23. LE TRE GUERRE DEI DIADOCHI

I GERMI DI UN NUOVO CONFLITTO - VERSO LA GUERRA (primavera- autunno 321) - TOLEMEO IN EGITTO (323-321)- VICENDE DI CIRENE - LA ROTTURA TRA TOLEMEO E PERDICCA (321) - LA GUERRA IN ASIA MINORE (Primavera – Estate 320) - LA SVOLTA IN EGITTO (320 Primavera – Estate?) - IL NUOVO RIASSETTO DELL’IMPERO (320) - LA LIQUIDAZIONE DELLA FAZIONE DI PERDICCA (320-319)
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I POLIPERCONTE E CASSANDRO - ANTIGONO ED EUMENE - LA GUERRA CIVILE IN MACEDONIA 318-317 - IL CONFLITTO IN GRECIA 318-317 - LA BATTAGLIA DEL BOSFORO (Estate 317) - EURIDICE DEPONE POLIPERCONTE (estate 317) - IL RITORNO DI OLIMPIADE 317-316 - EUMENE SI RIORGANIZZA 318-317 - LE SATRAPIE SUPERIORI - LA LUNGA CAMPAGNA (primavera 316- inverno 316/315) - LA CADUTA DI OLIMPIADE 315 - L’OPERA DI CASSANDRO IN MACEDONIA E GRECIA (316-315)
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ANTIGONO E SELEUCO (anno 315) - LA GRANDE COALIZIONE CONTRO ANTIGONO (315-314) - IL PROCLAMA DI TIRO (estate 314) - LA NUOVA FLOTTA DI ANTIGONO - LA LOTTA PER LA CARIA (autunno 313- estate 312) - LA SVOLTA (primavera 312) - IL RITORNO DI SELEUCO (estate 312- autunno 311) - LA PACE (autunno 311)
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FIAMME IN BABILONIA (310- agosto 308) - IL NUOVO CONFINE - TOLEMEO RIPRENDE LE OSTILITA' (anno 310) - LA FINE DEGLI ULTIMI ARGEADI - TOLEMEO IN PELOPONNESO (310-309) - DEMETRIO LIBERA ATENE giugno 307 - TRIONFO A CIPRO (inverno 307-estate 306). - SCACCO IN EGITTO (novembre 306-primi mesi 305) - IL REGNO DI ANTIGONO - LISIMACHIA E SELEUCIA - SELEUCO IN BATTRIANA E IN INDIA (306-304) - CONCLUSIONE

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In questa puntata sui litigiosi diadochi, pare di raccontare una partita a risiko lunga quaranta anni, ma talvolta la storia non presenta quadri più edificanti. L'aspetto curioso è che questi diadochi, pur avendo percorso e devastato il mondo conosciuto in lungo e in largo per appagare le loro vanità e ambizioni, hanno contribuito allo sviluppo della civiltà, hanno fondato città che sono sopravvissute per millenni ai loro imperi, hanno dato lavoro a scienziati, filosofi, letterati che altrimenti avrebbero trovato altro da fare. Ma sopratutto hanno incoraggiato o imposto lo spostamento di intere popolazioni da un luogo all'altro del mondo, permettendo quello scambio economico e culturale che produsse quella civiltà così simile a quella moderna nella sua tendenza al sincretismo e all'universalità. Insomma, sia pur involontariamente questi diadochi hanno aiutato il "progresso" anche se è meglio non chiedere agli uomini dell'epoca cosa realmente pensassero di loro.

 

I GERMI DI UN NUOVO CONFLITTO


Alla fine del 322 ad un anno e mezzo dalla morte di Alessandro l’impero appariva ancora unito e pacificato; rimanevano bensì aperti i conflitti i con gli Etoli e i Traci, che sembravano tuttavia problemi di secondaria importanza, non in grado di minacciare l’unità dell’impero. Eppure tra gli uomini al vertice del potere stavano per venire alla luce contrasti violenti che avrebbero portato alla guerra civile, la prima dell’era dei diadochi. Antipatro e Perdicca avevano cercato di mettersi d’accordo con un matrimonio politico, che a quell’epoca era il mezzo privilegiato per concludere un’alleanza. Antipatro aveva già dato due delle sue figlie, Fila ed Euridice, a Tolemeo e Cratero, e intendeva concedere in moglie a Perdicca la terza, Nicea, che era ancora libera. Perdicca aveva accettato l’offerta e la promessa sposa era giunta alla corte reale, condotta dal fratello Iolla. Tuttavia qualcun altro manovrava per mandare a monte questo matrimonio, che avrebbe rafforzato e reso sicura la posizione tanto di Antipatro che di Perdicca nell’impero.

Olimpiade, madre di Alessandro e grande nemica di Antipatro, mandò a sua volta la figlia Cleopatra (che per conto proprio aveva già cercato di sposare Leonnato) per unirsi in matrimonio con il reggente. Perdicca, accettando l’offerta, si sarebbe imparentato con la famiglia reale e avrebbe con ciò potuto aspirare legittimamente al regno, ma si sarebbe inevitabilmente attirato contro l’ostilità di tutti gli altri diadochi, Antipatro per primo. Il reggente quindi esitò sulla scelta: Eumene, che non poteva che temere un’unione tra Perdicca e Antipatro, consigliò di accettare l’offerta di Olimpiade, mentre Alceta, fratello del reggente, propendeva per Nicea: la scelta dopo parecchie esitazioni cadde su Nicea. Ma una terza trama dinastica venne di nuovo a rimescolare le carte. Cinane figlia, di Filippo e sposa di Aminta di Macedonia (fatto uccidere da Alessandro subito dopo la sua ascesa al trono) aveva avuto da quest’ultimo una figlia, Adea, che si trovava ad essere di stirpe regale sia da parte di padre che da parte di madre, ed era venuta insieme alla madre a rivendicare i propri diritti al trono e a sposare Filippo Arrideo.

Perdicca ordinò ad Alceta di fermare le due donne, e questi non riuscì a trovare di meglio che far uccidere Cinane. Il gesto provocò un ammutinamento delle truppe, che fu sedato soltanto quando Perdicca si rassegnò a celebrare il matrimonio tra Filippo Arrideo e Adea, che divenne regina col nome di Euridice. Aveva solo 14 anni ma, vissuta in un’atmosfera di intrighi e violenze, era molto più matura e ambiziosa di quanto ci si poteva aspettare da una ragazza della sua età, e soprattutto intendeva regnare per davvero, sottraendo Filippo all’influenza di Perdicca e di chiunque altro che non fosse lei.

VERSO LA GUERRA (primavera- autunno 321)

A questo punto Perdicca si decise per una mossa molto pericolosa: marciò infatti sulla satrapia di Antigono per chiedergli conto della sua disobbedienza all’ordine di aiutare Eumene a riconquistare la Cappadocia, ma quando giunse a Sardi, scoprì che il satrapo aveva già levato le tende per fuggire in Europa da Antipatro e Cratero. I due ufficiali erano impegolati in una difficile campagna in Etolia. Gli Etoli non avevano grandi città da difendere e resistevano conducendo una estenuante guerriglia contro l’esercito invasore, che non potendo incontrarli in campo aperto, non riusciva a sfruttare la forte superiorità numerica che deteneva. Ma, un’intera stagione di combattimenti, l’inverno alle porte e la mancanza dei viveri, depredati dagli invasori, stava mettendo gli Etoli in condizioni piuttosto difficili. Proprio mentre disperavano di salvarsi giunse Antigono nel campo Macedone.

Antipatro e Cratero furono debitamente informati delle mire dinastiche del reggente, del modo in cui aveva agito nella faccenda di Cinane e del fatto che stava rimpiazzando l’Asia Minore di propri uomini, cacciando i satrapi come Antigono che potevano dargli fastidio. Tutte queste mosse secondo Antigono preparavano il ritorno in Macedonia di Perdicca, la sua elezione al trono a seguito del matrimonio con Cleopatra, e all’esautorazione di Antipatro e Cratero dalle loro cariche. A rendere credibile la principale delle accuse, cioè l’aspirazione al trono, giunse una lettera di Menandro, satrapo di Lidia in cui si riferiva che Cleopatra, era stata raggiunta a Sardi da Eumene che aveva portato dei doni da parte di Perdicca, e l’assicurazione che il reggente si sarebbe presto sbarazzato di Nicea per sposare lei. La lettera giunse prima ad Antigono, poi ad Antipatro e Cratero, convincendoli a rovesciare Perdicca con la forza.


Secondo Diodoro:
"Cratero e Antipatro… deliberarono di porre fine alle ostilità contro gli Etoli a qualunque condizione fosse possibile, di trasportare al più presto le armate in Asia e affidare il comando dell’Asia a Cratero e quello dell’Europa ad Antipatro, di inviare un’ambasceria per concordare un’azione comune a Tolemeo, che, essendo del tutto ostile a Perdicca e amico loro, era come loro esposto alle sue insidie. Fecero perciò subito la pace con gli Etoli, decisi a debellarli in seguito e a deportarli in massa con le loro famiglie in qualche regione desertica d’Asia.
Antipatro e Cratero presero pertanto accordi con Tolemeo e Antigono per un’azione combinata contro il reggente e si misero in marcia verso gli stretti, lasciando un modesto contingente di truppe in Macedonia al comando di Poliperconte, per parare eventuali invasioni da parte degli Etoli.

TOLEMEO IN EGITTO (323-321)- VICENDE DI CIRENE

L’ostilità di Tolemeo verso Perdicca datava fin dal tempo in cui si era insediato in Egitto come governatore. Costretto dapprima ad un difficile condominio con Cleomene, il cui incarico amministrativo non era stato revocato, trovò man mano il modo di scalzarlo dalla sua posizione. Cleomene era stato un amministratore capace ma avido e si era attirato una forte ostilità fuori e dentro l’Egitto, soprattutto per avere incettato grano durante la grande carestia che imperversò in Grecia dopo il 330 ed averlo di volta in volta venduto nei mercati dove poteva ottenere i prezzi più alti. Inoltre con la sua amministrazione rapace si era inimicato la popolazione e, soprattutto, il potente clero Egizio, che era stato taglieggiato e aveva visto decurtate le proprie entrate. La sua caduta e successiva esecuzione destò quindi ben pochi rimpianti, ma era un atto chiaramente illegale.

Tolemeo aveva subito tradotto in pratica la sua idea di ritagliarsi un dominio indipendente, a cominciare dalla costituzione di un piccolo esercito formato dalle guarnigioni macedoni e mercenarie in Egitto e dalla piccola scorta con cui era entrato nella satrapia. Il suo primo atto d’autonomia era stato quello d’intervenire pesantemente nelle vicende di Cirene. Questa era un prospera città greca, fondata nel VII secolo A.C. dai Terei, e che aveva goduto per i primi secoli d’esistenza del saldo governo della monarchia dei Battiadi, che avevano creato un dominio molto esteso, che comprendeva Cirene, il suo porto Apollonia, Barca, Esperis ed altre città della regione detta anche oggi Cirenaica, al cui interno abitava una popolazione mista di Greci e di Libici.

In seguito alla caduta della monarchia nel 450, la città si era data un ordinamento repubblicano, che non l’aveva ovviamente difesa dalla piaga tipica delle poleis greche, le lotte tra oligarchi e democratici, che si erano di volta in volta strappati il governo della città. All’epoca di Alessandro Magno, al potere erano gli oligarchi, la città prosperava, non aveva risentito della carestia che aveva imperversato in Grecia negli anni 330-326 e aveva persino donato grano ai loro sfortunati compatrioti.

Tuttavia la quiete finì nel 323 quando i fuoriusciti democratici si misero d’accordo con Tibrone, il capo mercenario che aveva ucciso a tradimento Arpalo, quando questi era fuggito da Atene. Tibrone che accarezzava il sogno di ritagliarsi un dominio personale, dapprima sconfisse i Cirenei, li privò del loro porto di Apollonia e li sottomise a tributo; in seguito, tradito a sua volta da uno dei suoi compagni Mnasicle, che era passato nel campo degli avversari e li aveva indotti a ribellarsi, riprese a combattere contro i Cirenei e i suoi ex compagni con alterna fortuna. In una situazione estremamente confusa in cui le fazioni a Cirene si combattevano tra loro, pur lottando allo stesso tempo contro il comandante mercenario, un nuovo colpo di stato dei democratici indusse gli oligarchi alla fuga. Alcuni di loro scapparono presso Tolemeo, che fu ben lieto di prestare agli esuli un interessato aiuto, consistente nell’invio di un ingente corpo di spedizione, guidato da un suo ufficiale, Ofella. La notizia dell’arrivo dell’esercito di Tolemeo indusse i democratici a riconciliarsi con Tibrone per far fronte comune contro il nuovo pericolo, ma le loro forze congiunte furono facilmente sbaragliate da Ofella.

Mentre Tibrone chiuse la sua carriera di ambizioso comandante sulla croce, i Cirenei dovettero sottomettersi al ritorno degli oligarchi e all’assoggettamento al satrapo d’Egitto. In linea puramente teorica la città conservò la propria autonomia, ovviamente con una costituzione oligarchica che garantiva i diritti politici solo a coloro che possedevano più di venti mine. Tolemeo si assicurò di essere eletto stratego a vita, e di nominare a suo piacere altre cariche importanti, tra cui i 101 Geronti (tra di loro venivano poi eletti i quattro strateghi “colleghi” di Tolemeo). In parole povere ben poco poteva decidersi a Cirene senza il consenso del satrapo d’Egitto.

LA ROTTURA TRA TOLEMEO E PERDICCA (321)

Per la spedizione a Cirene, Tolemeo non aveva chiesto né ottenuto alcuna autorizzazione a Perdicca, e dalla conquista della città l’impero non aveva tratto alcun beneficio, dato che Tolemeo l’aveva vincolata a sé come un feudo personale. Era abbastanza per accendere l’ira del reggente, ma all’atto di insubordinazione ne seguì uno che aveva il sapore di una sfida aperta. Alessandro non aveva lasciato disposizioni molto chiare riguardo il suo luogo di sepoltura e non si sapeva se seppellirlo presso le tombe reali ad Ege, in Macedonia, o presso il suo padre divino Ammone in Egitto. Non era questione da poco, perché chi si incaricava del seppellimento del Re rivendicava il ruolo di erede.

Per qualche tempo la questione era rimasta in sospeso, dal momento che molti mesi erano stati spesi per la costruzione di un sontuoso catafalco da adibire al trasporto della salma regale. Quando questo fu completato, alla fine dell’inverno 322/321 si era nel periodo in cui Perdicca stava accarezzando l’opportunità offertagli da Olimpiade e Cleopatra di diventare Re. Per questo doveva essere lui stesso a seppellire Alessandro, e diede pertanto ordine al corteo funebre di dirigersi verso la Macedonia.

Tuttavia, l’uomo incaricato di guidare il corteo, Arrideo, dopo essersi accordato segretamente con Tolemeo, dirottò il catafalco verso Damasco. Ivi, con appresso l’esercito Egiziano, lo aspettava il figlio di Lago, che condusse le spoglie di Alessandro a Menfi, in attesa che il mausoleo in costruzione ad Alessandria fosse terminato. Perdicca, che si trovava ancora in Cappadocia con la corte, tentò di fermare il corteo, mandando i suoi ufficiali Attalo e Polemone a contrastare Arrideo, ma essi non ottennero alcun risultato.
Scottato dal raggiro operato da Tolemeo, Perdicca risolse di muovere l’esercito reale contro l’Egitto, mentre la difesa dell’Asia Minore, esposta all’attacco principale dei coalizzati, venne affidata ad Eumene, Alceta e Neottolemo. Il satrapo di Cilicia, Filota, dal momento che non dava sufficiente affidamento, fu rimpiazzato da Filosseno. Il comando supremo in Asia doveva essere detenuto dal segretario di Alessandro. Egli era, degli amici di Perdicca, che detenevano un comando indipendente, l’unico sufficientemente affidabile in campo militare, ma la decisione creò gravi malumori tra gli altri satrapi. Eumene fu incaricato anche dell’amministrazione della Frigia Ellespontica, senza satrapo dalla morte di Leonnato, di quella della Lidia, della Caria e della Paflagonia, i cui satrapi, passati ai coalizzati furono dichiarati decaduti.

Perdicca cercò di creare complicazioni ad Antipatro e Cratero alleandosi con gli Etoli, che indusse a rompere la tregua e ad invadere la Tessaglia. Costoro non si fecero pregare e invasero subito la Locride e la Tessaglia, sconfiggendo in battaglia le forze macedoni presenti nella zona. Tuttavia anche Antipatro si era premunito contro la loro minaccia mettendosi d’accordo con gli Acarnani perché invadessero l’Etolia. Gli Etoli quindi dovettero tornare frettolosamente in patria per respingere l’invasione, mentre il contingente di truppe, da loro lasciato in Tessaglia, fu spazzato via da Poliperconte, accorso dalla Macedonia. Nella feroce battaglia cadde anche il tessalo Menone, che era stato uno dei più risoluti comandanti ellenici e l’autore della vittoria contro Leonnato nella guerra lamiaca.

LA GUERRA IN ASIA MINORE (Primavera – Estate 320)

La guerra per il partito di Perdicca si presentava terribilmente complicata: non solo Antipatro, Cratero, Tolemeo e Antigono erano in armi contro di loro, ma grazie all’opera di convincimento e di propaganda ai danni del reggente, anche Asandro, Menandro, e Arcone, satrapi di Caria, Lidia e Babilonia, si erano schierati a favore degli alleati. Perdicca dovette mandare Docimo, con un distaccamento di soldati nella capitale mesopotamica per sostituire Arcone. Il passaggio di consegne non fu indolore e tra i due ufficiali si svolse una vera e propria guerra, a cui prese parte anche la popolazione babilonese, ben lieta di contribuire ad abbattere il satrapo che si era reso assai impopolare con la sua politica fiscale. Infine Arcone fu sconfitto e ucciso e Docimo si insediò come satrapo al suo posto.

