29. LA CONQUISTA DELL'ETRURIA - ROMA SI ALLARGA


Avanzo di mura Etrusche a Volterra

Dopo la caduta di Fidene, iniziava il duello decisivo fra Roma e Veio, che la tradizione (Livio, IV, 58-V, 32) ispirandosi alla guerra di Troia, dice durato dieci anni, dal 405 al 396, e descrive come pieno di fatti meravigliosi, ma che ad ogni modo finì con la distruzione di Veio.

Sono gli anni dei primi conflitti con le città etrusche, conquiste e azioni dei Romani che - secondo l'annalistica - vengono a confondersi con quelle contro i Galli, fin dal primo momento. Secondo Livio i Galli avevano invaso fin dal 397 il territorio prima di scendere nel 390 su Roma. Se ne avvalsero gli Etruschi per rimandare nei successivi anni lo sgretolamento della loro egemonia in Etruria.

Tuttavia la guerra con Veio è uno dei più importanti avvenimenti di tutta la storia romana, essa fa epoca così per la storia esterna come per la storia interna di Roma ed anche nei riguardi della tradizione relativa a questa storia essa costituisce come un segno di confine. Anzi possiamo dire che inizia la vera "storia".
A quest'ultimo proposito non va preso come momento di partenza la catastrofe gallica, giacché la lista consolare non fu raggiunta dall'incendio gallico, trovandosi essa nel tempio di Giove sul Campidoglio. Si salvò.
Poco prima del 400 a. C. accanto alla lista dei consoli si era cominciato a tenere la tavola pontificale, il fondamento della cronaca cittadina, della cronaca sacerdotale. Da questo punto cioè il pontefice massimo cominciò a registrare su una tavola imbiancata, sotto il nome dei magistrati di ciascun anno, gli eventi principali verificatisi nell'anno medesimo.
Quest'uso si perpetuò sino ai tempi dei Gracchi, e cessò soltanto allorché il sorgere di una registrazione letteraria più colta dei fatti storici, lo fece apparire superfluo.

Le tavole di questo archivio pontificale fornirono i materiali alla storiografia romana che comincia con i tempi della guerra annibalica, e formarono la fonte principale della grande cronaca pontificale in 80 libri, gli Annales Maximi, pubblicati dal pontefice massimo P. Mucio Scevola al tempo stesso in cui si cessava dal compilare le tavole annue.

Quale è stata l'occasione che provocò d'un tratto verso il 400 a. C. l'inizio della compilazione di dette tavole? Furono gli eventi della grande guerra contro Veio.
Da questo momento si ebbe una registrazione contemporanea sicura per lo meno dei principali avvenimenti della storia romana. E la stessa guerra di Veio fu uno di questi avvenimenti cardinali. Con essa si apre la serie delle grandi conquiste che avviano Roma all'egemonia sull'Italia e la portano a compimento nello spazio di quattro generazioni.

Fu quella di Veio, la prima guerra di lunga durata sostenuta da Roma. Fino allora l'esercito cittadino si era mobilitato nelle campagne guerresche per alcune settimane, portandosi da casa tutto il necessario; ma dopo il guerriero romano tornava nuovamente ai suoi campi a vivere in pace.

Invece l'assedio di Veio non poté essere interrotto, e quindi ora lo Stato assunse il peso del mantenimento e dello stipendio dei soldati. Le sei centurie della cavalleria patrizia che tuttora costituiscono l'intera forza della cavalleria romana non furono più sufficienti ai bisogni della guerra, e si provvide all'occorrente col concedere a giovani plebei benestanti di servire a cavallo fuori di quelle centurie; salvo che costoro dovevano fornirsi del cavallo e mantenerlo a proprie spese, mentre la cavalleria patrizia riceveva dallo Stato il cavallo e il foraggio. Questa innovazione ha costituito il seme d'onde si é sviluppato poi l'ordine equestre romano.

Noi qui vediamo come le necessità della guerra abbiano già causato delle concessioni in fatto di politica interna. Né ciò si limitò al fatto che d'ora in poi i plebei ebbero facoltà di servire a cavallo; infatti nella guerra acquista importanza preponderante il valore personale, e il valore sa accampare delle pretese e ottenere la soddisfazione. Da un pezzo uomini della plebe erano divenuti ufficiali anche dell'esercito delle centurie, erano diventati tribuni militari, e fu appunto l'influenza di questo esercito che provocò il mutamento di forma nella presidenza della Repubblica, l'elezione di ufficiali simili a presidenti invece dei consoli.

