono più di frequente, certi meno. Siamo tutti della stessa specie, tra gli uomini non ci sono distinzioni qualitative"

Sono differenzazioni alcune esercitate solo dall'ambiente, nei territori dove si sono insediati; soprattutto nei quattro caratteri principali più visibili: pigmentazione della pelle, capelli, altezza, morfologia del volto ecc.
A questi nuovi gruppi (identificati col tipo Cro-Magnon, mentre i precedenti erano del tipo Neanderthal, estintosi), bastano 5000 anni (che sembrano pochi ma sono 200 generazioni) per diffondersi in tutte le zone dei continenti, occupandoli, vivendoci, modificando subito i territori dove fanno i primi insediamenti fissi creando villaggi, e quindi hanno più tempo da dedicare alla comunità che hanno via via dato vita, dove si discute, ci si organizza e cosa importante per ovvie necessità si formano i primi linguaggi, prima mimici (anche questi in certi paesi vogliono dire una cosa in un altro un'altra cosa) poi fonetici (idem) che permettono scambio di informazioni. Da queste sinergie nascono gli stimoli a voler riversare ai propri simili le innumerevoli comuni esperienze, anche queste per necessità. E proprio come dice un antico detto cinese "se io so una cosa e tu ne sai un'altra, se ce la scambiamo, dopo, entrambi sappiamo due cose". Il risultato sono le civiltà.

Però in Cina vi era anche quest'altra massima "La saggezza consiste nel tramandare, non nell'innovare". E che forse ci fa comprendere il "senso" di una immobilità e un isolamento così prolungato della Cina, tanto gelosa di se stessa. Ma forse è questa la chiave di volta dell'intera civiltà cinese; che tuttora sopravvive come "base" dell'anima della Cina, pur dopo le recenti rivoluzionarie innovazioni politiche, culturali ed economiche. Forse noi Europei non riusciamo a comprendere questo "senso"; così in questi primi anni Duemila siamo perfino sconcertati dell'improvvisa e inarrestabile ascesa come potenza economica e politica, al di fuori di certe teorie e ideologie. Ma non siamo forse stati noi occidentali a volere e a insistere che la Cina si aprisse all'economia di mercato? La Cina si è aperta !!! Adottando una politica che non è tipica del capitalismo e nemmeno tipica del comunismo. Gli economisti occidentale si stanno tutti spremendo il cervello per spiegarcelo, inutilmente, perchè loro stessi non hanno capito nulla, e non hanno capito perchè non sono cinesi. Mentre i cinesi hanno capito benissimo gli occidentali, che oggi (quanti!) fanno la fila e a gomitate per entrare nel loro appetibile mercato senza avere il "senso" cinese; un esempio: loro nel crisantemo identificano le "virile longevità", noi la "morte"; al "drago-serpente" i cinesi rapportano "manifestazioni positive", noi in occidente col simbolismo cristiano lo rapportiamo al peccato al "male e alla morte". Degli esagrammi dei I-Ching non ci abbiamo mai capito nulla, abbiamo sempre detto (da Leibniz a Boole a Neumann) che era una "cineseria" sensa senso, poi per caso (!?) ci abbiamo costruito il linguaggio dei computer (VEDI I CHING > )

I cinesi sono lenti nell'espansione, sicuri però nell'occupazione. Ma anche astuti, fanno credere che hanno le "galline" dalle "uova d'oro". E gli occidentale come hanno sempre fatto con le oscene colonizzazioni non mirano solo alle uova ma vogliono la gallina.
Ma c'è un' antica leggenda popolare che racconta di una imperatrice che voleva conquistare un territorio di confine soggetto a un principe Mao. Era un impresa difficile, soprattutto per il territorio accidentato; ricorse allora all'astuzia: fece circolare la voce che possedeva due vacche che ogni cosa che mangiavano, gli escrementi si tramutavano in oro. Quel principe si interessò molto della cosa, fece di tutto per averle le due vacche, minacciando pure, finchè l'imperatrice messa alle strette, pattuì che gliele avrebbe pacificamente regalate le due vacche, ma che erano così delicate che non potevano affrontare un viaggio in strade quasi impraticabili. L'altro pensando al tornaconto venale, si offrì di costruire lui una lunga strada (che ancora oggi è fra le migliori della Cina). Una volta terminata, l'imperatrice la utilizzò subito, ma per invadere la provincia dell'ingenuo principe, e soggiogarla. La leggenda è chiaramente allusiva al metodo di conquista dei Cinesi, pacifico e astuto, che durò immutato attraverso i secoli.

Quanto alla pazienza che il cinese si pone per ottenere il risultato finale c'è anche questa storiella, anche questa allusiva.
"Un cinese avendo il suo misero orto in una valle in mezzo a due alte collinette, dove non arrivava mai il Sole, con una piccola pala incominciò a scavare la collina che gli stava davanti a levante con l'intenzione di liberarsi di quell'ostacolo e far crescere bellissimi frutti e saporite verdure; un occidentale fermandosi e osservando questa ciclopica operazione si affrettò a dire facendo i suoi calcoli che era inutile, una fatica da sciocchi, che gli occorrevano almeno 130 anni prima di spianarla del tutto, e che lui il Sole non l'avrebbe di sicuro mai visto, - si lo so, disse il cinese- e allora perché lo fa? - perchè così mio figlio vedrà l'opera già iniziata e continuerà lui, poi suo figlio farà altrettanto con il suo esempio, infine come ha detto lei fra 130 anni i miei nipoti mangeranno delle ottime verdure e vedranno il sole entrare dalle finestre, e a lei tutto questo le sembra inutile e sciocco?"

Riprendiamo il nostro discorso - Da come abbiamo visto sopra nella cartina, l'itinerario di queste migrazioni della "seconda ondata", coinvolsero anche la Cina e la Mongolia. Dove erano già arrivati circa un milione di anni fa le prime migrazioni; i risultati degli archeologi ci danno tracce dell'uomo mesolitico nella Mongolia interna, e larghe tracce del neolitici sono state scoperte in tutte le regioni della Cina. Sono tracce di ossa, di pietre scheggiate, ma non di civiltà. Questa - pur ancora arcaica - inizia solo con la seconda "ondata".

Le notizie di questa Cina arcaica sono naturalmente avvolte nella leggenda. Tuttavia in base ai reperti archeologici, es. i più semplici manufatti come i contenitori di argilla seccata (i primi vasi) sappiamo che alcuni villaggi datano circa 7.000-6.000 anni a.C. E indubbiamente essendo una comunità doveva esserci un capo villaggio, un capo tribù, con un potere locale.
Quando Confucio, circa cinque secoli prima di Cristo, parlò delle origini della Cina, la fece iniziare dai mitici imperatori Yao e Shun vissuti dopo il 2500 a.C., seguiti dal successore di Shun, il leggendario imperatore Yu, padre dell'agricoltura «che bonificò la terra, canalizzò le acque, diede impulso alle coltivazioni». Pare che allora quella di imperatore fosse una carica elettiva, concertata dai capi tribù.

La tradizione afferma che proprio il figlio di Yu venne preferito e scelto come candidato al trono imperiale; si poté così formare la prima grande dinastia imperiale cinese, che sarebbe rimasta sul trono per circa 400 anni (forse dal 2206 al 1766 a.C.): è questa la dinastia semi-leggendaria degli Hsia. Con Yu si instaurò così la successione ereditaria al trono, che non ebbe sempre esiti felici come leggeremo più avanti.

Torniamo per un momento alla Cina come territorio.

L'Asia è un gigante costruita da un gigante. Sono semplici e colossali le membra connesse col suo ruvido tronco, le moli grandiose dei monti, gli altopiani massicci, le steppe immense; e sono pure giganteschi, come enormi costruzioni anomali delle età remote gli Stati sorti sul suo territorio. Oggi ancora quel tronco nel suo insieme e in proporzioni quasi uguali è diviso fra due Stati di straordinaria grandezza; nella metà settentrionale l'orso russo, mentre la meridionale forma l'odierna Cina; una linea a zig-zag dal Pamir al Mar Giallo a nord-est e un'altra dallo stesso luogo al golfo del Tonchino, passando per la cresta dell'Himalaya e le radici dell'India ulteriore, ne segnano i confini continentali.
Ma non in questo gigantesco teatro si è propriamente svolta la storia cinese, anche prescindendo dal Tibet, che ha con la Cina relazioni non strette di Stato. Basta un fugace sguardo a quella storia per vedere come tutti i possedimenti nell'Alta Asia, più volte conquistati e sempre di nuovo perduti, non siano che un'escrescenza effimera dell'impero, un'opera esteriore di difesa del suo nucleo principale, della Cina propria o storica, o meglio del Cathai, come fu chiamata dai primi cartografi con le prime reali notizie geografiche narrate da dai fratelli Polo di Venezia e poi dallo stesso Marco Polo.

Solo in seguito, con altri viaggi, in base al precedente racconto dei Polo si riuscì a capire gli intinerari seguiti, dov'erano stati, e come era veramente fatta la Cina.
Tutto il resto lo abbiamo poi appreso dalle dettagliate fonti cinesi.
Prima di allora, Greci, Romani, Bizantini non ebbero che una vaga idea di questa sterminata regione dell'Oriente.



«A settentrione fino a Yu-ling (equivalente presso a poco a Pechino), a mezzogiorno fino ai Kiao-ci (Annamiti), a ponente fino alle sabbie mobili (Tarim), a levante fino al mare»
... con tali e simili parole i Cinesi fin dal III secolo a. C. determinano l'estensione della Cina antichissima, di quella dei tempi mitici.

