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44. DOPO ALESSANDRO: DAI SELUCIDI AI SASANIDI

Abbiamo concluso il precedente capitolo sui Persiani, indicando che le cause principali del crollo dell'impero, fu dovuto alla mancanza dell'intima saldezza del carattere persiano; e se come prima causa mancò la superiorità intellettuale, nella seconda fu la mancanza di potenza.

Infatti abbiamo anche detto che uno Stato non é già l'espressione di un ideale etico, ma essenzialmente della «potenza» militare oltre che intellettuale.
E Alessandro per raggiungere la sua meta, fece ricorso proprio alla forza militare macedone, alla cultura greca, alle immense risorse economiche e alle millenarie tradizioni dell'Oriente. Assunto il potere assoluto, Alessandro, oltre che proclamarsi lui il "Re dei Re", instaurò il culto della sua persona, assumendo anche esteriormente le abitudini dei re persiani e, adottando il fastoso cerimoniale orientale - e rinunciando a un ideale panellenico (e questo volevano gli scontenti greci, che da liberi, si erano visti ridotti in stato di sudditanza nei confronti di un macedone) organizzò uno Stato secondo le caratteristiche teocratiche tipiche proprio nell'Oriente iranico-persiano.

La superiorità intellettuale e la forte volontà di Alessandro erano riuscite a tenere unito un impero composto di elementi del tutto diversi e tendenti a separarsi. Alessandro mirò a che si riavvicinassero, si comprendessero, si fondessero mediante il concetto di Stato, forse ci sarebbe anche riuscito. Ma la morte prematura tolse al gran re di vedere attuati i suoi disegni. Avrebbe - com'era nei suoi progetti - voluto fare di Babilonia il centro di un grande impero greco orientale e progettava di avviare un commercio marittimo con l'India a l'Arabia, facendo propria, in tal modo, l'idea iranico-orientale del predominio mondiale e della missione civile già iniziata dagli Acheminidi.

Alla sua morte, Alessandro, lasciata la difficile eredità ai suoi successori, questi diedero subito origine a una lotta per il primato destinata a durare circa quarant'anni. E' il periodo comunemente chiamato "età dei diadochi", che fu un susseguirsi di guerre, usurpazioni, intrighi, capovolgimenti di alleanze, e senza che nessuno riuscisse a prevalere e a raccogliere l'eredità politica di Alessandro.

Cosicchè nello sfasciarsi dell'impero durante le lotte dei diadochi, risorgono gli antichi Stati orientali: innanzi tutto l'Egitto con i Tolomei e Babilonia con i Seleucidi (potenza iranica ricreata da Seleuco I dal 312-305, durata fino al 64 a.C.), le potenze principali e i grandi centri di cultura dell'Oriente antico. Dovunque però vi si unisce la forza dirigente della grecità; nelle grandi città domina l'ellenismo. La Siria, l'Asia minore, l'Egitto e la Battriana diventano province della cultura ellenica. Ma anche in India e in Cina troviamo tracce dell'influsso ellenistico; l'arte, in particolare, attesta qui la vitalità singolare dello spirito greco.

SELEUCO I di Babilonia era stato ucciso nel 280. Suo figlio ANTIOCO I Soter fu distolto dal pensare all'oriente, a causa delle molte province perdute. Ma sotto suo figlio I ANTIOCO II Theos (261-246), cominciò l'insurrezione nazionale dell'Iran; le province della Battriana e della Partia si resero indipendenti.
Appunto nell'estremo oriente, la Battriana costituiva una provincia della civiltà ellenica. Anche qui i governatori, greci si trasformarono in principi indipendenti; circa il 250 Diodoto I fa coniare monete con la propria immagine quale primo re della Battriana.

Sotto gli ARSACIDI (una dinastia partica fondata da Arsace, nel 250 a.C. durata con 38 re fino al 224 d.C. poi soppiantata dai Sasanidi) il popolo iranico risorge ad indipendenza nazionale. Con lunghe lotte contro i Seleucidi (dai romani chiamati entrambi tutti Parti) fondarono la loro signoria e la affermarono con altre lotte contro gli Sciti e gli Yue-ci.
Ma la storia degli Arsacidi ha soprattutto importanza per le guerre contro Roma. Il regno dei Parti non costituiva una completa unità; anzi, sotto l'alta sovranità dei «gran re», durarono sempre Stati minori retti da principi indigeni, spesso pressoché indipendenti. Circa nel 250 a.C. la potenza dei Parti cominciò ad ingrandirsi. Risiedevano lungo il margine montuoso che divide a nord l'Iran dalle steppe; benchè quasi certamente di origine iranica, erano in parte tuttora nomadi, al pari di altre tribù iraniche. Già sotto Dario I esisteva qui la provincia dei Parthava, convertita alla fede di Zarathustra.

Il dominio partico si svolse dal nomadismo. La debolezza del governo dei Seleucidi allettò i popoli confinanti. Dalla tribù nomade degli Aparni, lungo l'Ochus, i fratelli Arsace e Tiridate mossero verso la Partia, dove risiedeva Ferecle quale satrapo dei Seleucidi. Pare che egli provocasse gli invasori, che lo uccisero. Arsace avrebbe assunto il titolo di re circa il 250, ma non sembra che si fosse già reso padrone della Partia. Il vero fondatore della potenza partica è suo fratello e successore TIRIDATE, dalla cui ascesa al trono (248) s'iniziò l'era dei Parti.
Tiridate strinse alleanza, contro il comune nemico, con Diodoto II re della Battriana, che si era pure sottratto alla sovranità dei Seleucidi. Seleuco II tentò di riconquistare le province orientali. Tiridate, che all'inizio si era rifugiato presso i nomadi, riportò una vittoria, decisiva per l'indipendenza del regno partico e che procurò anche quella della Battriana.

Vittorioso, Tiridate assunse il titolo di gran re. Durante un regno di 37 anni, riorganizzò lo Stato e l'esercito. Hekatompylos fu capitale del nuovo regno; ma Tiridate si costruì un'altra residenza, Dara o Dareum, nelle montagne del nord-est. Il suo successore ARTABANO (214-196) ingrandì ancora il regno mediante la conquista di Ecbatana. Ai Parti si unì, pur conservando la propria indipendenza, lo stato teocratico di Atropatene.
Antioco III di Siria intervenne con successo in oriente, sconfiggendo i Parti e i Battriani; Artabano dovette riconoscere l'alta sovranità dei Seleucidi.