Se in Babilonia i seguaci di Perdicca avevano avuto vita facile, non altrettanto bene erano andate le cose in Asia Minore. Antigono, con una flotta comprendente sia navi di Antipatro che navi Ateniesi, sbarcò in Caria con un contingente di 3000 uomini e ricevette l’appoggio di Menandro, Asandro e di molte città ioniche, a cominciare da Efeso. Poi eseguì una veloce puntata verso Sardi, finendo quasi per catturare Eumene, che si salvò perché avvisato a tempo da Cleopatra. L’attivo diadoco diresse le sue forze verso Cipro, dove raccolse l’adesione di Nicocreonte di Salamina, Nicocle di Pafo e di altri re dell’isola. Eumene intanto indugiava a Sardi senza truppe macedoni perché Perdicca era ripartito con l’esercito reale, Alceta nicchiava sugli aiuti e Neottolemo meditava di tradire la causa del reggente. Eumene lasciò forti guarnigioni nella Frigia Ellespontica e tornò in Cappadocia a raccogliere altre truppe, garantendo agli indigeni che si fossero arruolati nel suo contingente l’esenzione dai tributi e dalle imposte. A sue spese comprò i cavalli montati e in breve raccolse un corpo di cavalleria di 6300 uomini, quasi interamente anatolici.

Nel frattempo Antipatro e Cratero, con la collaborazione di Lisimaco, avevano valicato l’Ellesponto con più di 30000 uomini, e le guarnigioni macedoni sulla sponda asiatica erano passate dalla loro parte. Eumene venne finalmente raggiunto in Frigia da Neottolemo col suo esercito, ma qui si avvide dei propositi fraudolenti del satrapo d’Armenia. Una fiera battaglia si accese; Neottolemo prevalse nettamente sulla fanteria d’Eumene, ma la cavalleria del segretario spazzò la sua e costrinse alla resa i fanti dopo averli circondati. Antipatro e Cratero che si aspettavano di ricevere un cospicuo rinforzo videro arrivare Neottolemo con soli 300 cavalieri, mentre l’esercito d’Eumene, arricchito della fanteria del satrapo d’Armenia, che era stata costretta a passare dalla sua parte, era divenuto un avversario pericoloso. Il piano di battaglia degli alleati aveva Perdicca come obiettivo, e Antipatro mosse con 10000 uomini verso di lui attraverso la costa meridionale dell’Anatolia e della Cilicia, mentre Cratero e Neottolemo si sarebbero inoltrati in Frigia per regolare i conti con Eumene.

La battaglia tra i tre diadochi, che avvenne in una località ignota della Frigia, vide ancora una volta prevalere la cavalleria Cappadoce, che non permise a Cratero di venire a contatto e far defezionare le truppe Macedoni al seguito d’Eumene. Il popolare coreggente dell’impero, cadde ferito a morte, mentre Neottolemo venne ucciso dallo stesso Eumene, che ricevette però nello scontro delle ferite piuttosto serie. Il vittorioso satrapo non riuscì a far passare dalla sua parte i macedoni, che finsero di arrendersi per ripartire di notte e raggiungere Antipatro. La resistenza di Eumene, pur avendo provocato gravi danni ai coalizzati non era riuscita ad arrestarne la marcia, e questo per l’inettitudine e la slealtà degli altri comandanti lasciati da Perdicca. Ora il reggente doveva cercare di prevalere sul satrapo d’Egitto prima che Antipatro gli piombasse alle spalle.

LA SVOLTA IN EGITTO (320 Primavera – Estate?)

Perdicca poteva contare su una netta superiorità militare nei confronti di Tolemeo, che difatti non l’aveva atteso sul campo, ma si era accampato sulle sponde del ramo orientale del delta del Nilo, cercando di impedirgli il passaggio. Il reggente tentò di passare a Pelusio, poi , visto vano il tentativo, si diresse più a monte, cercando di guadare il Nilo presso il Forte dei Cammelli, a metà strada tra la fortezza costiera e Menfi. Si accese uno scontro confuso -Tolemeo in persona mise fuori combattimento un elefante- al termine del quale l’attacco fu respinto. Perdicca allora si spinse di nuovo verso sud, raggiungendo la città di Menfi e qui tentò di passare in un punto, lasciato incustodito per via della profondità delle acque che raggiungevano gli uomini fino al mento. Alessandro era riuscito a compiere un guado altrettanto difficile durante la campagna contro Poro, ma la buona stella che aveva sempre vegliato su di lui, non accompagnava il reggente. Un improvviso e inspiegabile aumento del livello delle acque e la forza della corrente, trascinò a valle moltissimi uomini dell’esercito reale, tanto che Perdicca dovette richiamare i pochi che erano riusciti ad attraversare in sicurezza.

Il terzo tentativo fallito in pochi giorni e la fine di 2000 Macedoni, morti senza nemmeno essere venuti a contatto col nemico, fece vacillare la fiducia mai salda degli ufficiali e dei soldati. In un consiglio tenutosi una delle notti successive al fallito guado, Pitone, Antigene e Seleuco, i maggiori ufficiali dell’esercito, si misero d’accordo per levare di mezzo Perdicca, e alcuni cavalieri si accollarono dell’incombenza uccidendo il reggente nella sua tenda. La fine di Perdicca fu coerente con il modo in cui aveva governato. Valoroso, competente, e perfino fedele all’impero, non era riuscito a farsi capire e amare da nessuno dei suoi subordinati, ad eccezione di Eumene, mentre le sue oscillazioni nella condotta politica e la sua alternanza di arroganza e indecisione gli avevano alienato i colleghi, rendendolo sospetto di un’usurpazione al trono reale che forse non aveva realmente accarezzato.

La rapida caduta di Perdicca aveva creato un posto vacante che nessuno sembrava volere ricoprire. Tolemeo, in atteggiamento conciliatore si era recato presso il campo reale, e aveva ricevuto l’offerta di prendere il posto di Perdicca nella tutela dei re, ma egli aveva programmi differenti, e convinse l’esercito a nominare provvisoriamente tutori dei re, Pitone e Arrideo. Anche Seleuco, che come ipparco della cavalleria di Perdicca era un forte candidato per la reggenza, preferì tenersi in disparte in attesa dell’arrivo di Antipatro. Appena due giorni dopo la morte di Perdicca era giunta notizia della vittoria di Eumene su Cratero e della morte di quest’ultimo. L’esercito, ormai schierato con i coalizzati, decise allora per la condanna a morte in contumacia, di Eumene, Alceta e di altri 50 sostenitori di Perdicca. I rimanenti simpatizzanti del partito sconfitto scapparono verso Tiro, dove furono raggiunti da Attalo, il comandante della flotta del reggente, che salvò loro e prese in custodia anche 800 talenti depositati a Tiro. La partita tra i sostenitori di Perdicca e quelli di Antipatro non si era ancora chiusa.

IL NUOVO RIASSETTO DELL’IMPERO (320)

Pitone e Arrideo non potevano tenere a lungo l’esercito in Egitto e lo ricondussero in Siria, presso Triparadiso, una tenuta di caccia reale che sorgeva intorno al fiume Oronte. Qui convennero anche Antipatro dalla Cilicia e Antigono da Cipro, nonché Attalo ammiraglio di Perdicca da Tiro. Quest’ultimo, soltanto in apparenza sottomesso, stava tentando di mutare la situazione a suo favore alleandosi con Euridice, che per conto proprio stava cercando di ottenere la tutela del minorato consorte, per assumere la guida dell’impero. Pitone e Arrideo rilasciarono la carica di epimeleti all’arrivo di Antipatro che, apparentemente senza difficoltà, fu eletto o meglio confermato reggente unico, anche perché tutti i suoi colleghi erano morti. Le truppe macedoni di stanza in Asia non erano per niente contente della situazione e, fomentate da Euridice ed Attalo, presero a reclamare alcuni compensi promessi da Alessandro. Il reggente replicò che non poteva dare alcun compenso prima che fosse fatto l’inventario dei tesori reali, e per poco non perse la vita in seguito alla reazione delle truppe inferocite.

Antigono e Seleuco riuscirono a salvarlo dal linciaggio, calmarono i soldati e li spinsero ad accettare Antipatro come reggente, mentre Attalo fu costretto nuovamente a fuggire ed Euridice fu messa a tacere. Scampato al pericolo Antipatro cercò di sistemare alla meglio gli affari dell’Asia, per potere finalmente ritornare in Europa. Ad Antigono fu lasciata la strategia sull’intera Asia con autorità superiore ai satrapi, la gestione dei re con la loro corte, e il comando dell’esercito reale, già appartenuto a Perdicca; il suo primo compito sarebbe stato di impiegarlo contro Eumene e gli ufficiali superstiti di Perdicca che ancora erano attivi in Asia Minore. A cementare quella che di fatto era divenuta una diarchia nella reggenza, provvide il matrimonio di Fila, figlia di Antipatro rimasta vedova per la morte di Cratero, con Demetrio figlio di Antigono, un adolescente, di carattere focoso, che si mostrò piuttosto riluttante a convenire a nozze con una donna molto più anziana di lui. Cassandro fu nominato chiliarco di Antigono.

Per la nuova ripartizione delle satrapie seguiamo Diodoro (libro XVIII 39,5)
"….assegnò a Tolemeo quella che già aveva precedentemente; non era infatti possibile trasferire costui altrove, poiché sembrava che l’Egitto gli spettasse di diritto per le sue doti personali, proprio come se l’avesse conquistato con le armi . Diede la Siria a Laomedonte di Mitilene , la Cilicia a Filosseno; delle satrapie settentrionali, la Mesopotamia e l’Arbelitide ad Anfimaco, la Babilonia a Seleuco, la Susiana ad Antigene, per il fatto che costui per primo aveva assalito Perdicca, la Perside a Peuceste, la Carmania a Tlepolemo, la media a Pitone, la Partia a Filippo, l’Aria e la Drangiana a Stasandro di Cipro, la battriana e la Sogdiana a Stasanore di Soli, che era originario di quella stessa isola. Assegnò la Parapotamia a Oxiarte, padre di Rossane, la sposa di Alessandro; i territori indiani confinanti con la Paropanisade a Pitone figlio di Agenore; dei due regni che seguono assegnò a Poro quello bagnato dal fiume Indo e quello lungo l’idaspe a Taxila (non era infatti possibile spostare questi Re senza l’intervento dell’esercito regio e di un valente comandante. Delle satrapie situate a nord assegnò la Cappadocia a Nicanore, la Grande Frigia e la Licia ad Antigono come già prima, la Caria ad Asandro, la Lidia a Clito, la Frigia Ellespontina ad Arrideo.
Un nuovo gruppo di guardie del corpo fu creato intorno ai re. Tra di loro spiccavano Autodico, fratello di Lisiamaco, Aminta, fratello di Peuceste, Alessandro figlio di Poliperconte e Tolemeo nipote di Antigono. Arriano aggiunge che ad Antigene furono assegnati 3000 argiraspidi, scelti tra i più turbolenti macedoni tra quelli che si erano ammutinati. Unico scopo del reggente era di levarseli di torno mandandoli a fare da guarnigione nella remota satrapia asiatica.

LA LIQUIDAZIONE DELLA FAZIONE DI PERDICCA (320-319)

Antipatro non ebbe un percorso tranquillo verso l’Ellesponto: a Sardi un suo scontro con Eumene fu scongiurato da Cleopatra, che convinse l’esautorato satrapo a ritirarsi e ad evitare un nuovo bagno di sangue. Più a sud Alceta e Attalo sconfissero Asandro e si diedero a razziare le coste licie cercando di prendere Cnido, Cauno e Rodi, ma furono respinti dai Rodiesi e poi sconfitti in una battaglia navale al largo di Cipro dall’ammiraglio Clito. Nello stesso tempo Cassandro e Antigono non avevano trovato un minimo accordo sulla condotta delle operazioni, e il secondo aveva abbandonato il suo posto, per raggiungere il padre e muovere pesanti accuse allo stratego d’Asia. Antigono dovette raggiungere Antipatro, in Frigia Ellespontina, e giustificarsi dalle accuse.

Venne allora fatto un nuovo accordo, che modificava le risoluzioni di Triparadiso: i due Re avrebbero seguito Antipatro in Europa, e Cassandro non avrebbe più servito nell’esercito di Antigono a cui, in compenso, furono ceduti altri 8500 fanti macedoni, un migliaio di cavalieri e 70 elefanti. I soldati al seguito di Antipatro erano ancora scontenti del trattamento economico e si ribellarono nuovamente, mentre aspettavano di transitare dai Dardanelli, ma l’anziano reggente riuscì a calmare da sé il tumulto e a portarli in Europa senza altri danni.

Nell’anno 319, con l’esercito reale a disposizione, Antigono partì per la sua campagna contro gli ufficiali di Perdicca. Fu ben agevolato dalle loro rivalità interne che gli consentirono di affrontarli separatamente. Nella Primavera del 319 sconfisse Eumene ad Orcini, e lo costrinse a rifugiò nella fortezza di Nora in Cappadocia dove fu posto sotto stretto assedio. Qualche mese più tardi Antigono, il cui esercito era stato tinforzato dalle truppe di Eumene passate a lui, sconfisse Alceta, Attalo e gli altri ufficiali di Perdicca a Cretopoli in Frigia. Il primo scappò a Termesso, dove si suicidò prima di essere consegnato al vincitore dagli abitanti della città; gli altri ufficiali furono catturati sul campo di battaglia e rinchiusi in una fortezza, insieme a Docimo, il governatore di Babilonia, che era stato cacciato dalla sua satrapia da Seleuco e si era unito agli altri comandanti, in tempo per finire anch’egli prigioniero di Antigono.

Il partito del reggente dopo due anni di lotta poteva ormai dirsi liquidato, ma dai suoi vincitori sarebbero partite le forze eversive che avrebbero posto fine all’impero. Antipatro non poté fare nulla per opporsi all’imminente dissoluzione, a cui lui stesso aveva in realtà contribuito, assecondando le ambizioni di Antigono, Tolemeo e Pitone. In un ultimo tentativo di salvare per lo meno la corona alla famiglia di Filippo che aveva sempre servito, nominò alla reggenza il suo compagno d’armi Poliperconte e non il figlio Cassandro, che riteneva crudele, ambizioso, incapace di attenersi alla rigida fedeltà alla corona, che si dovette pertanto accontentare della carica di chiliarco al servizio del nuovo reggente. Poi nel 319 si spense all’età di 80 anni.

 


I POLIPERCONTE E CASSANDRO - ANTIGONO ED EUMENE - LA GUERRA CIVILE IN MACEDONIA 318-317 - IL CONFLITTO IN GRECIA 318-317 - LA BATTAGLIA DEL BOSFORO (Estate 317) - EURIDICE DEPONE POLIPERCONTE (estate 317) - IL RITORNO DI OLIMPIADE 317-316 - EUMENE SI RIORGANIZZA 318-317 - LE SATRAPIE SUPERIORI - LA LUNGA CAMPAGNA (primavera 316- inverno 316/315) - LA CADUTA DI OLIMPIADE 315 - L’OPERA DI CASSANDRO IN MACEDONIA E GRECIA (316-315)
POLIPERCONTE E CASSANDRO

Antipatro, scegliendo Poliperconte come successore, aveva creduto di assicurare un valido sostegno alla vacillante dinastia Argeade ancora come quattro anni prima rappresentata da un infante e da un minorato mentale. Poliperconte aveva speso una lunga parte della sua vita al servizio di Filippo e Alessandro, e il raggiungimento dell’età più avanzata non sembrava avergli tolto la competenza militare, come gli Etoli avevano imparato a loro spese. I lunghi anni alle dirette dipendenze dello stratego d’Europa avevano affinato le sue capacità amministrative e gli avevano garantito la stima e il rispetto dei funzionari di corte e dei generali che avevano fatto in tempo a conoscere, tanto la sua abilità che la sua fedeltà alla dinastia.

Cassandro e suo fratello Iolla invece, non avevano ancora mostrato né attitudini militari sul campo, né un attaccamento particolare alla discendenza di Alessandro, e non sembrava che tra la corte o l’esercito fosse particolarmente popolare. Quali che fossero le motivazioni di Antipatro nel fare le sue scelte, il suo gesto di non favorire il figlio creò le premesse per una nuova sedizione. In realtà il reggente aveva sottovalutato sia le capacità diplomatiche del figlio e soprattutto la sua totale mancanza di scrupoli nel perseguire i suoi fini.

Mentre Antipatro era ormai in punto di morte, l’oratore Demade, leader dei filomacedoni ateniesi, dietro pressione del popolo ateniese si era recato alla corte reale per impetrare il ritiro della guarnigione di Munichia. Per sua sfortuna era stata trovata in mezzo al carteggio di Perdicca una sua lettera in cui esortava il reggente a passare in Macedonia e in Ellade che erano, a suo dire, appese ad un filo vecchi e marcio, cioè Antipatro. La prova del tradimento fu subito esibita davanti all’oratore ateniese che venne giustiziato insieme a suo figlio. L’uccisione di Demade aveva privato i Macedoni di un infido ma abile alleato e aveva indirettamente indebolito il loro controllo su Atene. Per fortuna di Cassandro, l’altro capo della fazione oligarchica, Focione, appariva ben disposto nei suoi confronti, e pronto ad accettare il cambio del comandante macedone di stanza a Munichia con Nicanore, un uomo di Cassandro ostile a Poliperconte. Dopo la morte di Antipatro, per un breve lasso di tempo Cassandro affettò amicizia e collaborazione a Poliperconte, ma poi fuggì in Asia presso Antigono. In precedenza si era già alleato a Tolemeo, con cui aveva avuto uno scambio epistolare.