É questo un singolare anacronismo, poiché la Cina soltanto nel tempo sopra ricordato raggiunse come Stato una tale ampiezza, che corrisponde quasi a quella della Cina storica; ma l'anacronismo sembra tuttavia dimostrare che la stretta coerenza di quel territorio era vivacemente sentita, che era insomma quella tutta casa loro. E con ragione, poiché sono per la massima parte confini naturali quelli, tra i quali è racchiusa la Cina propria; innanzi tutto nel tratto immenso da nord est a sud, non meno che ad ovest. Là dalla Corea (o mar Giallo) fino al Tonchino, si infrange l'Oceano Pacifico, a cui un nome simile spetta soltanto come eufemismo; è difatti un mare inospitale, infestato da cicloni, più adatto a separare che non a congiungere, e bagna una costa, la quale, pur essendo copiosamente frastagliata, non offre che pochissimi buoni porti , a causa dei bassofondi e delle sabbie, che dovunque ne ostruiscono l'ingresso.

Ad occidente poi, come le quinte di una scena immensa, si ergono le vette nevose delle montagne, che cingono l'altopiano del Tibet (un territorio grande cinque volte l'Italia) con le loro successive catene, con cime altissime; poderoso limite di popoli, che solo in tre punti sembra concedere un passaggio al traffico.
E vero che il confine politico vi si è arrampicato per assicurare la più importante di queste vie commerciali tibetane, quella per Batàng, ed ora corre lungo la catena dell'Yünling, circa quattro gradi di longitudine più ad ovest del confine naturale, attraverso gli altopiani scarsamente popolati, soggetti a propri sovrani, ma con a fianco funzionari cinesi. Di cui poi i tibetani si liberarono.
Si tratta tuttavia di un tentativo recente, che risale a un secolo circa.
(I Tibetani sostenuti dagli inglesi nel 1912 cacciarono i cinesi; poi nel 1950 la Cina di Mao rioccupò il Tibet; nel 1959 il dalai lama si esiliò in India; nel 1965 il Tibet ottenne lo statuto di regione autonoma. Ma da allora la resistenza tibetana è rimasta sempre attiva, con rivolte nel 1970, sommosse del 1987).

Anche al sud-ovest e al sud della Cina si può forse assegnare un confine naturale. Il margine montagnoso del Tibet orientale sporge qui nell'India ulteriore in catene a strette pieghe a modo di ventaglio e le valli, che esse comprendono, solcano quel margine, formando come tanti canali di scolo per il paese interno settentrionale; anche il confine segue una di queste catene, per quanto poi devii con ampio arco verso oriente. Ma anche questa deviazione fu forse causata da ostacoli naturali, essendo in quel confine scarsi i valichi di agevole passaggio; la migliore testimonianza del suo carattere di frontiera proibitiva é certo che i Cinesi, secondo quanto riferiscono i loro storici, tanto in pace che in guerra hanno preferito comunicare col Tonchino per la via di mare.

Così anche si spiega come mai i Cinesi ad onta di ripetuti tentativi e di una attiva colonizzazione non siano mai riusciti a tenere per lungo tempo questo tratto di costa, che appare chiaramente come una continuazione della Cina.

Altro aspetto ha invece il confine settentrionale. Qui un'opera della mano dell'uomo, la più grandiosa che essa abbia mai creato, da più di due millenni sta fieramente a guardia del paese: la famosa Grande Muraglia, di cui tutti parlano, ma che pochi conoscono a dovere. Sorgendo presso Scian-hai-kuan dalla riva del mare, questa titanica costruzione, massiccia e rafforzata da 25.000 torri e 15.000 posti di vedetta, con le mura in media alte 9 metri, ramificandosi inoltre più volte e raddoppiata in forma di castello nello Scihli e nello Scian-si, prolungata nell'estremo nord est da una palizzata fin quasi nella Corea, va con brutale energia verso occidente, noncurante di ogni ostacolo, attraverso ardue giogaie e ripide pendici, per fiumi e deserti, senza mai smarrirsi e senza mai interrompersi...

... finché, dopo aver percorso più di 5000 km., tocca la meta presso la «Porta della Giada» (Yü-men o Kiu-yu-kuan); baluardo della cultura contro il nomadismo, muro divisorio tra il suolo coltivato e la steppa mongola.

Poiché questa, frammista più volte a deserti, si stende immensa dinanzi a tutto il settentrione, simile ad un mare; e in realtà fino al suo lembo più orientale era un antico mare, il "Mediterraneo" asiatico, che in età remotissima si stendeva sull'Alta Asia dal Pamir al Khungan, dal Kùn-lun fino al Tienscian.

Né questa frontiera artificiale fu innalzata (dal III sec. a.C. completata nel XVI) senza buone ragioni. Parrebbe a prima vista che dovesse essere un baluardo sufficiente il robusto massiccio delle montagne, le quali dal Tsin-ling piegando verso nord-est riempiono le province dello Scensi, dello Sciansi e lo Scihli settentrionale e finalmente vanno a terminare nel Khingan; e un buon baluardo é in singoli tratti, dove la Muraglia sa in generale adattarsi abilmente alle condizioni favorevoli del terreno; altrove questo é invece interrotto da valli, che con le loro ramificazioni molteplici si addentrano nella massa montuosa...

... quasi invitando a facili passaggi; ciò accade soprattutto nel nord-est, che oltre al margine costiero offre un varco in alcuni antichi bacini di laghi salati e in particolare poi nell'angolo a nord-ovest, dove la comoda conca del valico dallo Yu-men dà libero passo e conduce finalmente per l'ampia valle del Wei-ho nel cuore del paese.

Il nord é dunque il tallone d'Achille della Cina; qui essa é aperta per l'Asia e poi per tutto il mondo occidentale. Poiché in tutto dissimile dall'ostile mare di oriente, questo antico "Mediterraneo" ha le qualità ospitali del nostro; esso serve da intermediario e congiunge invece di dividere. Le sue dolci ondulazioni guidano il viandante, attirato a una meta sempre più lontana da un orizzonte infinito; le linee, che corrono da ponente a levante lungo le alture e il margine degli altopiani, lo guidano qua alle porte della Cina, là ai passi del Pamir e per il bacino della Zungaria all'Asia occidentale, all'India, all'Europa, segnandogli la via come quasi delle frecce indicatrici.

Le immense orde di popoli, che può generare l'altopiano mongolico, vera «vagina gentium», al pari degli arditi missionari della cultura e degli interessi dell'Occidente ebbero così fissate quelle mete, che dovevano legare tra loro due mondi. Quel territorio privo di corsi d'acqua appunto per la sua conformazione poté servire ad altre correnti.

Poche linee semplici e grandiose ci dànno il contorno della Cina. Possiamo dubitare se con esso la natura le abbia concesso o negato di più; tuttavia nella ricca membratura del suo disegno generale e in tutto ciò che ne dipende non le è stata certo avara di doni. Difatti la Cina, per fermarci qui ai soli tratti generali, possiede la più varia alternativa di colline, montagne e pianure, sebbene per lo più tutte abbiano quelle dimensioni sovrabbondanti, che sono peculiari a questo continente.
La regione montuosa raccoglie le copiose precipitazioni e le manda in grosse correnti alla fitta rete di valli, agli ampi bacini ed alle estese pianure alluvionali, che avide le accolgono; la fertilità naturale del terreno è sempre di nuovo fertilizzata dall'assorbimento dei prodotti in decomposizione. Si aggiunga, a far più bello il quadro, un clima dei più felici, in cui ogni stagione comincia quasi a data fissa; così germoglia una flora lussureggiante, che dà ricovero e nutrimento a una fauna numerosa e svariata e le zolle tre volte fertilizzate possono dare sino a tre raccolti in un anno.
Anche il sottosuolo rigurgita di ricchezze di ogni sorta, spesso da estrarsi quasi senza fatica; i monti chiudono nel loro grembo forse i maggiori giacimenti carboniferi del mondo e tesori cospicui, finora inesplorati, di pietre preziose, di metalli e di minerali diversi; le acque ne trasportano non pochi, soprattutto una provvista inesauribile di sale.

Finalmente lo scolo delle acque è regolato da un sistema fluviale quasi unico al mondo; esso presenta difatti le vene più gigantesche di ogni altro paese continentale della zona temperata, diramate fino nelle più piccole pieghe montane mediante una rete di canali navigabili. La Cina gode così, riassumendo, di tutti i vantaggi di un territorio puramente periferico o, per dirlo alla cinese, vi è eccellente il «feng-sciui» (vento e acqua), come si chiama la misteriosa attività delle forze soprannaturali, che si crede governino il terreno e l'atmosfera.

Questi contorni acquistano forme più precise e le necessarie sfumature, se il disegno si considera nei suoi particolari. E allora spicca subito la netta divisione del paese in una parte settentrionale, la minore, e in una meridionale, la maggiore. Difatti il prolungamento del Kùn-lun del nord-ovest dell'altopiano asiatico si stende, come un braccio potente, attraverso tutta la Cina fino a Nanking, tagliando quasi ad angolo retto le catene della Cina montana e spezzando in due parti disuguali la « grande pianura » orientale.

Esso è il Kùn-lun orientale o cinese ed è pure la più importante catena della Cina; lascia liberi, quali vie di congiunzione relativamente ristrette, solo il delta dello Yang-tze e un avvallamento presso Nan -yang-fu, quasi polso che divida il braccio dal pugno. In compenso il suo tratto occidentale, il Tsin-ling, torreggia verso nord con bastioni e merli di 3300 metri e con ripide balzi, muraglia quasi insuperabili, che difatti solo in due punti si può valicare; anche l'ala orientale e più breve, la catena dell'Huai, per quanto di un rilievo senza confronto più piatto tuttavia non manca di vita da 1200 ai 1500 metri e forse più. Cosicché questo Kùn-lun cinese forma nell'insieme un limite molto preciso e non solo fra i due massimi sistemi dell'Ho e del Kiang (ovvero, come siamo soliti chiamarli, Huang-ho e Yang-tze kiang), ai quali esso, da vero culmine e spartiacque della Cina, manda i propri contrafforti, qui verso settentrioni, là verso mezzogiorno, per tutta la sua lunghezza, non escluso l'avvallamento ricordato, e forma anche un limite tra le regioni stesse, irrigate dall'Ho e dal Kiang, o per meglio dire da tutti gli «ho » e i «kiang» (si noti infatti che i fiumi si chiamano col primo o col secondo di questi nomi, secondo se scorrono a nord o a sud di quel limite) ; separa quindi la Cina settentrionale dalla meridionale ossia, potremmo quasi dire, due mondi diversi.