L'intervento dei Romani in oriente, soprattutto la loro vittoria su Antioco III presso Magnesia (190), aumentò la potenza dei Parti. Phraates I (181-174) ampliò il suo regno verso occidente e nominò a successore il fratello Mithradates (MITRIDATE) I (174-136), il creatore della grandezza partica.
Egli riunì al proprio Stato la Media, la Persia e l'Elimaide. Sotto di lui, la cavalleria partica comparve per la prima volta nella Mesopotamia.
Alla lunga i Seleucidi non riuscirono a trattenere l'invasione dei Parti. Demetrio II Nicatore cadde loro prigioniero (139) e l'esercito di Antioco VII fu distrutto nella Mesopotamia (129). Ridotta la Siria a provincia romana, il regno dei Parti venne ad urtarsi con la potenza di Roma; scoppiò nuovamente il grande contrasto mondiale tra l'Oriente e l'Occidente.

Nel frattempo i Parti avevano dovuto provvedere alla non facile difesa contro le genti turche penetrate dall'Asia centrale. Il popolo turco degli Yue-ci, cacciato dagli Hiung-nu dalle proprie sedi lungo il confine settentrionale cinese, era penetrato, attraverso il Turkestan, nell'Iran orientale (circa il 130 a. C.), dove pose fine al regno greco-battriano (circa il 126 a. C.), fondando poi uno Stato importante nel Segestan, nella valle settentrionale dell'Indo e nel Turkestan.

MITRIDATE II il Grande (- 76 a. C.) salvò, con lunga guerra, l'occidente dell'Iran dalla conquista degli Yue-ci.
Però gli avvenimenti d'oriente impedivano ai Parti di affermarsi in occidente. L'Armenia sorgeva insieme al regno pontico; il re armeno TIGRANE aspirava persino all'egemonia sull'Iran e assunse perciò l'antico titolo di «re dei re», portato dagli Arsacidi.
Ma dopo che i Romani ebbero sconfitto Mitridate re del Ponto, anche il regno armeno soccombette ai loro assalti. Nello stesso tempo venivano a conflitto con Roma anche i Parti, pretendendo Phraates III il confine dell'Eufrate. Le agitazioni interne dopo l'uccisione di Phraates (60 a. C.), terminate solo nel 54 a. C. con Orodes I, ritardarono, ma non impedirono, lo scoppio della grande lotta, le cui varie vicende non ad altra conclusione condussero, che a mantenere l'Eufrate quale confine tra il dominio romano e l'iranico.

Fu così eretta nell'Iran una forte barriera tra Oriente e Occidente, che per lungo tempo impedì gli scambi della cultura economica ed intellettuale.

L'assalto di Crasso contro i Parti fu del tutto infondato dal punto di vista politico; solo ambizione personale e cupidigia spinsero quell'uomo vanitoso, che, ignaro com'era delle condizioni del paese, condusse la campagna in modo disastroso, ad assalire la capitale Seleucia, dove sperava di trovare ricco bottino. La gravissima sconfitta presso Carrhae (53 a. C.) mise la Mesopotamia nelle mani dei Parti; tutta l'Asia occidentale restava indifesa dinanzi agli attacchi della loro cavalleria. Solo le esitazioni di Orodes, che non seppe approfittare della vittoria, impedirono nuovi successi.
L'assalto di Antiochia, intrapreso (51 a.C.) dal suo successore Pakoros, rimase sterile. L'uccisione a Roma di Cesare impedì l'attuazione del suo piano contro i Parti. Mentre poco dopo intervennero nella guerra civile. Alcuni principi siri li chiamarono contro Antonio. Gli eserciti di Pakoros, inondata la Siria e l'Asia minore, dovettero ripassare l'Eufrate dinanzi a Ventidio Basso (38 a. C.).

Nell'anno stesso il valoroso generale partico cadde nell'assalto di un accampamento romano e Orodes I fu assassinato (37) dal proprio figlio Phraates IV, che per odio al padre si fece filo-romano, sperando da loro la reggenza.
Con Phraates IV infatti le relazioni con Roma si fanno più calme. Nel 20 a. C. egli rimandò ad Augusto le insegne romane prese a Carrhae e i prigionieri internati nell'Iran orientale.
Principi parti risiedevano spesso a Roma, appropriandosi della cultura latina. Ma appunto per questo uno di loro, Vonones I, riuscì un cattivo sovrano. Il suo successore, Artabano III, fu persino detronizzato da un forte partito, alleato coi Romani, allorché volle tentare la conquista dell'Armenia.

La questione dell'Armenia rimase ancora il pomo di discordia tra Roma e i Parti; dopo un'altra guerra (58-60 d.C.), fu sistemata coll'investitura sull'Armenia, concessa da Nerone a TIRIDATE (62 d.C.). La spedizione di Trajano contro i Parti (114 d.C.) aveva scarse ragioni politiche; fu piuttosto una ripresa delle antiche tendenze della politica di conquista. Il regno dei Parti era già in via di dissoluzione interna, così che Chosrau I (COSROE) oppose solo debole resistenza ai Romani. Adriano ritirò le truppe romane e ristabilì il confine dell'Eufrate.
Sotto Marco Aurelio si ebbe un altro attacco dei Parti condotti da Volagases III (148-191 d.C.) e terminato con una grave loro sconfitta e con l'espugnazione di Ctesifonte (198 d.C.). Quando il regno stava per sfasciarsi, sotto Artabano V, fu assalito da Caracalla (226 d.C.). Sotto l'imperatore Macrino i Romani vennero per l'ultima volta (217 d.C.) a conflitto coi Parti ; anche allora Roma conservò solo la Mesopotamia.

Gli Arsacidi non si consideravano come sovrani stranieri nell'Iran, avendo già assunto la lingua, la religione ed i costumi persiani. Gli Irani però li guardavano come dominatori stranieri ed illegittimi.
L'azione dell'ellenismo continua a farsi essenzialmente sentire durante la signoria degli Arsacidi; la cultura greca trovò asilo nelle loro corti; medici, artisti e tecnici greci vi prestavano servizio; vi si rappresentavano i drammi di Euripide. É però più probabile che lo spirito e il senso commerciale dei Greci cercassero di agire solo su questo terreno, mentre su altro la popolazione dell'Iran non ne ebbe influssi profondi.
Anche nella Battriana la cultura ellenica penetrò solo per un certo tempo.

Nell'insieme si può dire che durante il regno degli Arsacidi si andò preparando una più netta separazione dell'Oriente dall'Occidente come non era mai stata. Gli Arsacidi tolsero di mezzo nel loro Stato quel che vi aveva portato Alessandro, la stretta comunanza di cultura fra l'Oriente e l'Europa. Dalla nuova autonomia politica la Persia fu condotta ad un isolamento intellettuale, in cui essa respinse le correnti del pensiero occidentale, che avrebbero potuto minacciare la sua intima indipendenza.
La religione nazionale, rafforzatasi in questo periodo, divenne il principale sostegno della resistenza interna. Il regno degli Arsacidi è la prima forte reazione dell'Oriente contro l'Europa.
Ma non solo esso respinse sempre più gli influssi occidentali dall'esistenza propria: chiuse anche il passo alle antiche relazioni dell'Occidente con l'India e la Cina.

