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117. LUTERO, IL POPOLO TEDESCO E L'IMPERO


Con gli ultimi avvenimenti e con gli scritti alla nobiltà tedesca e sulla "cattività di Babilonia", le dottrine di Lutero si erano precisate nella forma di una nuova dottrina religiosa e civile. Richiamandosi all'essenza cristiana primitiva, espressa nella Bibbia, e negando l'autorità della Chiesa, fino allora rispettata, giungeva a tracciare un nuovo programma politico e sociale.

Nella dottrina di Lutero, sola fonte della fede doveva essere la Bibbia, liberamente interpretata secondo l'intimo sentimento del credente, il quale può partecipare alla rigenerazione promessa da Cristo con l'intensità della fede. Tale dottrina negava così di colpo tutta la tradizione della Chiesa, elemento storico vivo della cristianità; negava la necessità di un sacerdozio, poiché il libero esame era sufficiente alla concezione cristiana; distruggeva il principio d'autorità della Chiesa, che pure era stato uno dei fattori del faticoso progresso civile.

In questi suoi concetti, Lutero si ispirava in parte alle proposizioni mistiche e insieme violente di S. Paolo e alla rude concezione ormai quasi medioevale di S. Agostino; ma soprattutto alle teorie di Wycliff e di Giovanni Huss, che tante volte erano affiorate nella storia delle eresie. Non vi era dunque nulla di originale in lui; né forse egli presumeva di essere originale. Anzi, nella dottrina di Lutero, ritornarono sulla scena elementi e forme, che si potrebbero dire schiettamente medioevali e che la società civile, nel suo lento progresso, aveva da tempo superati.
Il libero esame, proposto da Lutero, non era affatto quella coraggiosa e faticosa ricerca intellettuale, che è espressa per noi da quella formula; non è un prodotto della ragione. Anzi la ragione, che Lutero chiama «la fidanzata del diavolo», è uno strumento pericoloso, che può portare il credente alla rovina. Il libero esame non é che l'ispirazione del fedele sulla base della grazia divina, cioè un dono divino, che illumina e solleva la mente umana. E quanto alla distruzione, voluta da Lutero, della forza tradizionale e pratica dell'autorità, la quale era stata una creazione faticosa del
medio evo, essa era un salto nel buio, poiché poteva portare allo scatenamento delle passioni più torbide, al trionfo delle cupidigie più violente, che il medio evo aveva già condannate.

Nel manifesto alla nobiltà tedesca, Lutero condannava aspramente il triplice muro di cinta che, a suo dire, la Curia romana si era costruita intorno, per sfuggire ad ogni responsabilità e ad ogni controllo e per creare il suo dominio universale. Al potere civile era stato opposto il potere spirituale, che a quello sovrastava; ai dettami della Sacra Scrittura si era opposto, come unico interprete, il papa; alla regola del concilio si era obiettato che quest'ultimo non poteva essere convocato che dal papa.

A questa triplice cinta di mura, Lutero oppone la sua dottrina. Il potere spirituale non esiste, perché ogni cristiano é sacerdote a sé stesso; l'autorità del pontefice non può essere superiore a quella delle divine scritture; la riunione dei concili non era di esclusiva competenza dei pontefici, perché la riunione degli apostoli in Gerusalemme non era stata convocata da Pietro e il concilio di Nicea era stato riunito da Costantino.

Condanna quindi il commercio delle cose sacre, che dice diretto da Roma, e vuole che siano soppresse tutte le signorie temporali dei vescovi e degli abati, poiché un sacerdote non può essere insieme prelato e principe. In corrispondenza, Lutero invita l'imperatore a confiscare il dominio temporale del papa.

In relazione con la vita cristiana, Lutero si pronuncia contro il lusso, contro il prestito ad usura, contro i facili guadagni, e soggiunge: «Sarebbe secondo Dio favorire il lavoro dei campi e diminuire gli affari del commercio: i contadini valgono meglio dei commercianti, perché Dio ha detto: tu guadagnerai il pane col sudore della tua fronte».
Si scaglia quindi contro le intemperanze di ogni natura; invoca la riforma del monachesimo, l'abolizione dell'obbligo del celibato del clero, e vorrebbe abolite tutte le feste, tranne la festa domenicale, giudicando le altre come incoraggiamento alla crapula, all'ozio e alla dissipazione.