E in realtà la Cina settentrionale e la Cina meridionale differiscono fra loro notevolmente per il paesaggio, il clima, la coltura del suolo, non meno che per la fauna e la flora, i costumi e il carattere della popolazioni.

La Cina settentrionale é il regno della «terra gialla» (Tung-li, Loss dei geologi tedeschi). Da milioni di anni il vento ha in certo modo ricoperto la steppa col deserto; con quelle violente «bufere di sabbia», anche oggi ben noti ai viaggiatori del nord, esso ha disteso la polvere gialla dell'Asia centrale sugli strati erbosi di quelle alte e selvagge montagne, che costituivano allora la Cina settentrionale, embrione dell'attuale; la polvere si é a poco a poco impastata con detriti vegetali e col terriccio e si é condensata in «terra gialla», che crescendo sempre più alta, strato sopra strato, ha finito col ricoprire il terreno. L'acqua é poi penetrata in questa specie di rivestimento di stucco, asportando i materiali disciolti, finché il rilievo é divenuto quello che é oggi.
Ad oriente vi è una pianura formata per la massima parte da «terra gialla», depositata dalle acque, poi disseccata e risommersa di nuovo per ampi tratti; la «pianura gialla» (così il Richthofen ha battezzato questa parte settentrionale e cinesi della grande pianura), dalla quale si spinge in fuori il blocco montuoso dello Sciantung, povero di «terra gialla», sporgendo solitario nel mare.

Ad occidente vi é l'antico massiccio montano, ma in nuova forma, che piomba bruscamente nella pianura con i resti di antichi vulcani; poiché il profilo di una volta dal taglio deciso e dalla energica membratura col vario contrasto di vette dominatrici e di profondi avvallamenti aspri e dirupati é scomparso; come uno spesso lenzuolo di nevi con le sue molli linee cancella e eguaglia tutti i contorni, così la «terra gialla» colmando fino alla cima le valli e le gole rocciose, le ha appianate in dolci conche e in culle ed ha trasformato in un tranquillo e uniforme altopiano la montagna alta e frastagliata.

Nuove formazioni hanno avuto origine in sostituzione delle antiche; poiché: dove i depositi della «terra gialla» hanno raggiunto la massima altezza, nei pochi bacini lacustri antichi, racchiusi nella regione montana, l'acqua li ha tagliati e corrosi in blocchi di forme caratteristiche e così vi ha per così dire cesellato un vero labirinto di valli, vallette e gole, le cui pareti s'innalzano verticalmente al margine orizzontali dell'altopiano, digradanti in alto a scalini o a terrazzi, che cadono esse pure a piombo.

Ma anche là, dove la disgregazione meteorica ha portato vita e varietà nella pietrificazioni quasi geometrica di questa contrada, la sua arte minuta con le sue forme bizzarre, grottesche e singolarmente stravaganti non ha potuto ridarle la sua bellezza plastica ormai sepolta, i grandiosi lineamenti di un tempo, e poiché tutta questa venatura (che del resto spicca soltanto nella metà occidentale, nello Scinsi e nel ponente dello Sciansi) appare nell'insieme del quadro soltanto come la sottile screpolatura di una tazza di porcellana, come delle piccoli fessure in una superficie piana, si può giustamente dire in generale che il paesaggio montano della Cina settentrionale ha un carattere calmo ed uniforme, privo di plasticità e di fantasia. Vi contribuisce anche il giallo monotono della sua colorazione, cui solo i raggi del sole, riflessi dalla polveri, possono dare verso il tramonto come un'aureola magica, e soprattutto il fatto che la «terra gialla» é sfavorevole alla vegetazione arborea; l'ornamento delle foreste, che potrebbe nascondere tanti difetti della sua costruzione è negato alle regioni della pura «terra gialla», che appaiono spesso paurosamente nude e deserte, e questa penuria di legname ha segnato la condanna anche dei tratti boschivi «fuori della terra gialla», dove sopravvivono qua e là boschetti radi o piuttosto gruppi di alberi.

Ve ne sono anche disseminati nella Pianura Gialla, la quale per le sue proporzioni gigantesche offre del resto più evidenti, come é naturale, le suddette qualità generali; però nella sua grandissima uniformità si sente forse di più nel nord la nutriente prosa dei campi e di tanto in tanto il fascino malinconico della landa e nel sud la pace idillica di un paese-giardino.

Poiché appunto questa « terra gialla », polvere fertile, deserto che è sorgente di civiltà, così sfavorevole alla grande vegetazione é invece altrettanto propizio a quella piccola e innanzi tutto all'agricoltura; grazie ad una specie di auto-concimazione, cui basta una sufficiente quantità di pioggia per riuscire inesauribilmente feconda, essa dà, quasi senza la cooperazione dell'uomo, frutto copiosissimo; senza dire che fino a 2400 metri sul livello del mare offre buoni campi. Ed essendo inoltre facilissima a lavorare anche con gli arnesi più primitivi e quindi molto semplice, dove la sua massa é maggiormente compatta, dispensa oltre al cibo anche un alloggio.

Nelle sue terrazze sono scavati (come a Matera in Italia) numerosi nidi fino a non molto tempo fa abitati, spesso disposti l'uno vicino all'altro come in un alveare, con le loro camerette a volta e le aperture ad arco rotondo, forme richieste dal materiale stesso. Non di rado una simile parete di «terra gialla» ha ospitato un villaggio intero; fatto che é tanto più facile a spiegare, in quanto le singole valli di questa formazione non comunicano spesso fra loro che per vie indirette e difficili, rendendo così necessari i raggruppamenti degli abitanti. Per lo stesso motivo e grazie alla loro strettezza di queste gole, era facile la difesa; più di uno di questi villaggi di caverne occupava quale fortezza naturale una gola, le cui due uscite erano assicurate da robuste "porte".

Tanto l'altopiano e così la pianura sono favorevoli alle strade carrozzabili, sulle quali si è sempre svolto principalmente il traffico nella Cina settentrionale. É il paese del carro e del carrettino; entrambi hanno sempre dato impronta alla veduta di una strada nei dintorni delle grandi città; un veicolo primitivo ma mai abbandonato, destinato al trasporto delle persone, il carro a due ruote, col suo padiglione a volta, dipinto d'azzurro, una specie di botte su ruote, che il proprietario o chi lo ha noleggiato adopera volentieri sia per la gita di un quarto d'ora che per il viaggio di parecchi mesi, sfidando con indifferenza stoica tutti gli urti e i barcollamenti; quel carro é per lui ad un tempo mezzo di trasporto, abitazione e giaciglio.
Anche le mercanzie, le masserizie e i prodotti del suolo si trasportano ieri come oggi per lo più con carri, o collocandole sotto la sala del carro da trasporto o sul carretto di forme originali e insieme praticissime, carretto che nella parte meridionale della pianura serve perfino al trasporto delle persone.
Come animali da tiro si adoperano il mulo e più di rado il cavallo e l'asino; quest'ultimo é sconosciuto nella Cina meridionale; essi sono anche animali da sella e da soma e a quest'ultimo scopo serve anche il cammello, limitato però alla parte più settentrionale del paese, in vicinanza della steppa. Ma sono poche le merci (per es. il carbone), che sono affidate ad essi, giacché la lentezza del trasporto fa preferire oggi il carico su moderni autocarri.
E a proposito di automezzi, fin dal primo apparire in occidente, lo sviluppo della motorizzazione ha interessato anche questo Paese. La Cina delle grandi città soprattutto quelle portuali, non ne è rimasta assente. Ecco qui sotto una immagine di Shangai dell'anno 1930, con la frequentatissima via Bund, il lungomare del vicino porto, ornata già da allora da grandi palazzi e brulicante di autovetture.

ecco invece una recente immagine della stessa via Bund
da quasi la stessa posizione

 

Lo stesso dicasi della navigazione. In alcune vie fluviali, specialmente del nord-est, si svolge un traffico discretamente attivo di merci e di persone, che era ancora più vivace prima che vi fosse la ferrovia; un traffico che non si arresta del tutto nemmeno nell'inverno, quando le barche sono spinte sul ghiaccio a modo di slitte.
Anche quella seconda opera gigantesca della Cina, il Canale Imperiale, un tempo costruito per trasportare alla capitale i tributi del mezzogiorno, é tuttora navigabile localmente nonostante il grave insabbiamento; ed anche a nord l'Huang-ho, per tanto tempo non più navigabile nel suo corso superiore, oggi consente un traffico molto vivace di merci; ma qui il commercio è sempre stato vivace, e risale probabilmente a quattromila anni fa, quando ci si avvaleva di battelli, chiatte, zatteroni.

I principali prodotti agricoli del nord sono il grano, famoso specialmente per bontà e per abbondanza nello Sciansi e nello Scensi, poi oltre all'orzo, all'avena, ai legumi, in modo particolare il miglio, che é il vero alimento popolare della Cina settentrionale; un altro articolo principale è il cotone, figlio legittimo della terra gialla. Manca invece dei tutto il tè e quasi del tutto il riso; anche il baco da seta si alleva in grande quantità solo nello Sciantung.

