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51. DOPO IL "NAPOLEONE" CINESE, IL MEDIOEVO

Abbiamo detto nel capitolo-periodo precedente come ci fosse un desiderio disperato di un imperatore, che doveva venire a salvare l'impero e il popolo.
E la salvezza infatti venne. Quello che l'antichità morente aveva sognato e desiderato si avverò; il seme, che essa aveva affidato alla terra, crebbe in un fiore rigoglioso. Lo Stato feudale oscillante crollò per dar luogo ad nuovo edificio più superbo e più vasto di quello precedente; se l'antichità aveva gettato nel mondo solitario del pensiero il primo lievito di nuove idee, queste ormai vi affluirono in tale quantità che anche la Cina dalla
parte per nulla passiva di accoglierle fu condotta a partecipare attivamente a quel movimento, che doveva congiungere insieme l'Oriente e l'Occidente.
Fin dalle origini gli uomini delle due antiche civiltà Egizia e Mesopotamica ignoravano che al di là delle montagne indiane esistesse un'altra civiltà, e questa ignorava le loro due.

Divenuta - con quello che viene chiamato medioevo cinese - un nuovo impero con una vita nuova, la Cina dall'isolamento della sua propria storia, nel II secolo a.C. fece il suo ingresso nella storia mondiale.

Qui vale la pena di soffermarci un istante e di guardarci attorno. E ben presto vediamo che da ogni lato le medesime correnti erano giunte ad una medesima meta: nell'oriente, nel Mezzogiorno e nell'Occidente quasi nello stesso tempo, cioè quasi nello stesso secolo e in maniera uguale era stata preparata l'unione di tre mondi. Poiché a null'altro mirava, considerato sub specie aeternitatis, il poderoso rivolgimento, quà politico là religioso, che dal VI fino al III secolo a. C. ha minato i fondamenti di tutti e tre i centri di civiltà del mondo, il cinese, l'indiano e l'occidentale.

Nell'India Budda, il contemporaneo di Confucio e di Lao-tze, rovesciò la gerarchia del Bramanesimo e annunciò una religione universale; un secolo e mezzo più tardi l'Occidente, per mezzo di Alessandro Magno attuò vittoriosamente l'idea di un impero universale, già incarnata nella Persia; e in Cina, dove già le dottrine di Lao tze preparavano il terreno al Buddismo e, quasi direi, gli muovevamo ansioso incontro, le forze che in quel periodo andavano fermentando, tra le quali non ultima era la tendenza del principio democratico ad innalzarsi, riuscirono alla costituzione di una nuova forma di Stato accentrato, dal quale in modo organico nacque il grande impero.

Così tutto si svolse tendendo a uno scopo unico. Difatti la religione mondiale, l'impero mondiale sono idee che hanno un'affinità elettiva; ambedue rompono le anguste barriere della nazionalità, nelle quali l'antichità rimase prigioniera, e tendono ad un tutto unico. E così in quello, che considerato superficialmente membra accidentale e senza nesso, anche in questi avvenimenti contemporanei ma separati, poi riconosciamo, che vi è una legge e una unità, un disegno superiore e che le diverse correnti obbediscono ad un'idea più elevata, l'idea della costituzione dell'umanità in una poderosa unità di cultura.

In quel tempo e in quello, che immediatamente lo precede stanno i primordi di questo sviluppo, del quale noi oggi forse stiamo interamente in mezzo. L'unione civile del mondo intero si è allora messa in cammino; poiché, per quanto questo possa suonare paradossale, si può dire che anche l'America è stata scoperta nella Cina.

Lo strumento nella Cina di questa grande missione, che fa epoca nella storia, fu l'uomo che ai nostri giorni vi è il più odiato, il re Ceng dello Tsìn, quello che fu chiamato il "Napoleone" della Cina. (all'incirca con lo stesso numero di battaglie e nell'arco degli stessi anni - 15 anni - crearono entrambi un grande impero. Ma finiti loro due, finì anche il loro impero).

Difatti Ceng, nel duello fra lo Tsìn e lo Tsù, nell'ultimo atto di quella lotta generale per la corona, uscì finalmente vincitore e salì nel 221 a. C. sull'antico trono dei Chou, non più come semplice re, come i sovrani prima di lui, ma come «primo altissimo imperatore».
Dando inizio alla brevissima dinastia dei CH'IN.

Lui era Sci-huang-ti. (o Shih Huang-ti - o Primo Imperatore).
Già questo nome era un programma; poiché se con esso si volle ad un tempo accennare anche all'adempimento del desiderio del popolo, era ad ogni modo e soprattutto l'espressione esteriore e cosciente di un mutamento completo di costituzione.
E la sua ascensione al trono significava in realtà un colpo di Stato. Difatti egli spezzò con l'antica dinastia anche l'antico sistema, trasformando in province e governi i principati feudali prima esistenti; la Cina da Stato feudale divenne un impero assoluto, da Stato decentrato uno Stato accentrato.