Finalmente, in quello scritto, egli reclamava una riforma delle Università tedesche, che vuole costruite come strumento per una seria e razionale preparazione della gioventù cristiana e del popolo tedesco.
Nel trattato sulla cattività di Babilonia, Lutero raffigura la dottrina dei sacramenti come una serie astuta di mezzi, con cui la Chiesa romana lega i suoi fedeli a perpetua servitù, dalla nascita alla morte. Egli non ammette che tre sacramenti: battesimo, penitenza, eucarestia, proclamando anche per questi che la loro efficacia deriva principalmente dalla fede interiore che deve accompagnarli.

Nega agli altri sacramenti l'origine divina, e fonda tutta la fede su un sentimento interiore, valorizzato dalla disciplina nei veri sacramenti istituiti da Dio.

In un altro opuscolo « De libertate christiana », pubblicato anch'esso in questo periodo (seconda metà dell'anno 1520), Lutero si propone di dimostrare che il cristiano é padrone di tutte le cose, é liberissimo e soggetto a nessuno; e che per contrasto, rispetto alla fede, il cristiano è servo devotissimo e a tutti soggetto. A questa libertà e a questa soggezione, Lutero pone il fondamento esclusivo dei testi sacri, illuminati dalla fede, negando il valore d'ogni altro vincolo e d'ogni altro dominio.

Con queste distruzioni delle basi stesse dell'insegnamento cristiano, forse già in vista dell'attesa scomunica, Lutero preparava, nella nobiltà e nel popolo tedesco, un senso di attaccamento e di difesa delle sue nuove dottrine, facilmente intelligibili e utilmente adottabili, contro tutto il peso delle regole ecclesiastiche, fino allora riconosciute, che costituivano un formidabile impedimento alle facili trasgressioni dell'animo e dell'azione umana.

Lutero negava così la forza della ragione e l'autorità della Chiesa. Egli colpiva perciò i maggiori progressi della società, che stava uscendo dal medio evo, e rientrava quasi nell'orbita delle concezioni paurose e rozze della barbarie. Dominato da un fanatismo, ch'era il prodotto dei suoi terrori religiosi, Lutero si scagliava contro l'umanesimo, che era per lui un ritorno alla paganesimo e al peccato; combatteva il diritto romano, che era per lui un tessuto di incomprensibili brocratiche sottigliezze; si gettava contro la Chiesa, che era nel suo pensiero una costruzione artificiosa, destinata a difendere interessi illegittimi.

Sfuggiva a lui in pieno il senso di profonda umanità o di squisita gentilezza, che emana dalle letterature e dalle arti classiche e che tanto ha contribuito a ingentilire il costume; egli disconosceva il carattere profondamente civile del diritto romano, che era riuscito a precisare e a temperare saggiamente gli interessi umani ed era destinato, malgrado quella fiera avversione, a diventare anche il diritto della nazione tedesca; egli non vedeva che l'autorità della Chiesa, appoggiata ad una sapiente gerarchia, anche se malamente applicata, era tuttavia una potente garanzia di stabilità e di progresso, e un freno agli errori e ai contrasti della povera umanità.

Ma tuttavia proprio per questi disconoscimenti le dottrine di Lutero erano in grado di attrarre a sé, con irrefrenabile entusiasmo, le rozze menti dei suoi compatrioti. Il popolo tedesco, profondamente religioso, era lieto di poter leggere liberamente le Sacre Scritture, di cui Lutero andava compiendo, in forma viva e attraente, la traduzione; era felice di vedere condannate come demoniache le lettere antiche, per comprendere le quali era necessario uno sforzo mentale formidabile; era ansioso di veder gettate alle ortiche quelle regole sottili e sapienti del diritto romano, che non potevano essere accolte senza sforzo da una società non ancora incivilita; era lieto che le ricchezze e le cupidigie del clero fossero denunciate come una violazione del Vangelo, poiché così sperava in un alleviamento dei pesi eccessivi di una civiltà, per cui si dichiarava immaturo. La visione luminosa di una libertà senza confini tentava, com é facile comprendere, la mente di tutti.