Il nuovo ordinamento esisteva dal 438 a C. e tuttavia nessun plebeo era ancora stato mai eletto effettivamente a tribuno consolare. Ma durante la guerra con Veio se ne ebbe il primo esempio, nel 399 a. C., anzi allora entrarono contemporaneamente parecchi plebei nel collegio dei presidenti, alla loro testa Cn. Genucio.
Dopo che con l'ordinamento centuriato i proprietari fondiari non patrizi furono pervenuti al diritto di cittadinanza, lo spirito progressivo dei plebei levò gli occhi alle pubbliche cariche, non esclusa la magistratura suprema dello Stato. L'anno 399 a. C. che li condusse a tali ambiti obiettivi, segna un'epoca nella lotta fra le classi in Roma, e a questa altezza i plebei furono condotti dalla guerra con Veio. È questo un chiaro esempio dell'intima connessione fra la storia esterna e la storia interna.

La guerra era cominciata nell'anno 406: soltanto nell'undecimo anno d'assedio, nel 396 a. C., il dittatore M. Furio Camillo conquistò Veio. Dal ricavo del bottino i Romani inviarono in dono al santuario di Delfi una coppa d'oro, che però cadde insieme con gli inviati romani nelle mani di pirati delle Lipari. Ma Timasiteo di Lipara salvò gli inviati e il dono dagli artigli dei suoi sudditi rapaci; e così la coppa raggiunse Delfi e fu depositata nel tesoro dei Massalioti.
In premio del suo contegno il senato concesse a Timatiseo l'ospitalità dello Stato romano, che per diritto romano era ereditaria, e difatti i Romani quando nella prima guerra punica presero nel 251 a. C. Lipara, onorarono i discendenti di Timasiteo esentandoli dalla riduzione a sudditi e dalle imposte.

Poco dopo il 400 dunque noi vediamo già i Romani in relazione con i Greci d'Oriente e d'Occidente; già allora Marsilia era legata a Roma con un trattato di amicizia che si mantenne per tutta la durata della Repubblica. Dopo la catastrofe gallica i Massalioti raccolsero fra di loro denaro per soccorrere i danneggiati dall'incendio di Roma, ed in compenso il senato romano concesse ai mercanti massalioti agevolazioni commerciali.

Un ambiente ben diverso ci presenta lo stato comunista dei corsari delle Lipari. Lo avevano costituito coloni greci, dorici, che poco dopo il 580 avevano invano tentato di insediarsi nell'occidente della Sicilia, ed in seguito occuparono le isole Lipari. Qui essi ebbero a lottare con i pirati etruschi, anche se esercitarono essi medesimi dalla loro cittadella di Lipara il mestiere della pirateria. Questo genere di vita li portò al comunismo. Il loro patrimonio era cosa comune, alcuni di essi coltivavano per tutti la terra e gli altri esercitavano la corsa sul mare. In seguito essi introdussero la proprietà individuale nell'isola principale di Lipara, ove si trovava la città, mentre continuarono a sfruttare in comune il territorio delle altre isole; come si vede la fondazione della città causò qui la suddivisione del suolo.
Da ultimo essi si suddivisero anche le terre delle altre isole, ma la suddivisione si rinnovava ad ogni periodo di 20 anni. I Romani dunque nel 396 a. C. avevano stretto amicizia con il principe corsaro di Lipara.

Gli abitanti di Veio furono venduti a schiavi, il territorio della città venne confiscato e suddiviso fra coloni romani, che furono incaricati della custodia del confine. La guerra nell'Etruria meridionale proseguì oltre, verso nord sino a Volsinii (Orvieto), dove i Romani riportarono vittoria nel 391. Le nuove conquiste furono organizzate in quattro nuove tribù rustiche; una notevole porzione dell'Etruria meridionale era divenuta territorio romano.

Anche verso mezzogiorno i Romani allungarono le mani, e già nel 393 avevano dedotto una colonia a Circeji: ma a quel punto giunsero i Celti e presero Roma.

Negli ultimi decennii del V secolo i Celti dimoravano sull'Ister, nella regione del Danubio superiore e si estendevano di qui largamente verso nord-ovest. Verso il 400 a. C. essi si posero in movimento e varcarono da un lato il Reno e penetrarono nella Francia, che dal loro nome di Galli doveva ricevere la denominazione di Gallia; procedettero verso mezzogiorno fin nella Spagna, arrivando fino a Gades.
Dall'altro lato, movendo dal Danubio attraverso la Germania meridionale, valicarono le Alpi e discesero in Italia; quivi urtarono negli Etruschi, le etrusche Milano e Bologna divennero città celtiche, i Senoni arrivarono sino al mare Adriatico; essi fecero la loro apparizione anche in Toscana e d'un tratto si presentarono dinanzi a Clusium.

