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68. LA PROSPERITA' DELLO STATO BUROCRATICO - NARA (701-794)

Sotto il giovane imperatore Mommu la parte di ministro dirigente fu affidata al suo suocero Fugi uara Fubito, il più giovane dei due figli del gran cancelliere Kamatari. Aumentò ancora la sua influenza durante il regno delle due donne, che succedettero a Mommu, morto già nel 707; nel 720 morì anche lui, essendo
ancora cancelliere (Udaigin).
Con i suoi quattro figli comincia a prevalere l'influenza politica di quella famiglia dei Fugi uara, così ricca di uomini pieni d'ingegno e di meriti, che forma quasi una specie di linea imperiale accessoria.

Al nome di Fubito va congiunto il celebre corpo di leggi, redatto sotto la sua direzione e presentato all'imperatore nel primo anno del nengo «Taiho» (701), che da questo prese il nome.
È attribuito già all'imperatore Tengi il primo passo importante dal diritto consuetudinario non scritto, come dagli editti imperiali pubblicati di quando in quando, al diritto stabilito in codici di leggi, e secondo un'informazione del Nihonghi già nel 789 un codice fu distribuito alle autorità. Tutti questi codici, frutti di una precedente legislazione, disgraziatamente non ci sono stati conservati; tuttavia sbaglieremo di poco ammettendo che per la parte essenziale siano stati accolti nell'opera del Taiho.

Questa veramente si fonda soprattutto su precetti più o meno adatti alle condizioni del Giappone, mutuati dal codice cinese del 623, opera che purtroppo passa come perduta, dovuta alla dinastia Tang e ammirata come uno splendido modello.
Nell'anno 718, pure sotto la direzione di Fubito, ne fu curato una nuova versione non molto differente, chiamato « Yoro », dal nome del Nengo d'allora. In questa redazione accolta nel commento Ryo no ghighe dell'anno 833, ci fu conservata in massima parte l'opera, che insieme alle due antiche cronache può contarsi tra le fonti più rilevanti per la storia del Giappone.
È poi tanto più importante, in quanto prescindendo da alcune legislazioni più tarde, corrispondenti alle mutate condizioni dei tempi, non fu mai abrogata fino alla restaurazione moderna del potere imperiale, anche se gradatamente varie disposizioni rimasero non applicate per il mutamento delle istituzioni.

Il Corpus juris del Giappone, varato nemmeno due secoli dopo quello famoso di Giustiniano, conduce a un termine sicuro la riforma Taikua della grande epoca di transizione. In questa forma costante, che regola quasi ogni ramo della vita pubblica e di quella privata, quelle riforme divengono la base essenziale di ogni rapporto per i secoli più prossimi, ed in parte anche oltre questi, anche se più tardi furono mutate in qualche particolare.

Al pari del modello cinese anche la legislazione Taiho (o quella Yoro rispettivamente) risulta di due parti principali, di un codice penale « Ritsu » (in cinese « Luh »), che in confronto a quello dei secoli più tardi, è discretamente mite con le pene della bastonatura, dell'esilio e della morte, e in secondo luogo delle ordinanze « Ryo » (in cinese « Ling »), le quali rappresentano una vera legge fondamentale dello Stato, che regola completamente tutta l'organizzazione delle varie autorità e le istituzioni rituali, religiose ed economiche.

A qual grado elevato di sviluppo dobbiamo concludere fosse giunto il popolo giapponese di quel tempo, essendo tutte le materie regolate nel Ryo legislativamente giusta le condizioni effettive, e qua e là forse secondo il modello cinese, precorrendo ai tempi!
Il Ryo tratta estesamente dell'organizzazione dell'intero corpo dei funzionari, inoltre della loro retribuzione e del loro congedo, delle relazioni che devono avere con i loro subordinati, della forma della pubblicazione delle leggi e della corrispondenza ufficiale; regola le condizioni dei templi dello Scinto e dei suoi sacerdoti, come dei monaci e delle monache buddistiche; si occupa dell'esercito e delle guardie personali dell'imperatore; contiene leggi sull'istruzione e sull'esercizio della medicina, come sulla ricerca e sul tipo di prigione dei delinquenti e sull'ordinamento carcerario; dà disposizioni intorno al diritto familiare (« ko ») ed ereditario, intorno al seppellimento, al lutto e al vestito, come intorno a quanto riguarda le cerimonie; finalmente stabilisce provvedimenti intorno all'agricoltura, alla pastorizia, alle imposte, alle prestazioni d'opera, ai magazzini, alle costruzioni, alle irrigazioni, al calendario, ai confini territoriali, ai mercati, alle misure, ai pesi.