Gli si presentava però un compito gigantesco: quello di dare una organizzazione all'immenso territorio dove i lunghi anni di guerre avevano determinato la formazione di forze separtiste e di nazionalismi locali.

Dopo aver distrutto l'ultimo stato feudale, la vittoria era del principio democratico; il dominio della nobiltà era infranto e si era preparato l'ingresso del popolo nell'amministrazione e nel governo, se forse non cominciò già allora in quei pochi anni.
Per finirla anche più radicalmente col passato e per distruggere con la forma anche il suo patrimonio morale, l'imperatore si decise, come Alessandro in Persia, a un gesto degno di Erostrato, che lo ha reso per i Cinesi oggetto della più profonda esecrazione.

Nell'anno 214 a. C. comandò di ardere inesorabilmente l'intera letteratura del Confucianismo ad eccezione dello Yih king (I Ching) e di alcune opere di nessuna importanza. Questo ha certo accordato un breve trionfo al Taoismo, di cui egli era seguace, e quindi in modo indiretto allo Tsù politicamente inferiore e alla cultura cinese meridionale, ma l'ironia della storia ha voluto però che l'innalzamento di questa discussa forma di civiltà non abbia determinato nessun altro progresso oltre questo.

Tuttavia, anche se così non fosse avvenuto, Sci-huang-ti non avrebbe meritato quest'odio dei Cinesi. Al contrario non solo è stato il più accorto politico dei loro principi, ma un vero benefattore della Cina. Difatti il rogo senza dubbio brutale dei libri è compensato dagli immensi vantaggi politici, sociali ed intellettuali, che l'accentramento subito dopo di lui arrecò alla Cina.

Sci-huang-ti li rese più facili, compiendo la costruzione della Grande Muraglia, già iniziata e mandata avanti qua e là nei secoli precedenti; poiché al pari delle altre grandi costruzioni simili, note nella storia, e per es. al pari del limes romanus in Germania e in Britannia, aveva lo scopo di proteggere l'impero dalle irruzioni dei popoli giovani con esso confinanti e lo raggiunse qui così bene che quei popoli e innanzi tutto i più potenti fra loro, gli Hiungnu, a poco a poco deviarono la loro trasmigrazione verso occidente, verso l' Europa, dove le altre muraglie non offrirono loro alcun ostacolo.

Così uno dei piú grandiosi rivolgimenti della storia europea è stato in ultima analisi iniziato nella Cina: alla muraglia cinese e a causa di essa è cominciata la trasmigrazione dei popoli germanici. Nella Cina poi lo sminuzzamento di forze precedente divenne inutile e si operò il loro collegamento: fu resa possibile l'intima collaborazione degli organi politici, il rafforzarsi dell'accentramento e con ciò la spinta alla diffusione della stirpe cinese poté esser guidata in vie determinate.
Così Sci-huang-ti fu già in grado di sottomettere in modo passeggero gli immensi e ricchi territori del più lontano mezzogiorno, fino al Tonchino incluso, e di stabilirvi un mezzo milione di coloni cinesi. Con questo il suo impero acquistò quasi l'estensione della Cina odierna; il primo passo verso il grande impero era fatto.

Non fu concesso nè a lui nè alla sua stirpe di fare il secondo passo, cioè di estendere la Cina oltre i suoi confini naturali. Già col suo nipote minorenne finì (nel 206 a. C.) la sua dinastia - il cui ricordo dura ancora nel nome della "Cina" - e con la sua fine, terminò la seconda invasione di barbari dal nord-ovest; quattro anni più tardi dal sangue e dall'incendio di una guerra civile s'innalzò l'impero nazionale dei gloriosi HAN.

Nonostante la sua illusione di fondare una dinastia eterna, i suoi discendenti regnarono soltanto per tre anni dopo la sua morte, ma il titolo comunque rimase e servì a designare i sovrani della Cina fino al 1912.
Più durature invece si sono rivelate le altre sue riforme, perchè in breve tempo egli seppe organizzare un impero la cui struttura sì è mantenuta, attraverso i secoli, fino a quasi ai nostri giorni. E questo risultato è il migliore monumento all'opera di Sci-huang-ti che può essere considerato come uno dei maggiori fondatori d'imperi di tutta la storia. E in particolare la data del 221 a.C. ha importanza fondamentale nella storia della Cina perchè da essa ha inizio la storia dello stato cinese.

La politica della dinastia Han, il cui fondatore (circostanza caratteristica) era un semplice contadino, si scostò da quella di Sci huang ti soltanto in questo punto (a dire il vero) d'importanza fondamentale; essa cioè, fedele alla sua origine nella Cina settentrionale, prese di nuovo in ogni cosa come punto di partenza la legislazione dei Ciou e nel 57 a. C. volle innalzare nuovamente il Confucianismo a religione di Stato (determinata dal fatto che nelle dottrine confuciane viene raccomandata l'obbedienza al superiore, principio questo che non poteva non riuscire gradito ai governanti).