La forma, poi, in cui queste dottrine furono esposte, appariva sommamente adatta agli spiriti a cui era destinata. Fermo nella sua convinzione, Lutero, capì che bisognava uscire dalle forme dotte e accostarsi all'anima e all'intelligenza popolare. Egli aveva impresa una traduzione della Bibbia in tedesco, di cui i pochi passi fino allora apparsi dimostravano già le linee semplici e potenti, capaci di conquistare le menti del popolo. La stampa divulgava rapidamente i forti, chiari e vibranti opuscoli di Lutero, e li portava subito nelle più remote contrade della Germania.


Una volta era Gesù che con umiltà lavava i piedi a san Pietro,
ora il papa con la sua arroganza vuole che un re e un imperatore gli baci il piede.
( Testi di Lutero - Xilografie di Luca Cranach)

Nel fervore della lotta, Lutero non esitò a servirsi delle realistiche immagini satiriche, che colpivano le menti più rozze e raggiungevano un risultato più rapido e più sicuro. Furono divulgati, in quegli anni, caratteristici opuscoli con rozze e satiriche figure, in xilografia, alcune delle quali quasi oscene, contro il papa e contro la Chiesa romana, le quali ebbero larghissimo successo ed aiutarono il trionfo della riforma. «Lutero, scrive il Voltaire, con le bassezze di uno stile barbaro, trionfava nel suo paese su tutta la gentilezza romana ».


Il Papa che concede benefici - Testo di Lutero - Xilografia di Luca Cranach

D'altra parte, anche la nobiltà feudale, allora numerosissima in Germania, doveva essere singolarmente attratta dalle dottrine ardite e innovatrici di Lutero. Queste dottrine condannavano la signoria territoriale e temporale dei vescovi e degli abati ed esaltavano una organizzazione ecclesiastica purificata da ogni interesse terreno e legata alla sua pura visione religiosa. Questo voleva dire la rinuncia e la spoliazione delle grandi signorie feudali, affidate ai vescovi e ai monasteri, e quindi la ricaduta di questi diritti e di questi patrimoni a vantaggio dei principi e dei signori temporali. Si apriva così (con notevole opportunismo) la speranza di nuove ricchezze, e soprattutto si escludevano le signorie temporali dei vescovi e degli abati, che significavano una limitazione rigida e intangibile ai diritti dei grandi principi e dei grandi feudatari.

E poiché Lutero insegnava che l'autorità dello Stato non doveva fare eccezioni, e doveva intendersi estesa anche al ceto ecclesiastico, che é soggetto, come tutti gli altri, al potere civile, così si garantiva ai grandi signori territoriali un considerevole aumento di potenza, che doveva guadagnare alle dottrine dell'innovatore un grande esercito di seguaci.

Da un lato, il popolo tedesco trovava nelle nuove dottrine una costruzione più adatta alla sua mentalità e alle sue tendenze, e le vedeva intente a distruggere un ordine di cose, a cui non si adattava. Dall'altro, i grandi principi vi vedevano la certezza di un aumento di ricchezze e di potenza, per cui dovevano essere fortemente interessati.

È facile dunque giustificare il trionfo rapido e decisivo di queste dottrine, che preparavano una nuova storia. La Germania sentiva finalmente sé stessa. Lo stile di Lutero, rude e pesante, ma forte e sincero, esprimeva ormai l'anima di un popolo nuovo, che, attraverso dure lotte, sotto l'impulso di fattori esterni, tendeva ad affermare la sua personalità. La protesta alta, solenne, sicura, contro le estreme sottigliezze dell'umanesimo, contro la complessità e le cupidigie della Chiesa romana, esprimeva la volontà ormai ferma di liberarsi dalla soggezione straniera, di affermare la propria forza, in via di maturazione.

Nasceva la nazione tedesca, con tutti i suoi pregi e con tutti i suoi difetti; la nazione tedesca, che, in quella occasione, doveva accogliere da Lutero stesso, nell'atto della suo nascita, l'inno famoso: "Una solida fortezza é il nostro Dio" che diventò l'inno della rivoluzione religiosa e sociale della nuova Germania.

Ma questo movimento religioso, che minacciava di travolgere lo stato politico e sociale della Germania, doveva preoccupare l'Impero, che fino allora si era retto sulle basi della civiltà cattolica, anche se spesso in lotta con la Chiesa romana, e che, essendo allora in guerra con la Francia, non poteva perdere l'appoggio del papa.