La sede del sovrano e quindi di tutto il governo centrale e dei suoi alti funzionari, era stata finora trasferita da luogo a luogo alla morte di ciascun imperatore, e così facendo non di rado si ritornava in luoghi di antiche residenze e si era soliti di non oltrepassare i limiti delle province del Kinai.
Un altro passo sulla via dello sviluppo politico è indicato dal trasferimento avvenuto nel 710 della sede imperiale a Nara, nella prima capitale effettiva perché stabile, dove essa rimase fino al 784.

Tutto quel periodo di floridezza vigorosa della cultura fin verso la fine del secolo VIII, e talora anche a partire dal principio della riforma Taikua si suol quindi comprendere sotto il nome di periodo di Nara, specialmente nella storia dell'arte e della letteratura, che erano allora in gran sviluppo.
Nell'ameno bacino pianeggiante di Nara, fertile, circondato da monti boscosi, il principe Shotoku, il promotore zelante e potente del Buddismo, aveva posto la sua dimora e nell'anno 607 vi aveva eretto il tempio Horyugi... (nell'immagine di apertura)
... come riferisce là un'iscrizione dell'anno stesso, apposta ad una statua di Budda, il più antico monumento scritto del Giappone, che ci sia stato conservato.

Oltre a questo edificio venerabile, per quanto conservato non senza continui restauri, e così celebrato per la sua antichità e per i tesori d'arte che racchiude, la vecchia città imperiale, desolata frequentemente nel corso della storia da parecchie tempeste devastatrici, all'infuori della prima statua gigantesca di Budda in bronzo dorato (Daibutsu), consacrata nel 751, nasconde nei suoi altri templi e specialmente nel tesoro di Shosoin una grande quantità di resti, preziosi anche storicamente, della cultura e dell'arte di quella grande epoca.

 

Fra questi destano vivissimo interesse tutti quegli oggetti, venuti probabilmente come donativi dalla Cina o dalla Corea, che indicano antiche relazioni dell'Asia orientale con paesi occidentali, come per es., stoffe di broccato con motivi ornamentali dei Sassanidi, liuti mandolini splendidamente ornati («biua») con fregi puramente occidentali e specchi bracieri vasi di vetro conservati nello Shosoin. Gli oggetti preziosi di questo tesoro hanno un valore storico tanto maggiore, in quanto la loro antichità più che millenaria è confermata dal fatto incontestato che, dopo il trasferimento della capitale da Nara nell'anno 794, per ordine imperiale il tesoro fu chiuso e d'allora in poi nulla fu aggiunto alle collezioni.

In Nara il Buddismo raggiunse un'ampia diffusione ed una rilevante influenza, anche maggiore che nel periodo di transizione della riforma Taikua, senza che per questo sorgesse un antagonismo contro lo Scintoismo. Al contrario insieme a tutti gli sforzi per promuovere le istituzioni e le virtù buddistiche sussiste una cura non meno zelante per il servizio dei «Kami», che specialmente nelle cerimonie dello Stato, dopo come prima, ha la parte principale. Tuttavia perfino nella festa del « Daigioue », dell'ascensione solenne al trono, che ha mantenuto un carattere scintoistico-nazionale, i rappresentanti del Buddismo erano rigorosamente esclusi ed esposti per soprappiù a certe limitazioni, per es., perfino al divieto di ogni atto di culto buddistico nei templi vicini al palazzo imperiale durante il mese delle cerimonie del Daigioue.

Il gran buon successo del Buddismo nel Giappone riposa sul concetto di un adattamento, anzi di una fusione del Buddismo e dello Scintoismo, che si chiama « Riobu Scinco » e nei Kami nazionali scorge soltanto manifestazioni di divinità delle dottrine indiane; questo pensiero era diffuso dai sacerdoti, che tornavano dalla Cina, dov'erano stati a sviluppare i loro studi. Fu tra questi Doscio, ritornato in patria già nel 654, discepolo del sacerdote buddista cinese HUAN-CIUANG (o Hüan tsang, 602-664 - nell'immagine a fianco), divenuto molto celebre oltre i confini della sua patria per la sua dottrina e per il suo grande pellegrinaggio fatto nell'India (629-645); Doscio cominciò a predicare la dottrina della setta degli Hosso, appresa presso Huanz ciuang; inoltre durante le sue peregrinazioni attraverso l'impero quale predicatore si rese benemerito costruendo fontane lungo le vie, passaggi e ponti nei fiumi sensa guado. Alla sua morte (700), secondo il suo desiderio, il cadavere fu arso e questa fu la prima cremazione avvenuta nel Giappone; poco dopo anche quest'uso buddistico fu seguito per la prima volta da una sovrana dell'impero, dall'imperatrice Gito (morta nel 703), che già aveva abdicato.