Ma quanto al resto gli Han furono però quasi interamente seguaci e continuatori della politica di Sci huang-ti. Così fu prima di tutto nella politica interna, in cui essi condussero a compimento senza riguardi l'accentramento e gli ordinamenti democratici.

Furono essi che stabilirono e praticarono il principio fondamentale che non la nobiltà di nascita, ma solo l'abilità personale debba essere decisiva nelle nomine ad uffici pubblici, anzi preferirono del tutto palesemente le classi inferiori e posero perciò come base delle nomine dei funzionari il sistema degli esami, che fino alla nascita della Repubblica di Mao era ancora in uso.

Come abbiamo già detto sopra - dopo aver distrutto il sistema feudale, l'impero venne ripartito in trentasei divisioni amministrative, i cui governatori erano nominati dal governo centrale e potevano essere revocati o richiamati dopo un certo periodo di tempo. Le vestigia del vecchio regionalismo furono soppresse: fu adottato un sistema uniforme di pesi e di misure; fu emanato un unico corpo di leggi e venne standardizzato lo scartamento dell'asse dei carri (per un motivo molto semplice. Nelle varie province i carri scavavano, nel terreno friabile delle strade, dei profondi solchi che col tempo diventano simili a rotaie. E se l'asse era diverso in una strada si venivano a creare più solchi, con la conseguenza di rendere il transito difficoltoso, quasi impraticabile. Il provvedimento di Sci-huang-ti aveva quindi come fine di snellire e quindi favorire i traffici da una provincia all'altra.


Infine la lingua !!!.
I separatismi locali avevano determinato la formazione di dialetti e di tipi di scrittura diversi. Un provvedimento, dovuto al ministro Li Ssu, impose un unico tipo di scrittura per tutto l'impero, quali che fossero i dialetti parlati nelle varie province: questa universalità della lingua scritta, imposta con la forza, é stata uno dei principali fattori di unione della Cina attraverso i secoli fino ad oggi. Come abbiamo detto in altre pagine, se due cinesi appartengono a due lontanissimi territori (o hanno una diversa istruzione) e non si capiscono perchè parlano in due lingue-dialetti - non quasi ma completamente - diverse, scrivendo in ideogrammi si capiscono benissimo.
Questi ideogrammi si erano formati in una lenta evoluzione, dai pittogrammi delle origini, partendo dalla dinastia Schang (1700-1100 a.C.) quando appunto iniziarono con la scrittura a rappresentare cose e idee. L'evoluzione successiva portò la scrittura dal piano ideografico simboleggiante le idee, al livello ideografico simboleggiando i suoni. La stilizzazione poi si fece sempre più marcata, fino a a raggiungere nell'epoca Tang (600-900 d.C.), l'autonomia di una vera e propria forma d'arte e in parallelo a sviluppare i suoi canoni tecnici e stilistici.

Tutte queste sopra dette riforme incontrarono una accanita opposizione da parte dei pensatori appartenenti a scuole diverse da quella legista, i quali si identificavano praticamente con gli appartenenti alla classe della piccola nobiltà terriera. Nel nuovo impero di Sci-huang-ti vi era posto solo per i funzionari, incaricati di amministrare, e per la massa della popolazione, destinata a lavorare e obbedire, ma non per pensatori turbolenti o per feudatari incapaci di adeguarsi al nuovo ordine di cose.
Ma soprattutto dalla scuola confuciana partivano le critiche piú violente al governo imperiale. Ma tali critiche erano gratuite: Confucio, vissuto in un'epoca feudale, si era sì occupato degli istituti politici del suo tempo ma aveva ignorato e nemmeno mai preso in considerazione la possibilità di un governo unitario. Pensava bene, ma non pensava in grande.

I pilastri del nuovo sistema di governo erano dunque due: l'imperatore e la burocrazia. Il problema dei ministri per ricoprire le cariche pubbliche venne risolto stabilendo il principio che le stesse sarebbero state concesse soltanto a chi avesse superato un esame di stato.
"Ordiniamo ai capi delle province e dei distretti di esaminare i funzionari ed i privati forniti di capacità eccezionali in grado di divenire (nostri) generali, (nostri) ministri, e (nostri) ambasciatori in lontane contrade" (Proclama dell'Imperatore Sci-huang-ti a tutte le 36 province).

Nel 124 a.C. fu costituita un'Accademia per la preparazione dei futuri funzionari, la cui importanza fu notevolissima perchè, confuciana fin dalla sua costituzione, essa fu lo strumento per la unificazione del pensiero (oltre che della lingua). L'insegnamento era impartito secondo criteri strettamente ortodosssi, il controllo degli insegnanti assai severo. I corsi duravano cinque anni, ma successivamente tale durata fu estesa a otto anni.