Mentre si svolgevano questi eventi religiosi e politici, era morto l'imperatore Massimiliano (12 gennaio 1519), e gli Elettori avevano chiamato all'Impero Carlo, l'erede fortunato dei regni d'Aragona e di Castiglia, e dei vasti e ricchi possessi della Casa di Borgogna e della Casa d'Austria (28 giugno 1519). Assumendo il nome di Carlo V, il nuovo imperatore si trovava improvvisamente a reggere un vastissimo Impero, che aveva allora avuto riconosciuti anche i domini d'oltremare, e che rappresentava, così, una formidabile potenza territoriale, la quale abbracciava due mondi.

Tuttavia questa potenza era minacciata dall'azione energica di una giovane nazione, la Francia, che aveva già conseguito brillanti successi in Italia e nelle Fiandre, e che si vedeva troppo compressa dai dominii imperiali, ora che, a mezzogiorno e ad oriente, trovava d'un tratto congiunte le forze rivali della Spagna e dell'Impero. Già la rivalità, nonostante le passeggere alleanze, si era manifestata agli inizi del secolo XVI, e più tardi si era esasperata, sia per l'invidia dei facili trionfi francesi, sia per la concorrenza dei due rivali, Francesco I e Carlo V, allo scettro imperiale. Tutto faceva presagire prossima la guerra.

D'altra parte, l'Impero non poteva prescindere dalla Germania, che, in questo momento, era indebolita dai movimenti religiosi. L'interesse del nuovo imperatore Carlo V, di animo profondamente cattolico, avrebbe sospinto ad una lotta aspra e decisiva contro la nascente eresia e ad una alleanza stretta fra la Chiesa e l'Impero. Tuttavia due cause si opponevano a questi risultati.
Anzitutto il movimento religioso trovava un forte irriducibile base nelle condizioni sociali e intellettuali della nuova Germania di quegli anni. In secondo luogo, la politica tentennante e a dirittura doppia del pontefice Leone X, per piccoli interessi rimasta a lungo incerta tra Francesco I e Carlo V, aveva impedito quell'accordo tempestivo, che avrebbe potuto forse frenare i rapidi e travolgenti progressi della riforma.

Sta di fatto che, quando Leone X, nel giugno del 1520, emanava la bolla di scomunica contro Lutero, non vi era ancora un accordo preciso tra l'imperatore e il pontefice, e forse, nell'animo dei primo, durava vivo il risentimento per il contegno incerto del pontefice nell'occasione della sua elezione imperiale. E invece il contenuto della bolla presupponeva non soltanto l'accordo, ma addirittura la dipendenza del braccio secolare.
Non soltanto si erano dati 60 giorni di tempo a Lutero per ritrattare le sue dottrine, sotto la minaccia della pena contro gli eretici; ma si erano invitate le autorità civili a bruciare gli scritti di Lutero, ad imprigionare eventualmente il ribelle e a cacciarlo da tutti i territori.

Tuttavia vi erano sia da una parte che dall'altra interessi convergenti, che consigliavano un avvicinamento. Carlo V parve ben disposto verso il pontefice, e mostrò di voler combattere le dottrine di Lutero, almeno nei Paesi Bassi, accendendo le maggiori speranze negli inviati del pontefice, Girolamo Aloandro, bibliotecario papale, e Giovanni Eck, professore ad Ingolstadt, che erano stati mandati per la pubblicazione e l'esecuzione della bolla di scomunica.

Ma in realtà l'azione del nuovo imperatore non poteva essere decisiva. Bisognava ormai tener conto delle correnti favorevoli a Lutero, che si erano sviluppate in tutte le classi della Germania. Carlo V cercava la pace interna dei suoi paesi, e questa pace interna non poteva trovarsi che con l'accordo. Convocò pertanto, per l'inizio del 1521, una dieta dei grandi dell'Impero a Worms, invitandovi Lutero con un salvacondotto. La procedura ideata da Carlo V contrastava con le disposizioni contenute nella bolla, le quali avevano pronunciato già una condanna assoluta e non ammettevano indugi; ma non poteva essere avversata.

Carlo V si illudeva forse che fosse possibile una conciliazione, e dimostrò molto interesse per questa assemblea di grandi e di dotti, che avrebbe dovuto pacificare gli spiriti e restituire la tranquillità alla Germania.