In modo simile a Doscio, ma con successo anche maggiore operò Ghioghi (670-749), uno dei sacerdoti più prestigiosi del periodo di Nara; numerosissime le sue peregrinazioni attraverso tutto l'impero per diffondervi le dottrine straniere e specialmente il Riobu Scinto.
Dato il favore, di cui godette durevolmente il Buddismo alla Corte e presso i funzionari del governo, non deve destare meraviglia che il suo clero aumentasse di numero. Già all'inizio del periodo di Nara vi erano molte migliaia di sacerdoti, come di monache. Quando qualcuno della casa imperiale si ammalava gravemente, non era raro il caso che centinaia di persone in onore del sofferente o del morto abbracciassero lo stato sacerdotale; perfino alcuni Ainu ottennero la consacrazione a sacerdoti.

Si vuole che il solo Ghioghi già ricordato abbia eretto non meno di 69 templi nella regione attorno a Nara. Nè si cercò soltanto di attenersi allo splendore esterno della dottrina straniera, ma di penetrarne con fervore il pensiero intimo. I sacerdoti mandati in Cina per farvi gli studi formavano una stabile istituzione. Furono tradotti diversi sutra e poi abitualmente letti e spiegati in modo solenne dai dotti sacerdoti nei palazzi e in alcuni templi. Esperti scrivani già nell'anno 673 furono convocati per metter mano a una trascrizione dell'intero canone buddistico (Tripitaka), che nell'anno 677 fu letto completamente ad alta voce in una solennità religiosa.

Il Buddismo però non doveva, come in precedenza restar confinato nelle classi superiori, ma penetrare anche nella massa popolare; già nel 685 un editto imperiale ordinava che ogni casa avesse il suo altare domestico buddistico. Moderavano il costume e le usanze le opere della carità buddistica, che venivano in uso specialmente alla Corte, come i doni ai vecchi, ai malati ed agli indigenti, ed anche ai sacerdoti e alle monache, spesso in gran numero.

Vennero in voga anche i precetti sulla protezione degli animali, in editti spesso rinnovati per la liberazione di quelli tenuti in prigionia e per la limitazione o il divieto della caccia e della pesca. L'uso delle carni, almeno di bue, di cavallo, di cane, di scimmie e di polli, era stato già proibito dal 675. La tendenza sociale nelle dottrine straniere si manifestò anche con la istituzione a Nara di una farmacia gratuita.

Ma anche nel campo politico il Buddismo acquistò una certa importanza specialmente sotto l'imperatore Sciomu (724-748), uno dei più ferventi seguaci della credenza indiana e il primo sovrano del Giappone che, un anno dopo la sua abdicazione, sia stato accolto dal Ghioghi già ricordato nell'ordine sacerdotale (749), insieme alla moglie, pure di ardenti sentimenti buddistici, e alla madre.
I suoi oggetti preziosi, quando egli mori nel 756, furono dalla vedova consacrati in onore della divinità Rosciana del tempio Todaigi in Nara e formano il fondo principale dell'odierno tesoro dello Shosoin.
Sembra però che il Buddismo subito dopo abbia assunto forme politiche pericolose sotto la veste di un sacerdote ambizioso, chiamato Dokyo; si vuole che questi dominasse l'ex-imperatrice Koken (749-759) al punto che, essendo stato vinto ed ucciso in battaglia il suo avversario Fugi-uara Nakamaro, favorito dal vero imperatore Giunnin, potesse arrischiarsi a esiliare Giunnin stesso, mentre egli induceva l'imperatrice a risalire sul trono (sotto il nome di Sciotoku 765-769).