Così l'aristocrazia fu sostituita dalla burocrazia e l'impero assoluto fu stabilito definitivamente sopra un apparente fondamento democratico, e tale la Cina poi rimase. Riuscirono a imporre un compromesso tra i paternalismo conservatore della tradizione confuciana e le esigenze autoritarie (necessarie) del nuovo dinamico impero.
Erano questi compromessi ispirati a ideali formali, ma erano purtroppo anche anacronistici e regressivi, e come tali avrebbero pesato a lungo sulla vita della Cina. Imbevuta dall'ideologia confuciana (caratterizzata tra l'altro da un pesante rifiuto della tecnologia e della mentalità scientifica e sperimentale) questa ideologia bloccò le tendenze a uno sviluppo capitalistico che l'evoluzione economica e la ricchezza della collettività avrebbero invece potuto permettere.

Gli Han (nonostante queste ipoteche) poterono presentarsi quali eredi della politica estera dei loro predecessori. I possedimenti meridionali furono nuovamente rafforzati e poi la Cina, muovendo sulle orme degli Híung nu in ritirata, per la prima volta oltrepassò i suoi confini naturali; seguirono, specialmente sotto Uu ti (140 - 86 a. C) e Ming ti (58 - 76 a. C.) quelle vigorose guerre di espansione verso nord-ovest, che hanno condotto alla conquista del bacino del Tarym e all'estensione temporanea del dominio cinese fin quasi al Mar Caspio.

Ed allora la Cina pure per la prima volta s'incontrò insieme con popoli di pari cultura. Poiché, partendo anche dagli altri due centri, delle correnti di civiltà erano affluite qui incontro ad essa. L'impero romano aveva allora esteso la sfera della sua potenza quasi fino al Mar Caspio, sopra quell'intero territorio, che dalle spedizioni di Alessandro in poi era impregnato di cultura antica greco-battrica; il Buddismo inoltre, al quale Alessandro aveva aperto la via, si era propagato fino nel bacino del Tarim. Qui l'Oriente e l'Occidente si porgevano la mano.
Questo anzitutto era riuscito a vantaggio del commercio. Il commercio per terra, che un tempo si effettuava solo da mano a mano, divenne allora un monopolio cinese e con ciò più vivace e potrei dire più personale; a partire dal 114 a. C.
La Cina inviava ogni anno dodici carovane con carichi di seta, e in Balkh e in altre piazze commerciali oltre il Caspio i mercanti occidentali s'incontravano con quelli cinesi, anzi dei commessi viaggiatori macedoni penetrarono fino in Cina, dove con l'accentramento erano scomparse le barriere doganali interne e si erano presi tutti i provvedimenti per un comodo trasporto delle merci.

Probabilmente spetta a questo tempo la prima immigrazione di comunità giudaiche. Dall'Occidente proveniva inoltre il commercio marittimo, che aveva preso un certo vigore dalla conquista romana dell'Egitto in poi; esso giungeva fino al Tonchino, il quale era allora una provincia cinese; ne ebbe origine un traffico marittimo diretto con la Cina, che a questo paese ancora così segregato procurava i prodotti di un commercio mondiale, divenuto in seguito grandioso. Per le due vie affluivano ogni anno nel paese circa dodici milioni e mezzo di lire in contanti - il suo ultimo residuo sono le monete romane che occasionalmente ogni tanto spuntano fuori dagli scavi in gran quantità; il suo benessere materiale ne fu senza dubbio accresciuto, mentre la stessa Roma dovette scontare questa contribuzione di metalli preziosi alla Cina (e all'india) con la bancarotta di Stato e quel che è peggio con l'introduzione di seducenti, sottili stoffe di seta e con la decadenza dei costumi.
( un imperatore romano rimproverava pubblicamente perfino a sua moglie gli scellerati e costosissimi acquisti di abiti di seta cinesi, che minavano la bilancia dei pagamenti dell'import-export).

A questo commercio teneva dietro una corrente di nuove impressioni, di nuove idee e d'influssi, che si riversò sulla Cina, già raggiunta da parecchie piccole onde di quella marea di civiltà, con la quale già prima dei romani la vittoriosa spedizione di Alessandro aveva inondato il lontano Oriente.
Nel fatto era una molteplice influenza greca, che allora si faceva valere nella Cina, grazie all'intromissione del regno greco-battrico; soprattutto si può certo attribuire ad essa la forte e durevole azione esercitata sullo stile artistico, la riforma del gusto, che ha condotto al naturalismo dell'arte al tempo degli Han. Ne sono difatti testimoni espliciti gli specchi metallici grecizzanti di quell'epoca, con i loro disegni attraenti di animali e di grappoli, come pure i grappoli stessi della vite, che soltanto allora è immigrata dall'occidente forse col suo nome greco, insieme ad altre piante coltivate.