Fin dalla prima seduta, l'inviato del papa, Aloandro, con un lungo discorso, cercò dì dimostrare i pericoli, a cui le nuove dottrine conducevano la Germania. L'ordine religioso e civile degli Stati era tutto sconvolto, e il legato domandò, in base ad un apposito breve pontificio, che uscisse dalla dieta un editto generale, il quale desse forza di legge alla bolla di scomunica contro Lutero ed i suoi seguaci, e riconducesse così la pace religiosa e civile.
Questa proposta sollevò le alte proteste dei partigiani di Lutero; ma Carlo, desideroso di appagare la richiesta pontificia, fece subito preparare l'editto, sottoponendolo all'approvazione dell'assemblea. Ma questa fu d'avviso che, di fronte all' eccitabilità del popolo tedesco, convenisse prima far comparire alla dieta lo stesso Lutero e soddisfare così le esigenze popolari.

Carlo aderì alla proposta; e pare che la sua adesione, destinata a procrastinare ogni risoluzione, fosse ispirata anche da un nuovo senso di benevolenza verso Lutero, provocato dalla notizia, allora pervenuta, di nascoste trattative di Leone X col re di Francia, trattative che dovevano inasprire l'animo dell'imperatore contro il pontefice e renderlo invece indulgente verso i nemici della Chiesa.

Furono preparati la citazione e il salvacondotto per Lutero, in data 6 marzo 1521, e questo salvacondotto, nelle sue formule riguardose e rassicuranti verso la scomunicato, rivelava forse anche meglio il mutato sentimento dell'imperatore verso il ribelle.


Il 26 marzo comparve a Wittenberg l'araldo imperiale, per consegnare a Lutero la citazione; e forse fu notato che quell'araldo, chiamato Sturm di Oppenheim, era famoso per la sua avversione agli abusi di Roma, sicché la persona stessa doveva essere stata scelta per dare garanzia di indulgenza verso lo scomunicato.

Lutero sentì forse questo mutamento di correnti, e non esitò a prendere la sua risoluzione favorevole. Tuttavia, nel frattempo, quasi per frenare e combattere questa tendenza all'indulgenza, il legato del papa emanava, per ordine del pontefice, una nuova scomunica contro tutti gli eretici, e in particolare contro Lutero.
I sostenitori di Lutero, memori della sorte di Giovanni Huss al concilio di Costanza, avrebbero voluto trattenere il monaco da un intervento, che giudicavano pericoloso; ma Lutero rispose: «Sono legalmente citato e andrò, dovessi vedere congiurati contro di me tanti diavoli quante sono le tegole sui tetti».

Il suo viaggio da Wittenberg fu trionfale; le accoglienze di Worms furono memorabili. Nell'entusiasmo delle folle, egli compose l'inno, di cui abbiamo parlato, e che divenne il grido della Germania protestante.
Il 17 aprile 1521, Lutero comparve dinanzi alla Dieta, che era veramente solenne. Intorno alla maestà di Carlo V, che aveva al fianco il fratello Ferdinando, vi erano sei elettori, ventiquattro duchi, otto margravi, sette ambasciatori, prelati, principi, conti, baroni, cavalieri.
Invitato a ritrattare o a riconfermare i suoi scritti, Lutero ebbe un momento di esitazione, e chiese la proroga di un giorno.

Nel giorno seguente, Lutero, a voce sicura e forte, pronunciò una franca difesa delle sue idee religiose e civili, dichiarò formalmente di rigettare l'autorità del papa e dei concili, non riconosciuta nei testi sacri, confermò i suoi scritti, e concluse: «Se non sono convinto da testimonianze della Sacra Scrittura, non posso né voglio ritrattare nulla, perché, per un cristiano, non é né leale, né permesso, né senza pericoli, agire contro la propria coscienza, illuminata dalla fede».

Questo franco e sicuro contegno guadagnò nuovi seguaci a Lutero. I legati del papa si erano ritirati dalla seduta, per protestare contro lo scandalo, per cui uno scomunicato era stato ripetutamente ammesso ed ascoltato in una pubblica assemblea delle maggiori autorità temporali e spirituali dell'Impero.
L'Elettore di Sassonia, che già era stato fra i più indulgenti verso Lutero, non esitò a congratularsi col ribelle e a dichiararsi decisamente dalla sua parte. Altri principi lo imitarono.