Quando finalmente, non contento degli altissimi onori e dei titoli ufficiali, volle persuaderla a cedergli il trono, con un preteso oracolo dei Kami, i fedeli della dinastia seppero stornare il destino di un'interruzione della linea imperiale. Nel prossimo anno poi morì l'imperatrice e allora a Dokyo sotto il nuovo imperatore Konin (770-781) ancora soggetto all'influenza dei Fugiuara, toccò un castigo, che veramente parve mite, l'esilio in una provincia lontana.
Ad un esame critico tutto questo affare, abbellito romanzescamente e che può appena pretendere ad esser considerato senza obiezioni come una tradizione, può rappresentare soltanto una fase dell'opposizione delle grandi case contro il predominio nascente dei Fugi uara. Ad ogni modo da questa o da altre perturbazioni della pace pubblica nel secolo VIII risulta che le istituzioni benefiche dello Stato burocratico, così egregiamente stabilite nella legislazione Taiho, erano ancora abbastanza lontane dall'essere sotto molti aspetti attuate, essendo il popolo giapponese appena maturo ad esse rispetto a tutto il suo successivo sviluppo storico.

Il periodo di Nara indica un grande vigore preso dal Buddismo ed anche dall'arte e dalla scienza, che erano con quello in uno stretto rapporto. Conveniva pure che i numerosi edifici religiosi buddistici, i quali sorsero in quel tempo, avessero forme e addobbi degni e splendidi. Tuttavia non ci furono tramandati i nomi di maestri e di scuole artistiche del secolo VIII, ma comunque ci giunsero non poche opere d'arte e di genere vario. Queste ci dànno un'idea molto realistica del grado che si era allora raggiunto non solo nelle arti industriali, ma anche nei rami superiori dell'arte, come nella pittura (per es. a fresco), nella scultura in legno, nella fusione del bronzo, nella lavorazione dei metalli e nella ceramica.

Alla Corte imperiale vi erano uffici speciali per la pittura, per la ceramica e per l'arte della tintoria, come per es., risulta da documenti ancora esistenti, relativi ai conti dell'anno 745. Veramente le opere d'arte presentano quasi sempre l'impronta dei modelli greco-indiani, propria alla Cina in tutto il periodo dei Tang, e molte dimostrano quindi una somiglianza sorprendente con gli oggetti ritrovati nei recenti scavi del Turkestan. Si potrebbe poi appena mettere in dubbio che in essi si tratta prevalentemente di opere di artisti stranieri, eseguite forse anche nel Giappone e con aiuti giapponesi.
Ad ogni modo sarebbe un errore l'attribuire ai Giapponesi del secolo VIII, in base agli oggetti conservati nello Sciosoin, le invenzioni della lacca dorata, del «cloisonné», delle inclusioni di ambra e madreperla scolorite o della fabbricazione del vetro, tutti progressi e tecniche, che i loro immediati successori sembra non abbiano posseduto.

Nel campo della scienza e della letteratura il periodo di Nara offre grandi progressi secondo il modello cinese e sono significativi i risultati raggiunti dai Giapponesi stessi. Per tacere delle leggi Taiho e Yoro, dobbiamo qui menzionare innanzi tutto le due antiche cronache già citate, il « Kogiki » (712) e il « Nihonghi » (720), come i più antichi monumenti letterari a noi conservati e quali tentativi di scrivere una storia.
In connessione col Nihonghi furono trattati nel «Scioku-Nihon ghi», cioè «Nihonnghi continuato» compiuto nel 797, gli avvenimenti degli anni 697-791, quindi in sostanza quelli del periodo di Nara.

Un editto dell'anno 713 ordinò di scrivere come in Cina i nomi delle province e dei circondari con due segni cinesi e con questo disgraziatamente molti antichi nomi furono del tutto trasfigurati o sostituiti; ordinò inoltre di inviare al governo centrale le descrizioni dei singoli territori e dei loro prodotti con le tradizioni degli avvenimenti passati. Dei «Fudoki» o «Descrizioni dei costumi e dei paesi», redatti in questo modo nel secolo VIII, disgraziatamente se ne sono conservati molto pochi e per lo più in frammenti, i quali possiedono soprattutto un valore letterario, ma a causa della materia per lo più leggendaria un minor valore storico.