Tanto il satrapo d’Egitto che quello di Frigia prestarono al figlio di Antipatro un aiuto molto interessato: essi lo volevano usare per minare l’autorità di Poliperconte, in modo da impedirgli di contrastare le loro azioni in Asia. Le mire di Tolemeo furono subito chiare quando senza aver ricevuto alcuna provocazione invase la Siria e ne depose il satrapo Laomedonte. Antigono invece agì contro Arrideo e Clito, satrapi della Frigia Ellespontica e della Lidia, avendo come pretesto l’attacco sferrato da Arrideo contro la città libera di Cizico, sul Mar di Marmara. Ben presto la corte Reale ricevette una serie di rapporti allarmati sul subbuglio in Asia e sul fatto che l’autorità del nuovo reggente non si estendeva oltre l’Ellesponto. Poliperconte si trovava in una situazione di grande debolezza perché Cassandro era molto popolare tra le truppe Macedoni di stanza in Grecia e aveva amici nei punti strategici, come Atene. Inoltre se si alleava con Antigono poteva avere tutto il supporto del formidabile esercito raccolto dallo stratego d’Asia, che , una volta incorporate le truppe dei Perdiccani, assommava a 60000 uomini.



ANTIGONO ED EUMENE

Per fermare Antigono, Poliperconte non poteva fare altro che appellarsi all’ultimo superstite dei suoi nemici: Eumene. L’ex segretario di Alessandro aveva languito per oltre un anno nella fortezza di Nora, finché non era venuto a patti con Antigono.

Secondo Plutarco Vita di Eumene 12

“Antigono abbracciò nei suoi piani la conquista di tutto l’impero. In tale impresa desiderò avere amico e collaboratore Eumene. Gli mandò pertanto Ieronimo con proposte di pace e sottopose alla sua approvazione una formula di giuramento che avrebbero dovuto scambiarsi per sanzionare la propria amicizia. Eumene la corresse, e si affidò al giudizio dei Macedoni che lo tenevano assediato: la forma che fosse sembrata più giusta a loro, egli l’avrebbe accettata. Nel testo proposto da Antigono, dopo una menzione formale dei re all’inizio, per il resto era a lui che Eumene avrebbe giurato fedeltà. Eumene invece, oltre ad aver scritto in testa alla formula del giuramento il nome di Olimpiade e dei re, s’impegnava a sostenere non soltanto Antigono, e ad essere amico e nemico, non solo degli amici e nemici di Antigono, ma pure di Olimpiade e dei re. Questa formula parve più giusta. I Macedoni fecero giurare Eumene in questi termini e tolsero l’assedio. Inviarono il testo anche ad Antigono, affinchè egli pure prestasse giuramento in favore di Eumene.“

Naturalmente Antigono aveva capito benissimo dove Eumene voleva andare a parare con l’insistente menzione di Olimpiade e dei Re nel giuramento. Giurando in questi termini, se lo stratego d’Asia fosse entrato in conflitto con costoro (e di fatto lo era già poiché attaccando Arrideo e Clito si era ribellato apertamente), Eumene non era tenuto a rispettare il giuramento, anzi era autorizzato a combatterlo. Pertanto Antigono, dopo aver rimproverato i suoi uomini per aver commesso la leggerezza di accettare il giuramento modificato, comandò loro di stringere nuovamente l’assedio a Nora; ma era ormai troppo tardi, perché Eumene era già uscito e stava velocemente raccogliendo un esercito da utilizzare contro lo stratego d’Asia.

LA GUERRA CIVILE IN MACEDONIA 318-317

Eumene aveva fatto menzione di Olimpiade nel giuramenti perché la madre di Alessandro era pienamente rientrata nel gioco politico, aiutata da Poliperconte che l’aveva richiamata dall’Epiro. La regina per il momento non andò a raggiungere la corte, ma iniziò ad appoggiare Poliperconte avviando un carteggio con Eumene e gli altri governatori. Il successore di Antipatro, preso atto della fuga di Cassandro e del formarsi di una coalizione ostile contro di lui, aveva cercato di formare un’alleanza il più estesa possibile per combatterla. Arrideo, Clito ed Eumene erano pronti a sostenerlo: Eumene aveva già ricevuto lettere sia da Poliperconte che da Olimpiade, che lo autorizzavano a combattere Antigono; la satrapia di Cappadocia gli veniva restituita e insieme ad essa la strategia sull’Asia, dalla quale veniva destituito Antigono.

Antigono naturalmente riconobbe di nessun valore l’autorità del successore di Antipatro, perché non era stato eletto dall’esercito macedone riunito e pertanto usurpava la reggenza. Il problema di Poliperconte consisteva nella fedeltà dei Macedoni lasciati nelle guarnigioni in Ellade che, insieme ai regimi oligarchici che sostenevano, parteggiavano tutti per Cassandro. Tramite un calcolo molto semplice Poliperconte decise che i nemici dei suoi nemici erano suoi amici e incoraggiò le fazioni democratiche (e antimacedoni) alla rivolta, ergendosi a campione della libertà greca.

L’editto da lui emesso, e che ci è stato tramandato da Diodoro, si compone dei seguenti punti: la revoca delle decisioni limitative della libertà e autonomia prese all’indomani dell’esito della guerra lamiaca, il ritorno degli esuli che, evidentemente, ancora non erano rientrati dopo il precedente decreto di Alessandro, ad eccezione dei soliti casi di coloro che avevano commesso sacrilegio, crimini di sangue o che appartenevano ad alcune poleis specificamente elencate;
Questa decisione incongrua con la politica fin lì seguita da Antipatro, di favorire le oligarchie e tenere sottomesse le città greche con la forza, generò una generale ondata di simpatie per il nuovo reggente, ma ben pochi vantaggi militari.

IL CONFLITTO IN GRECIA 318-317

Poliperconte nel suo proclama aveva inserito una clausola a favore degli Ateniesi in cui prometteva loro il reintegro dei loro possessi nell’isola di Samo, perduti a seguito della sconfitta nella guerra lamiaca. Costoro seguivano con molta attenzione l’evolversi della situazione, ma erano d’altronde preoccupati dai maneggi di Cassandro e del suo luogotenente Nicanore che, già possedendo una posizione di forza nel colle di Munichia, si impadronì anche del porto del Pireo, con la benevola connivenza di Focione. Gli Ateniesi, messi alle strette cercarono di accordarsi con Nicanore, che li rimandò a trattare direttamente con Cassandro: essi invece andarono a Pella per ottenere che Poliperconte prestasse loro soccorso applicando nei fatti l’editto di autonomia. Trovarono subito l’appoggio di Olimpiade che spedì una lettera a Nicanore in cui gli ordinava di restituire Piero e Munichia agli Ateniesi.

Messo alle strette, dato che Cassandro non si faceva vedere, Nicanore promise di restituire le due posizioni, ma continuò a tergiversare sui tempi e modi dell’evacuazione. Poliperconte mandò un esercito in Attica alla guida del figlio Alessandro; il suo arrivo diede coraggio ai democratici ateniesi guidati da Agnonide: in una concitata assemblea i magistrati in carica furono deposti e Focione, accusato di tradimento per avere coperto le azioni di Nicanore, si rifugiò proprio presso Alessandro a cui aveva promesso di collaborare. Alessandro lo mandò a suo padre, che a sua volta non ebbe remore a consegnarlo ai suoi nuovi alleati democratici, che infatti lo condannarono a morte insieme a molti altri filomacedoni che non avevano fatto in tempo a rifugiarsi presso Cassandro. Ma non erano più le decisioni dell’assemblea e le sentenze dei tribunali a decidere del destino della città, ma le flotte e gli eserciti. Cassandro si presentò davanti al Pireo con 35 navi e 4000 uomini forniti da Antigono e subito Nicanore gli aprì le porte.

Poliperconte non poteva rimanere inerte di fronte alla sfida lanciatagli da Cassandro e dalla Focide, dove si trovava insieme ai re, raggiunse tosto l’Attica con un esercito di 5 volte superiore a quello del rivale. Cassandro aveva già iniziato a intessere una fitta rete di contatti diplomatici con le città del Peloponneso per farle passare dalla propria parte, e Poliperconte doveva agire con rapidità per stornare la minaccia di una sollevazione della regione. Dopo avere lasciato parte dell’esercito sotto Alessandro ad assediare Munichia e il Pireo calò col contingente più grosso nel Peloponneso: convocata un’assemblea dei rappresentanti delle città, comunicò l’ordine di uccidere tutti coloro che avevano ricoperto delle cariche di governo sotto Antipatro, vale a dire tutti i rappresentanti dell’oligarchia.

Un po’ dappertutto scoppiarono dei conflitti intestini e delle purghe a danno degli oligarchi che vennero cacciati e uccisi, eccetto che a Megalopoli, che si mantenne fedele a Cassandro. Poliperconte strinse delle alleanze con i governi democratici appena installati, ma volle impegnarsi a fondo nella conquista di Megalopoli, per togliere a Cassandro l’unica città alleata. Le cose sembravano mettersi bene per il reggente che era anche riuscito a rintuzzare un attacco di Cassandro contro l’isola di Salamina; ma tale successo fu abbondantemente controbilanciato dalla disfatta in cui incorse l’esercito reale nel tentativo di impadronirsi di Megalopoli. Respinto dalla città con gravi perdite in uomini ed elefanti Poliperconte vide rapidamente crollare il proprio prestigio nel Peloponneso e le città greche passare nuovamente a Cassandro.

LA BATTAGLIA DEL BOSFORO (Estate 317)

Mentre in Grecia divampava la lotta in Attica e nel Peloponneso, e in oriente Eumene raccoglieva lentamente un esercito per conto del Re, un terzo fronte nevralgico era costituito dalla zona degli stretti, il cui controllo era indispensabile per Poliperconte per potere mantenere i contatti con Eumene, per impedire il passaggio degli eserciti nemici dall’Asia all’Europa e per dare una mano ad Arrideo, governatore della Frigia Ellespontica a riconquistare la sua satrapia. La flotta reale, affidata al valente Clito che aveva abbattuto la potenza ateniese ad Amorgo, prese posizione davanti a Calcedonia. Antigono richiamò Nicanore dal Pireo, unì la sua flotta a quella a sua disposizione e lo mandò ad affrontare Clito. Ma nello scontro che seguì l’armata di Antigono subì una disfatta in cui vennero perdute 57 navi di cui 40 catturate con tutto l’equipaggio.

Clito, dopo una così grande vittoria pensava che i nemici non avrebbero più osato scendere in mare, e allentò colpevolmente la sorveglianza della flotta. Antigono prese subito in mano la situazione e seppe rimediare allo smacco del suo subordinato: per supplire alla carenza di navi da battaglia dovuta alle precedenti perdite, racimolò delle navi da trasporto su cui caricò arcieri, frombolieri ed altri armati alla leggera. Sbarcati di notte sulla costa Tracia vicino a Bisanzio, i soldati diedero l’assalto all’accampamento dei marinai di Clito, mentre la piccola flotta da guerra di Antigono, all’alba attaccò gli avversari. Presi in mezzo dal duplice attacco anfibio gli uomini di Clito si sbandarono, quelli che riuscirono ad imbarcarsi sulle navi, sfuggendo all’attacco terrestre vennero affrontati e dispersi dalle navi di Antigono. L’intera flotta reale fu così annientata e Clito da solo cercò di fuggire in Macedonia: non riuscì nemmeno ad avvicinarsi alla sua meta perché venne ucciso da alcuni soldati di Lisimaco in cui si era imbattuto. Per fortuna di Poliperconte Antigono non fece sbarcare il suo esercito in Europa ma preferì dirigersi contro Eumene.

EURIDICE DEPONE POLIPERCONTE (estate 317)

La sconfitta delle forze di poliperconte per terra e per mare e la fame conseguente all’occupazione del Pireo da parte dei Macedoni, convinse gli Ateniesi a negoziare con Cassandro: questi concesse loro il reintegro territoriale e il Pireo, ma continuò a tenere Munichia. A dirigere la città fu chiamato Demetrio Falereo, già uomo di spicco del gruppo dirigente di Focione che per dieci anni avrebbe rivestito un potere tirannico in Atene, restaurando lo stato oligarchico che gli Ateniesi avevano sperato di abbattere uccidendo Focione. D’ora in avanti i poteri politici e la piena cittadinanza sarebbero stati riservati a coloro che possedevano un censo di almeno dieci mine. Nicanore l’ammiraglio di Cassandro ebbe il suo momento di gloria sfilando al Pireo con la flotta adorna dei rostri delle navi avversarie, ma cadde ben presto in disgrazia presso il suo signore che lo tolse di mezzo senza troppi complimenti. Poliperconte, continuando a mal gestire le proprie risorse dovette fronteggiare una rivolta dei propri ufficiali in Macedonia. Questi erano stati sobillati da Euridice: la giovane consorte di Filippo Arrideo aveva da sempre tentato di ascendere alla reggenza, e, vista l’opportunità offerta dal discredito in cui era caduto Poliperconte, ne trasse subito profitto, ordinandogli di deporre la carica e di consegnare l’esercito a Cassandro che venne eletto primo ministro di Re Filippo. Cassandro con una spedizione lampo raggiunse la Macedonia, lasciò in compagnia della regina una congrua scorta al comando del fratello Nicanore e infine ritornò in Peolponneso a combattere contro le forze fedeli a Poliperconte che, sotto la guida del figlio Alessandro, si erano arroccate a Tegea.

IL RITORNO DI OLIMPIADE 317-316

Poliperconte, incalzato da presso in Peloponneso, deposto in Macedonia, e senza possibilità di ricevere aiuti dall’Asia era in una situazione senza uscita; si rivolse allora ad Olimpiade che, pur collaborando con lui era finora rimasta in Epiro presso il cugino Eacide. La regina madre, preoccupata per le sorti del nipote Alessandro, che sicuramente sarebbe stato messo da parte, se non ucciso da Euridice, con un esercito costituito da contingenti Epiroti e da uomini forniti da Poliperconte invase la Macedonia, occupò senza colpo ferire la capitale e riportò sul trono Alessandro IV. Presso Evia si venne allo scontro contro le forze di Filippo ed Euridice, ma i Macedoni, non appena riconobbero la veneranda madre di Alessandro tra le truppe epirote, rifiutarono di combattere. Uno dopo l’altro Filippo ed Euridice vennero catturati e portati da Olimpiade, che, dopo averli sottoposti per giorni a torture fisiche e psicologiche, li fece trucidare. Seguì una purga di proporzioni massicce in cui trovarono la morte Nicanore, fratello di Cassandro e un centinaio di sostenitori di quest’ultimo. Olimpiade aveva mostrato una barbarie ed una spietatezza ben superiori a quanto i pur feroci Macedoni erano abituati, e alle simpatie di cui finora aveva goduto, subentrò una irriducibile ostilità. Alessandro IV era stato proclamato unico re, e venne battuta moneta in suo nome, ma il nuovo riassetto del regno sarebbe durato solo fino al ritorno di Cassandro.

EUMENE SI RIORGANIZZA 318-317

E’ necessario spostarsi ora sulla scena asiatica, dove importanti eventi stavano avendo luogo.
Dopo la “deposizione” di Antigono da parte di Poliperconte, Eumene era stato creato al suo posto stratego d’Asia, ed era stato scritto ai satrapi di dargli ogni appoggio. Il cardiano spese parecchi mesi a raccoglier un nucleo di truppe fedeli nella Cappadocia; quando esse assommarono a 2000 cavalieri e 500 fanti, partì dalla Cappadocia alla fine del 318 o all’inizio del 317 raggiunse la Cilicia.Qui incontrò Antigene, satrapo di Susiana che gli portò un rinforzo considerevole di ben 3000 argiraspidi, i veterani di Alessandro così chiamati per i loro scudi argentati. I nuovi alleati mostrarono subito una forte riottosità a porsi sotto il comando di Eumene, che era greco, appena scampato ad una condanna a morte inflittagli dall’unica assemblea macedone universalmente riconosciuta e investito di poteri da un’autorità più che dubbia. L’ingegnoso cardiano dovette far mostra di tutto il proprio carisma e personalità, e sfruttò appieno la superstizione dei Macedoni e l’adorazione che ancora provavano per Alessandro Magno.

Secondo Plutarco:
"Antigene e Teutamo, che comandavano il corpo degli Argiraspidi… in apparenza accolsero Eumene con grande cordialità, ma si palesarono poi traboccanti di gelosia verso di lui e litigiosi, ritenendo di essere superiori, e non inferiori ad Eumene. Eumene…per combatere la litigiosità e l’alterigia che li eccitava…ricorse alla superstizione. Raccontò loro che gli era apparso in sogno Alessandro e gli aveva mostrato una tenda addobbata lussuosamente come quella di un re, che conteneva un trono. Se si fossero riuniti là dentro – gli aveva detto- a discutere i loro affari, vi si sarebbe trovato anche lui e li avrebbe assistiti in tutte le decisioni e le imprese che avessero iniziato in suo nome. Antigene e Teutamo credettero senza difficoltà al racconto di Eumene. Siccome né essi volevano recarsi da lui, né lui riteneva dignitoso farsi vedere alla porta di altri, fecero erigere una tenda sfarzosa quanto quella di un re, vi collocarono un trono, che riservarono ad Alessandro, e s’incontrarono là dentro a discutere gli affari di maggiore importanza".