Il clima é continentale; dall'estate caldissima - 42.0 C. all'ombra a Pechino - si passa rapidamente al rigido inverno. Eppure quella e questo si sopportano assai bene, perché l'aria é asciuttissima; e a prescindere dai frequenti turbini di polvere e di sabbia, che in ogni stagione, ma specialmente in primavera, spingono sopra il paese le loro folte nuvole gialle, il tempo é meraviglioso, principalmente nell'autunno; un cielo purissimo di un azzurro carico e senza nuvole durante il giorno, scintillante di stelle di notte, quando il chiaro di luna si diffonde sul terreno, che sembra alla lettera coperto di neve.
Spiacevole per l'afa umida é soltanto la stagione delle piogge, che sopraggiunge nel luglio e nell'agosto con puntuale regolarità, ma che passa dopo aver durato da due a otto giorni al massimo - basta però un solo giorno di pioggia perché in determinati punti l'acqua arrivi alle ginocchia o alla cintola; in compenso come per incantesimo sul suolo più brullo durante una sola notte può sorgere una lussureggiante vegetazione.

Ben diverso il Mezzogiorno. Veramente anche qui ritroviamo il contrasto topografico tra montagna e pianura e quest'ultima non é priva nemmeno di «terra gialla», spintasi fin là dalle catene dell'Huai attraverso le alluvioni dello Yang-tze fino al lago Po-yang, ma solo sporadicamente, a brandelli e in esili strati, cosicché questo frammento della grande pianura, per quanto sia divenuto il tratto di passaggio e di unione fra il nord e il sud, non ha perduto i caratteri tipici di quest'ultimo. E per finirla con le analogie, troviamo anche qui ampi bacini, sparsi entro la regione montuosa, che spesso si presentano a noi quasi come un'altra « terra gialla », così per la esuberante fertilità del loro fondo alluvionale - e lo attesta nel cuore dello Sze ciùan, che è l'odierno granaio della Cina, la sterminata pianura del «bacino rosso» di Céng tu-fu -, come per il resto della loro formazione.
Difatti sono qui più frequenti i depositi di arenaria rossa, che in modo simile, se non del tutto così facilmente come la «terra gialla», si presta ad esser lavorata e per questo e per la sua lenta disgregazione (come l'arenaria pugliese) si presta come laterizio per farne abitazioni.

In generale i monti della Cina meridionale (come del resto anche quelli dello Sciantung) tendono alla formazione di caverne, compensando così naturalmente quello che la «terra gialla» deve lasciar fare all'arte; la disposizione delle valli favorisce spesso qui come nel nord il frazionamento in piccoli gruppi abitati; questo appare anche dal fatto significativo che i singoli , oggi come da tempo antico sono suddivise in «valli», anzi persino in «caverne» (tung).

Le analogie si fermano qui. In tutto il resto quale differenza ! Non basta che i suoi bacini alluvionali siano sparsi apparentemente in quantità assai maggiore che nel nord e ad ogni modo incastrati più profondamente fra le aspre pareti dei monti, né che non ci sia quasi confronto fra il rapporto reciproco di monte e piano; infatti mentre nel Settentrione la pianura occupa forse un terzo della superficie totale, il Mezzogiorno deve accontentarsi di averne un piccolo lembo a nord-est e tutto il resto dell'immenso spazio sta sotto il grave peso dei monti a nord i Daxue a est Engduan e Wuliang, zona montagnosa ma molto differente da quella del nord.
Non vi si trovano né altopiani né tavolieri. L'unica provincia di Yünnan é essenzialmente un altipiano; il rimanente é coperto da un grandioso e confuso graticolato di alte catene e di solchi e pieghe profonde, che in particolare ad occidente s'innalza a forme di selvaggia grandezza, dove le valli appaiono quasi lacerazioni della montagna, tanto che nella brusca contiguità dei contrasti le creste sembrano più ripide e le vette ancora più alte di quel che non siano già di per sé. Non lontano dalla città Kunming a Longman - oggi importante centro turistico con grande aeroporto - esiste un'attrattiva mondiale, si possono ammirare le stupende "foreste di pietra".

Ma a mezzogiorno mancava la «terra gialla» per colmare le pieghe e le fenditure; lo Tsín-ling, simile a un enorme paravento le sbarrava la via e così quel paese alpestre ha potuto conservare i suoi lineamenti primitivi.
E con questo anche la sua bellezza, poiché la Cina meridionale è davvero un paese pittoresco. La robusta struttura dei monti e delle valli col ricco e vario alternarsi di forme dalle rigide muraglie e dalle cupe gole fino alle amene vette, che si affacciano su conche agevoli ed ampie, le conferisce qui tutto l'orrore di una natura selvaggia, ma anche l'incanto del romantico - basti ricordare i celebri massi di arenaria intorno al lago Poh-yang - oppure quel delicato paesaggio montuoso, nella cinta meridionale dentro la valle dello Yang-tze....


... con le isole come montagne sul fiume

Ed alla plastica incomparabile dei contorni, che soltanto di rado si compiace di forme bizzarre, alla bellezza, che dipende dalla varietà che sembra fatta apposta per destare la fantasia creatrice, l'avvicendarsi dei colori congiunge il suo ornamento vivificante. Non con la triste uniformità del nord, ma con toni caldi e variopinti spicca e riluce la roccia, che si mostra spesso denudata; le dà poi rilievo e le fa cornice la veste sempre verde di una vegetazione, in confronto alla quale quella del nord è quasi polare. Con un rigoglio pressoché tropicale e con infinita varietà di specie riveste i campi e con cespugli carichi di fiori, con palme ed ulivi, aranci e fichi, sale fino sulle pendici dei monti; nelle foreste riboccanti di vita o i boschetti dove si arrampicano a frotte le scimmie e trovano ricovero il tapiro; dove un tempo era diffuso il rinoceronte e l'elefante.

La coltivazione dei campi é ristretta piuttosto alla valle e di rado raggiunge i 600 metri; ma offre anch'essa e in larga misura, i prodotti di un clima meridionale; la canna da zucchero, il té e il riso sono i prodotti principali, dei quali il Sud provvede a se stesso, al Nord ed anche in parte al commercio mondiale. Inoltre é pure il centro principale della produzione della seta.

La coltivazione del riso presuppone una buona irrigazione, poiché questa pianta prospera solo nell'acqua non è l'ideale la porosa «terra gialla». E l'acqua, che tanto conferisce alla bellezza del paesaggio, sovrabbonda in questa regione. Vi provvede non solo il grande Yang-tze con la schiera dei suoi affluenti; ma anche più oltre, a mezzogiorno, nella rete del «Fiume delle perle», si hanno fiumane considerevoli, e vi è finalmente un certo numero di laghi in parte molto ampi, come il Tung-ting, il Poh-yang ed altri, che sono centri di distretti particolarmente fertili.

Tuttavia lo Yang-tze ha il difetto di straripare con una certa regolarità, ma la sue inondazioni non sono così violente e pericolose come quelle del basso Huang-ho, che già da millenni é divenuto l'«afflizione della Cina»; inoltre lo Yang-tze offre un ricco compenso col fatto di esser navigabile, al pari di tutti i corsi d'acqua del Mezzogiorno, molto più dentro di quelli del Settentrione. Perciò la navigazione ha preso qui un grande sviluppo. Ciò che il carro é stato per il Settentrionale é per il Meridionale il battello e in misura ancor più larga, poiché gli serve non solo per trasportare le merci e per viaggiare, ma assai spesso anche di stabile dimora; anzi in queste navi abitabili, i noti «battelli-case», vivono spessissimo intere generazioni, che o da veri nomadi dell'acqua vi passino tutta la vita intenti ai loro traffici, risalendo e discendendo innumerevoli volte il corso dei fiumi, o che si trattengano fermi in qualche luogo, come avviene delle migliaia di tali barche, ancorate dinanzi a Canton, dove formano una città galleggiante, quasi un'altra Venezia.

Esse fin dal secolo XIV richiamarono l'attenzione di un monaco domenicano; e difatti é antichissima nella Cina meridionale e specialmente nella regione dello Yang tze la predilezione per la vita acquatica, per cui si ricorre talora anche a Costruzioni su palafitte; narra appunto una antica tradizione che proprio questa vita anfibia abbia costretto qui gli uomini, per difendersi dai draghi a tatuarsi con l'immagine di un drago; specie di mimetismo, che pare di origine totemistica. Ai tempi antichi risalgono anche i nomi speciali per le più svariate forme di battelli varati in questa regione, dalla quale ha poi preso origine in tutto l'impero, fin dal IV secolo a. C., la famosa e bella «festa dei battelli dragoni».
Ancora oggi nel laghetto del Palazzo d'Estate presso pechino, fa sfoggio come simbolo di quella festa un bellissimo battello in marmo.


Sembra invece che i trasporti per terra abbiano avuto nel traffico una parte molto minore e la stessa natura del terreno vieta in ogni caso la maniera usata nel nord. Il carro é sempre rimasto pressoché sconosciuto; solo nella pianura si è usato il carretto simile a quello del settentrione. Raro l'uso del mulo o del cavallo; i ripidi sentieri delle montagne hanno sempre costretto l'uomo stesso a mettersi al giogo; lui a trascinare le mercanzie, lui che in città ha trainato i risciò, alla quale dove la navigazione fluviale è impossibile ha ricorso spesso il viaggiatore straniero. E' sempre stato il veicolo terrestre tipico del sud, e se è comparso anche in alcune città del nord l'utilizzo è sempre stato solo per lo straniero, anche per il suo alto prezzo; oppure riservata alle persone locali molto importanti.