Quando un dottore, inviato dal margravio di Baden, invocò da Lutero, in nome della fede cristiana e della pace dell'Impero, una ritrattazione piena e completa, e una ubbidienza totale alla maestà dell'Imperatore; Lutero poté levare alta la sua voce: «A tutto, rispose, sono pronto; a tutto, che non sia contro l'onore e contro la fede di Cristo».

Allora il cancelliere di Treveri, a nome dell'imperatore, lo dichiarò disobbediente all'autorità imperiale. Ma, nello stesso tempo, in virtù del salvacondotto, lo avvertì che avrebbe potuto partire senza offesa.
Mentre Carlo V dichiarava di voler difendere contro l'eretico la giusta fede, non si poté violare il salvacondotto, anche per la resistenza minacciosa dei seguaci di Lutero.

Il 26 aprile l'imperatore obbligava il professore di Wittenberg ad abbandonare Worms. Il messo pontificio Aloandro preparò il mandato imperiale che doveva condannare l'eretico; ma Carlo V, per motivi di prudenza politica, fece bandire il testo soltanto il 25 maggio, quando Lutero era già in salvo.

 

L'editto di Worms fulminava il bando dell'Impero contro Lutero e invitava a distruggerne gli scritti.
Si ordinava poi a qualunque dei principi, scaduto il termine del salvacondotto, di catturarlo e consegnarlo all'imperatore, per essere mandato al rogo. La stessa pena e la confisca dei beni era comminata contro coloro che seguissero le sue dottrine, sottoponendosi a censura preventiva tutte le opere di teologia e di filosofia religiosa, che avrebbero dovuto essere in seguito pubblicate.

Ma Lutero era ormai partito indisturbato da Worms, e, protetto dai suoi potenti seguaci era scomparso quasi misteriosamente, lasciando nell'incertezza alcuni dei suoi sostenitori. Alberto Durer lo piangeva come morto, scrivendo nel suo giornale: «O voi tutti, cristiani, aiutatemi a piangere quest'uomo, che ha lo spirito di Dio, e a pregar Dio che ci mandi un altro uomo illuminato».

Lutero non era morto. L'Elettore di Sassonia, suo convinto protettore, l'aveva fatto accompagnare da fidati cavalieri, nel castello di Wartburg in Turingia, dove visse per dieci mesi quasi ignorato, sotto il nome di cavaliere Giorgio.
«Mi ritirai dalla lotta - scriveva più tardi Lutero - cedendo al consiglio dei miei amici; ma mio malgrado, e dubitando che questo atto non fosse accetto a Dio. Dicevo a me stesso che avrei dovuto esporre la mia testa al furore degli avversari; ma gli amici pensarono diversamente. Alcuni cavalieri da essi appostati finsero di tendermi un'imboscata e mi arrestarono lungo la via, portandomi in luogo sicuro, dove mi si tratta assai cortesemente. Ma, credetemi, preferirei essere esposto a tutti i demoni, anziché vivere in solitudine oziosa. È più facile lottare contro il diavolo incarnato, ossia contro gli uomini, che contro le orribili tentazioni spirituali. Sovente io cado, ma la mano di Dio mi rialza. Desidero ardentemente ritornare alla vita, ma vi rinuncio fintanto che Dio non mi ci chiama».

Queste parole dimostrano quanto pesasse a Lutero il tenersi lontano dalla lotta, proprio nel momento in cui questa si agitava più grave e si faceva critica.
Ma non per questo la penna era stata abbandonata, nè la solitudine era così oziosa, come la lettera farebbe credere.

Nella selvaggia solitudine di quel luogo, Lutero si dedicò alla traduzione della Bibbia, di cui già aveva dato qualche saggio.

Si narra che, tra il dicembre del 1520 e il febbraio del 1521, in poco più di due mesi, nella stanza severa, che ancora oggi si conserva all' ammirazione dei visitatori, egli tradusse dal greco tutto il Nuovo Testamento. Superando le notevoli difficoltà dei testi, egli creò un'opera mirabile, che, dal punto di vista linguistico, costituisce uno dei primi e più felici saggi del tedesco moderno.

Il popolo poté leggere la Bibbia in tedesco, in una traduzione chiara e vibrante e quasi completa, e il testo costituì uno dei maggiori successi librari.


La bozza di stampa della prima pagina della Bibbia tedesca
con le note di Lutero (4 anni prima della sua morte)

 

Ma oltre questo,
la sua "rivoluzionaria" dottrina come si stava imponendo?

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