Fu una di quelle ondate di invasioni barbariche che si scatenano improvvisamente e spazzano i paesi di civiltà più antica. Per informarsi su questa gente sconosciuta, i Romani spedirono legati a Chiusi. Poca probabilità ha l'affermazione che i legati romani abbiano incautamente partecipato al combattimento contro i Galli a fianco degli Etruschi di Chiusi e che appunto per questo i Celti si siano indotti in seguito a minacciare Roma, giacché essi dopo aver vinto Chiusi si sarebbero in ogni caso diretti verso il sud.
L'esercito romano uscì loro incontro e passò il Tevere; sulla riva destra del fiume si congiunse cogli Etruschi, e il 18 luglio dell'anno 390 a.C. venne a battaglia coi barbari di fronte alla località dove un po' più in su di Fidene sbocca un affluente di sinistra del Tevere, l'Allia.

Il numero dei Galli ammontava a circa 30 mila uomini, mentre i Romani disponevano di due sole legioni che, con l'aggiunta della cavalleria e delle truppe degli armati alla leggera, potevano arrivare solamente a 10 mila uomini, a quel tempo forse il pi� grande esercito che Roma avesse mai messo in campo. Nella stretta valle del Tevere, a nord di Fidenae, i Romani si appostarono sulla riva sinistra: la loro ala sinistra era protetta dal fiume, il gruppo centrale era in piano, mentre l'ala destra di riserva rimaneva alle pendici dei monti Crustumini. I Galli di Brenno, abilmente, aggirarono il fianco dei Romani, mettendo in rotta le truppe sulle colline e respingendo e travolgendo il centro dell'esercito romano verso il Tevere.
Il grosso dell'esercito battuto potè salvarsi a Veio, una piccola parte passò a nuoto il Tevere e si rifugiò a Roma, ma moltissimi furono fatti a pezzi.
La completa disfatta subita dai Romani rese in perpetuo per loro un giorno nefasto il dies aliensis, la giornata della battaglia dell'Allia.

Se non che appena tre giorni dopo la battaglia i Celti arrivarono a Roma e occuparono la città ad eccezione della rocca sul Campidoglio; essi rimasero accampati là sette mesi e da ultimo si ritirarono perché ricevettero notizia di un'invasione dei Veneti nel proprio territorio; i Romani intanto erano stati costretti a comprare un accordo con i Galli al prezzo di mille libbre d'oro. Durante l'occupazione di Roma per parte dei Galli, una porzione della città andò in fiamme e rimase distrutta. La storicità dell'incendio gallico é innegabile; lo stesso fatto della ricostruzione tumultuosa, irregolare della città operata dopo la partenza dei Galli e le cui tracce non furono cancellate se non dall'incendio dei tempi di Verone, toglie ogni dubbio in proposito: ma l'estensione dell'incendio é stata in seguito esagerata, giacché allora i Galli non sarebbero rimasti nella città incenerita per sette mesi. Napoleone abbandonò Mosca quando la vide in preda alle fiamme.

I Galli occuparono Roma, ma la notizia della catastrofe non arrivò immediatamente in Grecia; passarono additittura quasi quarant'anni prima che i Greci ne fossero informati. Un contemporaneo di Aristotele e discepolo di Platone, Eraclide Pontico, diede la notizia che un esercito proveniente dai paesi iperborei aveva assediato, conquistato e incendiato la città di Roma situata sul gran mare, ma che poi erano stati sconfitti. Ed anche Aristotele aveva sentito parlare della presa di Roma da parte dei Celti, e della loro sconfitta da parte di Marco Furio Camillo.
E' vero che il vincitore e restauratore di Roma, colui che la fece risorgere dalla catastrofe gallica, era Marco Furio Camillo (console del 349 a. C.), ma significa anche che in Grecia nulla sapevano del primo disastro del 390.

Questo perchè trent'anni dopo la battaglia dell'Allia i Celti avevano fatto una nuova scorreria che li condusse sino ad Alba, cioè nell'anno 349 essi tornarono ad avanzarsi: i Romani mossero loro contro insieme con i propri alleati ed i Galli batterono in ritirata. In quell'anno appunto era console Lucio Furio Camillo ed Aristotele lo fa intervenire come il salvatore della patria; ciò vuol dire ch'egli del disastro del 390 non ebbe nessuna notizia, ma solo quella del 349.
Forse perchè in quell'anno 349 era apparsa una flotta greca sulla spiaggia latina, forse una flotta siracusana. Pertanto la notizia è arrivata probabilmente ad Atene per il tramite di Siracusa e Corinto.