Risalgono molto indietro, a quanto si dice, gli inizi della cartografia. Il Nihonghi già nell'anno 681 può riferire di una carta geografica dell'isola Tanegascima, presentata all'imperatore, e per l'anno 684 di un'altra della provincia di Shinano. Anzi al sacerdote Ghioghi, già sopra ricordato, il quale percorse il Giappone in tutte le direzioni, è attribuita perfino una carta dell'impero, riprodotta poi in una fonte che è però del secolo XIV.
Non è conservato alcuno di questi antichissimi monumenti cartografici, la cui attendibilità è piuttosto dubbia, se nelle notizie citate si allude a vere carte, nel senso dato da noi al termine "cartografico", o non piuttosto semplicemente a una specie di descrizione di territorio.

Nelle belle lettere lo studio dell'arte poetica cinese già nel secolo VII aveva maturato nel Giappone frutti propri in quella lingua straniera, conservati nell'Antologia «Kuaifuso» del 751 secondo il modello cinese.
Ad essa seguì verso la fine del periodo di Nara la prima grande raccolta di poesie giapponesi, «Manyosciu» (raccolta di diecimila fogli), che nel suo complesso ci ha tramandato l'arte poetica indigena dalla metà del secolo VII a quella dell'VIII.

Per quanto concerne l'insegnamento, il Nihonghi per l'anno 675 ricorda già un vero e proprio istituto, il Daigaku-ryo » (col quale nome oggi s'intende una Università) con speciali sezioni per la medicina e per l'astrologia.
Ma soltanto con le leggi Taiho avviene un accurato ordinamento delle scuole, secondo il modello delle rinomate scuole superiori cinesi della dinastia dei Tang. Naturalmente l'insegnamento, il quale serviva soltanto ad educare dei funzionari per lo Stato, non si estendeva alla massa della popolazione, che rimase a lungo nell'ignoranza e nello stato di analfabet.
Per i futuri funzionari la cosa più importante era apprendere la lingua e la scrittura cinese; a prescindere dalle belle lettere, tutti i documenti pubblici, le leggi e le ordinanze, come pure le opere ufficiali di storia erano redatte in lingua cinese, che allora era per il Giappone quello che il latino era per l'Occidente.

Di fronte allo volontà di apprendere dei Giapponesi di quei tempi, come si rileva da molti dati di fatto, ci appare sorprendente che un editto imperiale dell'anno 701 stimi necessario di incitare gli scolari a maggiori sforzi nello studio delle lingue straniere, che vi si dice molto trascurato. Ciò significa che indubbiamente vi erano numerosi rapporti con gente di altri paesi, di natura commerciale e soprattutto politici.

Al periodo di Nara spetta anche l'invenzione della prima scrittura sillabica giapponese; detta « Katakana », i 50 (o propriamente 47) segni della quale furono dedotti in forma quadrata da ideogrammi usuali cinesi. In una notizia dello Scioku-Nihonghi dell'anno 781 viene citata per la prima volta una biblioteca.

Progressi soddisfacenti vanno maturando durante il periodo di Nara anche nel campo della vita economica, rimasta fin allora quasi embrionale. Secondo un'informazione tramandata a noi certo non in modo del tutto ineccepibile, che presumibilmente risale al sacerdote Ghioghi e alle sue peregrinazioni attraverso il paese ed è probabilmente vicina alla realtà, la popolazione nell'anno 736 era cresciuta fino a circa 8 milioni.
L'operoso esercizio dell'agricoltura e dei mestieri dette argomento a speciali editti del governo. La sericultura e la tessitura erano in forte sviluppo al pari della fabbricazione della carta; nell'anno 780 infatti fra i doni recati da un'ambasceria giapponese nella Cina si trovava anche della carta, così splendida e fine da superare di molto quella stessa prodotta in Cina che destò non poco stupore negli antichi maestri.

Già dal secolo VIII si ha notizia che fossero utilizzate la torba e il petrolio, inoltre che si fabbricassero stampi in legno intagliato, mentre gl'inizi della stampa per mezzo di stampini (speci di piccoli timbri) incisi su diversi materiali, provengono dal secolo VIII.

Quale mezzo di scambio ci si era serviti fino allora di riso e di stoffe grezze, fatte con la canapa o con la corteccia del moro della Cina.
Poi in relazione con le prime scoperte dell'argento nel Giappone, nel 683 nell'isola di Tsushima e nel 691 nell'isola di Shikoku, appaiono le prime tracce di un sistema monetario, oltre la valuta costituita da prodotti naturali.