Grazie alle lettere di Olimpiade e Poliperconte Eumene si fece consegnare dalla guarnigione macedone di Kinda in Cilicia, il tesoro reale ivi custodito, col quale riuscì ad aggiungere alle truppe che aveva con sé altri 10000 fanti e 2000 cavalieri. Ancora una volta i diadochi coalizzati cercarono di staccare da Eumene le truppe macedoni, ma tanto i tentativi di Tolemeo, che quelli di Filota, mandato da Antigono, fallirono miseramente. Nella Primavera del 317 Eumene mosse l’esercito verso la Fenicia, che Tolemeo non cercò nemmeno di difendere, ed iniziò a raccogliere una flotta per andare in aiuto di quella di Poliperconte. Le navi così allestite, al comando dell’ammiraglio Sosigene vennero spedite a dare una mano a Clito, l’ammiraglio di Poliperconte. Ma arrivarono troppo tardi: la battaglia del Bosforo si era già conclusa con la schiacciante vittoria di Antigono e la flotta antigonide era pronta ad affrontare lo sparuto rincalzo di Sosigene. Non ci fu nemmeno bisogno di combattere: quando le flotte si incontrarono all’altezza di Rosos in Cilicia, le navi fenicie, vedendo quelle avversarie inghirlandate per la vittoria precedente, cambiarono subito bandiera, mentre l’ammiraglio di Eumene scappò per sparire dalla scena.

LE SATRAPIE SUPERIORI

Fresco della vittoria ottenuta per mare Antigono decise finalmente di regolare i conti con Eumene prima che questi si rinforzasse troppo. 20000 fanti e 4000 cavalieri furono il quantitativo di truppe che venne ritenuto sufficiente al bisogno. Le forze riunite di Eumene e Antigene, nonostante tutte le campagne d’arruolamento contavano a malapena 15000 fanti e 3000 cavalieri; ragione sufficiente perché il cardiano non tentasse neppure di sbarrare la strada al suo avversario, ma uscisse dalla Siria per andare verso est. Il calcolo era molto semplice: raggiungere le satrapie superiori per ottenere la collaborazione dei satrapi locali e raccogliere con il loro apporto un esercito sufficiente per dare battaglia ad Antigono. Il clima politico nelle regioni orientali era a dir poco infuocato. Alla morte del reggente Antipatro, Pitone satrapo di Media, aveva deciso di imitare l’esempio di Tolemeo e Antigono estendendo il proprio dominio a spese dei vicini. Con la connivenza di Seleuco, con cui era in rapporti di amicizia almeno fin dal tempo in cui avevano militato sotto Perdicca, iniziò una politica di intrighi, fece assassinare il satrapo di Partia, Filippo, ed insediò al suo posto il fratello Eudamo, senza chiedere il permesso né ai Re né ad Antigono.

La latitanza di un potere centrale, ridotto all’impotenza dalla lotta civile, non aveva impedito agli altri satrapi di coalizzarsi per fermare Pitone. Peuceste, governatore di Persia guidava una coalizione che schierava, Tlepolemo dalla Carmania, Siburzio dall’Aracosia, Stasandro dall’Aria e dalla Drangiana, mentre il governatore della Paropanisiade, Oxiarte aveva mandato un suo ufficiale, Artabazo. Infine dall’India era giunto un certo Eudamo, che aveva assassinato il re Poro, l’antico rivale di Alessandro per prenderne la satrapia. Il suo apporto era fondamentale perché aveva portato ben 120 elefanti indiani, di quella stessa razza che tanti dispiaceri aveva dato all’esercito macedone nella battaglia dell’Idaspe.

Pitone non poteva resistere di fronte ad una coalizione così formidabile: sconfitto in una battaglia che si combatté in una località sconosciuta della Partia, dovette fuggire presso Seleuco a Babilonia, mentre i satrapi alleati, per non diventare a loro volta aggressori non entrarono in Media, mantenendo tuttavia uniti i propri eserciti, anche perché la guerra che divampava in occidente si faceva sempre più vicina. Eumene dopo aver valicato l’Eufrate entrò nella satrapia della Mesopotamia, dove ricevette l’appoggio del governatore Anfimaco; si diresse dapprima a est verso il Tigri, poi a sud, svernando nella Mesopotamia meridionale in una regione abitata da contadini originari della Caria.

Seleuco e Pitone disponevano di qualche migliaio di uomini in Babilonia, i satrapi alleati di quasi 20000: chi fosse riuscito a farseli alleati avrebbe chiaramente acquistato un vantaggio decisivo, nei confronti dell’avversario, perciò iniziò un complesso gioco diplomatico fra tutte le parti in causa. Eumene tentò dapprima di convincere Pitone e Seleuco di combattere dalla parte dei re e di Poliperconte contro Antigono, ma i due diadochi erano stati gli assassini di Perdicca e i più intransigenti nel chiedere la condanna a morte di Eumene a Triparadiso -condanna da cui dipendeva la legittimità della loro successiva condotta- perciò fecero sapere tramite ambasciatori che pur accettando di servire i re contro Antigono non si sarebbero mai posti agli ordini di un condannato a morte. Seleuco e Pitone non si contentarono di un diniego a collaborare, ma cercarono tramite ambasciatori e con un intervento personale di sabotare la fedeltà dei Macedoni ad Eumene, e come tutti gli altri che avevano provato prima di loro, fallirono nell’intento. Eumene si era portato ormai a soli cinquanta chilometri da Babilonia ed era accampato lungo il fiume Tigri. Aveva intenzione di giungere fino a Susa, dove si sarebbe incontrato con Peuceste e gli altri alleati.

La Susiana era anche la satrapia di Antigene, che militava già nel suo esercito e al suo interno si trovava il ricco tesoro reale custodito gelosamente dagli ufficiali di Antigene. Il guado del Tigri fu conteso fino all’ultimo da Seleuco: dovendo affrontare un esercito completo dotato solo di uno scarso contingente di cavalleria, mise tuttavia in grande difficoltà gli avversari facendone inondare l’accampamento con le acque di un canale inutilizzato di cui aveva fatto aprire le ostruzioni; Eumene riuscì a rimediare alla difficoltà dei suoi uomini facendo approntare trecento zattere per mezzo delle quali il suo esercito poté raggiungere la sponda orientale del Tigri e dirigersi verso la Susiana. Seleuco e Pitone mandarono dei corrieri ad Antigono pregandolo di intervenire; il suo esercito aveva svernato nel nord della Mesopotamia e lui stesso era rimasto inattivo dinanzi al gioco diplomatico che si era svolto. Senza alcun impedimento allora Eumene si incontrò con l’esercito di Peuceste e degli altri satrapi a Susa e, con un altro piccolo capolavoro di strategia, se ne facesse assumere il comando, pur mantenendo le apparenze di una direzione collegiale.

LA LUNGA CAMPAGNA (primavera 316- inverno 316/315)

Con l’inizio della stagione primaverile del 316 Antigono mosse verso la Susiana. Lungo la strada si unirono a lui Seleuco e Pitone, che lo aiutarono nell’attraversamento del Tigri. Eumene non stette ad aspettarlo, ma, dopo avere lasciato una guarnigione a Susa, al comando di Xenofilo, si diresse in Persia, varcò il fiume Pasitigri e lasciò un distaccamento in agguato sulle sponde per contrastare il passaggio dei nemici. Antigono, ebbe un facile cammino fino a Susa, che gli aprì le porte, ma non gli riuscì di convincere Xenofilo a consegnare la rocca e il tesoro reale ivi custodito. Per averne ragione lasciò Seleuco ad assediare l’ufficiale di Eumene, e gli conferì la nomina provvisoria di satrapo di Susiana. Poi si diresse verso il fiume Coprate, tributario del Pasitigri verso la fine del Luglio 316. Non appena i suoi reparti d’avanguardia ebbero posto piede con difficoltà sull’altra sponda, vennero attaccati e sopraffatti dagli uomini di Eumene che si erano posti in agguato sull’altra riva.

Il fallimento dell’attacco diretto spinse Antigono a cercare un passaggio più a nord superando la catena montuosa dei monti Zagros per raggiungere Ecbatana in Media dove un altro tesoro reale era custodito e dove avrebbe potuto trovare nuovi rinforzi di uomini. Il popolo dei Cossei, attaccato ma non sterminato da Alessandro nel 324, gli chiese un pedaggio per passare attraverso i passi da loro custoditi: Antigono rifiutò e dovette subire i loro incessanti attacchi che causarono gravi perdite all’esercito. Dopo altri nove giorni di penose avanzate attraverso quelle terre aride l’esercito esausto giunse ad Ecbatana dove godette del meritato riposo, mentre Antigono raccoglieva altri 500 talenti d’argento per pagare i suoi soldati e i nuovi rinforzi di cavalleria procurati da Pitone. Eumene intanto raggiunse Persepoli dove dovette affrontare la solita crisi di comando, dal momento che Peuceste, che aveva fornito il contingente più cospicuo, voleva detenere il comando. Con il solito dosaggio di astuzia e forza, Eumene riuscì a mantenere le redini dell’armata, che rimase tuttavia in ozio proprio nel periodo in cui Antigono era vulnerabile, e si mosse soltanto quando il loro avversario era ormai pronto per riprendere la lotta.

I due eserciti si scontrarono in Paretacene, una regione ai confini tra la Media e la Persia, in una battaglia che ci si aspettava fosse decisiva. L’ala destra di Eumene ebbe facilmente il sopravvento sull’ala sinistra di Antigono che era guidata da Pitone e le truppe scelte degli argiraspidi ebbero ugualmente ragione dei fanti avversari. Proprio mentre il suo esercito stava cedendo alla pressione, Antigono con una mossa indovinata attaccò nel punto di giunzione tra il centro avversario che nella foga dell’inseguimento si era spinto troppo avanti, e l’ala sinistra guidata da Eudamo, che era rimasta pericolosamente scoperta, mettendo in rotta in quel settore gli avversari. Eumene dovette richiamare le truppe che aveva lanciato all’inseguimento dei nemici sconfitti per salvare Eudamo e perse un’occasione per debellare Antigono una volta per tutte. La notte sorprese i due eserciti abbarbicati l’uno all’altro, ma fu quello dei satrapi il primo a ritirarsi, lasciando il campo e la vittoria ad Antigono.

Si era trattato in realtà di una vittoria di Pirro perché le perdite del Monoftalmo erano superiori a quelle di Eumene (che lo fece accusare di avere volutamente nascosto la loro gravità facendo seppellire di nascosto la maggior parte dei caduti prima del “conteggio” ufficiale). Entrambi i contendenti tuttavia sembravano averne abbastanza delle operazioni militari per quell’anno e si ritirarono nei loro quartieri invernali; Antigono a Gadamarta in Media ed Eumene in Gabiene.

Antigono sperava ancora di chiudere la partita prima della primavera successiva, e dal momento che l’esercito di Eumene era stato disperso in più acquartieramenti, contava di sorprenderli con un attacco a sorpresa prima che potessero essere riuniti. L’impresa che avrebbe visto l’esercito del monoftalmo passare in soli nove giorni attraverso molte miglia di territorio desertico per raggiungere la Gabiene, non riuscì perché alcuni soldati, disobbedendo ad un esplicito ordine, accesero un fuoco per ripararsi dal freddo inclemente, rivelando così la loro presenza ai nemici.

Eumene colse l’occasione per ingaggiare battaglia: aveva una netta superiorità sul nemico come fanteria, compensata parzialmente dall’inferiorità nella cavalleria :9000 e 6000. Il terreno scelto era una piana brulla e polverosa, una ideale piazza d’armi. Ancora una volta gli argiraspidi di Eumene sfondarono al centro, ma Antigono, con al suo fianco per la prima volta il figlio Demetrio, caricò vittoriosamente la cavalleria di Peuceste che venne messa in rotta. Il campo dei satrapi fu espugnato da un contingente di Medi e Tarantini, mandati da Antigono, che nella confusione della battaglia (come ad Arbela si era alzato un nugolo di polvere che impediva la visibilità) portarono via tutti i bagagli e le mogli degli argiraspidi.

Così, mentre Eumene dibatteva con gli altri satrapi sull’opportunità di rinnovare lo scontro o ritirarsi nelle satrapie superiori, i suoi soldati man mano disertarono ad Antigono, seguiti da Peuceste con tutto il suo seguito. Chi, come Tlepolemo satrapo di Carmania, non fu lesto ad allontanarsi, venne catturato e consegnato ad Antigono. Eumene, Antigene ed Eudamo vennero giustiziati dal Monocolo, la cui non grande pazienza e pietà era stata esaurita dalla logorante campagna. Al comandante degli Argiraspidi fu riservato un trattamento speciale poiché fu bruciato vivo, un gesto brutale piuttosto raro in quel pur violento periodo e di cui non ci sono date spiegazioni nelle fonti. Antigono invece avrebbe avuto qualche scrupolo a fare uccidere Eumene, ma i Macedoni al suo seguito furono irremovibili. Eumene pagò a caro prezzo la sua ambizione e l’attaccamento ad una causa ormai perduta, nonché la sua incapacità a tenere veramente fedeli a sé degli uomini pronti a tradirlo al primo colpo di vento contrario.

LA CADUTA DI OLIMPIADE 315

Mentre in Asia si concludeva la lunga lotta tra Eumene e Antigono, in Europa Olimpiade era rimasta apparentemente padrona del campo in Macedonia, ma l’eliminazione di Filippo ed Euridice aveva creato un grave malcontento tra i Macedoni, e la reazione di Cassandro non si era fatta attendere. Impegnato nell’assedio di Tegea nel Peloponneso, abbandonò l’azione quando gli giunsero le notizie da Pella; la coalizione a cui faceva capo Olimpiade contava un esercito nel Peloponneso al comando di Alessandro, figlio di Poliperconte, di un secondo contingente nella regione della Perrebia (tra la Macedonia e la Tessaglia), a cui capo era Poliperconte stesso, e sulle truppe alleate degli Epiroti di Eacide e degli Etoli. Questi ultimi bloccarono la marcia di Cassandro verso il nord occupando le Termopili, ma il figlio di Antipatro aggirò la loro posizione e, per mezzo di imbarcazioni e zattere che aveva requisito dalla Locride e dall’Eubea, trasferì il suo esercito in Tessaglia. Mandò un distaccamento a tenere impegnato Poliperconte in Perrebia, mentre col resto delle truppe marciò verso la Macedonia.

Poliperconte non riuscì ad arrestare la marcia di Cassandro in quanto si trovava a corto di fondi e con le truppe in tumulto. Costoro aderirono ben presto alla causa di Cassandro quando questi promise loro un soldo migliore. Giunto incontrastato in Macedonia Cassandro trovò che Olimpiade insieme ad Alessandro, sua madre Rossane e il resto della corte si era chiusa in Pidna che essendo sul mare poteva essere soccorsa da una flotta qualora Poliperconte si fosse deciso a mandarla. Monimo e Aristonoo, due generali fedeli alla regina si chiusero a loro volta in Pella e Anfipoli, sperando in un soccorso esterno che non arrivò mai. Eacide tentò di attaccare Cassandro, ma trovò bloccati i passi che dall’Epiro conducevano in Macedonia. Il suo esercito fu percorso da tumulti perché l’oro sparso a piene mani da Cassandro aveva seminato la corruzione anche tra i sudditi del re dell’Epiro che scatenarono una rivoluzione, lo dichiararono decaduto dal trono e si appellarono a Cassandro perché mandasse loro un governatore. I rifugiati di Pidna rimasero così senza possibilità di aiuto. L’assedio si protrasse per parecchi mesi fino alla primavera del 315.

La guarnigione si difese ad oltranza, finché i soldati iniziarono a morire per fame arrivando a cibarsi di cadaveri. Olimpiade tentò la fuga via mare, ma venne intercettata dalle triremi di Cassandro; infine si arrese a condizione che le venisse risparmiata la vita, dando ordine ad Aristonoo e Monimo di consegnare le altre piazzeforti. Ma Cassandro non aveva alcuna intenzione di risparmiarle la vita. Lasciò che i parenti delle vittime che Olimpiade aveva ucciso durante la sua permanenza al potere, le muovessero un’accusa di tradimento, a seguito della quale l’assemblea macedone la condannò a morte. Olimpiade mostrando fino in fondo il suo coraggio e la sua alterigia non si presentò nemmeno al processo protestando che soltanto l’intero esercito macedone (inclusi quindi i contingenti irrimediabilmente sparsi per l’Asia) aveva il potere di giudicarla.

Secondo Diodoro:

"Cassandro, temendo che la moltitudine, ascoltando la regina che si difendeva e ricordando i benefici di Alessandro e Filippo verso tutto il popolo, cambiasse parere, inviò presso di lei duecento soldati scelti tra i più adatti, con l’ordine di eliminarla al più presto. Costoro, fatta irruzione nella casa della regina, quando videro Olimpiade, colpiti dalla maestà di lei se ne andarono senza fare niente; ma i parenti delle persone da lei fatte uccidere, volendo ingraziarsi Cassandro e vendicare i loro morti, uccisero la regina, la quale non compì alcun gesto indegno, né rivolse suppliche femminili. Tale fu dunque la fine di olimpiade che aveva goduto del massimo prestigio fra le persone del suo tempo".

L’OPERA DI CASSANDRO IN MACEDONIA E GRECIA (316-315)

Alla caduta di Olimpiade, Poliperconte, che si trovava bloccato nella città di Azorio in Perrebia, riuscì a svicolare verso l’Etolia, trovandovi l’altro Re senza più regno, Eacide di Epiro. Gli Etoli erano abbastanza bellicosi da poter resistere agli attacchi di Cassandro, ma non potevano far nulla per Poliperconte se non accordargli ospitalità. L’ex reggente aveva finito di ricoprire un ruolo politico di rilievo, anche se sarebbe riuscito a conservare la vita per molti anni.