Ne scorgiamo un chiaro indizio nella storia del commercio. Gli Indiani e i Cinesi vengono davanti ai Parti nei rapporti con l'impero romano. Però l'isolamento politico e culturale dell'Iran non ebbe effetti in tutto propizi: fu certo una delle cause dell'irrigidirsi della vita intellettuale persiana, la cui produzione appare molto scarsa. Nella vita popolare e nella cultura l'Iran aveva svolto una completa originalità; la sua robusta indipendenza resistette a lungo all'ellenismo, assimilatore di popoli.
Ma ad onta del profondo contrasto l'iranismo non è rimasto senza efficacia nella cultura universale: l'intima vivace energia dell'Iran si è fatta appunto sentire nel pensiero religioso dei popoli occidentali: durante l'epoca ellenistica e romana il mazdeismo e il culto di Mithra compiono la lora marcia trionfale attraverso l'Asia e l'Europa.


I SASANIDI

Col terzo secolo subentrò agli Arsacidi la dinastia persiana dei SASANIDI (228 d. C.), che diede nuova forza allo Stato iranico unito, ne coltivò la tradizione nazionale e ne organizzò ingegnosamente la religione. Riattaccandosi alle antiche rivendicazioni, essa raccoglie l'eredità della lotta contro l'impero romano, il cui centro si è ora spostato a Costantinopoli. E le due potenze combattenti, nell'alternativa di vittorie e sconfitte, apparvero ai contemporanei come « i due occhi del genere umano ».

La dinastia dei Sasanidi giunse al potere grazie a un risveglio nazionale dei Persiani, in cui si fondevano sentimento di nazionalità, stato e religione. Il primo si manifesta specialmente nella stretta connessione della religione con lo Stato: i Sasanidi seguirono, spesso ricorrendo alla violenza, una politica di fanatismo religioso. Con la chiesa di Stato omogenea e rigidamente gerarchica essi tutelarono non solo la saldezza e la potenza dello Stato; anche la intima indipendenza dello spirito iranico dipendeva dal mantenimento della religione di Zarathustra, minacciata a occidente dal cristianesimo, a oriente dal buddismo.

La potenza dei SASANIDI (sorta nel 226 dopo la caduta degli Arsacidi) fu fondata dal persiano Ardashir; suo padre, Papak, si era già messo a capo di uno dei principati minori, numerosi durante il dominio degli Arsacidi. Cresciuta minacciosamente la potenza di ARDASHIR, l'ultimo degli Arsacidi, Volagases V, cercò di soffocarla, ma fu ucciso in battaglia (227). Dei principi arsacidi alcuni fuggirono in India, altri riconobbero il nuovo sovrano.
In breve tempo Ardashir fu da tutti riconosciuto come « re dei re ». Il ravvivarsi del sentimento nazionale persiano fece sì che egli volgesse subito lo sguardo contro Roma.

L'urto (nel 231 d.C.) non diede alcun risultato, finché non entrò in scena un valoroso guerriero, Shapur I (SAPORE, 241-272 d.C.); cominciano con lui le guerre perso-romane, ereditate poi dall'impero bizantino. Nel 242 Shapur penetrò nella Siria, da dove fu respinto solo dopo lunghe lotte. In una seconda invasione (260), Shapur fece prigioniero l'imperatore Valeriano con tutto il suo esercito. Che drammaticamente sbigottì Roma.
(L'immagine di apertura è appunto la scena della sua cattura).

Sotto il regno di Shapur si svolse la propaganda religiosa di Mani (il fondatore del manicheismo), i cui successi misero in pericolo l'unità della -fede iranica.
Roma, che nella potenza dei Sasanidi aveva ben riconosciuto un pericoloso avversario, passò all'offensiva, approfittando delle agitazioni dinastiche scoppiate in Persia.
La spedizione dell'imperatore Carus (283 d.C.), spintosi fino a Ctesifonte, rimase senza risultato; anzi finì tragicamente perchè fu assassinato negli accampamenti dalle sue stesse truppe ammutinate. Ma Galerio, sconfitto che ebbe Narses (298 d.C.), s'impadronì dell'Armenia e di territori a oriente del Tigri.

All'incontro il lungo regno, durato 72 anni, del potente SHAPUR II (309 -380) segnò un rinvigorimento delle forze persiane. Contro di lui combattè Giuliano (363 d.C.), dopo che Shapur ebbe invano assediato Nisibis e preso Amida (359 d.C.)
Mentre Giuliano, costretto dalla penuria di viveri a ritirarsi davanti a Ctesifonte, combatteva inseguito dalla cavalleria persiana, un dardo lo colpì a morte. Le truppe proclamarono imperatore Gioviano, che concluse una pace vergognosa, abbandonando al nemico tutto il territorio a nord del Tigri e quasi tutta la Mesopotamia.
Dopo questa vittoria Shapur si volse contro l'Armenia, assicurandovi con lunghe lotte il dominio persiano, ma senza riuscire a sopraffare la chiesa armena. Shapur dovette pure sostenere gravi lotte ad oriente, contro popoli nomadi dilaganti dall'altopiano asiatico. Il respingerli fu il vero compito civile del regno dei Sasanidi, che così protesse l'Asia occidentale da una invasione di Unni.

Più tardi l'Iran allargò la propria influenza fino nella Transoxania; quando gli Arabi conquistarono il territorio di Buchara, vi regnava la religione di Zarathustra e la cultura iranica vi si era notevolmente affermata. Jezdegerd II (442-459) si volse quindi contro i popoli del Caucaso, i quali invadevano di frequente l'Iran. Nello stesso tempo si accaniva in una fanatica, ma vana persecuzione contro il cristianesimo degli Armeni.
Peroz (459-484), che con avvedutezza cercava di mitigare le angustie di una siccità e carestia scoppiate nell'Iran, fu sfortunato nella guerra contro gli Eftaliti o Unni bianchi; per due anni essi regnarono sui Persiani. Peroz stesso morì mentre marciava contro di loro.

Dopo gravi disordini interni, salì al trono suo figlio Kavadli (488-531), durante il cui regno il socialismo religioso di Mazdak produsse uno sconvolgimento nello Stato, compromettendo anche le sorti del re. Distrutti i Mazdaisti da Chusrau figlio di Kavadh, questi si trovò in continue questioni con i Bizantini per il possesso di certe province del Caucaso. Per quanto, dopo alterne vicende, Belisario riportasse una vittoria (530), la Persia mantenne il proprio predominio nel Lazistan, nella Georgia e nell'Armenia, dove il cristianesimo fu riconosciuto dai Sasanidi.