I Galli nel frattempo si erano stanziati nella pianura del Po, ma le loro scorrerie verso il sud avevano in mira non tanto la conquista quanto la rapina e il saccheggio. Per la durata di un secolo essi furono il terrore d'Italia, cioè fino al 284 a. C.

Tuttavia dopo la fallita invasione del 349, con la potenza raggiunta dai Romani a datare dallo scioglimento della lega latina (338) indusse i Galli nel 334 a concludere con loro una pace formale, che rispettarono per trent'anni sinché furono messi nuovamente in agitazione da movimenti avvenuti tra le popolazioni galliche transalpine.
Nel 285 ancora i Celti scendono in campo sotto Arretium, e dopo la cacciata dei Senoni dalle loro sedi e la fondazione della colonia romana di Sena Gallica, i Boj nel 284 restano sconfitti dai Romani al lago Vadimone. Da questo momento cessano per l'Italia le molestie dei Celti; essi si volgono più solo verso la penisola balcanica, nel 279 fanno la loro apparizione in Macedonia, sotto Delfi. Il capo
celtico che nel 279 attaccò Delfi, si chiamava Brenno.
Di qui la storiografia romana dei tempi posteriori ha mutato questo nome per attribuirlo al conquistatore di Roma, il cui vero nome era ignoto alla tradizione genuina e quindi é sconosciuto anche a noi.

La catastrofe del 390 a. C. non si comprende se non supponendo Roma non fortificata; ad eccezione del Campidoglio ch'era ben munito, Roma era allora ancor priva di una cinta di mura. Le così dette mura serviane non derivano né dall'epoca regia, né dai primi tempi della repubblica, ma furono erette nel secolo delle incursioni galliche, per difendersi dai Celti. A quest'epoca si richiamano anche le datazioni dei loro residui. La loro età sarà più precisamente indicata più avanti.

Coi danni subiti dalla popolazione di Roma a causa dell'invasione gallica deve aver relazione l'opera svolta da M. Manlio, per la quale fu incolpato di ambire la tirannide, sopraffatto ed ucciso nel 385 a. C. Egli cioè deve aver preso a cuore la sorte del basso popolo che non poteva non essere stato duramente colpito dall'occupazione gallica di Roma e dall'incendio della città.
Soltanto ora inoltre si riuscì a compiere l'organizzazione dei territori
conquistati nell'Etruria meridionale, già accennata sopra, ma non furono trascurate le difese da altri lati, e difatti nel 385 e nel 382 vennero fondate in territorio volsco due colonie, Satrico e Sezia.
In quegli stessi anni, nel 382 cominciò la guerra con Preneste, il bastione dell'Appennino, importante per la sua posizione nel centro della contrada ; guerra che con varie interruzioni non portò all'assoggettamento di Preneste che nel 338.

Anche Tusculo, la città latina sita a venti minuti di strada dalla odierna Frascati, con la sua veduta aperta sulle cime dei monti Albani e la pianura ai suoi piedi, venne in conflitto con Roma e fu costretta ad incorporarsi nello Stato romano a condizioni sfavorevoli; essa divenne il primo municipio romano. I municipales sono cittadini romani che partecipano soltanto agli oneri dello Stato, ai suoi munera, sono cioè soggetti all'imposta e al servizio militare, mentre sono privi dei diritti politici spettanti ai cittadini, il diritto di voto nei comizi e l'elettorato attivo e passivo, cioè il diritto di eleggere e di essere eletti alle cariche pubbliche.

Nella stessa condizione di inferiorità fu in seguito costretta a scendere la etrusca Cere (Cervetri) ; il diritto dei Ceriti è diritto di cittadinanza dal solo lato passivo, cioè diritto proprio dei municipes. Questi municipi man mano pervennero uno dopo l'altro al diritto pieno di cittadinanza, e quando, dopo la guerra sociale, nel 90 e nell'89 a. C. fu esteso il diritto di cittadinanza romana completa a tutta l'Italia, la nuova costituzione municipale intese per municipi comuni di cittadini romani di pieno diritto dotati di autonomia locale.