In un editto del 683 non si tratta ancora certo di monete proprie, ma di quelle introdotte dalla Cina e dalla Corea, ed anche la nomina di tre soprintendenti alle monete rappresenta soltanto una misura preparatoria all'introduzione massiccia di essa. Secondo una notizia del 708 nello Scioku Nihonghi, i primi soprintendenti furono nominati in quest'anno, nel quale anche per la prima volta fu scoperto (nella provincia di Musasci) del rame puro mentre quello trovato in precedenza erano mescolate altre sostanze. L'importanza di questo avvenimento così rilevante non solo dal lato economico, ma anche per il Buddismo a causa della grande quantità di questo metallo occorrente per le statue attinenti a quel culto, ebbe una chiara espressione nel nuovo vengo allora decretato (708-715), chiamato « Uado » ossia rame giapponese.

Dall'anno 708 provengono anche le prime vere monete giapponesi di rame, che secondo quel vengo portano in quattro segni cinesi la leggenda «Ua-do-kaicin» e come nella Cina mostrano nel mezzo un foro quadrangolare, per disporle a modo di matassa. Per favorirne l'introduzione, negli anni 709 e 710, fu proibito l'uso delle monete d'argento, però probabilmente per breve tempo; difatti un editto del 721 stabilì che una moneta d'argento ne valesse 25 di rame.

Nell'anno 739 fu per la prima volta scoperto nel Giappone dell'oro, nella provincia di Mutsu nella parte nord-ovest dell'isola principale; le prime monete d'oro furono coniate nel 752 ed avevano nel cambio un valore dieci volte maggiore di quelle d'argento.
Ad onta delle nuove monete allora introdotte e a prescindere dalle province del Kinai, prevaleva in sostanza nel periodo di Nara ancora il puro scambio di prodotti. Nonostante frequenti editti a favore dei debitori e disposizioni restrittive delle leggi Tai ho, la tassa dell'interesse era molto elevata, 30 a 50 %, se non di più; essa si manifestava principalmente in forma di prestazioni di riso da corrispondersi in natura. Ma qualche usuraio si faceva dare anche terreni in garanzia.
Nonostante un divieto del 751 d'ipotecare in qualsiasi modo le terre, esso fu spesso trasgredito, come risulta da documenti ancora esistenti.

Per quello che riguarda il traffico internazionale, nella seconda metà del secolo VII era riuscito ai Giapponesi di sottomettere gli Ainu della costa nord ovest dell'isola principale. Fecero molta impressione alla Corte cinese sia per le grandi barbe come per la loro abilità nel tiro con l'arco, alcuni Ainu, che avevano accompagnato in Cina un'ambasciata giapponese (659); li guardarono con molta curiosità. Probabilmente erano solo alcuni Ainu vinti, che erano stati costretti loro malgrado a servire la corte giapponese.
Più a lungo si poterono sostenere gli altri Ainu sulla costa a nord-est. Difatti, come riferisce una lapide commemorativa nei pressi di Sendai, che si può annoverare tra le poche iscrizioni in pietra ancora conservate e che fu eretta nell'anno 762 presso il luogo, dov'era il castello di Taga, da cui ebbe il nome, solo nel 724 riuscì ai Giapponesi di fondarci una fortezza di frontiera; dovettero in seguito difenderla più volte contro seri attacchi degli Ainu, che ancora si sostenevano nelle altre parti a nord-ovest dell'isola principale, e liberi com'erano, e con un carattere molto diverso, non ne volevano sapere di essere integrati con le genti dell'impero, e con le quali si sentivano profondamente diversi pur essi palesemente preistorici come vita e come cultura.
Una volta questi Ainu, riuscirono perfino a distruggere quasi interamente un grosso esercito giapponese (789).

Sulla vicina penisola di Corea il Giappone aveva cominciato a perdere nel secolo VII quell'influenza politica che aveva esercitato per un paio di secoli. Le grandi trasformazioni interne, connesse alla riforma Taikua, richiedevano molte forze dello Stato al suo interno, e avevano molto occupato i sovrani pur così energici come Tengi e Temmu. Impegnati all'interno in lotte decisive, non poterono certo impegnarsi con gli Stati coreani, pure questi impegnati all'interno in lotte decisive.

Non poterono così impedire che Silla con l'aiuto della Cina conquistasse Pekce, fino allora sostenuta dal Giappone, ed anche Kokuryó (660-668); così la penisola, divisa fino allora in tre regni, gelosi l'uno dell'altro, divenne per la prima volta un unico Stato.