Dal 531 al 539 regnò il più grande dei Sasanidi, Chosrau Anushirwan, celebrato dai Persiani come sovrano «giusto, dall'anima immortale». Non vi è dubbio che sotto di lui la Persia toccasse l'apice della potenza e che la maggior parte delle sue imprese riuscissero fortunate. All'inizio concluse una pace con i Bizantini; assicurò i valichi del Caucaso mediante granai, fortificazioni, valendosi di contributi pecuniari di Bisanzio; persino nell'India settentrionale riaffermò gli antichi diritti della Persia.
Ma quando Giustiniano ebbe restaurata la potenza bizantino-romana distruggendo gli Ostrogoti e i Vandali, Chosrau invase all'improvviso la Siria, saccheggiò numerose città ed espugnò Antiochia. Per il momento, Bisanzio si sbarazzò dell'avversario pagandogli un grosso tributo. Invano Chosrau lottò con Bisanzio per il possesso del Lazistan. Il possesso della costa aveva per ambedue grande importanza; Chosrau sperava di porvi le basi per lo sviluppo di una potenza navale, mentre per i Bizantini quello Stato cristiano formava un baluardo contro le scorrerie, sempre minacciose, degli Alani ed Unni del Caucaso.

Nel frattempo nell'Asia centrale avvenivano fatti gravi. Verso il 550 tribù turche, spintesi innanzi dal Turkestan orientale, distrussero il regno degli Eftaliti. Il grande regno turco così formatosi, era un grave pericolo per la Persia; la prudente politica di Chosrau riuscì ad allontanare l'offensiva turca, conquistando anzi una parte del regno degli Eftaliti. Infine Chosrau intervenne nell'Arabia meridionale, dove era sorto uno Stato cristiano, aiutato e mantenuto dagli Abissini, manifestamente intervenuti qui nell'interesse del loro commercio.
Iniziate da essi alcune occupazioni, ne furono cacciati dalle truppe persiane; l'Arabia meridionale venne a costituire una provincia della Persia, il cui dominio vi cessò soltanto dopo il trionfo dell'Islam.

Sotto il successore di Chosrau, Hormizd IV (578-590), la Persia fu in continua lotta con Bisanzio, lotta cominciata da Chosrau stesso negli ultimi anni. Suo figlio Chosrau II dovette ricorrere all'appoggio di Bisanzio per strappare il trono al generale ribelle Bahram. Ciononostante Chosrau invase la Siria (604) e la devastò. La lotta tra Bisanzio e la Persia aveva già, fin dal tempo di Chosrau I, assunto sempre più il carattere di scorrerie selvagge; senza recare alcuna decisione politica, esse infliggevano ai Persiani gravi perdite di uomini.

Così fu spianata la via all'assalto dell'arabismo; l'Islam venne a colpire un mondo già profondamente scosso e in grande difficoltà.

Per una volta ancora fu tentata, con esito fortunato, una punta verso occidente (614-622); ma appunto questi anni dovevano riuscir fatali alla Persia. Mentre l'impero bizantino era minacciato in Europa da Slavi e Alani, i Persiani dilagarono in Siria e in Asia minore; Chosrau progettava di assoggettare del tutto l'impero romano di Oriente. Dopo avere espugnato Antiochia, Apamea, Emesa e Cesarea nella Cappadocia (611), egli respinse tutte le offerte di pace. Damasco fu preso (613) da Shahrbaraz, generale di Chosrau, che distrusse anche Gerusalemme (614); gli abitanti furono uccisi o deportati in Persia; anche la «Santa Croce» fu trasportata a Ctesifonte.
Nello stesso tempo la presa di Alessandria da parte degli Arabi, veniva a togliere ai Bizantini anche l'Egitto e a limitare di molto l'approvvigionamento di Bisanzio.

In quel gravissimo momento il patriarca Sergio esortò l'imperatore Eraclio a resistere. Questi, rinnovato l'esercito, mosse contro i Persiani (622). Le guerre di Eraclio avevano un carattere religioso: dovevano vendicare la distruzione di Gerusalemme e il rapimento della Sacra Croce. Ma aveva appena raggiunto il confine persiano, che una nuova invasione di Avari lo obbligò a retrocedere. Più fortunata fu la spedizione del 624, durante la quale Eraclio sconfisse Chosrau stesso ad Azerbeig'an, distruggendo qui il famoso tempio del Fuoco.

Nel 625 i Bizantini riportarono, in Armenia, una splendida vittoria su Shahrbaraz, che dovette ritirarsi verso l'Asia minore con il suo esercito sfinito. Finalmente, nella terza spedizione, Eraclio inflisse ai Persiani una sconfitta decisiva, presso Niniveh (627). Fu distrutta anche Dastagerd, residenza di Chosrau.

Col totale esaurimento delle forze persiane terminò il regno di Chosrau. Suo figlio Kavadh II Sheroe si sollevò in una con i nobili e cacciò Chosrau in prigione, dove lo fece assassinare da un nobile persiano. Sheroe chiese la pace, conclusa nel 630. Per colmo di sventura un'inondazione dell'Eufrate e del Tigri ridusse tutto l'Irak ad un pantano e una terribile epidemia di peste, cui fu vittima anche Sheroe (628), fece una grande strage.

Dopo la morte di Sheroe si ebbero continue ribellioni e agitazioni dinastiche; in quattro anni, dodici sovrani si succedettero sul trono, tra cui due figlie di Chosrau I: la maggior parte pervenutavi mediante l'assassinio.
Sotto l'ultimo sasanide, Jezdegerd III (632.651), gli Arabi, uniti dall'Islam, invasero le regioni della civiltà dell'Asia occidentale. Con rapidi colpi spezzarono anche il regno sasanide, assoggettando i Persiani all'islamismo.

Nonostante il completo esaurimento e lo sfacelo interno, i Persiani resistettero valorosamente, finché le loro ultime forze furono davvero distrutte. Nella battaglia di Kadiziyat (637), durata tre giorni, Rustam difese l'accesso all'Iran contro Sa'ad ibn Abi Wakkas. Un esercito, sopraggiunto dalla Siria in aiuto degli Arabi, volse a loro favore le sorti della battaglia. I Persiani riunirono le loro ultime forze presso Nihavend (642), per coprire il passo verso oriente. Anche qui la battaglia stava per decidersi a favore dei Persiani, quando un ultimo assalto degli Arabi ne mutò le sorti. Gli Arabi trovarono ancora resistenza in singole province e città; specialmente la Perside fu assoggettata solo dopo la grande battaglia di Reshahr (644).
L'Armenia, lacerata dalle ostilità interne dei nobili, fu assoggettata nel 640; la Georgia e l'Albania non molto dopo. Jezdegerd era nel frattempo fuggito, attraverso la Media, verso Merw, dove fu ucciso a tradimento. Più a lungo durò la resistenza delle tribù montanare a sud del mar Caspio; ma tali lotte avevano solo importanza locale. L'Iran era ormai preda dell'Islam: e la conquista araba aprì le porte alla barbarie.