Dopo il 380 a. C. le nostre conoscenze della storia esterna di Roma subiscono una lacuna di quasi vent'anni. È poco probabile che questo periodo sia rimasto vuoto di eventi, ma una narrazione tendenziosa della storia della lotta fra patrizi e plebei ha reso impossibile stabilirli perché ha fatto scempio della storia di quegli anni introducendovi una serie di fatti che non appartengono ad essi mentre deve averne in compenso soppressi degli altri.
Inoltre non si trattò neppure certamente di un periodo così lungo di anni; il sistema della cronologia romana antica ha a questo punto cercato di eliminare delle difficoltà che gli si presentavano mediante finzioni, e ciò facendo ha sconvolto per sempre ed in modo irrimediabile la cronologia di quegli anni. Malgrado ciò si continua tuttora a parlare della fine della lotta tra patrizi e plebei dovuta alle leggi licinie-sestie dell'anno 367 a. C. e si adopera persino questa data per fissare un periodo della storia ro
mana più antica.

Invece, se noi dobbiamo rinunziare a ricostruire la storia esterna di Roma per quegli anni, ci troviamo in grado di spogliare delle complicazioni la storia interna e di far rivivere il disegno e i colori del quadro genuino dello svolgimento degli ordini costituzionali.
Sotto il nome delle citate leggi vanno tre pretese leggi dei tribuni C. Licinio Stolone e L. Sestio Laterano, che sarebbero state destinate a porre argine alle usurpazioni di terre dei ricchi, a rimediare alle angustie dei poveri oppressi dai debiti e ad abbassare l'ambizione dei nobili garantendo ai plebei l'accesso alla presidenza della repubblica con il ritorno nel tempo stesso al consolato.
Ad alleviare la condizione dei debitori si disponeva che si dovessero dedurre dal capitale gli interessi pagati ed il residuo dovesse pagarsi ratealmente. A nessuno poi doveva esser lecito possedere più di 500 iugeri dell'ager publicus; la norma avrebbe mirato a colpire le usurpazioni dei potenti e dei ricchi, che non solo non mettevano a disposizione il sovrappiù di terre al popolo minuto ma gli portava via anche quel poco che possedevano.

Finalmente si doveva tornare dal tribunato militare al consolato e riservare uno dei posti di console ai plebei.
Di queste tre leggi una sola é di contenuto genuino, sebbene spostata in un'epoca che non è affatto la sua, quella relativa all'ager publicus, le altre due non sono mai esistite.
La legge relativa ai debiti non é che la riproduzione trasportata nel quarto secolo a. C., dei desiderii che nutriva la jéunesse dorée della fine della Repubblica, e che nutrivano anche i Catilinari. E disposizioni legislative riguardanti l'ager publicus non è possibile siano state emanate allora per la ragione che a quel tempo l'ager publicus, se pure esisteva, aveva appena cominciato a formarsi ed era scarsissimo.
Tutte le terre conquistate erano sempre state immediatamente distribuite a cittadini romani e a coloni latini. Soltanto dopo la conquista dell'Italia si ebbe una estensione di ager publicus rilevante e sorse la necessità di provvedere a reprimere gli abusi del suo possesso.

Dimostreremo più avanti quale sia la vera epoca da cui deriva la legge agraria. Se poi si volessero eleggere consoli o tribuni consolari, era già stabilito che si dovesse decidere anno per anno, per quanto dal 392 a. C. non si sia in realtà proceduto più all'elezione di consoli e siano sempre stati eletti tribuni consolari. Se quindi si voleva tornare ad eleggere dei consoli per il 366 a. C., non era necessaria all'uopo alcuna legge.
Da tempo i plebei erano arrivati alla presidenza della Repubblica, cioè dall'elezione dei tribuni consolari plebei dell'anno 399 a. C. Decidendo nel 366 di tornare al consolato era quindi naturale che non si sarebbe potuta negare ai plebei, anche per la forma del consolato, quella partecipazione alla presidenza che essi avevano avuta da tempo. Il ritorno al consolato non ha nulla da vedere con la lotta tra patrizi e plebei. A che fu dunque dovuto?

Nel sistema del tribunato consolare avevano funzionato sempre collegialmente tre, quattro, o sei presidenti nel tempo stesso, senza attribuzione di competenze speciali. Aveva una competenza speciale il solo censore la cui carica era stata staccata dalla presidenza nel 435 a. C. E nel 366 a. C. ne fu staccata un'altra competenza speciale, quella della giurisdizione civile attribuita a un pretore, che venne subordinato ai presidenti della Repubblica; nel tempo stesso la presidenza fu ridotta a due soli titolari. A che scopo? Non per interessi collegati alla lotta fra i due ordini ma per ragioni tecniche amministrative: il ritorno alla semplice dualità dei supremi magistrati, inerente al consolato, col contemporaneo distacco della giurisdizione civile, ebbe in mira di concentrare in poche mani il comando militare, cosa di cui fu sentito il bisogno in un' era di guerre.
Il presidente cioè da un lato non aveva più da occuparsi ora della giurisdizione civile, e dall'altro lato agli interessi militari rispondevano meglio due soli presidenti che non tre, quattro o sei colleghi.