Il clima del Mezzogiorno, per continuare il nostro parallelo, non é continentale ma variabile ed oltre a ciò più caldo che nel nord, nell'insieme subtropicale, sebbene sulla costa meridionale compaia di quando in quando il «cotone cadente» come a Canton chiamano la neve. Le precipitazioni sono distribuite più regolarmente; dura più a lungo la stagione delle piogge, che comincia pure con temporali, ma senza paragone più violenti; manca quella gradevole asciuttezza dell'aria, che qui invece è tanto satura dell'umidità dei monsoni di sud-ovest che in estate nelle città costiere riesce quasi insopportabile, nonostante la vicinanza del mare.

Questo dualismo infine si estende anche agli uomini. Non certo rispetto alla stirpe tutti quelli che chiamano loro patria la Cina, ad eccezione di scarse e recenti intrusioni di sangue arabo, ebreo e di altra stirpe straniera, appartengono alla stirpe mongolica o per meglio dire alla "razza" gialla. Ma bisogna anche dire che questa specie umana é così enormemente numerosa da formare quasi un genere e da possedere almeno tante varietà quante ne ha quella di origine bianca. E in realtà nella Cina se ne sono stabilite, accanto a quella locale, ai Cinesi propriamente detti, in numero cospicuo. Però (fatto significante) la loro diffusione è diversa nel nord e nel sud. Poiché mentre il nord appare frammisto, e in non piccola misura, con elementi propriamente mongolici, turchi e tungusi (in specie manciù) soltanto sporadici nel sud, questo è invece l'antica rocca di tribù autoctone, alla loro volta non rappresentate nel nord: dei Man-tze, per chiamarli col loro antico nome collettivo cinese, che per la Cina meridionale ritroviamo nei Manzi di Marco Polo. Oggi si sogliono dividere in Miao-tze e Man-tze, talvolta anche in Si-san.

Col primo nome si comprendono tutte quelle tribù grandi e piccole, innumerevoli e in parte ancora indipendenti, che soggiornano nelle province del sud ovest; sotto il secondo nome quelle, che risiedono nelle province dell'ovest, una volta esclusivamente possedute da loro. Ma per quanto ai Miao-tze spetti certamente un posto separato, come a quelli che hanno importanza maggiore degli altri, non vi è dubbio che in origine essi stessi non si considerassero come appartenenti alla stirpe dei Man.
E a buon dritto. Poiché in realtà tutto questo brulichio di genti varie, compresi i Sisan, forma un popolo solo, almeno per la lingua; in contrasto con le infiltrazioni avvenute nel nord di linguaggio uralo-altaico, tutte questi genti appartengono alla grande famiglia linguistica indo-cinese, diffusa per tutta la Cina, il Tibet e i paesi dell'Himalaia, il Siam e la Birmania; e certo i loro idiomi e i loro dialetti, tenendo pur conto delle peculiarità, per le quali tengono un posto di mezzo e servono da intermediari fra le lingue extracinesi e il cinese stesso, sono evidentemente più vicini a quelli che a questo; anzi alcuni, come i dialetti Si-san o il Mang dello Yün-nani il Pah-yi, sono da considerarsi senz'altro come dialetti tibetani, birmani, siamesi - fatto questo di grandissima importanza per le questione delle sede primitive degli Indo-cinesi.

È vero che, in specie fra ì Miao-tze, sì è creduto dì trovare tracce considerevoli anche di un altro tipo linguistico, cioè dell'austroasiatico, che comprende gli idiomi extra-indocinesi dell'India ulteriore (annamitico, cambogiano, peguano, le lingue degli Aborigeni delle Malacca, Orang-Utan, Orang-Binüe, ecc.) nonché quelli dei Nicobaresi e dei Munda dell'India citeriore; tipo linguistico che secondo le ricerche fondamentali dì P. Schmidt, insieme all'estesissima famiglia delle lingue malaio-polinesiache (o austronesiche), forma il gruppo gigantesco delle lingue austriche.

"Le ragioni di tale ipotesi - scrive A. Conray, nella sua opera "Storia dell'Umanità" - non sono apparse a me valide; eppure sembra ben fondate, per quanto in modo di aprire una prospettive affatto diverse, ma (come credo) assai più ampie. Indagini mia proprie hanno infatti finito per convincermi che per lo meno un forte sostrato comune sta a base dì queste due famiglia linguistiche, l'austrica e l'indocinese, in generale e non solo in singole parti; se pure esse non sono addirittura rami di uno stesso albero; tanto è imponente la quantità dì corrispondenze fondamentali, che toccano l'intima loro essenze vitale e che appaiono oltre che nelle strutture soprattutto nel lessico.

"È vero che la parentela linguistica non implica affatto una necessaria parentela di "razza". I Man-tze possono quindi comprendere benissimo anche vari elementi eterogenei e le antiche notizie cinesi rendono questo molto verosimile; queste ricordano, per es. tre di essi un popolo di nani e alcune tribù «dal naso alto e dagli occhi infossati», comune designazione del tipo caucasico. E alcuni difetti asseriscono di avere scoperto nello Yün-nan una razza nera e un popolo caucasico, i Lolo; anzi da non molto si vorrebbero riconnettere i Miao-tze agli Ainu. La decisione spetterà all'antropologia, quando avrà intrapreso il suo lavoro in questo campo ricco e vergine; io credo che dovrà dichiarare i Man-tze, nell'insieme, figli legittimi della "razza" gialla della specie indocinese.

"Difatti, secondo tutte le notizie e i disegni e me noti, essi e specialmente i Miao tze hanno tutti i caratteri tipici di quelle e principalmente la piega così distintiva delle palpebre (gli «occhi fessi») e lo sviluppo scarso dei capelli rigidi e neri, che li pone in evidente contrasto con gli Ainu, col popolo «capelluto», come sono chiamati nelle Cina (e in Giappone) da ben 2000 anni (ma ancora oggi di origine sconosciuta)
Se le corporatura più piccole e più tarchiata, il viso più largo e angoloso e potrei quasi dire più mongolico e il colore più bruno delle pelle li distingue dai loro cugini settentrionali, tutto ciò, al pari del loro linguaggio, li avvicina tanto di più agli Indocinesi, che vivono fuori dalle Cina. A questi li unisce anche qualche altro tratto caratteristico - almeno (e quanto pare) l'ostinato sentimento d'indipendenza, l'ardente amore di libertà, che li fa vivere fieri ed autonomi nei monti dell'estremo mezzogiorno, dopo una lotta di quattromila anni con la Cina, trovando un riscontro nelle storie dei popoli Tai e del loro ceppo principale, ì Tài o « liberi », come i Siamesi alteramente si chiamano.

Questi caratteri somatici sono poi comuni anche alle popolazione cinese della metà meridionale del paese, forse attenuati, ma tuttavia espressi ancora così chiaramente che anche un osservatore superficiale non scambierà facilmente il Cinese meridionale con quello e carnagione più chiara, e corpo più snello e più finemente modellato, che vive a nord dello Yang tze e che in generale raggiunge la grandezza media di un Europeo.
Non c'è de meravigliarsi se in Cina ancora oggi quelli del Mezzogiorno sono chiamati Mieo-tze per canzonatura. Nonostante sì può a questo proposito pensare anche alle qualità spirituali e innanzi tutto all'eredità del carattere, trasmessa specialmente egli abitatori dell'Hunen, l'antico centro di quel popolo, con le loro rozze maniere, e alla insubordinazione - eredità che forse ancora ha la sua parte nella separazione e nel contegno di opposizione dell'intero Mezzogiorno.

Ma comunque stiano le cose, non è soltanto la statura, che distingue fra loro i Settentrionali dai Meridionali, ma anche di più e in modo piú significativo l'«indole gaia e il piacere dì fantasticare» - poiché sì può definire presso a poco così quello, di cui la natura ha provveduto il Cinese meridionale meglio che il suo gemello nelle ripartizione delle attitudini naturali. È difatti più vivace, più focoso, più presto preso da entusiasmo del Cinese del nord, che è più grave e con equanimità maggiore accetta quello che gli reca il destino; e mentre in quest'ultimo prevale il freddo calcolo, l'occhio pratico e una avida tendenza a dubitare - anche nel campo religioso - insomma una tranquilla moderazione di mente, s'incontra nell'altro una maggiore letizia di credere, un sentimento più vivo dell'incanto, che emana dal romantico o dal mistico, e soprattutto una fantasia creatrice ed eccitabile, che veramente lo rende proclive alle millanterie ed alle smargiassate - tanto che specialmente le province centrali passano per una specie di Guascogna e i suoi abitanti per dei Tartarin - e non sempre gli consente di dare buona prova di affidabilità, come fa il Cinese del nord. In una parola nel Cinese settentrionale domina il senno, in quello meridionale il sentimento e la fantasia.

Queste ultime doti si devono, a dire il vero, intendere non solo con discrezione, ma anche in modo puramente relativo. Il Cinese meridionale è infatti e rimane sempre figlio genuino della sua razza e ne ha tutte le qualità generali, buone o cattive che siano. Gli sono proprie, prima di tutto una serena soddisfazione, che si accontenta del poco, un umore spesso grottesco, una diligenza tenace e infaticabile - antica virtù questa del contadino - l'affabilità, là pietà, una forte inclinazione per l'ordine cittadino, ma non meno di queste doti gli è propria una grossolana superstizione, la tendenza all'esteriorità e all'apparenza, una spregiudicatezza nel minuto commercio, una propensione meravigliosa a simbolizzare e a schematizzare, inoltre la poca pulizia e la poca forza d'animo e, ultimo ma non minimo difetto, l'utilitarismo e l'orgoglio della propria civiltà.