Il paese fu diviso tra i generali arabi, che lo devastarono e saccheggiarono. L'Islam fu introdotto in Persia; ma lo spirito iranico si appropriò solo esteriormente di questa religione rimastagli sempre straniera. Ma la facile vittoria dell'Islam è una riprova dell'irrigidirsi della fede iranica nella ortodossia della chiesa di Stato.

Nemmeno la vita politica dell'Iran poté adattarsi agli ordinamenti degli Arabi. Sia per le condizioni geografiche che per le premesse storiche ad esso proprie, si vennero formando nell'Iran numerose dinastie, le quali, pur riconoscendo formalmente il Califfo come sovrano, mantenevano in realtà l'autorità propria. L'elemento persiano riacquistò in breve tale potenza da cacciare l'elemento arabo dalla sua posizione predominante nell'Iran. Ma la storia della Persia sotto l'Islam è oggetto di speciale trattazione in altri capitoli di questa storia.

La storia politica dell'età dei Sasanidi appare come una serie indipendente di lotte, con le quali lo Stato iranico provvedeva a difendersi da ogni parte dai suoi avversari, per esaurire in tali guerre le proprie forze e, infine, per soccombere.
Ma già in queste vicende si compì un fatto importante per la storia della civiltà: l'affermarsi dell'iranismo come potenza piena di vita propria e feconda di efficacia per la cultura universale.

L'agricoltura costituiva il fondamento della vita politica medievale; Zarathustra ne aveva fatto un dovere religioso. Tenuta in alto pregio, sosteneva il peso materiale dell'amministrazione dello Stato; i redditi del quale erano costituiti da un'imposta fondiaria, proporzionata alle raccolte di frumento, datteri ed olive e da un'imposta personale o testatico. Molto importante era anche il commercio, che grazie a rigide barriere doganali concentrava in sé gli scambi con la Cina e coll'Occidente romano.
Dalla nobiltà feudale, proprietaria di terre, si svolse il ceto dei cavalieri (Dihkan). Essi fornivano all'esercito la cavalleria pesante, corazzata. Da loro dipendeva la popolazione paesana, costituente in tempo di guerra la fanteria. Al disopra della nobiltà paesana s'innalzavano le famiglie di grande e antica nobiltà, nelle quali gli uffici dello Stato erano ereditari; quest'alta nobiltà formava una potente classe di principi. Accanto ad essa stava il ceto sacerdotale dei Magi, politicamente forti solo dopo che fu organizzata la chiesa di Stato dei Sasanidi.

Quale potenza ecclesiastica gerarchicamente ordinata, compendiata nella persona del Mago supremo, esercitavano grande influenza politica, come ad esempio nella lotta tra i Manichei ed i Mazdaciti. Spettavano loro le pratiche del sacrificio e del culto, dalla complicatissima liturgia. Mediante l'istituzione della confessione e della remissione dei peccati acquistarono profonda influenza su tutta quanta la vita del popolo; il che contribuì ad aumentarne la sete di potere.
Isolata da ogni altra forza e con assoluta potenzialità, la dignità regale si ergeva nella sua altezza sovrumana. Palazzi grandiosi e magnifici e l'eccessivo sfarzo della corte preannunciavano la maestà del sovrano. Nelle sue residenze si ammucchiavano giganteschi tesori; dal saccheggio di Ctesifonte «tesaurifero» gli Arabi che poi vi giunsero ricavarono un bottino di inestimabile valore.
La vita del gran re era tutta occupata dalla caccia e dalla guerra. Nel fatto però la nobiltà e il sacerdozio erano non di rado più potenti del re.

Solo i sovrani forti, come Chosrau, sapevano appoggiarsi alla nobiltà ed al clero senza esserne dominati e senza darsi, personalmente, molto pensiero delle dottrine della chiesa.
Il valore guerresco dei Persiani e la tecnica eccellente della loro strategia ne facevano degni avversari dei Romani. Forza precipua dell'esercito era la cavalleria; con la pioggia dei dardi sgomentava il nemico, mentre la sua mobilità rendeva difficile l'attaccarla. Dietro agli arcieri a cavallo stavano i lancieri coperti di corazza, compito dei quali era di infliggere al nemico l'ultimo colpo. L'arco era l'arma nazionale, fin dall'età antica; il grande arciere è una figura della leggenda iranica. L'esempio degli Indiani portò a servirsi degli elefanti. Soprattutto la tecnica dell'assedio e della difesa fu portata ad alta perfezione.
II predominio esclusivo acquistato dalla religione di Zarathustra, nelle forme rituali in cui la fissarono i sacerdoti, ebbe influenza decisiva sulla vita intima dell'Iran. Il trono e l'altare erano le forze nazionali alleate. Tale movimento si rispecchia nella raccolta dei testi sacri e nella organizzazione della chiesa di Stato dei Sasanidi.

Il testo della religione persiana, l'Avesta, è creazione di quella chiesa di Stato, per quanto singole parti siano molto più antiche; il carattere di rigidezza e fanatismo del clero vi è di frequente impresso. Avesta significa certamente «testo fondamentale», in antitesi con lo «Zend», il commento scritto in pehlevi, la lingua persiana medievale.
Con le fortunose vicende dell'Iran e della sua religione si accompagnano la redazione e dispersione della letteratura, il cui unico resto è rappresentato dall'Avesta a noi pervenuto. Gli inizi risalgono all'età di Zarathustra; della tradizione più antica ci sono conservate le Gatha, le prediche di Zarathustra, in forma metrica. Antichi sono pure gli Yasht o inni religiosi dell'Avesta; per quanto il tono della poesia didattica sacerdotale scopra già gli elementi e gli strumenti di una tradizione letteraria. Ma il contenuto è molto spesso antico; la mitologia iranica e le leggende dei re vi si intravedono. Singole notizie di scrittori greci ci permettono di rintracciare l'esistenza di testi sacerdotali e rituali in età più antica.

Strabone e Pausania ci affermano di aver udito i Magi recitare lunghissime litanie nei templi del Fuoco. L'elemento liturgico, così cospicuo nell'Avesta, è pertanto sorto dall'antico rituale del sacrificio. È molto dubbio se esistesse già un Canone di testi religiosi.
L'Avesta prende forma concreta solo coll'avvento dei Sasanidi. Artashir I (226-241) fece raccogliere ed ordinare per mezzo del sommo sacerdote Tanvazar e giovandosi della tradizione orale e scritta, i testi sacri. Shapur I (241-272) vi fece aggiungere numerose opere di letteratura profana, sulla medicina, astronomia, ecc. Sotto Shapur II (309-379) a quanto sappiamo, la raccolta ebbe compimento e fu divisa in 21 « nask ».