Vi può tuttavia aver avuto una certa parte anche l'antica arte dei bronzi dell'Asia centrale (forse però anch'essa sotto influssi battrici ?) con i suoi cavalli, le sue scene di caccia, ecc., che a quanto pare trovò grande accoglienza in Cina.
Figurazioni greche, sia pure deformate in vario modo, vennero allora in Cina, anche per opera del Buddismo, che nel 67 d. C. vi ottenne ufficialmente diritto di cittadinanza. Lo straordinario buon successo che vi ottenne è del tutto naturale; poiché da ambo i lati tutto era ben predisposto. Già da secoli dei concetti indiani erano divenuti familiari nella Cina e insieme al Taoismo avevano già dato al popolo i primordi di una religione e posto degli dei nel luogo degli spiriti.

E la Cina ne aveva allora un amaro bisogno; le continue spedizioni guerresche arrecavano al paese turbamento e macanza di sicurezza della vita ed inoltre una frequente scarsità di denaro, che dal canto suo provocava spesso la falsificazione delle monete. Ad onta di tutte le vittorie vi erano non di rado in Cina tempi difficili e gli animi non erano sempre senza preoccupazioni. Non per nulla il Taoismo aveva tanti seguaci e non solo nella moltitudine. Tutto questo poi trovava un'eco nel Buddismo e specialmente l'intero suo concetto dell'universo, il suo dolore universale e la sua avversione al mondo venivano ad incontrarsi con la disposizione d'animo della Cina.

In questo senso si esercitò anche una delle sue azioni principali, quella di trarre fuori e di sviluppare tutti gli elementi pessimistici, che esistevano nell'anima cinese. Ma dall'altro lato prometteva anche una liberazione e ben presto (nel secondo secolo d. C.) non più uno scolorito nirvana, ma un vero paradiso, l'eterna beatitudine e un redentore, che un giorno sarebbe venuto per porre un termine ad ogni affanno.
Perché anche il Buddismo, - e questo era certo decisivo per la sua diffusione nella Cina - era divenuto frattanto una "religione", che inoltre, al pari di quella che l'aveva preceduta, recava con sè i suoi dei in carne ed ossa.

E questi dei avevano una forma greca. Difatti già nella loro patria, fra i re greco-indiani, si erano vestiti di un corpo greco e Budda era divenuto un Apollo. Se la plastica non fu allora introdotta per la prima volta in Cina, come finora si è creduto, deve però essere stata straordinariamente rinvigorita e certo anche trasformata.
In realtà le sculture di questo periodo, tra le quali sono più note quelle dello Sciantung (150 a. C.), per quanto molto primitive, dimostrano di non essere sorte nei primordi dell'arte, mentre col loro numero danno prova ad un tempo di essere state molto diffuse.

Per gli altri aspetti gli effetti di questa invasione indiana furono i medesimi come per il passato; furono soltanto quantitativamente più forti e quindi a noi si presentano più distinti. Si sviluppò allora una mitologia fantasticamente ricca e una ricca formazione di leggende e di fiabe, nelle quali sono mescolati motivi stranieri ed anche paesani, trattati secondo i modelli dei primi; cose in parte attraenti, come la fiaba dell'uomo nella luna, che annoda con fili di seta infrangibili le coppie di coloro, che furono creati l'uno per l'altro, o come il romanzo siderale del pastore e della tessitrice, il nome dei quali si trova già nello Sci-king: l'Ero e il Leandro del cielo cinese.
Si aggiunga poi un nuovo carico di favole geografiche dell'India e dell'Occidente, come per es. quella ben nota dei pigmei e delle gru e parecchie altre. Patrimonio comune del mondo (per lo più di origine indiana), simile a molte di quelle fiabe e favole cosmopolitiche, note già agli antichi e ricondotte in occidente nuovamente dalle crociate.

Appunto l'epoca di queste ha in genere molta somiglianza con quella di cui ci occupiamo, almeno per quanto riguarda l'eccitazione della fantasia per l'improvviso ed esteso allargamento dell'orizzonte. E questo ultimo ha forse comportato - per l'Oriente e per l'Occidente - il massimo aumento di cultura; ambedue in un solo colpo furono arricchiti di un emisfero terrestre.

Tutto ciò ha insieme prodotto nel paese un grande periodo di floridezza, che ha trovato la sua espressione in una vita intellettuale vivacissima, nella quale si personificano con grande evidenza le correnti del tempo, i loro forti contrasti e la lotta delle idee.
Si presentano difatti a noi due tendenze del tutto differenti: una e l'indagine esatta storico-filologica, che intraprese ad esaminare, a ordinare, a spiegare e ristabilire gli antichi testi faticosamente salvati e poi a modo di riassunto tirò anche la somma dell'evoluzione già percorsa; l'altra è una lirica romantico elegiaca, sempre riccamente svolta, anche se tuttora in contrasto con la forma, che cercava i suoi soggetti negli elementi singolari, fantastici e romantici della natura, con le sue «notti d'incanto illuminate dalla luna», nell'amore e nel vino, nel dolore e nella brevità della vita, e li cantava in accordi malinconici e talora già sentimentali.