Cassandro si era impadronito della Macedonia e vi esercitava un potere sovrano, anche se non rivendicò apparentemente altro che il posto di stratego d’Europa che non aveva mai riconosciuto a Poliperconte. Alessandro IV e la madre Rossane furono posti sotto tutela, o meglio segregati ad Anfipoli. Temendo la pubblica opinione per il momento non li fece fuori, ma, secondo le parole di Diodoro, allontanò da Alessandro il seguito di paggi e di tutori e ordinò che venisse educato come un privato qualsiasi. Cercando di imparentarsi con la famiglia reale impalmò una delle figlie superstiti di Filippo, Tessalonice e fece seppellire in modo regale Filippo III ed Euridice ad Ege. La sua politica verso i Greci seguì dove possibile un indirizzo completamente opposto a quella dei suoi grandi predecessori. Filippo aveva devastato le città della Calcidica: egli con gli esuli Potideati e Olinti, edificò la città di Cassandreia sul luogo dove sorgeva Potidea.

Ma la sua creazione più duratura fu la città di Tessalonica (nome che con leggera storpiatura è diventata l’odierna Salonicco), il cui nome fu ovviamente dato in onore della figlia di Filippo. Entrambe le città erano organizzate col sistema greco delle tribù e dei demi, ma, come tutte le altre, non potevano avere una vita politica propria, restando soggette al fondatore. Anche la rifondazione da lui promossa di Tebe in Beozia fu vista come una ripicca verso Alessandro Magno che l’aveva distrutta diciannove anni prima. Gli Ateniesi pagarono il loro debito di gratitudine verso i Tebani ricostruendo parte delle mura, ma la città rimase per molti anni incompleta, nonostante i generosi contributi di altre poleis e dei dinasti.

Ben presto riprese la lotta tra Poliperconte e Cassandro, ma essa si ridusse ad un continuo assedio delle cittadelle dell’uno e dell’altro diadoco nel Peloponneso, che da anni veniva devastato dal passaggio di questi eserciti. La lotta proseguì con fasi alterne nell’Argolide, nell’Arcadia e nella Messenia, ma quello che contava era che Poliperconte e il figlio di costui Alessandro, da avversari per l’egemonia erano passati a fattori di disturbo d’importanza locale. Anche gli Etoli, pur tentando ogni volta di contrastare il passaggio di Cassandro dalle Termopili, sembravano incapaci di impensierirlo. Il nuovo stratego d’Europa dominava quasi incontrastato così come Antigono in Asia.

La grande coalizione tra Cassandro, Antigono e Tolemeo aveva completamente vinto e distrutto il potere centrale rappresentato dalla corte e dai reggenti. Il tentativo di Antipatro di conservare il trono alla famiglia Argeade eleggendo come reggente un uomo ad esso fedele come Poliperconte, era naufragata per le incapacità di quest’ultimo, la carenza di buon senso e moderazione di olimpiade e la mancanza della necessaria autorità sui soldati di Eumene. Dall’altro lato avevano prevalso la capacità di intrigo di Cassandro e la perizia militare di Antigono. Ma la pace per la Grecia era ancora lontana: come già era ccaduto in precedenza gli alleati di oggi si sarebbero trasformati nei più feroci nemici del domani. Antigono, forte delle immense risorse di uomini e materiali provenienti dalla vittoria, si sarebbe gettato in un’avventura che lo avrebbe condotto a quindici anni di lotte incessanti contro i suoi ex alleati per tentare di ricostituire a proprio profitto l’impero di Alessandro.

 

ANTIGONO E SELEUCO (anno 315) - LA GRANDE COALIZIONE CONTRO ANTIGONO (315-314) - IL PROCLAMA DI TIRO (estate 314) - LA NUOVA FLOTTA DI ANTIGONO - LA LOTTA PER LA CARIA (autunno 313- estate 312) - LA SVOLTA (primavera 312) - IL RITORNO DI SELEUCO (estate 312- autunno 311) - LA PACE (autunno 311)

ANTIGONO E SELEUCO (anno 315)


Antigono Monoftalmo, subito dopo la vittoria su Eumene si era trovato a disporre di un esercito in cui erano confluite tanto le sue truppe che quelle dei satrapi; militarmente era l’unica potenza della regione, e la vittoria aveva reso legittimo agli occhi dei satrapi il suo titolo di stratego d’Asia. Poteva eleggere o deporre satrapi a sua volontà e disporre dei tesori in Ectabana e a Susa. Questa situazione, unita al collasso del potere regale in Macedonia, aprì nuove prospettive ad Antigono. Se aspirasse subito ad un potere regale o almeno a sottomettere anche i suoi provvisori alleati (Tolemeo, Cassandro e Seleuco) non è dato di sapere, ma certamente si comportò nelle successive azioni ignorandoli completamente. Antigono riportò l’esercito a Ragae in Media: non era ancora finito l’inverno del 316-315 e le truppe avevano bisogno di riposo.

In Media trovò Pitone, suo alleato nella campagna contro Eumene, ma che ora venne sospettato di intessere intrighi con gli ufficiali dell’esercito per rovesciarlo e prenderne il posto. Antigono simulò amicizia e considerazione per Pitone invitandolo presso di lui con la promessa di conferirgli il comando superiore sulle satrapie Orientali. Pitone cadde nella trappola e invece di dare l’ordine agli ufficiali da lui corrotti di passare all’azione, si recò presso il campo di Antigono dove venne condannato a morte da un tribunale composto da amici e consiglieri di Antigono e giustiziato all’istante. La caduta di Pitone fruttò ad Antigono anche il tesoro di Ecbatana (5000 talenti) e il controllo della strategica satrapia di Media che venne affidata ad un indigeno , Orontobate, affiancato dal macedone Ippostrato come comandante militare (più tardi sarebbero stati rimpiazzati da Nicanore).

Gli ufficiali coinvolti nel complotto di Pitone riuscirono a fuggire e a scatenare una guerriglia che tenne per molto tempo impegnati i due nuovi governatori, ma infine anche questa resistenza venne sedata. Nella Primavera del 315 Antigono si recò in Persia, nella satrapia di Peuceste, dove completò la riorganizzazione delle satrapie superiori. Quasi tutti i satrapi furono lasciati ai loro posti: Tlepolemo in Carmania, Stasanore in Battriana, e Oxiatre, padre di Rossane, in Paropamisiade. Tutti avevano aiutato Eumene, mandandogli truppe, ma furono perdonati per la difficoltà ad intraprendere una campagna contro di loro. Stasandro, satrapo di Aria venne invece sostituito da Evagora, mentre Siburzio, che aveva lasciato Eumene molto tempo prima della battaglia finale, venne confermato a capo dell’Aracosia e gli furono dati in affidamento gli Argiraspidi. Antigono non vedeva l’ora di sbarazzarsi di quest’infido corpo di fanteria che aveva in più occasioni assassinato o consegnato al nemico il proprio comandante; la loro spedizione in Aracosia e la loro estinzione in scaramucce contro i barbari della regione, fu la punizione per avere tradito Eumene di Cardia.

La mossa successiva di Antigono fu la deposizione di Peuceste satrapo di Persia. Egli aveva disertato Eumene dopo la battaglia di Gabiene, ma era rimasto ostile ad Antigono fino ad allora, e , soprattutto poteva disporre di un forte esercito (10000 uomini) e talenti in abbondanza provenienti dalla sua ricca satrapia. Il suo posto fu preso da Asclepiodoro, che, a sottolineare il suo minor potere rispetto al precedente governatore fu nominato ipparco e gli furono dati dei contingenti macedoni di soldati per non dovere più impegnare truppe persiane. Fu probabilmente il congedo forzato dei contingenti indigeni, unito alla popolarità che Peuceste aveva sempre goduto in Persia per avere adottato le usanze e i costumi locali a spingere i Persiani ad una rivolta spontanea: non avrebbero accettato nessun comandante diverso da Peuceste. Antigono represse abbastanza facilmente la rivolta, ma nacque un primo malcontento contro il suo operato.

Di tutti i centri di potere a est dell’Eufrate che potessero potenzialmente dargli fastidio rimaneva solo Seleuco che, come abbiamo detto nel precedente capitolo, era stato lasciato ad assediare l’ufficiale di Eumene Xenofilo a Susa con la carica provvisoria di satrapo di Susiana. Xenofilo, aveva poi capitolato, consegnadogli il tesoro e passando al suo servizio. Seleuco si era così venuto a trovare in possesso di un potere e di una ricchezza derivatagli dalle due ricche satrapie di Babilonia e Susiana almeno paragonabili a quelle di Peuceste. Non fa quindi meraviglia che Antigono cercasse ora di regolare la posizione del satrapo diventato piuttosto scomodo. Mentre muoveva alla volta di Susa Antigono fu raggiunto proprio da Xenofilo presso il fiume Pasitigri. L’ufficiale ora al servizio di Seleuco gli portava tutto il tesoro di Susa che assommava a 20000 talenti, una cifra enorme che testimoniava anche della buona fede del satrapo di Babilonia nel rendere i conti. Senza battere ciglio il Monofltalmo nominò Aspeisas satrapo di Susiana: era nei patti che Seleuco avesse dovuto occupare solo provvisoriamente tale regione, per cui non la sostituzione non dovette apparire uno sgarbo.

Seleuco accolse con grandi feste e ricchi doni lo stratego d’Asia, quando egli giunse finalmente a Babilonia, e per alcuni giorni le cose parvero filare per il verso giusto. Sennonché Antigono era rimasto diffidente, non poteva credere che Seleuco gli avesse consegnato davvero tutto il tesoro di Susa e insidiosamente gli chiese di vedere i conti dell’amministrazione della satrapia. Poteva farlo? Seleuco protestò di non dovere nessun rendiconto per la satrapia di Babilonia, che i Macedoni gli avevano concesso per i benefici da lui resi mentre Alessandro era in vita. Si riferiva evidentemente all’incontro di Triparadiso, l’ultima assemblea macedone legalmente riconosciuta. Naturalmente la base legale delle pretese di Seleuco aveva poco valore dal momento che Antigono poteva levarlo di mezzo in qualsiasi momento, per cui il satrapo di Babilonia decise di fuggire dalla satrapia con soli 50 cavalieri e cercò rifugio presso Tolemeo.

LA GRANDE COALIZIONE CONTRO ANTIGONO (315-314)

Per il momento Antigono approfittò del fatto che senza nessuna resistenza un’altra satrapia aveva capitolato: Pitone di Sind fu nominato satrapo di Babilonia al posto di Seleuco, gli amici di quest’ultimo vennero internati perché non creassero problemi, e l’esercito poté raggiungere la Cilicia per svernarvi: Antigono aveva intanto rastrellato quanto rimaneva del tesoro di Kinda, da cui già Eumene aveva prelevato ingenti somme durante il suo passaggio. Mentre era in Cilicia ebbe la sgradita sorpresa di trovare un’ambasceria congiunta di Tolemeo, Cassandro e Lisimaco, con in mano un ultimatum. Gli effetti nefasti della fuga di Seleuco si erano subito manifestati: l’ex satrapo di Babilonia era riuscito a convincere Tolemeo della pericolosità di Antigono, e Tolemeo aveva mandato a sua volta degli inviati a Cassandro e Lisimaco per informarli della situazione e per creare una coalizione da contrapporre al minaccioso Monoftalmo.

Il risultato era l’invio di una comune ambasciata ad Antigono, latrice di richieste piuttosto onerose: la Siria per Tolemeo, la Frigia ellespontica per Lisimaco, la Cappadocia e la Cilicia per Cassandro e il reintegro di Seleuco in Babilonia. Antigono che si sentiva più forte della coalizione e che non era certo disposto a rinunciare alla metà delle sue conquiste e a rimanere tagliato fuori dal Mediterraneo e dall’Europa, rifiutò sprezzantemente le richieste dei satrapi e si preparò al loro attacco. La lotta vedeva in campo le forze dell’Asia contro quelle dell’Egitto e dell’Europa. Cassandro, il membro più potente della coalizione controllava la Macedonia, l’Epiro e la Grecia con l’eccezione dell’Etolia e di alcune aree del Peloponneso ancora sottoposte a Poliperconte e a suo figlio Alessandro; Tolemeo signoreggiava in Egitto e in Siria e aveva forti influenze presso i Re di Cipro; Lisimaco che era appena uscito da una lunghissima guerra contro il tracio Seute, controllava la sponda europea dei Dardanelli.

Dal momento che aveva sposato Nicea, sorella di Cassandro e vedova di Perdicca, era legato indissolubilmente al signore della Macedonia e costituiva un formidabile ostacolo qualora Antigono avesse tentato di forzare gli stretti per penetrare in Europa. In verità né Antigono né i coalizzati avevano la possibilità di infliggere un colpo decisivo all’avversario, dal momento che il mare e il deserto li separavano, impedendo così lo spostamento di grandi masse di uomini. Per tre anni si combatté una sorta di guerra indiretta, in cui tanto Antigono che i coalizzati cercarono di scatenare in campo opposto, sedizioni, ribellioni o attacchi di barbari per impedire al nemico di concentrare le forze.

IL PROCLAMA DI TIRO (estate 314)

All’inizio del 314 Antigono aveva un grande esercito, grandi disponibilità finanziarie ma una flotta assai scarsa. Tolemeo si era impadronito in qualche modo della flotta che Antigono aveva avuto sotto il suo comando al tempo della campagna contro Poliperconte e Clito e aveva più di 100 navi sotto il suo comando. Il Monoftalmo doveva costruire una propria flotta ma aveva bisogno di un cantiere navale a portata di mano, e i migliori, quelli fenici, erano in mano a Tolemeo. Per questa ragione intraprese una campagna in Siria, ne occupò quasi tutte le città senza colpo ferire, ma trovò una inaspettata resistenza a Tiro, ripresasi molto bene dal terribile sacco subito dall’esercito di Alessandro e che dovette essere posta sotto assedio. Subito Antigono si accordò con le altre città fenice e con Rodi perché gli procurassero legname da costruzione per la flotta. Fu questa l’unica azione di rilievo dell’anno, perché gli altri coalizzati si limitarono a mandare una forza di disturbo in Asia Minore, efficacemente contrastata da Polemeo, nipote di Antigono.

A sua volta Antigono cercò di fomentare la sedizione tra i re di Cipro alleati a Tolemeo ed effettivamente ne fece passare alcuni dalla sua parte con la corruzione. Tolemeo dovette mandare la sua flotta, ora guidata da Seleuco ad aiutare i re fedeli, tra cui Nicocreonte di Salamina a ripristinare il controllo tolemaico sull’isola. Anche Cassandro dovette fronteggiare gravi problemi in Grecia, dal momento che il Monoftalmo aveva spedito un suo ufficiale in Peloponneso a reclutare mercenari e ad allearsi con Poliperconte che, pur essendo bloccato in Etolia, ancora teneva alcune posizioni chiave nel Peloponneso, tra cui Corinto, che Cassandro non era riuscito ad espugnare.

Le trattative furono condotte a termine senza problemi e Alessandro figlio di Poliperconte giunse a Tiro nell’estate del 314 per suggellare l’alleanza. In quello stesso periodo Antigono preparò una grande offensiva propagandistica contro Cassandro: convocato l’esercito macedone ormai totalmente asservito alla sua volontà, accusò Cassandro dell’omicidio di Olimpiade, della segregazione di Rossane e Alessandro IV Re legittimo, di avere costretto Tessalonice a sposarlo e di avere riedificato Olinto e Tebe (andando quindi contro i voleri di Filippo e Alessandro che le avevano distrutte).

Secondo Diodoro Antigono
“redasse un decreto secondo al quale Cassandro sarebbe stato dichiarato nemico, se non avesse distrutto quelle città, non avesse restituito ai Macedoni, rilasciandoli dalla prigionia, il re e sua madre Rossane, e in conclusione se non si fosse sottomesso ad Antigono, che era stato eletto stratego ed al quale era stata affidata la cura dl regno. Inoltre tutti quanti i Greci dovevano essere liberi, senza guarnigioni ed autonomi”. Naturalmente nessuno fece notare ad Antigono che nelle azioni di cui accusava Cassandro egli aveva agito come suo complice, né che la distruzione di Tebe e Olinto era in palese contrasto i principi di libertà e autonomia che Antigono affettava di seguire. Nonostante che Poliperconte avesse già sperimentato che proclamare i Greci liberi era un’arma spuntata, dal momento che nessuna delle città elleniche avrebbe fornito un soldato alla causa del liberatore, Antigono si decise a questa mossa e indirizzò la sua azione politica a costituire una sorta di lega delle città greche come già aveva fatto Alessandro. A suggello dell’alleanza Alessandro figlio di Poliperconte ottenne altri 500 talenti da utilizzare per arruolare mercenari.

LA NUOVA FLOTTA DI ANTIGONO

L’assedio di Tiro proseguì fino all’estate del 313 quando la guarnigione capitolò per fame: per tutto quel tempo Antigono attese alla costruzione della flotta e trascurò gli altri impegni. Tolemeo mise a segno diversi successi con la ripulitura dell’isola di Cipro dai partigiani di Antigono e con l’alleanza con il satrapo di Caria Asandro. Cassandro, che personalmente aveva scarsissima attitudine alle campagne militari, ne intraprese una nel Peloponneso dove conquistò qualche piazzaforte e potè patrocinare i giochi nemei nel luglio del 313. Il suo maggior successo fu l’alleanza con Alessandro figlio di Poliperconte scarsamente dotato di ingegno politico come il padre che disertò la causa di Antigono dopo appena un anno dall’incontro di Tiro, e tutto per avere la carica di stratego del Peloponneso. Ma intanto Antigono aveva costruito una flotta di ben 240 navi ed era pronto per l’offensiva. 50 di esse si diressero verso il Peloponneso, mentre le altre 190 al comando di Dioscuride percorsero l’Egeo guadagnando le isole con le buone o con le cattive alla causa di Antigono. Rodi, Samo, Chio, Lemno, Imbro e Delo passarono sotto il controllo della flotta antigonide; soprattutto Atene doveva lamentare la perdita dell’ultima isola insieme a tutte le Cicladi.