Non si può affermare quanto di vero ci sia in ciascuna di queste notizie; ad ogni modo esse hanno un fondamento storico, in quanto durante il regno dei Sasanidi gli scritti sacri e profani dell'Iran, di antica e recente origine e fino allora dispersi, furono raccolti e composti in un'opera di valore canonico.
Con la caduta dei Sasanidi per effetto della conquista araba (643) la chiesa zoroastriana si sfasciò e con essa andò distrutta buona parte di quella raccolta; distruzione imputabile, anche questa volta, all'Islam. Sopravvisse solo ciò che fu salvato come elemento liturgico nel culto zoroastriano. Ma il grande Avesta dell'età dei Sasanidi si può ancor oggi storicamente riconoscere.

Oltre all'Avesta questa età creò una letteratura assai considerevole, della quale però non rimangono, si può dire, che scritti teologici. Ma le sue ripercussioni ci fanno conoscere altri rami, tra cui soprattutto la storiografia. Molto tempo dopo la caduta dei Sasanidi, si conosceva ancora un « Libro dei re » (servirono di base, come è noto, al grande poema di Firdusi, intitolato anch'esso "Il libro dei re" (Shah-Namah).
Dall'India e dalla Grecia vennero influssi alla scienza; si tradussero dal greco opere di filosofia e di storia naturale. La medicina indiana fece da maestra alla persiana.

La lingua di questa età, il medio-persiano, si indica col nome di pehlevi, cioè partico. Lo strano sistema di scrittura ne ostacolò l'intelligenza. Gli Irani presero l'alfabeto dagli Aramei e non solo scrissero con i singoli segni aramaici, ma anche moltissime parole, tali e quali come in arameo, pronunziandole però con la corrispondente parola persiana. La letteratura pehlevi non ha che opere in prosa, il cui contenuto è spesso affine a quello di parti dell'Avesta andate perdute; altre parti svolge di frequente con elucubrazioni teologiche. Molto diffusa e gradita ai Persiani di ogni tempo fu una particolare letteratura didattica e moralizzante, maestra di buoni costumi e di vita pratica, ed anche di buone maniere.
Tali scritti, che trovarono più tardi nella poesia di Sa'adi il loro rappresentante prediletto e più famoso, sono radicati nell'indole del popolo persiano, particolarmente sensibile alla gentilezza esteriore, alle forme eleganti della vita sociale. Nell'età dei Sasanidi questa letteratura s'intreccia con motivi religiosi e rituali, per es. nel « Minochired » (Lo spirito dell'intelletto).

Come della letteratura didattica, così anche dell'epica gli inizi sono (r) Queste cronache medievali e i loro successivi rifacimenti da cercare nelle opere prosastiche medievali, per es. nel romanzo di Ardeshir. L'epos in forma metrica e rimata compare solo con la poesia moderna. Esso si serve spesso di esemplari in pehlevi, non senza attestare, talora, che non erano composti in versi. Ciò non toglie che poesie non fossero anche allora esistite. Le parti metriche dell'Avesta non si possono concepire senza una base nella poesia popolare. E nello stesso canto popolare odierno la struttura del verso, al pari che nell'Avesta, dipende solo dal numero delle sillabe.

Importantissimo è il fatto che la storia dell'Iran fosse persino fissata in una redazione ufficiale. Tale era il Chodhai-namak (Il libro dei sovrani), tradotto in arabo da Ibn Muqaffa (VIII sec.) ; non ne restano che scarsi frammenti. Per caso sappiamo che anche sotto Chosrau I esistevano «scritti regi», nei quali si registravano, in ordine cronologico, le gesta dei singoli re.
Tanto l'Avesta quanto la letteratura pehlevi offrirebbero un quadro assai scarso della cultura intellettuale iranica, qualora vi fosse rappresentata in modo esauriente. Ma non è certo così.

Già l'età dei Parti era piena di influssi ellenistici. Dopo la conquista araba lo spirito persiano non tardò a mostrare la propria superiorità, ricacciando indietro i conquistatori e ponendo nell'Islam un germe di interno disfacimento mediante la devozione individuale del panteismo o del sufismo.
Anche gli inizi della letteratura persiana moderna accennano alla varietà delle correnti intellettuali. Ma l'energia, profondità e indipendenza del pensiero iranico, di cui il sobrio rituale ecclesiastico non dà alcuna idea, si rivelano soprattutto nei movimenti religiosi di grande ed efficace potenza, nelle idee di uomini quali Mani e Mazdak.

Fin dall'età partica il cristianesimo era penetrato, attraverso la Siria, in Persia; numerose comunità cristiane si erano stabilite presso Ctesifonte. Fino al tempo di Costantino vi aveva trovato anzi posizione migliore che non nell'impero romano.
Solo da quando, con Costantino, il cristianesimo divenne la religione «permessa», e in realtà favorita, dell'impero romano, il contrasto politico si trasformò anche in religioso; sotto Shapur II cominciò (345 d.C.) nel regno sassanide la sanguinosa persecuzione dei cristiani, ma solo perchè considerati amici dei Romani.
Dopo la pace conclusa con Gioviano (363), la persecuzione si estese anche ai cristiani dei territori ceduti. La lotta dei Sasanidi contro la Chiesa si acquietò solo nel 380.
Jezdegerd I organizzò la chiesa persiana, ponendovi a capo il vescovo di Seleucia. Le vittorie Sasanidi del 363 diedero il colpo mortale all'ellenismo in Oriente; esso scomparve anche dalla chiesa, quantunque le ripercussioni se ne facessero ancor sentire nella chiesa persiana della Siria orientale, attestate dalle numerose traduzioni di opere greche in siriaco, nonché dai rapporti con la scuola teologica dominante di Antiochia.

La persecuzione dei Nestoriani per parte di Bisanzio produsse un rivolgimento; tollerati nel regno persiano, fecero quindi efficacissima opera di missionari nell'Asia centrale e nella Cina.

Il manicheismo dimostra che la vita intellettuale iranica non mancava di forza indipendente. MANI, nato circa nel 216 d.C. a Mardinu presso Ctesifonte, comparve nel 242 a Babilonia come l'ultimo e massimo inviato di Dio.
La sua religione asseriva essere di valore universale; egli tendeva infatti ad una religione mondiale nel cui sincretismo dovevano fondersi, su base persiana, le differenti idee.
L'attività di Mani, iniziatasi sotto Shapur I, lo spinse a lunghi viaggi in India e Cina, donde ritornò in Persia solo negli ultimi anni del regno di Shapur. Qui trovò numerosi seguaci e favorevole accoglienza anche alla corte stessa. Ma il clero esistente, a lui ostile, indicandolo come imbonitore, ottenne che fosse imprigionato; ma riuscì a fuggire.
Ritornò dopo la morte di Shapur, ottenendo il favore di Hormuz I. Ma tornate le precedenti ostilità del clero sotto Bahram I, suo successore, fu crocifisso (276-277 d.C.) e il suo cadavere scorticato. I suoi seguaci, crudelmente perseguitati, si rifugiarono nell'Asia centrale e in India, validamente contribuendo a diffondere la dottrina di Mani nell'impero romano.