Nonostante questi avvenimenti, nel corso dei quali i Cinesi fra l'altro avevano inflitto una sconfitta decisiva ad un numeroso esercito ausiliare giapponese (663), le relazioni amichevoli del Giappone, mantenute da ambascerie, non soffrirono nessuna interruzione né con Silla né con la Cina, anzi nel periodo di Nara divennero sempre più vivaci.
L'entusiasmo espresso dal Giappone nell'adattarsi alle istituzioni della Cina, nell'appropriarsi della scienza e della letteratura cinese, doveva anzi fare l'impressione più lusinghiera in quella brillante Corte di letterati, quale era quella della dinastia dei Tang. Si spiega così che non solo un buon numero dei Giapponesi più esperti soggiornarono più o meno a lungo quali ospiti graditi in Cina a scopo di studio, ma che perfino autorevoli dotti e sacerdoti cinesi non disdegnarono di porre anche la loro dimora nel Giappone, come Kanscin, giunto a Nara nell'anno 753 e là morto nel 763, quale uno dei supremi dignitari del culto buddistico.

Abbiamo notizia anche dell'arrivo in Giappone di un sacerdote indiano (Bodai, 736) giunto dalla Cina. Anzi uno scrittore cinese del secolo VIII narra perfino di aver parlato ad un sacerdote giapponese ritornato dalle Indie.

I CENSIMENTI

Riformata la costituzione secondo il modello cinese (Taikwa), venne introdotto nel Giappone (646) anche il censimento per schede della popolazione (ko-seki ovvero ke fumuda). Dalle leggi Taihô codificanti le riforme Taikwa (701), e più precisamente dalla nuova redazione del 718 e anni successivi, veniamo a conoscere le norme secondo cui si compilavano i registri e le schede.

Le autorità delle 61 provincie (tante erano all'incirca verso il 701) e delle due regioni della capitale dovevano ogni sei anni, nella prima decade dell11° mese, cominciare a preparare i registri. Le singole famiglie (ko) si schedavano nel modo che appare nell'immagine. Si può calcolare che a ciascuna provincia spettassero in media da 3000 a 4000 famiglie con circa 80.000 inquilini. I governatori (kokushu), assistiti da 4 ad 8 impiegati, dovevano accertarsi mediante ispezione dell'assegnazione di ciascuno nelle classi degli «adulti», «vecchi», «ammalati», ecc.

Le schede di ciascuna comunità (ri ovvero sato) si riunivano in un rotolo, e di ciascun rotolo se ne facevano tre copie: una da conservarsi presso le autorità provinciali, le altre due da rimettersi, entro il 30° giorno del 5° mese, all'Ufficio superiore governativo (Daijôkwan, spesso tradotto per «Consiglio di Stato»).
Qui si confrontavano coi registri del sessennio precedente; in caso di notevoli divergenze si chiedevano chiarimenti per iscritto, ed occorrendo rettifiche, alle autorità provinciali. Finalmente una delle copie si spediva al Ministero dell'ufficio centrale (Nakatsukasa-shó), l'altra al Ministero della popolazione (Mimbu-shó), per servire di controllo alle tabelle statistiche (kei-chó ovvero kaze-no fumuda) da rimettersi annualmente dalle province, redatte, tenendo conto di eventuali variazioni, nel 7.° ed 8.° mese secondo schema analogo ed in base alle quali si assegnavano le tasse e le servitù.

I rotoli degli ultimi cinque censimenti si conservavano, i più vecchi si distruggevano via via, eccettuato quelli dell'anno 670. In realtà questi esistevano ancora nell'811, ma nell'839 i due ministeri non erano più in possesso delle loro copie, giacché fu ordinato alle province di spedire al Ministero dell'ufficio centrale copie del censimento del 670. Non si sa se ciò poi avvenne. Oggi i registri più antichi sono del tutto perduti; scarsi avanzi dei successivi sono giunti casualmente, ma bastano per dedurne, con quasi certezza, che i censimenti si facevano realmente in tutto l'impero e non solo nelle province intermedie più vicine alla sede del governo.
Anche i termini, per lo meno nell'VIII secolo, furono per lo più mantenuti; gli antichi annali ufficiali dello stato ricordano i censimenti degli anni 646, 652, 670, 685, 702, 708, 714, 721, 726, 732, 738, 744, 750, 758, 764, 770, 776, 782, 788, senza dubbio un bell'esempio di efficienza e zelo da parte del governo imperiale di allora.
In seguito ci manca ogni notizia di altri censimenti.