Tutti questi successi furono soltanto intaccati da un modesto scacco subito da una frazione della flotta antigonide, battuta dall’ammiraglio tolemaico Policleto al largo della Cilicia. Il riscatto dei prigionieri catturati offrì a Tolemeo e ad Antigono l’occasione di un incontro presso Ekregma, tra Pelusio e Gaza, dove per qualche giorno i due satrapi cercarono invano un accordo separato per risolvere la contesa. Antigono si rivolse nuovamente contro Cassandro e seguì il solito sistema di finanziare i suoi nemici in Grecia Aristodemo fu inviato con un congruo numero di talenti e riuscì in breve a guadagnare l’alleanza degli Etoli e, con l’aiuto di mercenari, a strappare ad Alessandro alcune piazzeforti nel Peloponneso, guadagnando ulteriori posizioni quando il figlio di Poliperconte venne assassinato da un suo ufficiale.

Cassandro a sua volta si alleò con gli Acarnani, nemici naturali degli Etoli e loro diretti confinanti perché li attaccassero alle spalle. Grazie al loro aiuto con un’azione combinata insieme al suo stratego Licisco era riuscito a conquistare Leucade, Apollonia, Epidamno, battere Glaucia re degli Illiri e imporgli un’alleanza. Le turbative ai confini occidentali ripresero quando Eacide re d’Epiro, in esilio fin dai tempi in cui aveva tentato di aiutare Olimpiade, ritornò sul trono con un colpo di mano e cercò di unirsi agli Etoli. Filippo, uno degli strateghi di Cassandro riuscì a parare la minaccia sconfiggendo separatamente Eacide e gli Etoli. Le sue incursioni devastatrici in Etolia costrinsero la popolazione locale a rifugiarsi sulle montagne. Tuttavia nemmeno il saccheggio sistematico dei loro territori fece desistere gli Etoli dalla lotta.

LA LOTTA PER LA CARIA (autunno 313- estate 312)

Mentre Cassandro era impegnato in Grecia Antigono orchestrò un’ampia azione per liberarsi di Lisimaco e avere il passaggio libero per gli stretti. Kallatis, Istria e Odessos erano città greche inglobate nei domini settentrionali di Lisimaco ed erano situate a sud della foce del Danubio. Esse si ribellarono al satrapo di Tracia, per ottenere l’autonomia, la libertà e la cacciata dei presidii militari che erano stati loro imposti, tutte rivendicazioni fatte secondo i diritti promessi dal proclama di Tiro. Che il loro tentativo fosse serio e ben organizzato lo dimostra la loro alleanza con le tribù dei Traci e degli Sciti che popolavano la regione. Lisimaco aveva reagito fulmineamente riducendo alla ragione Odessos e Istria, dopo avere sbaragliato le forze alleate degli Sciti, ma Kallatis ancora resisteva e Antigono inviò due spedizioni di soccorso alla città assediata, una via mare, giudata dall’ammiraglio Licone, e l’altra via terra, guidata dal generale Pausania.

Antigono riuscì anche a tirare dalla propria parte Seute principe dei Traci Odrisi, che bramava di recuperare l’autonomia da Lisimaco, perduta dopo la lunga e logorante guerra. Seute occupò il valicò del monte Emo nell’attuale Bulgaria, tagliando fuori Lisiamaco dalla costa dell’Ellesponto. In questa situazione di isolamento Lisimaco non poteva essere di alcun aiuto a Cassandro che vedeva avvicinarsi il colpo decisivo da parte di Antigono. Per passare in Europa il Monoftalmo doveva controllare l’Asia Minore, per cui Cassandro decise di aiutare l’unico alleato attivo che possedeva da quelle parti, Asandro, dagli attacchi di Polemeo nipote di Antigono. 36 navi e 8000 uomini alla guida di Prepelao ed Eupolemo sbarcarono felicemente in Caria eludendo la flotta di Dioscuride, ma l’inetta condotta dei comandanti di Cassandro vanificò l’esito dell’impresa. Eupolemo, partito per sferrare un attacco a sorpresa contro le forze antigonidi che stavano svernando in caria, si fece scoprire dal nemico e cadde a sua volta in un’imboscata perdendo l’intero esercito.

Saputo del successo di Polemeo Antigono si convinse a sferrare un colpo decisivo a Cassandro in Asia per poi passare in Europa. Per far ciò lasciò una forza di copertura in Siria, guidata dal suo giovanissimo figlio Demetrio che era a sua volta aiutato da un ricco stuolo di veterani macedoni tra cui Nearco, l’ex ammiraglio di Alessandro Magno e Pitone figlio di Agenore, nominato satrapo di Babilonia al posto del decaduto Seleuco. La decisione sarebbe stata gravida di conseguenze. Dopo una difficile traversata Antigono raggiunse Celene in Frigia nell’inverno 313/312 e vi fece svernare le truppe. La situazione si era fatta difficile per i coalizzati dopo che anche la flotta di 36 navi di Cassandro era stata annientata dalla flotta antigonide in uno scontro al largo della Caria. Non fece quindi scalpore la decisione di Asandro di sottomettersi ad Antigono. Il suo successivo ripensamento e la richiesta d’aiuto che fece a Tolemeo e Seleuco perché lo aiutassero ebbero come effetto di accelerare la sua sparizione dalla scena, dal momento che Antigono con una rapida campagna invernale sottomise tutta la Caria prima del febbraio 312. Il tentativo di creare problemi ad Antigono in Asia l’aveva soltanto reso più forte di prima e non vi era più alcuna forza seria che lo contrastasse al di là dell’Ellesponto.

LA SVOLTA (primavera 312)

Ancora una volta Antigono scelse la strada della guerra indiretta, finanziando o aiutando con piccoli contingenti di navi e uomini tutti i possibili nemici naturali dei coalizzati. Lisimaco si trovava impelagato sulle coste del Mar Nero nell’assedio dei Callanziani mentre Seute premeva alle sue spalle occupando il valico dell’Emo, Tolemeo aveva appena dovuto fronteggiare una rivolta a Cirene che aveva preso alla lettera il proclama di Tiro che garantiva libertà e autonomia delle città greche; un nuovo corpo da sbarco di truppe antigonidi, comandato da Telesforo, aveva liberato dalle guarnigioni di Cassandro tutto il Peloponneso ad eccezione delle città di Sicione e Corinto, saldamente tenute dalla vedova di Alessandro, Cratesipoli. Gli Etoli e i Beoti, alleati di Antigono impedivano ora a Cassandro di recuperare le posizioni perdute nella Grecia meridionale. Il figlio di Antipatro sembrava ormai rassegnato a venire a patti e convenne ad un colloquio con Antigono per fare una pace separata.

Quali che fossero le condizioni che Antigono fece al suo avversario esse erano evidentemente troppo onerose perché le potesse accettare e la guerra continuò. Cassandro spostò l’asse della lotta sull’isola dell’Eubea, che correndo parallela alla costa della Beozia e dell’Attica poteva servire ad aggirare le posizioni degli Etoli e dei Beoti in Grecia centrale. Le forze di Cassandro posero l’assedio ad Oreo, ma gli ammiragli di Antigono, Medio e Telesforo raccolsero un numero ingente di navi che bloccarono lo stretto dell’Euripo tra la Beozia e l’Eubea. Antigono vide nella presenza di Cassandro in Eubea il momento buono per attaccare direttamente la Macedonia col suo esercito asiatico.
Tuttavia la sua flotta era quasi tutta intorno all’Eubea e aveva bisogno dell’aiuto dei Bizantini per transitare in Europa. Tale aiuto sarebbe probabilmente arrivato se nel frattempo Lisimaco non fosse riuscito a forzare il valico dell’Emo e ad infliggere una dura sconfitta a Seute per poi piombare sulle forze antigonidi che vennero annientate insieme al loro comandante Pausania. Lisimaco aveva ottenuto un grande prestigio e autorità per via dei successi decisivi sui Greci ribelli, sui Traci, gli Sciti e sugli uomini di Antigono. Bastò quindi una sua ambasceria per indurre i Bizantini a rimanere neutrali vanificando il tentativo di Antigono di passare in Europa.

La mossa del Monoftlamo aveva tuttavia indotto Cassandro a ritornare precipitosamente in Macedonia e in sua assenza tutte le posizioni in Eubea e in Grecia centrale erano andate perdute eccetto Atene. Il mancato sbarco in Europa aveva reso tuttavia impossibile abbattere Cassandro, e la presenza del massiccio esercito asiatico sull’Ellesponto rendeva alquanto allettante per i coalizzati un attacco diretto contro il fronte meridionale. Seleuco, tornato dall’Egeo convinse Tolemeo, normalmente piuttosto prudente, a tentare conquistare la Siria distruggendo l’esercito di Demetrio. Tolemeo e Seleuco si divisero il comando e marciarono verso la Palestina, attraversando il deserto del Sinai. L’esercito tolemaico era composto di 18000 fanti e 4000 cavalieri, molti Egiziani erano impiegati come ausiliari e portatori, ma il nerbo delle truppe combattenti era costituito da mercenari e falangiti macedoni.

Demetrio fu informato in tempo dell’arrivo di Tolemeo, richiamò le sue truppe dai quartieri invernali e si preparò a sbarrare la strada agli invasori presso Gaza. Il suo esercito consisteva di 11000 uomini di fanteria pesante, 2000 o 3000 di fanteria leggera, 4400 cavalieri e 43 elefanti: le due armate erano quindi di pari forza. I consiglieri lasciati da Antigono cercarono di convincere il giovane generale ad evitare la battaglia, ma non avevano fatto i conti la sua ostinazione e brama di gloria. Demetrio prevedeva di decidere tutto con un attacco dell’ala sinistra, in cui erano stati concentrati 2900 cavalieri e tutti gli elefanti a cui erano intervallati le fanterie leggere, 1000 arcieri e 500 lanciatori di giavellotto, la fanteria doveva occupare il centro, protetta da altri 13 elefanti, mentre l’ala destra composta da 1500 cavalieri doveva rimanere in posizione arretrata, cercando di evitare lo scontro. Demetrio contava quindi di sfondare con gli elefanti lo schieramento nemico, ma non aveva tenuto conto che due veterani come Tolemeo e Seleuco sapevano benissimo come difendersi da una mossa simile.
Secondo il racconto di Diodoro:
Schierarono (Tolemeo e Seleuco) davanti alla formazione degli elefanti coloro che portavano una palizzata con parti in ferro e tenuta da catene che avevano preparato contro l’attacco degli elefanti; infatti sistemata la palizzata, sarebbe stato facile impedire agli animali di procedere.

Come era prevedibile gli elefanti, pur pungolati dalle loro guide si impantanarono tra le ostruzioni senza potere passare oltre, anzi alcuni di loro impazzirono per le ferite e portarono scompiglio tra le file della cavalleria di Demetrio che fino a quel momento aveva brillantemente tenuto il campo contro quella di Tolemeo. Allo scompiglio seguì ben presto lo sbandamento dei reparti che iniziarono a ritirarsi su Gaza, seguiti dalla fanteria, che non era stata nemmeno impegnata nello scontro. L’esercito antigonide perse ogni parvenza d’ordine nell’entrare in città e Tolemeo riuscì ad impadronirsi senza resistenza della postazione e di ben 8000 uomini di Demetrio. I caduti erano stati 500, ma fra di essi c’erano Nearco e Pitone; Demetrio dovette riconoscere la sconfitta e chiedere di seppellire i propri morti. Con i rimasugli del suo esercito Demetrio raggiunse Tripoli, da dove inviò notizie al padre e contemporaneamente chiese rinforzi alle truppe dislocate in Cilicia. A parte alcuni contingenti di truppe lasciati nelle città costiere la regione era indifesa di fronte all’invasione.

IL RITORNO DI SELEUCO (estate 312- autunno 311)

Tolemeo e Seleuco cavallerescamente rimandarono a Demetrio i suoi bagagli e i più intimi degli amici senza riscatto, facendo pubblicamente proclamare che non facevano la guerra per predare, ma per vedere riconosciuti loro quei territori che avrebbero dovuto essere spartiti dal Monoftalmo dopo la vittoria contro Eumene e per il reintegro di Seleuco come satrapo di Babilonia. Nel frattempo le posizioni antigonidi capitolavano senza opporre molta resistenza: Ace, Ioppe, Samaria e Sidone passarono nelle mani di Tolemeo senza combattere; la forte guarnigione di Tiro disertò in massa consegnando pure il comandante Andronico nelle sue mani; tutto il territorio siriano fino all’Amano era ormai in potere del satrapo d’Egitto che tuttavia non si faceva illusioni sulla provvisorietà del suo successo. Il suo esercito anche rinforzato dei disertori non poteva tenere testa a quello di Antigono, qualora fosse ridisceso, e in quel momento i suoi alleati erano impegolati nei loro problemi interni.

Seleuco aveva invece colto il momento favorevole per riprendere la satrapia di Babilonia, poiché il governatore Pitone era morto a Gaza, e molti simpatizzanti tanto tra le truppe di occupazione che tra gli abitanti locali erano pronti a mettersi ai suoi ordini, non appena fosse ritornato. Chiese alcune truppe e denaro a Tolemeo e ottenne da lui 800 fanti e 200 cavalieri con i quali partì alla volta di Babilonia. Il suo cammino si svolse quasi senza ostacoli: Diodoro narra la sua impresa
Quando Seleuco, avanzando, giunse in Mesopotamia, in parte persuase, in parte costrinse con la forza i coloni macedoni di Carre a combattere al suo fianco. Allorché giunse in babilonia, la maggior parte degli abitanti gli andarono incontro e, unitisi a lui, dichiararono che erano pronti a fare al suo fianco tutto ciò che gli sembrasse opportuno. Infatti, durante i quattro anni in cui era stato satrapo di quella regione si era comportato bene con tutti, assicurandosi la benevolenza della moltitudine e procurandosi per tempo seguaci, qualora gli fosse capitata l’opportunità di combattere per il potere.

Ciò che più sorprende è che persino tra gli ufficiali lasciati da Antigono a Babilonia non ferveva certo la fedeltà. L’amministratore delle finanze della satrapia, Poliarco, aprì le porte della città e si unì a Seleuco con più di 1000 soldati. Tutta Babilonia cadde senza combattere nelle mani di Seleuco, salvo la cittadella che venne quasi subito presa d’assalto. Tutti gli amici di Seleuco, i paggi e gli ufficiali che avevano servito sotto di lui quando era stato satrapo ed erano stati imprigionati ad Antigono vennero liberati, per costituire l’ossatura del nuovo governo.
In seguito, il momento del ritorno di Seleuco a Babilonia venne scelto come punto d’inizio dell’ERA SELEUCIDE, un sistema di computo degli anni avente come punto di partenza l’ottobre del 312 (secondo il calendario macedone) o aprile 311 (secondo il differente calendario babilonese) e che fu usato in tutto l’Oriente per la sua comodità.

La presenza di Tolemeo in Siria e di Seleuco in Babilonia costituivano una minaccia che Antigono non poteva permettersi d’ignorare: i suoi piani europei vennero definitivamente abbandonati e il grande esercito, accampato a Celene di Frigia, passò il Tauro nell’inverno 312/311. Demetrio di sua iniziativa aveva raccolto alcuni contingenti di truppe dalla Cilicia con le quali aveva sconfitto Cilla, un generale di Tolemeo presso la località di Mio. Tolemeo stesso ritenendo di non poter fare fronte alle forze riunite di Antigono e Demetrio evacuò la Siria, non prima di avere razziato il maggior bottino possibile e aver raso al suolo le fortificazioni delle città che aveva occupato. Antigono recuperò tutti i territori perduti, ma non avanzò né verso l’Egitto né verso Babilonia. Preferì invece intraprendere due spedizioni contro gli Arabi Nabatei, guidate da Ateneo e Demetrio, mentre diede ordine a Nicanore, satrapo di Media di raccogliere un esercito, con le truppe disponibili nelle satrapie superiori per cercare di stanare Seleuco da Babilonia.

Nicanore impiegò l’inverno 312/311 a raccogliere rinforzi, che gli giunsero dalla Susiana, dalla Persia e dall’Aria e che comprendevano anche numerose truppe persiane di dubbia fedeltà. L’esercito che raccolse con questi sistemi assommava a 10000 fanti e 7000 cavalieri a cui Seleuco non poteva opporre che un misero contingente di 3000 fanti e 400 cavalieri. Ma l’imponenza dell’apparato bellico fece dimenticare a Nicanore di procedere alla ricognizione una volta arrivato in territorio nemico. Sempre secondo Diodoro:

“[Seleuco] attraversato il Tigri e informato del fatto che i nemici erano a pochi giorni di cammino, fece nascondere i suoi soldati nelle paludi vicine, progettando di fare un attacco di sorpresa. Nicanore, giunto al fiume Tigri, non avendo trovato i nemici si accampò vicino a una stazione reale, credendo che quelli fossero fuggiti più lontano. Sopraggiunta la notte, mentre gli uomini di Nicanore erano disattenti e montavano la guardia senza impegno, Seleuco con un assalto improvviso creò gran confusione e spavento. Accadde infatti che, non appena i persiani ebbero ingaggiato la battaglia, cadessero il loro satrapo Evagro e alcuni degli altri comandanti. In seguito a ciò la maggior parte dei soldati, in parte atterriti dal pericolo, in parte scontenti di prendere gli ordini da Antigono, passarono a Seleuco. Nicanore, abbandonato con pochi uomini e temendo di essere consegnato ai nemici, fuggì con alcuni amici verso il deserto.”