Nell'una la calma ragionevolezza, il Confucianismo, il carattere cinese settentrionale, nell'altra la fantasia della Cina del sud e la considerazione buddistica e taoistica dell'universo - ambedue stanno sullo sfondo di un'epoca agitata e tempestosa, che le nutre e le accende; più nette e più chiare non potrebbero stare a fronte le grandi forze fondamentali dello sviluppo della Cina. Ma ben presto cercano già una conciliazione. Nella poesia si mescolano insieme sommessamente, smorzandosi e mitigandosi, le prime note della pacifica versificazione del vecchio tempo con i ditirambici, che molto volentieri si prendevano a prestito dalle «elegie di Tsu».

Anche la ruvida realtà della scienza si deve adattare a delle concessioni; il Confucianismo, innalzato a religione di Stato, e mescolato in modo non del tutto insignificante con pensieri taoistici. Una testimonianza eloquente di ciò e la codificazione allora intrapresa del "li" nel Li-ki, che è poi ad un tempo l'espressione letteraria dell'impero nazionale accentrato; buono per tutti, la vera Bibbia dei Cinesi, che allora con gli altri risultati delle indagini fatte, tanto più facilmente poteva divenire patrimonio comune, in quanto dovevano provvedere alla loro diffusione nel popolo l'invenzione della carta all'inizio fatta di stracci (105 d. C.) e i primi precursori della stampa, cioè gli stereotipi dei libri sacri, incisi su matrici mobili o intere pagine, fatte di pietra o altro (175 a. C.).

Tuttavia - la larga base era sempre confuciana, lo spirito della Cina settentrionale non coincideva con l'altro e così nel frutto maturo stava già il verme. Appunto in questo primo splendido periodo del rinascimento, nei tempi
degli Han, stanno effettivamente i fondamenti della reazione, le prime radici dell'irrigidimento futuro.

Ma il destino non voleva che esso stendesse fin d'ora il suo grigio velo su quella vita germogliante e rigogliosa e stimolò quindi il paese con la pungente sferza di nuove prove. La dinastia altera degli Han decadde, dopo aver realizzato il suo compito, e il suo Stato per un mezzo secolo, spezzatosi prima in tre regni, si sminuzzò finalmente in 18 frammenti, sei dei quali obbedivano a barbari.
Poiché questi di nuovo prevalevano causando delle calamità del paese - per la prima volta i Barbari del Settentrione e dal nord (non dal nord ovest) vi fecero irruzione -; allora la stirpe tungusica dei Toba finì con lo strappare all'impero tutto il Settentrione, così che il capriccio della storia ha fatto allora della Cina propria un paese barbaro e di un antico paese barbaro la Cina propria.

Ma finalmente nel 618 da queste lotte s'innalzò la illustre dinastia dei Tàng, che restituì alla Cina l'unità e nello stesso tempo cominciò a reclamare nel nord-ovest i perduti titoli di dominio ed anzi ad aggiungerne dei nuovi. Si tornò ad inoltrarsi, questa volta sulle orme dei Turchi, prima attraverso il Pamir e poi anche più oltre come un tempo; 88 piccoli o grandi Stati oltre il Caspio divennero vassalli della Cina.

Avvenne allora quello che era successo nelle epoche precedenti; anche di là un grande impero, quello dei Califfi, stese la mano ai nuovi venuti; e non una, ma due religioni mondiali mandarono nel paese i loro iniziati, il Cristianesimo e l'Islam, a cui si accompagnò anche la religione persiana della luce (mazdeismo).
Già nel 636 giunse nella capitale della Cina il primo missionario cristiano, il nestoriano Olopen, e cominciò una così efficace attività che già verso la fine del secolo eran sorte chiese cristiane in tutte le province dell'impero. Seguì nell'819 il Manicheismo, probabilmente importatovi dagli Uiguri, - se però questa confessione sincretistica si può considerare come una setta cristiana - e nel secolo IX vi erano rappresentati anche i Muhupah, ossia i Magi.

Tutti si erano avvicinati per la via del commercio terrestre, tornato di nuovo vivace e in forte sviluppo e per lo più in mano a mercanti ebrei e più tardi anche arabi. Con questi ultimi l'islam nel secolo VIII giunse anche nella Cina settentrionale (scambi registrati sia da uno come dall'altro lo testimoniano).
Nel Mezzogiorno tale sviluppo era già avvenuto prima attraverso il mare; poiché anche il commercio marittimo vi fioriva; già intorno alla metà del secolo VII uno stabilimento commerciale arabo fu fondato a Canton, più tardi un secondo ad Hang ciou. (A Canton pochi anni fa, demolendo un edificio, è venuto alla luce un grande caveau di una banca, zeppa di monete e carte di credito. Probabilmente tale banca serviva per i pagamenti estero-estero ai commercianti esteri che - nei grandi percorsi - non volevano portarsi addosso della moneta).