MANI cadde poiché la sua religione universale venne ad urtarsi con la rinascita nazionale della Persia e con la chiesa nazionale dei Magi, che ne era il sostegno e su quella il clero viveva.
Lo svolgimento politico e religioso del regno dei Sasanidi respingeva qualsiasi sincretismo, sia della cultura sia della religione. Mani fu scrittore molto fecondo e lasciò numerose opere, intorno alle quali poco finora si sapeva, e il più da fonti arabe ed ecclesiastiche. Solo in questi ultimi tempi, nel Turkestan orientale, se ne sono trovati frammenti che ci mostrano direttamente le idee di Mani e la lingua in cui scrisse, il persiano medievale.

La religione di Mani si fonda sul dualismo della luce e delle tenebre, sul dualismo morale del bene e del male e sulla teoria della lotta degli spiriti buoni e malvagi di quei due regni. Basta questo per riconoscere come essa derivi dall'antica religione persiana.
Vi agiscono anche idee babilonesi, certamente penetrate nella gnosi già prima di Mani. Esse producono un materializzarsi del dualismo etico: il mondo morale coincide col mondo naturale. Luce e tenebra sono elementi materiali. L'essenza del bene e della divinità sta in ciò, che ambedue sono materia luminosa.

Non mancano elementi cristiani, che forse si riconnettono a concezioni della gnosi orientale, innanzitutto l'idea della redenzione. In Mani la dottrina della redenzione è strettamente congiunta al dualismo materiale, determinante l'immagine che egli si fa del mondo. La redenzione è pensata come un processo fisico, come un distacco della luce dalle tenebre. Mani, il Paracleto, che quale messaggero della luce è il profeta sommo, arreca la piena cognizione; con lui si compie la liberazione della luce dalle tenebre.

Questa teoria trova la sua espressione nell'etica di Mani. La via della redenzione consiste nello staccarsi dalle tenebre della materia, in cui è incorporato il male. In ciò si fonda il carattere ascetico della sua morale. I dieci comandamenti valgono per il cerchio più largo della sua comunità e contengono i requisiti morali che stanno a fondamento della vita pratica.
I Perfetti all'incontro cercano di staccarsi, per quanto è possibile, dal mondo; nelle parole, opere e pensieri essi debbono evitare ogni impurità e malizia.

A causa delle gravi, persecuzioni dopo la morte di Mani, questa religione si diffuse nel nord-est dell'Iran, nella Transoxania e nell'India. Dal 280 in poi essa penetra nella Mesopotamia, Siria, Egitto ed Africa. Dal 330 in poi il manicheismo si diffuse rapidamente nell'impero, avendo assunto esteriormente forme cristiane. La sua efficacia dipendeva dalla dottrina della redenzione congiunta al dualismo naturalistico, familiare al mondo antico.
La chiesa, alleatasi con lo Stato romano, lo ha poi superato. Ma la soppressione dei Manichei non tolse del tutto di mezzo la opposizione contro la chiesa di Stato. Con la dottrina di Mazdak sorse un movimento politico e sociale, pieno di idee religiose e ad esse appoggiato, come di solito avveniva presso i popoli d'Oriente.

Anche il comunismo predicato da Mazdak aveva fondamento religioso. Insegnava egli che tutti gli uomini erano eguali, secondo la creazione divina, ed avevano quindi diritto ad un eguale possesso. Ad impedire pertanto ogni nuova formazione del possesso privato bisognava sopprimere il diritto ereditario connesso con la famiglia e sciogliere la famiglia stessa, la più valida spinta al lavoro e al guadagno.
Così Mazdak esige la comunanza delle donne. Questa riforma sociale ha per lui un carattere religioso; per essa si compie il vero amor fraterno, posto al disopra di ogni religione positiva.

Grande fu il successo della sua predicazione: la gente povera e minuta accorreva a chi voleva metterla alla pari con la ricca nobiltà e il clero potente. Le difficoltà politiche del 490 diedero maggior forza a questo movimento.

Il re Peroz era caduto presso l'Oxus combattendo contro gli «Unni bianchi» (484). Il suo successore Kavadh (488-89), uomo di Stato, eccellente stratega, libero da fantasticherie e da umanitarismi, vide in Mazdak la forza adatta per la sua politica. Senza per nulla applicare a sé stesso i postulati di Mazdak, si giovò della spinta di quel moto religioso e sociale per tenere in soggezione la nobiltà e il clero.

A tutta prima avvenne una controrivoluzione, avendo il sacerdote supremo proclamata la deposizione del re, il quale fu fatto prigioniero in una piccola località e il fratello G'amasp messo sul trono in vece sua. Ma Kavadh si rifugiò presso gli Unni bianchi, con l'aiuto dei quali di li a poco ritornò e nel 500 riprese il trono.
La grande e fortunata guerra contro Bisanzio (502 506) rafforzò la posizione del sovrano, che quindi favorì i Mazdakiti.
Kavadh aveva destinato a suo successore il più valente de' suoi figli, Chosrau. Questi spinse il già vecchio sovrano a prendere misure contro i Mazdakiti, tanto più che essi volevano mettere sul trono uno dei loro fratelli.
Già da principe ereditario Chosrau agì rapidamente contro i Mazdakiti. Pare che fossero stati convocati a Ctesifonte, dove furono assaliti (528 o 529) ed uccisi a migliaia; Mazdak stesso non si sottrasse alla strage. Divenuto poi re (531) Chosrau tolse del tutto di mezzo gli ultimi resti dei Mazdakiti.