Il risultato della battaglia fu totalmente disastroso per Antigono. L’insipienza di Nicanore e degli altri comandanti aveva praticamente consegnato un intero esercito nelle mani di Seleuco e gli aveva conferito una potenza e un prestigio che non solo gli avrebbero consentito di resistere in Babilonia, ma anche di costituire un pericolo per le altre regioni dell’Asia orientale ancora sotto il controllo dei governatori antigonidi.

Antigono ebbe gran parte delle proprie truppe impegnate nelle infruttuose spedizioni contro gli Arabi di Petra fino a tutta l’estate del 311. Quando finalmente riuscì a districarsi dalla campagna mandò Demetrio con un contingente di truppe a recuperare Babilonia, con l’ordine di tornare dopo una breve permanenza. Demetrio giunse incontrastato fino al suo obiettivo, ma non trovò Seleuco che dopo avere disfatto l’esercito di Nicanore era penetrato in Susiana e in Media, insediando propri governatori (che chiamò strateghi) al posto di quelli di Antigono. In Babilonia c’erano soltanto poche migliaia di uomini al comando dello stratego Patrocle. L’abile ufficiale seleucide lasciò campo libero a Demetrio spostando la popolazione civile e tutto ciò che poteva avere un interesse per gli invasori nelle regioni del sud o in Susiana e si accontentò di resistere nelle due cittadelle di Babilonia e nei dintorni delle città, usando i canali e le ostruzioni come fortini improvvisati.
Demetrio prese d’assalto una delle due cittadelle ma non l’altra, e alla fine dovette ritornare in Siria, lasciando 6000 uomini al comando di Archelao col compito di completare l’occupazione della città. Antigono aveva così guadagnato una preziosa testa di ponte con cui condurre i successivi attacchi, ma non aveva ancora indebolito seriamente la posizione di Seleuco: la satrapia di Babilonia restava saldamente nelle sue mani e anche la Media, la Susiana e l’Aria erano cadute nelle sue mani alla fine del 311.

LA PACE (autunno 311)

La grave minaccia costituita da Seleuco imponeva ad Antigono di riversare le proprie risorse a neutralizzarla. Doveva quindi spezzare il fronte dei propri nemici e arrivare a paci separate almeno con Cassandro e Lisimaco. Il figlio di Antipatro era rimasto inattivo fin dal 312, occupato dalle spedizioni contro gli irriducibili Etoli e gli Epiroti. Eacide d’Epiro era morto in battaglia contro Filippo, il comandante mandato da Cassandro in Etolia, ma la fazione antimacedone aveva posto sul trono Alceta, fratello di Eacide. I due strateghi di Cassandro in Epiro, Licisco e Deinia, riuscirono dopo una serie di battaglie condotte con alterna fortuna intorno alla cittadella di Eurimene, sull’attuale lago di Giannina a sottomettere Alceta, che fu costretto ad allearsi con Cassandro e sparì dalla scena poco dopo, ucciso da una rivolta dei suoi sudditi. Sempre nello stesso teatro d’azione Cassandro perse il controllo di Apollonia e di Leucade che passarono sotto il controllo degli Illiri e dei Corciresi.

Tutte queste oscure guerre ai confini occidentali della Macedonia logorarono progressivamente le forze di Cassandro che aveva non aveva più ripreso il controllo della Grecia, saldamente nelle mani degli ufficiali di Antigono. I successi di Seleuco e Tolemeo nel remoto oriente non avevano per nulla alleviato la sua condizione e pertanto prestò una maggiore attenzione alle nuove offerte di Antigono. Alla metà del 311 Prepelao, lo sfortunato comandante di Cassandro nella spedizione in Caria, si recò da Antigono accompagnato da Aristodemo; aveva la possibilità di trattare sia a nome di Cassandro che di Lisimaco, e riuscì come diplomatico ad ottenere buone concessioni: una pace basata sullo status quo. Come Antigono stesso ci racconta in una sua lettera alla città di Skepsi, Tolemeo, preoccupato dall’iniziativa di Cassandro e Lisimaco, che, trattando separatamente la pace, lo lasciavano ad affrontare tutta la potenza di Antigono da solo, mandò a sua volta propri delegati che ottennero l’apertura di trattative che condussero ad una pace con il Monoftalmo.

I termini della pace noti attraverso Diodoro e la lettera di Antigono a Skepsi prevedevano che Cassandro sarebbe rimasto stratego d’Europa, fina a quando Alessandro IV avesse raggiunto la maggiore età e che i Greci fossero liberi ed autonomi. A Lisimaco fu riconosciuto il governo della Tracia e a Tolemeo quello dell’Egitto e della Cirenaica, ma ad Antigono fu riconosciuta la sovranità sul resto dell’Asia, compresi i territori su cui adesso governava Seleuco che non fu nemmeno menzionato nella pace e considerato quindi implicitamente un usurpatore e ribelle. Antigono aveva vinto su quasi tutti i fronti: in Grecia, in Caria e in Siria, ma proprio nel momento in cui gli veniva riconosciuta l’Asia di diritto, egli non l’aveva più sotto il suo completo controllo. Seleuco non aveva avuto un riconoscimento della sua posizione, ma aveva un esercito, ufficiali fedeli e le risorse di tre satrapie a sua disposizione. Il compito di abbatterlo non si presentava facile per il Monoftalmo, che dopo il fallimento dei suoi generali e di suo figlio si apprestò ad intervenire di persona contro il signore di Babilonia.

La clausola che riservava il potere supremo ad Alessandro IV una volta che avesse raggiunto l’età adulta, ben lungi dal garantirgli finalmente un vero potere, determinò la sua malinconica fine. Cassandro che lo teneva da anni in prigionia diede ordine alle sue guardie di farlo fuori di nascosto insieme alla madre Rossane e di nasconderne il cadavere. Il gesto riprovevole fu cinicamente approvato anche dagli altri diadochi.

Secondo Diodoro:
“Dopo che quello ebbe eseguito l’ordine, Cassandro, Lisimaco, Tolemeo e Antigono furono liberati dai timori rappresentati per loro dal re. Non essendoci più nessuno che avrebbe potuto ereditare il regno, ciascuno poteva ormai sperare di diventare re dei popoli e delle città sulle quali dominava, e le regioni poste sotto la loro autorità erano per loro come un regno acquisito per diritto di guerra”.

FIAMME IN BABILONIA (310- agosto 308) - IL NUOVO CONFINE - TOLEMEO RIPRENDE LE OSTILITA' (anno 310) - LA FINE DEGLI ULTIMI ARGEADI - TOLEMEO IN PELOPONNESO (310-309) - DEMETRIO LIBERA ATENE giugno 307 - TRIONFO A CIPRO (inverno 307-estate 306). - SCACCO IN EGITTO (novembre 306-primi mesi 305) - IL REGNO DI ANTIGONO - LISIMACHIA E SELEUCIA - SELEUCO IN BATTRIANA E IN INDIA (306-304) - CONCLUSIONE
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FIAMME IN BABILONIA (310- agosto 308)

La pace del 311 era stata sicuramente una grande vittoria diplomatica per Antigono, che aveva visto legittimare il proprio dominio su tutta l'Asia; Seleuco, il suo principale opponente non solo non aveva visto riconosciute le sue pretese sulla satrapia di Babilonia, ma non era stato nemmeno menzionato nell'accordo, e venne di fatto abbandonato dagli altri coalizzati. Eppure l'erosione della potenza antigonide in Asia procedeva in modo inesorabile:Seleuco aveva battuto già due volte le forze mandate dal Monoftalmo, aveva conquistato la Media, dove lo sfortunato Nicanore aveva incontrato una nuova sconfitta e la morte sul campo di battaglia, la Susiana, la Persia, l'Aria e la Partia. Il nerbo dell'esercito seleucide era costituito dai soldati che l'avevano accompagnato durante il ritorno, da quelli che erano passati subito dalla sua parte quando era ritornato a Babilonia e dalle truppe raccogliticce di Nicanore, che avevano disertato a lui dopo la sconfitta del loro comandante.
Seleuco disponeva anche di gruppi di montanari Cossei: essi, abituati a taglieggiare gli uomini e carovane che attraversavano il loro territorio sui monti Zagros, erano stati affrontati prima da Alessandro e poi da Antigono in spietate campagne di sterminio. Sempre indomiti e vogliosi di vendicarsi di coloro che avevano devastato la loro regione, avevano risposto volentieri all'appello di Seleuco. I Babilonesi non li vedevano di buon occhio, dal momento che li chiamavano “Guti“ termine che ha sempre designato per i civili abitanti dei due fiumi i barbari selvaggi e sanguinari delle montagne.
Tuttavia anche la popolazione locale babilonese parteggiò per Seleuco dal momento che durante la sua precedente amministrazione aveva lasciato un buon ricordo e non aveva compiuto malversazioni o rapine, cercando sempre la collaborazione con i notabili locali e con l'influente clero dei Magi. Quando Antigono arrivò all'inizio del 310 Seleuco era già ritornato in Babilonia dopo le vittoriose campagne in Iran; senza venire subito allo scontro campale contro un esercito superiore di numero, fiaccò l'attaccante con la solita tattica dilatoria, senza mai impegnare in combattimento tutte le sue forze.

Un forte contingente era stato lasciato da Demetrio a Babilonia nella campagna del 311 e questo garantì alle truppe di Antigono una facile penetrazione nella città. Una cronaca babilonese racconta che vi furono combattimenti per le strade, saccheggi e devastazioni da parte dei soldati invasori. Alla fine del 310 /inizio 309, dopo una lotta durata almeno sei mesi, quasi tutta Babilonia era caduta nelle mani di Antigono ad eccezione dell'edificio Bit-Haru. Antigono nel 309 si impadronì di altre città del contado come Cutha e Borsippa ed ebbe persino tempo di nominare Archelao come governatore. Ma gli scontri non erano finiti: Seleuco resisteva e finalmente nell'Agosto del 308 si arrivò alla battaglia decisiva nella quale Seleuco ripeté il solito schema di attaccare un nemico impreparato. Polieno nella sua raccolta di stratagemmi racconta che in uno scontro tra Seleuco e Antigono, la sera mise fine con un esito indeciso, ed entrambe le armate si ritirarono nei loro rispettivi campi, determinate a rinnovare lo scontro il giorno successivo. I soldati di Antigono si spogliarono delle armi e dormirono nelle loro tende, mentre Seleuco ingiunse ai propri uomini di prendere il pasto e di dormire armati proprio nel punto in cui erano schierati a battaglia. Il giorno seguente al sorgere dell'alba Seleuco riuscì a condurre i propri uomini già schierati contro gli avversari che, sorpresi disarmati, non ebbero tempo di schierarsi e furono messi in fuga. Vero o falso che sia questo episodio, Antigono subì una severa sconfitta, dovette venire a patti con Seleuco e perse non solo la Babilonia, ma anche parte della Mesopotamia fino all'incirca alla confluenza tra il Balikh e l'Eufrate. Seleuco aveva ottenuto la sua vittoria, anche se Babilonia, teatro della guerra, aveva subito devastazioni irrecuperabili, che sancirono il definitivo declino della gloriosa città.

IL NUOVO CONFINE

Antigono al termine della guerra aveva conservato il possesso dei ponti sull'Eufrate, di Tapsaco e della regione che si estendeva dall' Eufrate al Balikh; un territorio che costituiva un'ottima testa di ponte per ritornare a invadere la Mesopotamia qualora l'avesse voluto. Seleuco pertanto dovette ovviare alla mancanza di un confine naturale che proteggesse il proprio territorio, erigendo una linea di fortezze. Nicanore, lo sfortunato generale di Antigono che aveva perso la vita in Media è indicato dalla tradizione come il fondatore delle città di Nisibi e Dura, che senz'altro erano nate su precedenti insediamenti indigeni. Seleuco finì i lavori e le rinominò Antiochia ed Europos, dal nome di suo padre e del luogo in cui era nato. Dura Europos era situata sulla riva destra dell'Eufrate e sbarrava la strada che dalla Siria, costeggiando il fiume, portava in Babilonia.
Antiochia Nisibis, era ubicata lungo la via di comunicazione che dal ponte di Tapsaco conduceva al corso superiore del Tigri e da lì scendeva verso la capitale seleucidea. Qualsiasi esercito nemico proveniente dalla Siria avrebbe dovuto abbattere la resistenza di almeno una di queste fortezze per avere l'accesso alla parte meridionale della Mesopotamia. Anche Antigono prese analoghi provvedimenti per garantire la sicurezza dei territori sotto il suo controllo. La città di Carre, già presidiata da una guarnigione antigonide prima che Seleuco riconquistasse Babilonia, rimase nelle mani di Antigono, e venne presto affiancata da Edessa e Ichnae, rispettivamente a nord e a sud di essa. A parte questa intensa attività costruttiva i rapporti tra Antigono e Seleuco rimasero pacifici per molti anni dal momento che entrambi tentarono di espandere i loro domini in direzioni diametralmente opposte.

TOLEMEO RIPRENDE LE OSTILITA' (anno 310)

La fine delle comuni ostilità con Antigono aveva lasciato gli altri diadochi svincolati da ogni obbligo reciproco; ciascuno cercò quindi di estendere la propria influenza in Grecia a spese degli altri, portando come vessillo tanto la tutela dei membri superstiti della dinastia Argeade, che le libertà dei Greci, ovviamente di quelli sotto il dominio degli altri, non dei propri. Tolemeo era rimasto il più danneggiato dalla fine della guerra: aveva perso la Siria e la Palestina e non aveva ottenuto nessuna contropartita in altri settori; inoltre doveva fronteggiare una nuova rivolta a Cirene, questa volta guidata dal suo abile ufficiale Ofella che aveva pensato bene di ritagliarsi un dominio autonomo nella fertile regione africana. Altro grave problema era costituito dall'isola di Cipro, dove Nicocle di Pafo, uno dei suoi re clienti, minacciava di tradirlo. In questo caso Tolemeo seppe agire tempestivamente e mandò due suoi emissari con l'ordine di togliere di mezzo il traditore. Nicocle si tolse la vita seguito dalla moglie che indusse anche tutta la famiglia a suicidarsi nel rogo della reggia.

Alla morte di Nicocreonte Re di Salamina avvenuta in quello stesso periodo Tolemeo decise di imporre un dominio diretto sull'isola e nominò il fratello Menelao governatore di Cipro al comando di un forte contingente di truppe e di una flotta. Nello stesso tempo Tolemeo riprese il programma di espansione navale, alleandosi con Rodi. Col possesso di Cipro e l'alleanza con l'isola antistante l'Asia Minore, Tolemeo poteva ora minacciare i domini di Antigono e gli dichiarò guerra già nel 310, affermando che non aveva rispettato la libertà dei Greci installando guarnigioni nelle città. Forse cercava indirettamente di aiutare Seleuco, ma più probabilmente voleva approfittare delle difficoltà di Antigono a Babilonia per sottrargli qualche piazzaforte. Seguì una guerra di basso profilo: Tolemeo sbarcò in Cilicia e la conquistò provvisoriamente salvo esserne cacciato da Demetrio poco tempo dopo. Rivolse la sua attenzione alla Licia dove conquistò qualche località secondaria, si diresse nell'Egeo con la flotta e approdò a Cos dove nell'inverno 309 nacque suo figlio, il futuro Tolemeo II. Per il resto continuò una politica ondivaga, cercando di sobillare sia i Greci soggetti ad Antigono che quelli sotto il dominio di Cassandro.

Un'ottima occasione di interferire in Grecia gli venne dalla defezione di Polemeo, generale di Antigono nel Peloponneso: scontento per non essere tenuto nella giusta considerazione e per non avere ricevuto con la dovuta sollecitudine i fondi per pagare i soldati, si rivoltò nel 310 e riuscì a fare defezionare anche il comandante antigonide della Frigia ellespontica. Antigono mandò il figlio Filippo a riconquistare la regione degli stretti, ma non poté fare nulla per il Peloponneso che venne perduto in un attimo, dopo che erano occorsi anni per conquistarlo. Polemeo cercò dapprima di allearsi con Cassandro, poi si recò a Cos presso Tolemeo con tutta la flotta sperando di farselo alleato. Tolemeo invece si sbarazzò di lui facendolo arrestare e costringendolo al suicidio con l'accusa di complottare ai suoi danni e cercò di rimpiazzarlo nel Peloponneso.

TOLEMEO IN PELOPONNESO (310-309)

Nel frattempo Cassandro doveva affrontare un altro pretendente al trono macedone. Poliperconte, con la sicura connivenza di Antigono aveva fatto chiamare da Pergamo, dove risiedeva con la mare Barsine, Eracle, il figlio mai riconosciuto di Alessandro, che aveva compiuto più di vent'anni. Con un'abile raccolta di finanziamenti e col contributo degli Etoli e dei numerosissimi Macedoni scontenti di Cassandro, raccolse un esercito di 20000 uomini e marciò sulla Macedonia.
Il pericolo per Cassandro era davvero grave, perché gli uomini rimasti sotto il suo comando minacciavano di defezionare, ma lo stratego d'Europa doveva possedere un'abilità diplomatica ed un carisma senza pari, perché riuscì a convincere Poliperconte a desistere dal tentativo, ad ammazzare Eracle e la madre e a mettersi ai suoi ordini, il tutto per un posto di comandante del Peloponneso. Poliperconte per questo voltafaccia ruppe con i suoi ex alleati e non riuscì nemmeno a ritornare nella regione della quale gli era stato riconosciuto il comando essendone impedito dai Beoti.
Ne approfittò Tolemeo che sbarcò nel Peloponneso agitando il vessillo della libertà dei Greci alle cui città ordinò di fornire cibo e denaro.