E come possiede tutte queste qualità peculiari e forse, al pari del Cinese settentrionale, anche quelle contrarie, che questo paese tanto ricco di contrasti ha poste spesso abbastanza stranamente nel petto di uno stesso individuo, così ha ricevuto anche una misura colma di due delle sue qualità più cospicue, che stanno in fondo ad ogni suo moto: un freddo e prosaico concetto dell'esistenza e quella plumbea insensibilità, quasi ottusa indifferenza, che vela ogni commozione dell'animo.
Se perciò le sue passioni non raggiungono mai la violenza, anche la sua fantasia, per quanto vaghi avventurosamente e senza freno, ha sempre qualcosa di monotono e di schematico e addirittura di vago e di caricato alla maniera degli sciamanisti e non ha la virtù plastica di creare dal nulla immagini che emanino la vita. Ma vi é pure in ciò una significativa superiorità di fronte al Cinese del nord, e basta ampiamente per assicurargli la vittoria nel campo dell'arte.
A tutto questo, per tacere poi delle numerosissime varianti nelle usanze e nel costume, che si estendono fino allo stile architettonico della casa e alla forma delle tombe, si unisce anche la differenza della lingua.

Poiché mentre in tutto il nord è indigeno l'alto cinese o kuan-hua, che (nonostante svariate sfumature dialettali) vi è diffuso con tanta uniformità e con forme così scolorite, come la « terra gialla » dei suoi monti, il sud è il dominio di antichissimi dialetti, mantenutisi nella loro purezza e ruvidezza quasi primordiale. Essi sono tanto differenti da quelli del nord che le persone indotte di ogni paese devono ricorrere al grande cemento, che tiene insieme la Cina, alla scrittura comune o, dove questa non si conosce, perfino al «Pitchyenglish» per intendersi fra loro - problema che, per es., i Siamesi e quei di Canton si dice risolvano usando la loro stessa lingua - oppure devono infine ricorrere alla lingua parlata superiore o mandarina; anzi la forma del kuan-hua, parlata in alcuni distretti da tempo antico e recente, è in parte così fortemente colorata come un dialetto e in parte ha suoni e intonazioni così arcaiche, che nel nord difficilmente può essere intesa.

È un caso simile a quello del «Plattdeutsch» e dell'«Oberdeutsch» in Germania e della «langue d'oui» e della «langue d'oc» in Francia. La relazione fra il cinese settentrionale e quello meridionale si può in tutto paragonare a quella, che vi è fra i due idiomi tedeschi e francesi del nord e del sud, anzi in genere ai gruppi corrispondenti di tutti quei popoli, che sono cresciuti in condizioni naturali simili; cause uguali danno luogo ad uguali effetti.

Tutti questi sono certo contrasti decisi. Ma quella medesima natura, che li ha creati, ha offerto anche quale compenso -- e dei suoi effetti possiamo già scoprire le tracce nelle circostanze di fatto già descritte - la possibilità di un accomodamento e di una conciliazione, perfino dove gli ostacoli sono più accumulati e gli estremi ravvicinati troppo fra loro: a ponente, dove alle falde meridionali dello Tsin-ling verdeggia ancora la palma, mentre a un grado appena di latitudine più a nord le bufere invernali mugghiano sulle pianure agghiacciate, su tutto il paese essa ha disteso una rete (sia pure a larghe maglie) di vie e di strade, che si riannodano da tre lati anche a quelle, che stanno fuori della Cina.

Non ho potuto sinora evitare di far per incidenza qualche accenno ad esse ed ora voglio descriverle ordinatamente, limitandomi a quelle maggiori e più importanti, poiché appunto di queste si può a priori e senza tema di errore ammettere che siano state battute anche fin dai più antichi tempi. Difatti anche ai nostri giorni e dovunque, appare sempre meglio che nei tempi preistorici il traffico commerciale era molto maggiore e più esteso e il mondo era molto più piccolo di quello che non si osasse prima pensare e che appunto queste vie naturali sono l'elemento costante nella fugacità dei fenomeni particolari; del resto quante strade ferrate in Europa seguono ancora il sentiero aperto dal mercante girovago dell'età della pietra, strade poi trasformate sempre in meglio dai Celti, dai Romani, dai Germani !

Hanno naturalmente in questo una parte rilevante anche le valli dei fiumi, anzi abbastanza spesso gli stessi fiumi, e quest'ultimo caso è forse una singolarità della Cina, almeno in quanto essi e le vie d'acqua in genere furono fin dai primi albori della sua storia la via prescritta per portare alla capitale i tributi delle province. Ma, se perfino nel settentrione si preferisce qualche volta la via d'acqua - poiché nel mezzogiorno ciò è naturale - questo avviene in sostanza solo per lo scambio dei prodotti e per il commercio, dove il trasporto deve essere rapido e a buon mercato, mentre il resto del traffico corre sulle via di terra. Tuttavia e specialmente nel sud si seguono in parte entrambe le due vie.

Se per avere un prospetto più facile, supponiamo di essere collocati ad Han kóu presso a poco nel centro della rete stradale, nel maggiore emporio interno del commercio cinese, volgendoci a mezzogiorno scorgiamo innanzi tutto che qui sbocca una delle più importanti delle due vie antichissime, che conducono da Canton verso nord. Sebbene oggi sia accompagnata quasi sempre da una grande strada militare, è principalmente una via d'acqua; da Han kóu risale lo Yang-tze e per il lago Tung-ting il Siang-kiang, risalendolo al pari del suo affluente Lei per valicare tra Cen e I-ciéng il passo Ce-ling (e in questo tratto è larga e ben lastricata) e finalmente avviarsi a scendere fino a Canton lungo il ramo occidentale (U-sciui) del Peh-kiang e poi lungo questo stesso fiume.

Anche la seconda strada ha il medesimo carattere anfibio, soltanto ha per meta Kiu kiang sul lago Poh-yang e perciò per il braccio orientale del Peh kiang e per il noto valico di Mei ling deve raggiungere il Kan-kiang, che sbocca in quel fiume. Questa via con un suo ramo laterale terrestre comunica del resto con la prima e per mezzo dello Yang-tze di nuovo con Han-kóu. Queste due strade stabiliscono una congiunzione col sud ovest (in specie con la provincia di Huang si) e più oltre anche con l'India ulteriore del nord-est; risalendo il « fiume occidentale » (Si-kiang) una via di terra conduce da Canton a Yün-nan-fu e a Tali-fu, e (probabilmente presso Nan-king-fu e Pù-erh) accoglie quasi affluenti varie strade commerciali, che servono agli scambi col Tonchino e con gli Stati dello Scian.

Come lo Yang tze, che (per usare l'antica immagine cinese) «accorre al mare come un principe vassallo alla Corte», conduce ad oriente al mare le navi di Han-kóu, così concede ad esse di penetrare fino a Cèng tu-fu quando risalgono verso ponente il suo corso e quello del suo affluente Min, - oltre King-ciou, dove si dirama una nuova strada traversa per Hunan e Kuiciou verso l'Yün-nan. Di là partono le vie montane e mulattiere che guidano al Tibet e alle due Indie : la prima per valichi vertiginosi, attraversando arditamente le forti barriere di confine, per Taf tsien-lu e Batàng si avvia a Lhasa, mentre l'altra, che devia da essa presso Ya-ciou, si volge di là improvvisamente a sud e per lo più procedendo nelle increspature delle montagne, con due rami (a oriente per Yün-nan fu e direttamente per Ning-yuan) raggiunge Ta-li-fu e finalmente il grande nodo di Bhamo, dove s'incontrano con essa le tre strade molto frequentate delle valli del Saluen, de ll'Iravadi e del Brahmaputra.

Almeno la seconda strada, percorsa del resto anche da Marco Polo, sembra essere molto antica, poiché - per tacere di altre testimonianze - sappiamo che già nel 124 a. C. vi era un'esportazione di seta e di bambù, certo bene organizzata e forse di antica data, da Sciuh nello Sze-chúan verso le Indie, passando per Yün-nan-fu. A proposito della prima strada possiamo supporre soltanto che si continuasse con essa e non con l'altra, là con la sua fortezza questo unico passaggio da occidente, poiché il fiume qui é pressoché innavigabile.
Tuttavia subito dopo, come per segnare anche esteriormente il passaggio da un antico centro, preistorico o quasi, dell'impero ad uno più recente, muta di colpo la scena. Si schiude l'infinita pianura della valle dell'Uei inferiore, un tempo granaio della Cina e cuore del paese « ad ovest dei valichi » (Scen-si), del paese originario ad un tempo di due potenti dinastie, dei Ciou e degli Tsìn, i quali come principi di questa provincia dominarono tutto l'impero. Per questo la contrada é come seminata di antiche capitali, ed esse tutte - Si-ngan fu, Feng e Hien-yang, residenze imperiali, Uukung e Fenr sian fu antiche residenze principesche dei Ciou e dei loro antenati - fregiano questa principalissima delle loro strade, che ora è agevole e molto animata - «diritta come una freccia e (liscia) come una cote» disse un tempo il libro sacro dei cantici - ci sfila comodamente dinanzi e solo a Si-ngan-fu accoglie la strada già ricordata, proveniente da Nanyang fu; giunta presso Hien-yang manda a Lan-ciou-fu una via militare che nell'insieme risale solo al tempo degli Han e passa per Pin, antico ricordo dei Ciou.