Qui si stabilirono anche mercanti persiani ed ebrei e i loro rapporti si estesero a nord fino a Kiaociou e in Corea. Si sviluppò un ricco traffico dell'Occidente e dell'India con la Cina. Ambasciatori dei Califfi, dei Persiani, di principi dell'India e di altri paesi vennero alla Corte cinese; immigrarono in Cina artefici e coloni occidentali; dei buddisti cinesi andarono in pellegrinaggio nell'India (poiché il Buddismo dopo una dura persecuzione nel secolo V aveva ripreso nuova vita), artigiani cinesi andavano verso ponente in cerca di lavoro.
Né vi é da meravigliarsi se anche oggi compaiono di nuovo i medesimi effetti come al al tempo degli Han. Nonostante parecchi torbidi anche interni, i quali come la sollevazione d
ei Turchi Ngan-luh-scian (755-764) erano già in parte le ombre che precedevano futuri avvenimenti; nonostante i biglietti di banca e la cartamoneta (forse come una conseguenza di una specie di moneta di cuoio degli Han), che allora cominciavano a far le loro prime prove;

Una carta moneta al tempo di Marco Polo

 

con tutto questo la condizione dell'impero accenna ad una prosperità tranquilla e ad un gran benessere, almeno come la conosciamo dalla descrizione di un viaggiatore arabo dell'anno 851, il quale si dimostra molto familiare con le condizioni del paese. Soprattutto egli parla con molta approvazione del Governo dello Stato. Questo é sollecito per i sudditi, avendo stabilito dovunque magazzini di vettovaglie per prevenire le carestie - disposizione molto antica nella Cina, com'é noto. (gli ammassi erano noti ai tempi di Cristo).

L'amministrazione della giustizia é molto severa, come lo scrittore pone in rilievo con ammirazione; l'adulterio e il furto sono puniti di morte. Un sistema bene ordinato di passaporti con accurati controlli garantisce una generale sicurezza. Non vi sono imposte fondiarie; le imposte dello Stato sono assegnate secondo le sostanze di ciascuno e sulle entrate viene incamerata con grande scrupolosità una imposta del 30 per cento.
Un'altra fonte di entrata è per il governo il monopolio del té e del sale. Da entrambi, soltanto nel distretto di Hang-ciou si ricava una rendita giornaliera considerevole. Dalla popolazione l'arabo apprende specialmente l'istruzione, poiché ognuno ha imparato a scrivere e a disegnare, e inoltre l'alto grado raggiunto dai mestieri
artistici; né il viaggiatore tace il difetto di pulizia. Il vestito è per lo più di seta; il popolo si nutre di riso, mentre le persone ragguardevoli gustano anche carne di maiale e pane di grano. Non vi é vino d'uva, ma in compenso una bevanda ottenuta dal riso.

Certo questa é un'immagine favorevole, anzi addirittura gradevole ! Eppure ancora vi manca il lineamento essenziale, che ha dato a tutta la civiltà di quel tempo non solo ornamento e incanto, ma in genere uno stile suo proprio, cioè l'arte.
L'epoca dei Tàng é infatti nella Cina il tempo classico dell'arte e soprattutto della poesia. Nel periodo intermedio per la fusione del vecchio e del nuovo, almeno nei suoi componimenti migliori, si era già purificata, raggiungendo una schietta bellezza, come si dimostra nel passo seguente, che ricorda il « Laurenburger Els » del Brentano:
«Cade obliqua la luce della luna e lunghe appaiono le ombre; il polline dei fiori vola nel vento; io penso, é lui! eppure non é; vorrei sorridere - e debbo piangere».

Allora poi la splendida farfalla venne fuori dalla crisalide e con un vero Olimpo di poeti, ma soprattutto con la geniale coppia di astri, Li-Tài peh e Tu Fu, conseguì una, perfezione, non raggiunta prima. Al più si può paragonare con questi ancora Peh Kü-yih che ad ogni modo é il più affine al nostro genio, perché il suo profondo sentimento procede in veste naturale e non con i fronzoli di dotte allusioni, con le quali gli altri sfigurano la necessità finemente sentita che la lirica debba lasciare indovinare più di quello che essa non dica.
E con la poesia si avviò in questo cammino vittorioso anche la pittura, la quale anzi nella Cina è arte sorella dell'altra al punto che il poeta dai tempi più remoti spesso prende in mano il pennello del pittore, se la parola gli appare troppo povera.