LA CARTELLA DELLE TASSE DEL CAPO FAMIGLIA


Il sigillo quadrato (rosso nell'originale) impresso dodici volte sul documento serve per autenticazione del funzionario addetto e insieme per evitare illegittime alterazioni della scrittura sottostante.


Sul foglio qui riprodotto, del 702 d. C., é schedata una famiglia della provincia di Chikuzen, Kytlshù. Offre esso un esempio della comunità domestica allora piuttosto usuale nel Giappone: la quale oltre al padre di famiglia (ka-chó), proprietario delle sostanze domestiche, designato col titolo di capo di casa (ko-shu, ovvero he-nushi) ed ai suoi più stretti congiunti, comprendeva altri parenti con i loro congiunti:

 

... così nel caso nostro la madre del capo di famiglia e il cugino di lei con una consorte e sette rampolli. La famiglia appartiene alla corporazione degli Urabe, che di padre in figlio esercitavano l'arte dell'indovino; vi appartiene pure la moglie del capo di casa, mentre le mogli del padre e del cugino di lui vengono da altre corporazioni. Il capo di casa e suo cugino si sono accontentati ciascuno di una « moglie », (sai ovvero tsuma) : perciò accanto al «figlio legittimo» (teki-shi) di ciascun padre, erede presuntivo, troviamo solo altri « fratelli minori legittimi » (teki-tei) cioè del figlio legittimo, e «figlie legittime» (teki jo) ; mentre i figli di «concubine» (shó) sarebbero stati designati come «diversi figlioli» (sho-shi).
Le figlie non hanno figli da mariti estranei o da amanti; domestici (ke-min, «gente di casa») e schiavi (nu-hi) non compaiono in questa famiglia.
Ogni singola persona (, « bocca ») é caratterizzata in modo preciso riguardo alla tassazione ed alla statistica. Secondo le norme delle leggi Taihô, la cui attuale redazione é forse relativamente recente, le singole persone erano chiamate, secondo la loro età, «gialle» (qui «verdi») fino a 3 anni, «piccole» fino a 16, «mezzane» (qui «dappoco») fino a 20, « adulte » (chó) fino a 60, «vecchie» fino a 65 e «canute» oltre i 65 anni; i «vecchi» e certe classi di «ammalati» contano per « adulti minori » (ji-chó; nel nostro documento non è chiaro il significato di «donna minore») ; per ogni tre uomini dai 21 ai 65 anni, uno (eccettuati gli alti dignitari, i servi, ecc.) era obbligato al servizio militare e ad esercizi, col nome di « soldato » (hei-shi), caso che non si verifica nella nostra scheda.
Riguardo alle prestazioni di servizio (yaku o eki) e fornitura al governo di prodotti greggi ed industriali, si contavano per «famiglie tassabili» (kwa-ko) solo quelle cui appartenevano «bocche tassabili» (kwa kó), cioè uomini liberi (esclusi i soldati) dal 17° al 65° anno, dal 9° grado di corte in poi. Nel computo della tassa imponibile due uomini « minori » o quattro « dappoco » (più tardi « mezzani ») contavano per un uomo « bene adulto » (sei-chó), ossia dai 21 ai 60 anni. Tutte le altre persone, per es. uomini di grado elevato, soldati, tutte le donne, servi, ecc. si consideravano come « non tassabili » (fu-kwa).

Nella distribuzione dei campi di riso (han-den), alla quale le autorità provinciali dovevano provvedere ad ogni novo censimento, si teneva conto solo delle «bocche» da 6 anni in su; normalmente dovevano toccare 2 tan (= circa 1620 mq.) a ciascun individuo libero di sesso maschile e 1% di sesso femminile, come « campo per porzione di bocca » (ko-bun-den) ; ai servi un po' meno. Però queste misure potevano venir modificate; così nel caso nostro sono assegnate complessivamente alla casa non già 22 2/9 tan, ma solo 2 cho, 2 tan e 60 ho (- 22 1/5 tan): in altre schede invece si sorpassa non di rado la misura normale. Del resto su tutti i « campi per porzioni di bocca » si doveva pagare al governo un'imposta fondiaria (chi-so ovvero den-so) in riso, dalla quale non erano esentate le quote delle donne, ecc.

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Fin qui abbiamo visto un efficiente governo
e un prospero paese
ma purtroppo venne poi il periodo della decadenza.

DECADENZA DELLO STATO BUROCRATICO - 795-1185 > >

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