Effettivamente fu da ora di regola eletto console un plebeo; i primi consoli plebei furono L. Sestio, L. Genucio e C. Licinio. Ma sino al 343 a. C. si continuarono ad avere tuttavia dei casi di elezione di due patrizi e la prima elezione di due plebei insieme a consoli non si verificò che nel 172 a. C.
Che la pretura istituita per la giurisdizione ci
vile sia stata sin da principio accessibile ai plebei è cosa che vien di conseguenza, per quanto nel fatto non si sia avuto un pretore plebeo che nel 337 a. C., Q. Publilio Filone.
Anche nei riguardi della dittatura e della censura era già stata tratta a quel tempo la stessa conseguenza; C. Marcio Rutilo fu il primo dittatore e censore plebeo, rispettivamente negli anni 356 e 351 a. C.
Esistevano, non sappiamo da quando, edili plebei che si presentano in relazione col tempio di Cerere (aedes Cereris), posto alle pendici dell'Aventino verso il circo; ad essi si aggiunsero nel 366 per la soprintendenza sui mercati e sul traffico commerciale due edili curuli; questa nuova edilità fu da principio accessibile ai due ordini ugualmente con un determinato turno. Nei tempi posteriori ambedue le edilità spiegarono un grande splendore nella celebrazione dei giuochi.

Considerazioni d'ordine militare erano state quelle che avevano provocato il ritorno al consolato, e non mancarono ai consoli occasioni di esercitare il comando in guerra. A nord presero le armi contro Roma gli Ernici nel 362 e combattendo contro di loro cadde Q. Genucio, il quinto console plebeo; nel 358 gli Ernici furono vinti. L'incursione dei Galli sino ad Alba invece colse così all'improvviso i Romani ch'essi non ebbero tempo di fronteggiarli. Se malgrado ciò i Galli si ritirarono, la causa deve vedersi nel fatto che durante i trenta anni succeduti alla battaglia dell'Allia Roma era stata fortificata, erano state costruite le cosiddette mura serviane. Da questa circostanza ricaviamo dunque la data più precisa della costruzione delle mura serviane, cioè i tre decenni dopo il 386.

I Romani si tennero chiusi in città, e la cinta di mura rese Roma inattaccabile per i Galli. Il territorio conquistato nel paese dei Volsci fu organizzato nel 348 in due nuove tribù. Venne dato un nuovo assetto ai rapporti coi Latini. Il rinnovo dell'antico trattato di alleanza di Spurio Cassio coi Latini ora avvenuta deve avere in realtà trasformato il trattato medesimo in modo da adattarlo alle condizioni attuali coll'attribuire a Roma una posizione più eminente. In seguito la costituzione delle città latine coi loro pretori ed edili si presenta quale una imitazione della costituzione romana.

Al riordinamento del Lazio seguì subito una guerra con gli Etruschi (357-354 a. C.). Con quanto accanimento sia stata combattuta questa guerra emerge dal fatto che nel 354 a. C. furono giustiziati 260 Tarquiniensi a Roma sulla piazza del mercato, e la si vuole probabilmente indicare non nel foro che non sottostava all'imperio militare, ma al campo di Marte.

L'evento più importante di quest'epoca però fu l'alleanza di Roma col Sannio, che cade appunto nel 354; con essa la politica romana estese per la prima volta la sua azione nell'Italia meridionale. L'aumento della potenza romana doveva ai Latini aver dato da un un bel po' di tempo da pensare; di fronte a questa alleanza che la rinserrava tra Roma a nord e gli alleati di Roma a sud, la lega latina cominciò a temere la sua stessa esistenza.

Verso la metà del quarto secolo a. C. troviamo in Roma vestigia palpabili di un vasto commercio transmarino: all'agricoltura si è venuto ad aggiungere il commercio e la navigazione. Verso il 400 a. C. Cartagine aveva cominciato a coniare moneta; mezzo secolo più tardi Roma seguì il suo esempio. La moneta romana non risale sino ai decemviri, essa é più recente di un secolo.