NOTA - Con Mazdak compare una figura molto singolare; il popolo ha il suo profeta, il suo messia, il suo "Gesù Cristo", ha la sua setta di seguaci di una religione di origine manichea (Mani, il fondatore della omonima setta religiosa teosofica più che profetica).
Il nuovo messia che aspettavano i diseredati è MAZDAK, che ha fondato con la sua dottrina il MAZDAKISMO.
Il suo "vangelo" è l'amore fraterno universale che dovrebbe condurre a una ripartizione uniforme di tutti i beni; suddivisione voluta da Dio ma impedita dal diavolo (che poi secondo Mazdak sono i ricchi capitalisti, i latifondisti, i principi e i regnanti; loro sono loro le armi di Satana). 
Già nel 491 Mazdak aveva fatto scatenare una grande insurrezione dei suoi seguaci contro i proprietari terrieri per l'abolizione della proprietà (come Prudhomn 1400 anni dopo !) che Mazdak considera un furto. Seminò il panico nel territorio e iniziò a inquietare i grandi proprietari terrieri, quando accanto ai seguaci iniziarono ad aggregarsi i contadini delle loro terre ribellandosi e pretendendo una parte delle stesse. Una rivoluzione sociale stava per iniziare e allarmò anche il sovrano quando le predicazioni del monaco non erano più sermoni ma erano un incitamento alla rivolta, una esortazione a scatenare una guerra civile (oggi diremmo di classe).
Mazdak assume una tale importanza dentro questo movimento e ha un seguito così nutrito che il re Kavadh, molto preoccupato degli sviluppi, è costretto a scendere con lui a patti e ad elevare questo santone al grado di consigliere personale, insediandolo a palazzo come un ministro, cercando di capire le sue rivendicazioni e possibilmente poi attenuare quei disagi che il profeta ha con la protesta dei diseredati portato in superficie e a conoscenza del sovrano.
L'influenza del santone nelle questioni amministrative e nella gestione del territorio si fanno subito sentire e ovviamente alcune leggi che promulga il re vanno a colpire le classi privilegiate, che subito iniziano ad allarmarsi. Cercano pure, convincendo il figlio del re sasanide, Cosroe, di opporsi al padre.
La nobiltà terriera molto irritata da queste prime riforme comuniste del Palazzo, che portano via a loro i beni e le terre, oltre che seminare il terrore nei loro dorati palazzi, si riunisce e sancisce di non riconoscere più il proprio monarca che ha promulgato quelle leggi di esproprio.
Kavadh viene deposto, e al consiglio dei nobili si decide di organizzare un esercito di mercenari per sbarazzarsi in un modo molto spiccio di tutta la setta e dei loro seguaci.
Inutile dire che il breve esperimento fatto dal governo fallì prima ancora di iniziare.
Finì nel 528 con un massacro: di gran parte dei suoi seguaci, del profeta e del re che l'appoggiava.
Mentre i contadini che già si erano illusi che era giunto il tempo del riscatto delle angherie, piegando la testa e la schiena ancor più di prima tornarono zitti zitti nei campi. Anche se le idee del profeta continuarono a vivere in alcune tarde sette persiane.
Insomma Mazdak finì come Mani (215-273) l'altro propugnatore di dottrine molto simili (MANICHEISMO) e che abbiamo già conosciuto, anche lui lapidato e finito in croce dai sacerdoti zarathustriani a lui nemici, per aver predicato l'eguaglianza e l'equa distribuzione delle proprietà. 
Utopie che erano già iniziate a Babilona, a Samarcanda e si afferma arrivate fino in Cina. 
Seguace di Mani fu anche S. Agostino, che ci ha lasciato un buon studio sul manicheismo, ma ulteriori luci ci sono venute dai ritrovamenti di Turfan e dai papiri delle tombe in rovina della città di Medinet Madi, nel Fuyyum ("I Capitoli", Colloqui di Mani, oggi a Berlino).
Non dimentichiamo che fu grandissima l'influenza che esercitò indirettamente il Manicheismo sulle sette cristiane e islamiche, per cui non senza ragione lo si può definire il Manicheismo una corrente facente parte della religione universale.

 

L'indipendenza politica e nazionale dell'Iran si rispecchia nell'arte. Per quanto vi agiscano anche certi impulsi della scultura e architettura ellenica, l'arte dei Sasanidi fu essenzialmente originale, piena di forme orientali, la cui peculiarità si svolge in ricchezza decorativa. Gli avanzi conservati nella Persia stessa ci mostrano l'architettura dei palazzi; storicamente può dividersi all'incirca in tre gruppi.
Gli edifici dell'età degli Arsacidi si risentono ancora dell'arte romano- ellenistica, i cui elementi vengono combinati in modo spesso esteriore.
L'età dei Sasanidi è caratterizzata da grandi edifici a volta; vi si distingue una forma più antica ed una più recente. Le sculture dei bassorilievi su rocce appartengono anch'esse al fiore dell'epoca sasanide. Le pareti eran rivestite di tappeti; di pitture murali ci dànno notizia solo le fonti letterarie. Questi affreschi esercitarono influenza, alla loro volta, sui tappeti e i tessuti di seta. Della tappezzeria più antica ci restano solo pochi ma preziosi avanzi. Un tessuto conservato a Colonia rappresenta una scena di caccia, ricordata, circa il 430, come affresco nel palazzo di un principe.

Accanto ad antichi elementi orientali, l'arte ornamentale degli edifici Sasanidi offre forme elleniche. Qui abbiamo la preparazione all'arte arabo-persiana, mentre parallelamente all'arte sasanide si svolgono le forme stilizzate dei Bizantini. L'arte sasanide ha esercitato forti influssi fuori della Persia, quali ci appaiono nella Siria e forse nella Meshatta; ebbe anche influenza nell'arte bizantina e cinese.

RIEPILOGO DATE

DAI SELEUCIDI AI SASANIDI
323 a.C. Alla morte di Alessandro la Persia diviene retaggio di Seleuco, e dei Seleucidi suoi successori.
250 a.C. ca. I Parti fondano la dinastia degli Arsacidi.
175-138 a.C. Mitridate I, re dei Parti, riunisce sotto il suo scettro tutti i paesi che si sottraggono al dominio seleucide.
123-88 a.C. Regno di Mitridate II. Viene arrestata una minacciosa invasione di Sciti.
53 a.C. I Parti sconfiggono e uccidono il triumviro Crasso a Carre in Mesopotamia.
224 d.C. Ardashir, principe della provincia di Fars, sconfigge l'ultimo re parto, Artabano V.
224-241 Regno di Ardachir, fondatore della dinastia sasanide.
241-272 Regno di Shapur I.
260 L'imperatore romano, Valeriano, sconfitto a Edessa è fatto prigioniero di Shapur I. 309-379 Shapur II.
488-531 Regno di Kavadh I; il mazdachismo, movimento iniziato dal mistico illuminato Mazdak, propugna l'instaurazione di un comunismo agrario. 531-579 Regno di Cosroe I.
590-628 Regno di Cosroe II.
616 I Persiani conquistano l'Egitto.
637 Gli Arabi vincono i Persiani nella battaglia di Kadisia.
642 Con la battaglia di Nehavend gli Arabi si impadroniscono della maggior parte della Persia.
652 L'ultimo re sassanide Yezdegerd III è assassinato.

Prima di abbandonare la narrazione dell'antico oriente in Asia Centrale
dobbiamo dare uno sguardo ai Turchi e ai Mongoli

ASIA CENTRALE - I TURCHI E I MONGOLI > >

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