Ma presso Fengsiang il paesaggio cambia di nuovo. Poiché qui dal nord si spinge nel piano come un forte di sbarramento il Ki-scian «a due punte», basso certo ma dominante, un guardiano della pianura e quindi un monte sacro dei Ciou; esso insieme ai letti profondamente incassati dell'Uei e dell'Hiung separa la pianura dai territori occidentali ; poco più oltre, presso Pao ki le pareti della «terra gialla» si avvicinano insieme a modo di quinte, formando le gole e le spine dorsali di un compatto massiccio montuoso, dove soltanto qua e là sta come immersa una piccola conca, di guisa che l'accesso alla pianura é reso qui tanto difficile quanto nella valle del Feti, presso Píng-yang-fu, e la pianura stessa rappresenta una formazione chiusa in se stessa.
E qui l'altera strada deve adattarsi a proseguire come una semplice mulattiera, però presso Pao-ki manda ancora un accenno vigoroso, la via, che per lo Tsín-Iing conduce a Ceng-tu-fu, senza dubbio antichissima, sicuramente fin dal secolo III a. C. restaurata come strada militare con molta diligenza, anzi in parte tagliata sulle rupi, la quale ristabilisce una congiunzione quasi rettilinea fra Pechino e il Tibet per Ping-yang e Tai yuan-fu.

Attraversa poi la conca di Tsin, la quale fu un tempo la culla della potenza di quella dinastia che da essa prese il nome, descrivendo un arco a nord-ovest per unirsi alla già ricordata strada militare nell'ampia alta valle di Lan-ciou-fu. Qui poi, dove l'Huang-ho é navigabile ed ora come nel tempo semimitico serve al trasporto di considerevoli carichi di merci fino nello Sciansi meridionale, e dove perciò convergono tutte le vie da ponente a levante - qui la grande strada fa capo alla « Porta della nefrite » (Yü-men o Kia-yu-kuan), la quale, come già all'inizio messo in rilievo, é per la Cina la porta dell'Asia interna e ad un tempo quella del mondo civile occidentale.

Poiché, come le vie delle steppe, provenienti dal nord e dal nord-est convergono qui come in un fuoco, cosí da tempi immemorabili di qui partono prima di tutto anche le due grandi strade (o tre in qualche periodo), il cui carattere internazionale ed anche mondiale è stato confermato con palmare evidenza anche dagli scavi di Sven Hedin, dallo Stein, del Grünwedel, del Lecoq, ecc.: il Nan-lu (via meridionale) e il Pe-lu (via settentrionale). Queste, nonostante diverse variazioni e biforcazioni, imposte nel corso dei millenni dal vento e dalle intemperie in singole parti del loro tracciato, pure in sostanza sono sempre andate la prima ai piedi settentrionale del Kùn-lun passando da Khotan e Yarkand, la seconda ai piedi meridionale dei Tian-scian per Kutscia e Kashgar al Pamir.

In seguito discendeva attraverso i valichi di questo, sia per Osh a Samarcanda, sia per Tashkurgan e la regione di Tscitral (dove abbastanza anticamente una via più diretta attraverso le «strade sospese» deviava verso Cabul e le Indie) scendeva a Balkh, nella pianura caspica e quindi nel regno della civiltà mediterranea e indiana o, come si esprime una descrizione cinese del III secolo d. C., verso la Persia e la Caldea, verso l'India e la Siria (Tait-sin).

Se ricordo infine la grande strada orientale, che va da Pechino (e da Cioh-luh sulla grande strada imperiale) allo Sciantung e poi a Kin-kiang, dove si continua con la seconda strada di Canton, è così presentata l'ultima maglia dell'antica rete stradale e compiuto ad un tempo il contorno delle basi naturali.

Avuto riguardo al parallelismo fra il paese e gli abitanti, che appunto per la Cina é così evidente e certo non dovuto al caso, i fondamenti naturali già esposti o, se vogliamo, l'ambiente e geografico, la semplice configurazione e situazione del suolo, a cui si dovrà attribuire una parte considerevole e fors'anche creatrice nella formazione del carattere del popolo, hanno diretto (almeno in quanto é essenziale) lo svolgimento intimo ed esteriore della Cina.
Tre sono difatti, come sembra, le caratteristiche più notevoli a questo riguardo l'indipendenza e la singolarità della cultura, tenacemente conservate - come il tono fondamentale di un intero accordo -, poi in contrasto a ciò un influsso di poteri stranieri, ripetutosi periodicamente, finalmente la lotta fra il Settentrione e il Mezzogiorno. Sono appunto queste tre caratteristiche, che (al pari di parecchie altre) si possono senza sforzo dedurre da quelle premesse naturali.

Molto lontana da ogni altro popolo incivilito l'antichissima Cina era chiusa nei suoi confini come in una fortezza e favorita soltanto dal carattere periferico del suo territorio. Questo in verità con le sue ricche montagne, le grosse vallate, e innanzi tutto con la sua « terra gialla », antica amica della cultura umana e che anche presso di noi è di solito accogliere la prima tracce, era economicamente indipendente e, quasi direi, creato apposta per generare spontaneamente un incivilimento.
La Cina dunque era del tutto abbandonata a se stessa (poiché possono considerarsi come fallite le teorie opposte, da esaminare particolarmente più tardi) e in questo veramente «splendido isolamento» doveva formare da sola la propria veste di civiltà, in quel modo che la chiocciola forma il suo guscio. Non vi é quindi da meravigliarsi se questa opera - e veramente un'opera grandiosa, che innalza i Cinesi nella schiera dei popoli geniali ! - è stata così originale, una semplice proiezione delle loro qualità più intime; una cultura di una foggia tranquilla, pratica, priva di entusiasmo e di plasticità, ma per questo spesso bizzarra e interamente rivolta a questa vita, aliena da ogni grazia, la cultura insomma di un popolo primitivo di agricoltori.

E come in questo suo carattere complessivo si crede pure di rintracciare l'occulto dominio di quel paesaggio della «terra gialla», calmo, talora grottesco, favorevole all'agricoltura, ristretto e peculiare all'ambiente della Cina settentrionale - poiché finora conosciamo meglio gli stadi più antichi soltanto della cultura nordica - questo si può ben riconoscere nei singoli lineamenti principali e nel modo in cui sono espressi. L'isolamento geografico determina uno svolgimento separato - poiché senza dubbio anche per il tempo più remoto dobbiamo parlare di uno sviluppo - e l'intima struttura del paese gli dà in modo diretto o indiretto la propria impronta, la «segnatura».

Così specialmente l'ordinamento per tribù e per stirpi (che in se non ha nulla di tipicamente cinese) per la natura già descritta delle montagne doveva essere grandemente favorito, se non prodotto senz'altro; per essa quell'ordinamento poté acquistare quella compiuta perfezione, che per mezzo del culto degli antenati ha trasmesso anche alla religione, così che anche in questo rapporto la famiglia è divenuta uno Stato e lo Stato una famiglia.

Dall'altra parte il contrappeso opposto dalle grandi pianure e dalle ampie vallate e infine e in massimo grado le grandi pianure stesse hanno spinto all'accentramento, all'unione di quelle singole associazioni particolaristiche in unità maggiori, ugualmente costituite, e finalmente in una massima famiglia, che tutte le comprendeva, cioè nella gerarchia di Stato. Questa per aver fuso in un solo organismo religione e governo, Stato e culto, non ha altrove il suo simile, nemmeno per le sue naturali conseguenze rispetto al concetto generale della società umana.

E fu certo la pianura che ben presto trasformò il contadino in agricoltore, abitante della città, creando così un ulteriore sostegno dell'accentramento ed una forma speciale di civiltà, senza poter però distruggere il suo solidissimo fondamento contadinesco; in unione poi con l'ordinamento per stirpi che, non favorevole all'emancipazione, lega fortemente l'individuo alla generalità, ha finalmente fatto quello che gli spettava, ha livellato cioè questa civiltà fino a raggiungere quella uniformità sorprendente, che simile ad una vernice sempre uguale, é diffusa sopra l'ultimo villaggio di quell'impero gigantesco ed é in parentela stretta con quella mancanza di forza plastica, che si può scorgere dovunque e perfino nel linguaggio.

Però l'isolamento naturale non solo ha destato il germe di quella civiltà, ma ne ha custodito l'accrescimento per tempi immensi ed ha fatto sí che il giovane frutto da esso maturato, cioè quella forma singolare di cultura, si sia mantenuta inalterata per lunghi periodi. E questa protezione, durata per molti secoli, é stata la sua funzione di gran lunga più rilevante. Essa ha difatti unito indissolubilmente il Cinese con la sua civiltà, alla quale questi volge lo sguardo con tutto l'orgoglio che all'uomo deriva dalla propria forza - con maggior diritto forse del nostro, quando crediamo di poterlo condannare per questo -; essa anzi ha conservato per lui quella civiltà, come la più preziosa eredità dei padri, a lui senza interruzione tramandata, ed ha infiammato fortemente e durevolmente il suo spirito conservatore, che trovava già nutrimento nel culto degli antenati (ed anche altrove) difendendolo col circondarlo di una pia venerazione.

La stessa civiltà poi, rafforzatasi grazie a uno svolgimento così indisturbato, ha acquistato per questo non solo una tendenza a manifestarsi attivamente, che la spingeva di continuo a diffondersi oltre le frontiere, per accendere alla propria fiaccola le piccole lampade dei popoli vicini, ma sopra tutto anche quella forza unica di amalgamazione, che ha sempre saputo accogliere gli elementi più eterogenei e trasformarli in sostanza propria e - nel caso di estrema necessità - ha acquistato la forza tenace della resistenza passiva. E così quella singolare cultura è divenuta una vera forza conservatrice dello Stato; è il cemento che dai tempi più remoti ha legato e unito insieme a forza le varie moltitudini, ma in verità è anche l'elemento eternamente ritardatore.

L'isolamento ha trasformato la veste di civiltà della Cina da conchiglia di chiocciola nel guscio di quella divina testuggine, che secondo il mito indiano e cinese sorregge la terra; una corazza impenetrabile di grande spessore è un arme potente nella lotta per l'esistenza, ma pur sempre una corazza.