Al discepolo di Aristotele, Teofrasto, era pervenuta notizia di una spedizione navale dei Romani nella Corsica appartenente allora agli Etruschio; ma l'isola parve loro tutta sassi alle coste e tutta una foresta vergine all'interno e quindi rinunziarono all'intenzione di fondarvi una città. Dai tempi dell'occupazione della Corsica da parte dei Focesi e della battaglia navale combattutasi nel mar Tirreno, gli interessi marittimi e commerciali di Cartagine e dell'Etruria erano alleati, e tra Cartaginesi ed Etruschi esistevano anche trattati di commercio.
E con Cartagine, con la grande potenza marittima e commerciale, ora anche i Romani strinsero amicizia. Il testo di questo primo trattato di amicizia e di commercio con Cartagine, dell'anno 348 a. C., lo possediamo ancora in una traduzione greca.

Il trattato vieta ai Romani di oltrepassare con la navigazione il bel promontorio vicino a Cartagine per procedere verso occidente, cioè verso Tartesso, verso la Spagna meridionale, di cui i Cartaginesi cercavano di monopolizzare il commercio a proprio favore. Nella Libia e nella Sardegna i Cartaginesi concessero libertà di traffico ai Romani, e garantirono persino ai loro venditori il pagamento qualora la vendita fosse stata conclusa con l'assistenza dell'araldo e dello scriba.
Nei loro dominii di Sicilia concessero ai Romani piena parificazione con i loro propri cittadini. Questo trattato che tendeva a precludere a loro il mezzogiorno della Spagna, i Romani devono averlo trasgredito raggiungendo la Spagna meridionale senza costeggiare l'Africa, ma scendendo dal nord a Tartesso attraverso il paese dei Massiani dopo aver costeggiato le sponde meridionali della Francia; ma cinque anni dopo con il secondo trattato fra Roma e Cartagine, dell'anno 343 a. C., chiuse loro anche questa via. Esso inoltre li esclude pure dal commercio in Sardegna e nella Libia, salvo Cartagine.

Quanto alla città di Cartagine ed ai possedimenti cartaginesi di Sicilia essi vi possono esercitare il commercio perfettamente come i cittadini cartaginesi. Se questo secondo trattato poi vieta espressamente ai Romani di fondar città nella Sardegna o nella Libia, ciò deve essere avvenuto perché poco prima i Romani avevano fatta un tentativo di questo genere nella Corsica. Questa spedizione romana nella Corsica deve dunque essersi verificata fra il 348 e il 343 a. C.

Ma i due trattati contengono anche delle clausole relative al Lazio e sono per noi documenti di inestimabile valore per quel che concerne i rapporti tra Roma e i Latini negli anni immediatamente anteriori all'inizio della guerra latina. Il primo trattato, quello del 348, tutela dalle possibili usurpazioni cartaginesi Ardea, Anzio, Laurento, Circeji e Tarracina, che essi avevano conquistato nel 406 a. C. e tutte le altre città latine che erano suddite di Roma. Anche quando alcuna di queste città latine non dovesse esser suddita di Roma, i Cartaginesi si obbligavano a non toccarla; e qualora ciò malgrado fossero per conquistarne una, si impegnavano a consegnarla senza indugio ai Romani.

Come si vede nel 348 i Romani avevano già ridotto in soggezione una parte del Lazio, e si preparavano ad assoggettare tutto il resto. Una condizione ancor peggiore di cose e una prospettiva più pessimista ci rivela il secondo trattato, quello del 343. A senso di esso i Cartaginesi, se conquistino una città latina con cui i Romani hanno un formale trattato di amicizia ma che si mantiene tuttora indipendente da Roma, devono consegnarla ai Romani.
Quanto trovano in tali città è loro lasciato, non esclusi gli uomini; il che vuol dire che possono tenerli come schiavi, salvo che non debbono condurli in porti romani, giacché qui ogni
romano può esigere la liberazione.
Quanto ai latini delle città latine non ancorta soggette a Roma, essi sono abbandonati completamente alla mercé dei Cartaginesi; se questi prendono una di tali città, devono del pari consegnarla ai Romani, ma possono trattenere per sé le cose e gli uomini senza limitazioni di sorta, e hanno facoltà di vendere questi Latini ridotti a schiavi come tali persino negli stessi porti romani.

Più tesi di così non potevano essere nel 343 a. C. i rapporti fra Romani e Latini. É chiaro: la guerra era imminente.