Finalmente terza in questa unione si risollevò anche la musica, che fu in quel tempo riformata da capo a fondo. Ebbero allora origine specialmente quelle rappresentazioni melodiche, il cui sviluppo ulteriore ha condotto più tardi al vero melodramma. È tuttavia un errore il ricercare soltanto in esse i primordi di quest'ultimo; come l'età primitiva possedeva già lo Sci king e già i rudimenti di questo genere di spettacoli, così pare che l'età degli Han li abbia notevolmente perfezionati. Già nel secolo II d. C. ad essa eran note delle pantomime accompagnate da canti e perfino da un apparato scenico con pioggia, neve e tuono, ed essa del resto, seguendo influssi stranieri e in parte indiani, ha migliorato anche l'antichissimo teatro dei burattini, originario a quanto pare dall'Asia centrale.

Oltre a tutto questo si spiegava ormai un'efficace attività anche in altri campi e una serie intera d'invezioni attesta lo spirito creativo di questo tempo; così quella della porcellana, che deve la sua origine agli esperimenti per la fabbricazione del vetro, quella della bussola (se pure non era conosciuta anche al tempo degli Han), quella della stampa, che democratica e insieme democratizzante, doveva naturalmente diffondere l'istruzione molto più dei mezzi usati prima.

Così l'epoca dei Tàng (618 - 917) - quella stessa in cui l'Europa scese al grado più basso di cultura - fu in realtà per la Cina l'epoca più splendida della sua civiltà, un vero secolo di Augusto; anzi si può forse dire sia stato l'apogeo di tutto il suo sviluppo. Ed essenzialmente questo fu tutto effetto dell'elemento cinese meridionale, poiché quello sviluppo avvenne a dire il vero sotto gli influssi del sentimento e della fantasia.

Ma questo è stato anche il suo ultimo splendore. Gia, almeno nella poesia, questo fiorire non é più un vero progresso; non vi è materia nuova, nè alcun nuovo pensiero; una considerazione pessimistica della breve esistenza e la lode del vino confortatore, sono questi ormai i temi principali, soltanto spesso esagerati ambedue, mentre si passa da un'espressione ipersentimentale a dichiarare in permanenza «il sorso di vino senza fine».

A quei temi il tempo dei Tang ha dato soltanto la forma perfetta e classica e dovrebbe quindi essere forse chiamato non tanto il periodo fiorente quanto quello splendido della lirica. E' tuttavia un progresso - ma verso un formale irrigidimento! E verso il medesimo fine miravano allora anche le forze opposte; già sullo scorcio del secolo VIII sorse un nuovo campione del Confucianismo, dotato di splendido ingegno in Han Yü, e come il seme sparso abbia poi fruttificato, lo mostra l'energica persecuzione delle religioni straniere nell'844, che fece ferite insanabili al Buddismo, e lo mostra forse anche la strage degli stranieri in Hangciou (878); che fu ad un tempo il preludio della decadenza dell'impero.

Ma già alla metà dei sec. VIII, , i germi della crisi erano evidenti per l'accentuarsi delle contraddizioni all'interno dei sistema e in particolare per l'eccessivo peso dei capi militari che tendevano sempre più a costituire eserciti mercenari: una grande rivolta militare iniziata con la secessione del generale An Lu-shan scosse tra il 756 e il 763 l'efficienza delle strutture dello stato, e comportò, tra l'altro, un crollo repentino del potere cinese nell'Asia centrale dove subentrò (fino ai limiti stessi delle terre che tradizionalmente costituivano il cuore della Cina) l'Islam in piena espansione a nord ovest della Cina e in India. Contemporaneamente entravano in crisi il sistema di distribuzione delle terre e l'apparato fiscale: le modifiche introdotte favorivano molto i ricchi mercanti, il cui potere aumentò nell'ultima fase dei T'ang, in concomitanza con un certo sviluppo tecnologico ed economico. Ma ormai il governo centrale non era più in grado di tener testa alle spinte centrifughe che operavano all'interno della classe dirigente, in particolare tra i governatori militari: dalla seconda metà dei sec. IX sotto la pressione di rivolte contadine e di ribellioni militari il disfacimento istituzionale divenne palese e nel 907 la dinastia fu abbattuta in un turbinio di lotte tra generali che fondavano e abbattevano imperi e regni.
Ma la frattura questa volta fu assai più grave che dopo la caduta degli Han, anche per il consolidamento economico e culturale avvenuto nei tre secoli di impero, unitario: negli scontri tra i generali fu però distrutta l'aristocrazia guerriera dei cavalieri che, con i suoi 700.000 arcieri a cavallo, aveva costituito il dominio della steppa.
Dopo la crisi dei Tang la vita della Cina sarebbe stata nuovamente ipotecata in modo più o meno disastroso dall'impossibilità di tener testa alle genti che con le loro invasioni dilagavano da nord e da nord-ovest e che, anche quando assorbivano la cultura cinese nel corso di qualche generazione, influivano pur sempre sulla pace e quindi sulla prosperità economica dell'impero.

Nell'età moderna fu poi compiuta l'opera,
porgendo al Confucianismo la corona di vincitore.


L'EPOCA MODERNA > >

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