Per questo ed anche grazie a un lungo isolamento i Cinesi sono finalmente anche oggi quello che sono stati già da millenni: un popolo allo stato di natura, dotato di un elevato incivilimento - ; poiché l'ultimo segreto della loro cultura e in parte anche della loro stessa singolarità é certo ciò che più bizzarramente ci piace in loro e li fa emergere nel nostro tempo come un anacronismo ambulante, come un fossile vivente, é forse la loro primitiva originalità.

Ma, a dire il vero, questa corazza é stata sempre per la Cina e appunto nei primordi una dura necessità. Difatti la sua barriera di montagne per quanto efficace aveva pur delle porte e attraverso queste, forse fino dal principio e in ogni caso nel periodo storico, l'Alta Asia inondava il paese quasi con la regolarità delle maree, come l'«afflizione della Cina», l'Huang-ho, discende con le sue acque da quelle regioni o, meglio ancora, come le bufere del nord-ovest spargono sulle campagne la polvere dei deserti ; poiché essendo all'inizio nemiche e flagelli della civiltà, quelle orde calate dalle steppe sono alla fine divenute, simili alla «terra gialla», un concime della civiltà stessa.

Di regola esse non avevano da opporre alla pressione della civiltà prevalente null'altro che questa civiltà medesima, la quale, venuta con esse a contatto, grazie al suo potere le faceva raccogliere per la prima volta in associazioni più solide, in primordi di Stati, e le attirava irresistibilmente, quali poveri moscerini, nella sua fiamma, come la civiltà usa sempre fare; né il loro proprio carattere, anche nelle più recenti oasi da esse formate, poteva essere salvato da quel patrimonio di cultura propria o straniera che per avventura avessero portato con se'. Molte volte hanno servito a rafforzare e sempre a ringiovanire quella singolare civiltà, comportandosi più spesso come coscienti reazionari, almeno nelle epoche più recenti; il loro sangue fresco e venuto da una stirpe affine certo ha fatto onestamente il suo lavoro, impedire il ristagno e dare ad un corpo gigantesco quella durata non interrotta e quel vigore press'a poco non soggetto ad invecchiare, che non trova l'uguale tra i popoli civili.

Meno grave di conseguenze è stata la pressione meccanica, che dovevano esercitare queste orde con i loro assalti. Poiché questa pressione, e forse in sostanza essa soltanto, ha diffuso nel Mezzogiorno l'elemento cinese settentrionale con la sua civiltà e ha dato allo sviluppo politico dei tempi storici la sua espressa direzione da nord a sud; la Cina nel fatto fu quasi come un filtro o un setaccio, nel quale la poltiglia di popoli, versata spesso da lassù fu spinta perfino nell'India ulteriore attraverso le maglie della rete dei monti meridionali (si pensi all'influsso esercitato nel mondo arabo - e da questo poi in Europa).

La stessa pressione ha poi scatenato poderosi contraccolpi, che con gigantesca espansione verso nord-ovest si estesero lungi attraverso l'intero bacino del Tarym ; e con questo il mondo dei nomadi e dei barbari è finalmente divenuto uno strumento e un intermediario di cultura, così per la Cina come anche per l'Occidente, la cui evoluzione storica fu tante volte determinata e sollecitata da questo benedetto flagello del mondo.
Per questo di là a nord-ovest e attraverso la vecchia porta delle invasioni passava anche la via della seconda e non meno potente influenza, che ha agito sulla Cina; la via principale seguita dalla civiltà straniera, anche molto dopo aver trovato il passaggio dalla parte del mare in una grande ora, tarda ma pur sempre mattutina; e se per dei secoli prima di quelle irruzioni, al seguito di mercanti, la civiltà aveva percorsa quella via dando e ricevendo, non aveva potuto farlo con l'orgoglio, con la libertà e con l'efficacia d'oggi, quando le sono aperte con sempre più larga ospitalità quelle porte, per le quali troppo spesso la cultura cinese esercitò su quella dell'Occidente un azione addirittura fondamentale.

Ma questa intromissione del mondo nomade fu molto indiretta, anzi contraria alla sua volontà; difatti ogni volta che si agglomerava, almeno nell'epoca dopo Cristo, in associazioni maggiori, non aveva da fare nulla dì più urgente che occupare l'antica via seguita dalla civiltà, appunto per questo suo carattere, e chiuderle alla Cina, come con una barriera continentale, così che spesso i periodi delle sue invasioni si alternano con quelli di civiltà straniera ; ed anche in un tempo posteriore, quando effettivamente introdusse questa ultima, lo fece quasi sempre involontariamente e incosciamente; anche allora era per così dire soltanto l'ospite del germe dell'infezione.

E questa civiltà straniera ha spesso agito sulla Cina come una grave infezione. Perché nel campo spirituale le arrecava turbamento, scosse e sovvertimento rivoluzionario, non meno che il nomadismo. Ha così messo alla prova più dura la forza di resistenza e specialmente di amalgamazione della singolare società cinese e preparato al suo stomaco di struzzo (si scusi il termine) indigestioni così forti e così durevoli da farle spesso apparire e giungere a parossismi febbrili. Non sempre comprensibili agli occidentali.

Ma il forte temperamento di quella società ne esce infine sempre vincitore e ne esce ogni volta più sano, più vigoroso e infinitamente più ricco; quello che prima era un veleno, finisce per essere una bevanda di ringiovanimento e un elisir di vita, anzi è così divenuto a poco a poco un bisogno da promettere una vittoria finale alla missione d'importanza storica.

Se qui è dovunque assai chiaramente manifesta l'influenza dell'ambiente, lo é quasi nel modo più palpabile nell'antagonismo fra Settentrione e Mezzogiorno. Poiché come il compiuto paralleli fra la bipartizione naturale e il contrasto di suolo e di uomini del nord e del sud con la sua proiezione sullo sviluppo storico, si stende come un filo rosso attraverso la storia della Cina, e come questo anche oggi non é ancora del tutto scomparso, così esso si manifestò probabilmente nell'epoca preistorica; almeno ragioni di vario genere ci fanno inclinare all'opinione eretica che già nei tempi più remoti siano esistiti due centri maggiori di cultura, figli ambedue della «terra gialla» e delle grandi vallate fluviali, qui come altrove procreatrici dì civiltà, uno nella valle dell'Huang-ho ed uno in quella dello Yang-tze, che ben presto furono rivali.
(un po simile anche in occidente, se fu la mesopotamia a influenzare l'Egitto oppure l'incontrario, il diaframma rappresentato dalla fascia palestinese era anche qui piuttosto minimo)

E come pare che fin d'allora al contrasto nel campo politico se ne sia accoppiato un altro in quello della civiltà, la lotta anche più tardi è ora piuttosto politica, ora piuttosto di civiltà, poiché vi spicca ancora una differenza religiosa; ma la lotta è sempre infinitamente feconda, come ogni lotta.

Questo scarso abbozzo -lascia forse riconoscere fin d'ora che lo svolgimento della Cina si è compiuto in mezzo al gioco di queste forze, essendo regolato al pari delle oscillazioni di un orologio da uno scappamento e da un bilancere. Sarebbe perciò seducente il fare di questo la base della distribuzione del presente lavoro; e certamente - poiché tutti gli altri tentativi di questo genere darebbero per risultato soltanto una farragine di fili insieme intrecciati o un sistema di circoli variamente intersecanti - ciascuno dei bilancieri considerati avrebbe almeno un certo diritto a questo uso, poiché essi iniziano ogni volta un capitolo più o meno rigorosamente delimitato.

Così la storia, considerata dal punto di vista delle invasioni barbariche, appare come una successione continua e regolare di periodi simili, tutti di nuovo ripartiti in tre fasi: prima l'attrazione dei nomadi per opera della cultura, poi la lotta disperata contro il loro urto e finalmente la catastrofe: e se qui il singolo capitolo è organizzato in modo del tutto drammatico l'intero suo sviluppo rischiarato dalle altre due forze caratteristiche già accennate si presenta come un potente dramma, che in tre o quattro atti ci pone sott'occhio sia la contesa e l'accordo fra Nord e Sud, sia la lotta così grave di vittime contro la ripetuta invasione della civiltà straniera, di questo «nuovo essere», propriamente con l'impostazione dell'intreccio, sviluppo degli episodi ed epilogo.

Tuttavia, per quanto i soggetti rendano attraente tutto questo e per quanto uno svolgimento in questo senso bene si adatterebbe anche ai caratteri ed alla sceneggiatura di un teatro, questo non potrebbe succedere senza varie soluzioni forzate, soggettive e difficili, ed inoltre si dovrebbe pur fare un compromesso con l'elemento storico nel senso più stretto della parola, appunto perché questo forse servirebbe troppo poco, non potendo gl'inizi dello sviluppo essere trattati sotto quei vari punti di vista.

Preferiamo quindi porre come base la ripartizione storica obiettiva in tempi primitivi, tempi leggendari, epoca antica, medioevo ed epoca moderna, che corrisponde nell'insieme alla nostra suddivisione tradizionale ed autorizzata, però con la sola evidente differenza, che essa deve prendersi in modo puramente relativo, poiché ogni peculiare svolgimento ha la sua propria legge, e quello della Cina corrisponde così poco al nostro da doverla collocare, anche quella fino a poco tempo fa presente, quasi nel medioevo, secondo le nostre idee.

Ma per quanto quelle altre forze impulsive possano essere condannate ad una parte accessoria lo scopo finale del vero elemento storico, che in fondo rappresenta una pura forma fenomenica dello sviluppo della civiltà, è tuttavia il medesimo, il fine storico di una unione dell'Oriente con l'Occidente in un'unica comunità civile. Quando questo accadrà non lo sappiamo, ma sappiamo che la storia bada poco agli anni, essa traccia i solchi con i secoli.

E proprio dai secoli lontani noi qui ora iniziano,
ciò che abbiamo detto fin qui è stata solo una breve esposizione

LA CINA E I TEMPI PRIMITIVI > >

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