Nel frattempo i Romani avevano completato l'accerchiamento dei Latini. Al di là di Tarracina, fra i Volsci e i Campani, nella valle del Liris (Garigliano), dimoravano gli Ausoni o Aurunci, popolo di stirpe e di lingua osca. Costoro sono sempre stati una esigua popolazione, ed il nome di Ausonia dato all'Italia é una ardita metafora di poeti dell'epoca augustea, ma la loro situazione li rese in questo momento importanti.
Essi soggiacquero nel 345 ai Romani che in questo assoggettamento ebbero l'aiuto dei Sanniti, come lo ebbero nella completa soggiogazione dei Volsci operata nel 345 e nel 341; i Sanniti si presero in compenso il territorio dell'alto Liri con Fregelle e Sidicino.
I confini del Lazio di quel tempo ci sono indicati dal trattato romano-cartaginese del 343. Il Lazio e la Campania si videro minacciati da Roma e dal Sannio; perciò Latini e Campani si allearono e scesero in campo nel 340; scoppiò la guerra latina.
Il console T. Manlio vinse a Sinuessa sul confine aurunco-campano, e nell'anno 338 la guerra coi Latini era finita ed il Lazio era soggiogato. La lega latina fu sciolta, quella lega che aveva anticamente concluso il foedus aequum con Sp. Cassio, ed in specie quella lega che nell'anno 358 era stata rinnovata; essa non continuò a sussistere se non nei riguardi sacrali, nelle feste latine che si celebravano sul monte Albano.

Se il complesso della lega latina aveva a tempo di Sp. Cassio concluso alleanza con Roma, ora questa lega era disciolta e Roma si collegò con le singole città latine mediante altrettanti trattati di alleanza particolari. Roma costituisce ora il centro di questo cerchio e da essa parte una serie di raggi che raggiungono le città latine. I Latini peraltro conservarono il commercium ed il connubium con Roma e così pure il diritto di acquistare la cittadinanza romana a titolo di lunga dimora a Roma.
A quest'ultimo riguardo una prima limitazione subì il diritto latino nel 286 a. C. rispetto ad Ariminum: trasferendo il proprio domicilio a Roma poteva acquistarvi la cittadinanza soltanto chi avesse coperto una carica pubblica in quel comune latino ovvero fosse stato membro del consiglio cittadino. E siccome in seguito l'emigrazione a Roma minacciò di spopolare completamente i centri la
tini, l'acquisto della cittadinanza romana fu sottoposto all'ulteriore condizione che nel trasferirsi a Roma si fosse lasciato in patria un figlio adulto; questa norma é di data incerta ma in ogni caso è anteriore al 177 a. C.
Vedremo per quali ragioni in progressione di tempo Latini ed alleati in genere ambissero il diritto di cittadinanza romana. Nell'anno 95 a. C., quando la lex Licinia Mucia dei consoli M. Licinio Crasso e C. Mucio Scevola vietò per principio nell'avvenire ai Latini l'acquisto di tale diritto, la conseguenza di questa restrizione fu lo scoppio della guerra sociale, che costrinse Roma a rinunziare alla sua politica di gretto egoismo e largì a tutta l'Italia il pieno diritto di cittadinanza romana.

Nello stesso anno 338 a. C. i Greci erano sottomessi ai Macedoni ed in Italia i Latini ai Romani; in ambedue i casi però la vittoria toccò ai vinti.
L'unione con la Macedonia aprì ai Greci la via dell'Oriente attraverso le conquiste di Alessandro, e la stretta unione dei Latini con Roma non solo arrecò ad essi il beneficio di liberarli dalla situazione insostenibile in cui si trovavano verso il 343, ma aprì loro sotto la guida di Roma un campo di influenza senza limiti.
Roma era sì da lungo tempo latinizzata , ma soltanto sotto l'egida della potenza dello Stato romano la lingua latina sopraffece in Italia i dialetti e le lingue straniere e trasformò in una nazione sola l'intera penisola. E poi varcò anche i confini d'Italia propagandosi nelle province; la romanizzazione di queste é opera dei Latini.

Non solo dunque in Oriente ma anche in Occidente la vittoria definitiva dei vinti attribuisce all'anno 338 un'importanza cardinale nello svolgimento della storia universale.

Ma se per i greci-macedoni, la via per l'espansione era l'oriente, per i romani-latini questa via di allargamento era verso il sud della penisola, in quel meridione che stava diventando da molti anni greco, anche senza aver fatto i greci guerre di conquista con le armi.

E se in Oriente i greci-macedoni di Alessandro a causa della sua immatura morte furono sfortunati, non così i romani-latini che nello spazio di due generazioni che seguirono alla fine della loro guerra, messisi insieme come fratelli, riescono a soggiogare l'intera Italia meridionale e l'intera Etruria.

Siamo dunque all'...


L'EPOCA DELLA GRANDE GUERRA SANNITICA > >

PAGINA INIZIO - PAGINA INDICE