Aveva iniziato subito col piede sbagliato perché dopo essere state percorse per dieci anni da eserciti di “liberatori“ in lotta tra loro i Peloponnesiaci non avevano nulla da dare. Tolemeo non ottenne altro che le città di Sicione e Corinto, sottratte a Cratesipoli, la nuora di Poliperconte e venne presto a pace con Cassandro sulla base dell'uti-possidetis. Cassandro, piuttosto a buon mercato era così riuscito a riguadagnare tutte le posizioni perdute nel Peloponneso ed era ora più forte di quanto non fosse nel 311, dal momento che con l'estinzione della dinastia argeade nessuno poteva vantare maggiori diritti di lui sul trono di Macedonia. Tolemeo aveva avuto buoni motivi per rientrare in Egitto: suo ex ufficiale Ofella, che a Cirene aveva instaurato un dominio indipendente, aveva perso la vita in Libia, ucciso dal tiranno di Siracusa Agatocle, con cui aveva formato un'alleanza per conquistare Cartagine. Cirene fu allora facilmente riconquistata da Tolemeo che diede la carica di governatore a Magas, fratello di Berenice, la donna che gli aveva appena dato il figlio Tolemeo.

In questo stesso periodo Tolemeo entrò in contatto con Cleopatra, la sorella di Alessandro Magno confinata a Sardi. L'ultima discendente di Filippo e Olimpiade cercò di sottrarsi all'annosa prigionia a cui era costretta da tempo per raggiungere e sposare il satrapo d'Egitto, ma la sua fuga fu prevenuta dalle ancelle addette alla custodia, che le diedero la morte col veleno. Antigono, il probabile mandante dell'assassinio non si fece scrupolo di condannarle alla pena capitale, fingendo reale contrizione per la morte di Cleopatra. Con lei si spegneva la linea dinastica argeade: già sposata ad Alessandro d'Epiro e rimasta vedova di lui dopo che ebbe trovato la morte a Pandosia, era stata desiderata da tutti i diadochi, ansiosi di imparentarsi con la famiglia reale macedone, ma non era mai riuscita a convolare a nozze, essendo morti di morte violenta tutti coloro con cui aveva raggiunto un accordo in tal senso (Leonnato e Perdicca) e infine aveva seguito il destino dei discendenti di Filippo la cui condizione regale non si era rivelata altro che una maledizione.

DEMETRIO LIBERA ATENE giugno 307

Gli eventi in occidente richiedevano la presenza di Antigono. Il Monoftalmo aveva passato i settanta anni e la recente campagna contro Seleuco aveva prosciugato le sue energie. Era sempre più necessario per lui delegare i compiti ai suoi figli che stavano finalmente ripagando gli sforzi dell'educazione ricevuta. Demetrio era un ragazzo di cultura, che apprezzava discorrere con i filosofi ma si era rivelato anche uomo d'azione e di coraggio sfidando due vecchie volpi come Tolemeo e Seleuco a Gaza. Il suo fascino giovanile e la sua spontaneità promettevano di raccogliere quel consenso presso i Greci che Tolemeo non aveva invece ricevuto quando era sbarcato nel Peloponneso. Difatti quando nel giugno del 307 si presentò di sorpresa con una potente flotta al Pireo, gli Ateniesi deposero le armi davanti a lui, mentre il governatore di Cassandro ad Atene, Demetrio Falereo, fuggì a Tebe.

La città cadde senza colpo ferire nelle mani del figlio di Antigono mentre la fortezza di Munichia fin dal 322 occupata da una guarnigione macedone dovette essere cinta d'assedio. Per la prima volta Demetrio fece uso in grande stile di macchine da guerra, catapulte e balliste per le quali aveva un grande interesse, e finalmente piegò la resistenza dei difensori.

Alcune parole sulla situazione ateniese:
per i dieci anni successivi ai disordini che avevano causato la morte di Focione Atene era stata amministrata da Demetrio Falereo, un filosofo della scuola peripatetica, fondata da Aristotele, che godeva di universale stima ed era effettivamente qualcosa di più di un lacchè della Macedonia: un uomo estremamente preparato per i compiti di governo e abbastanza onesto. Il suo governo fu improntato a favorire la cultura (nelle vesti, ovviamente dei filosofi peripatetici) e le classi più ricche: furono abolite le contribuzioni forzose al mantenimento della flotta, le imposte sull'allestimento dei cori negli spettacoli teatrali (coregie) e venne ridimensionato l'obbligo del servizio militare.

Le azioni militari di Atene furono condotte in stretta collaborazione con quelle di Cassandro, e Atene ebbe la sua parte di problemi durante la guerra dei coalizzati contro Antigono, soprattutto al tempo dell'infelice spedizione di Cassandro in Caria. Il Falereo svuotò di ogni potere l'assemblea popolare, sottoponendo tutti i decreti al vaglio di una commissione di sette tutori della legge il cui compito era di cassare ogni proposta contraria all'ordinamento esistente. Naturalmente, come tutti i conservatori, si preoccupò dei costumi dei cittadini, emanando una serie di leggi suntuarie per ridurre le spese matrimoniali, dei banchetti e persino dei funerali. Le sue idee sul governo della città forse avevano fini onesti, ma contribuirono ad aggravare la crisi culturale della città che faceva ormai fatica ad esprimere uno statista, un oratore, un poeta o un drammaturgo. Non più di 21000 cittadini avevano i pieni diritti in una città che aveva ancora più di 100.000 abitanti al tempo dell'ultimo censimento ordinato dal Falereo.

Come in tutti i casi in cui cade improvvisamente un regime bigotto e reazionario, la libertà assunse i contorni della licenza. La gratitudine dei democratici, allontanati dal potere da quindici anni e ora finalmente ritornati al potere, raggiunse e superò i confini del servilismo nei confronti del liberatore.

Secondo Diodoro:
"Gli Ateniesi, dopo che Stratocle ebbe redatto il decreto, stabilirono di erigere statue d'oro di Antigono e Demetrio su un cocchio vicino a quelle di Armodio e Aristogitone (venerati come eroi dagli ateniesi per avere assassinato il tiranno Ipparco), di onorarli ambedue con corone per una spesa di duecento talenti, di innalzare un altare e di chiamarlo “altare dei salvatori“, di aggiungere due tribù, Demetriade e Antigonide, alle dieci esistenti, di celebrare ogni anno in loro onore dei giochi, una processione e un sacrificio, e di raffigurare i loro ritratti sul peplo di Atena".

Plutarco aggiunge che gli Ateniesi spinsero la loro piaggeria a salutarli re e a venerarli da vivi come “dèi salvatori“. Il maggiore promotore di queste iniziative fu il democratico Stratocle, l'esatta antitesi di Demetrio Falereo in termini di costumi e di moralità, asservito a Demetrio e pronto ad assecondare i suoi desideri più di quanto lo fosse il Falereo a Cassandro. In tal senso solo alcune delle leggi più reazionarie del Falereo vennero abolite: i tutori della legge furono soppressi, ma i ricchi non furono costretti a sottoporsi alle liturgie; vennero tolti i paletti che limitavano il diritto di cittadinanza come l'esame giuridico, ma fu una mossa fatta per dare la cittadinanza ai seguaci di Demetrio.
I peripatetici ovviamente caddero in disgrazia e, oltre all'esilio del Falereo dovettero lamentare anche la cacciata di Teofrasto, il successore di Aristotele nella cattedra del “Liceo“.

Una legge di Sofocle proibì addirittura l'insegnamento ad Atene senza l'autorizzazione del consiglio e dell'assemblea, ma fu abolita subito dopo, forse perché ci si rese conto che rischiava di minare l'unica attività culturale fiorente ad Atene in quel periodo: l'istruzione filosofica. Zenone ed Epicuro fondarono le scuole dello stoicismo e dell'epicureismo proprio in quegli anni.

TRIONFO A CIPRO (inverno 307-estate 306).

Il soggiorno di Demetrio si prolungò per tutto l'inverno, ma più che per le attività belliche si fece notare per le proprie dissolutezze che tanto facevano inorridire il moralista Plutarco. Riuscì soltanto a occupare Megara, presidiata da una guarnigione di Cassandro, con un attacco di sorpresa. Cercò di fermare il saccheggio dei propri soldati e di dichiarare la città libera, ma si attirò le ironie del filosofo Stilpone che dichiarò che Megara era diventata una città libera dal momento che la soldataglia di Demetrio si era portata via tutti gli schiavi di proprietà dei Megaresi. Mentre Demetrio si godeva il premio dei suoi trionfi immergendosi nei divertimenti che la città poteva offrirgli, gli Ateniesi mandarono una delegazione ad Antigono per ringraziarlo di avere inviato la spedizione di soccorso e ottennero in cambio altri 150.000 medimni di grano (75.000 ettolitri) legname sufficiente a costruire 100 navi e le antiche cleruchie di Lemno e Imbro che Atene aveva perso dopo la guerra lamiaca. Nella primavera del 306 giunse improvvisamente un ordine di Antigono al figlio di portare la guerra a Cipro contro Tolemeo.

Probabilmente il Monoftalmo pensava che senza la neutralizzazione dell'importante base tolemaica antistante l'Asia Minore nessuna conquista in Grecia o nell'Egeo poteva essere assicurata. Tuttavia l'interruzione della campagna in Grecia poteva costituire un problema perché Tolemeo aveva ancora due importanti guarnigioni a Sicione e Corinto: invano Demetrio cercò di corrompere il comandante tolemaico Cleonide perché gliele consegnasse.

Nella primavera del 306 Demetrio in ottemperanza agli ordini del padre salpò per Cipro con 118 navi da guerra, numerosi trasporti e 15400 soldati. Cercò di riunire gli stati greci suoi alleati in una lega ma non ebbe il tempo materiale di radunarli, cercò di persuadere Rodi ad allearsi con lui contro Tolemeo, ma i Rodii gentilmente rifiutarono, decisione di cui avrebbero in seguito dovuto pagarne le conseguenze. Lo sbarco e l'assalto all'isola ebbero invece un successo immediato: Demetrio batté in uno scontro campale Menelao, fratello di Tolemeo e stratego dell'isola, e lo costrinse a rifugiarsi nella piazzaforte di Salamina che era munita di robuste mura e dotata di rifornimenti per sostenere un lungo assedio. Demetrio per avere ragione dei difensori iniziò la costruzione di imponenti macchine ossidionali, fra le quali l'Elepoli, un'immensa torre di nove piani alta circa quarantadue metri che poteva ospitare arieti, catapulte e parecchie centinaia di uomini armati.. Gli ordigni di Demetrio riuscirono a fare parecchi danni alle mura di Salamina, ma vennero incendiati tutti in una sortita dei difensori, mostrando a Demetrio - che non intese la lezione- come le opere in legno fossero vulnerabili senza adeguata protezione.

Il prolungamento dell'assedio offrì a Tolemeo la possibilità di allestire una spedizione navale per venire in soccorso del fratello. Approdò senza contrasti a Pafo e da lì si diresse a Cizio a trentasei chilometri da Salamina, con una flotta che, grazie alle contribuzioni degli alleati ciprioti, aveva raggiunto le 140 unità da guerra, tutte quinqueremi o quadriremi, e 200 navi da trasporto che potevano contenere 10000 uomini. Tolemeo mandò alcune staffette a Menelao, con l'ordine di far uscire da Salamina le navi su cui aveva il comando, che erano sessanta, non appena fosse iniziata la battaglia con Demetrio, in modo da prenderlo tra due fuochi; ma il figlio di Antigono aveva previsto questa mossa e fece presidiare la stretta imboccatura del porto da dieci navi, quante bastavano a bloccare l'uscita. Con le altre 108 uscì ad affrontare Tolemeo in una battaglia che ebbe luogo tra Salamina e Cizio.
Tolemeo era superiore come numero di navi ma inferiore come grandezza dal momento che Demetrio possedeva navi a sei e anche a sette ordini di remi. E furono queste mirabili navi a garantire al figlio di Antigono la vittoria, dal momento che riuscirono a fare breccia nell'ala destra e a schiacciare la flotta egizia contro la costa. Tolemeo con la sua nave e altre venti riuscì a riguadagnare Cizio, ma tutte le altre navi da guerra e 100 navi da trasporto con 8000 uomini furono affondate o catturate da Demetrio. Tolemeo fuggì in Egitto e Menelao, che non aveva potuto far nulla per aiutarlo si consegnò a Demetrio. I prigionieri catturati, 16800 entrarono quasi tutti a far parte dell'esercito antigonide.

SCACCO IN EGITTO (novembre 306-primi mesi 305)

Demetrio era uscito vincitore in una delle più grandi battaglie della storia navale, e la gloria che gliene derivò si manifestò sotto forma di onori divini da parte delle città più compiacenti, alcune delle quali, a imitazione di quanto aveva fatto Atene, intitolarono delle tribù a nome suo e del padre. Antigono venne informato della splendida vittoria mentre stava attendendo alla costruzione di Antigonea sull'Oronte, e si sentì incoraggiato a fare il grande passo dell'assumere il titolo regale per sé e per il figlio Demetrio.
Con una ben orchestrata scena prima l'ammiraglio Aristodemo, poi l'esercito e la folla acclamarono Antigono Re. Con ciò il Monoftalmo rivendicava il ruolo di erede di Alessandro e il compito di riunificare tutto l'impero: gli altri diadochi non potevano essere più considerati suoi pari, ma semplici ribelli da ricondurre all'obbedienza o da annientare.
Antigono e Demetrio cercarono di approfittare dell'indebolimento di Tolemeo per attaccarlo direttamente in Egitto e, allo scopo, allestirono un immenso esercito di 88000 uomini e 83 elefanti, spalleggiato da una flotta di 150 navi da guerra e 100 da trasporto. L'armata partì da Antigoneia sull'Oronte e raggiunse Gaza senza difficoltà, ma ben presto iniziarono i problemi, perché una tempesta colse la flotta antigonide tra Gaza e Rafia, mentre la truppa, nonostante il servizio di sussistenza creato da Antigono con l'aiuto di cammelli Arabi, attraversò con grandi sofferenze il tratto di deserto che separava Gaza da Pelusio. Accampato oltre il ramo orientale del Nilo Antigono trovò Tolemeo con l'esercito schierato. Il satrapo d'Egitto intendeva difendersi con gli stessi mezzi impiegati per fronteggiare l'invasione di Perdicca: utilizzo di fortini lungo il Nilo, di una flottiglia di zattere per sorvegliare il fiume e prevenire tentativi di sbarco, e un'ampia opera di corruzione per convincere i mercenari di Antigono a disertare. Un tentativo effettuato dalla flotta di Demetrio di aggirare le postazioni difensive fu neutralizzato grazie all'intervento delle guarnigioni costiere e di un'altra tempesta che fece cadere tre quadriremi e alcune navi da trasporto nelle mani di Tolemeo.

Antigono non aveva nemmeno tenuto conto del fatto che il Nilo a novembre era piuttosto alto e non permetteva di essere attraversato con facilità. Antigono si ritrovò nella stessa situazione di stallo in cui era incorso Perdicca quando aveva tentato di invadere l'Egitto con l'esercito bloccato sul braccio orientale del Nilo e sempre più indebolito dalle diserzioni. Un consiglio di guerra convocato d'urgenza espresse il parere di rimandare tutto alla buona stagione e Antigono accettò di buon grado il parere dei suoi ufficiali anche se con ciò riconosceva la sconfitta.
Tolemeo allora scrisse agli altri diadochi dei successi ottenuti e poco dopo si fece proclamare faraone d'Egitto: la vittoriosa difesa del territorio che governava era stata l'impresa necessaria per rendere legittimo il titolo regale. Ben presto cadde ogni remora anche negli altri generali che si fecero acclamare re dalle proprie truppe: Seleuco in Babilonia, Lisimaco in Tracia e Cassandro in Macedonia. Ognuno di essi non diede una caratterizzazione geografica al proprio titolo, come del resto aveva fatto Antigono. La loro ascesa alla monarchia era avvenuta per compenso ai successi militari e si sentivano pertanto autorizzati a regnare su tutto ciò che veniva da loro conquistato.

IL REGNO DI ANTIGONO

Cosa comportava esattamente essere Re per Antigono e i suoi colleghi? Innanzi tutto il comando militare, l'autorità sull'esercito e sui comandanti di guarnigione, poi la possibilità di disporre finanziariamente dei tesori raccolti da Alessandro e delle entrate delle satrapie, nonché quella fondamentale di battere moneta, strumento indispensabile di regalità poiché era l'unico mezzo di comunicazione di massa dell'antichità. Il territorio su cui si trovavano a regnare, comprendeva una popolazione estremamente eterogenea dal punto di vista etnico e culturale, ch poteva essere unificata soltanto dal culto del sovrano e da una struttura amministrativa da affiancare a quella militare. Vedremo poi come ogni diadoco risolse la sua situazione.

Antigono e Demetrio cercarono in tutto e per tutto di imitare Alessandro, esercitando le piene prerogative legali (possesso del territorio, esazione dei tributi) nei confronti delle popolazioni indigene dell'Anatolia e della Siria ma cercando al tempo stesso di rispettare la libertà e l'autonomia delle città greche all'interno del regno.

Le poleis godevano di una totale autonomia amministrativa e di una certa libertà anche in politica estera, limitata ovviamente dal dovere essere per forza “fedeli“ ad Antigono. In genere non cambiò le istituzioni politiche delle poleis e dei piccoli stati inglobati nel suo. Mitridate di Kios, i re fenici e Dionisio di Eraclea, rimasero re o tiranni delle loro città che già possedevano. Se altrove vi era un regime oligarchico o una democrazia Antigono non interveniva a cambiarle. Le città potevano avere un legame personale con Antigono e Demetrio, ma più spesso venivano raggruppate in entità politiche superiori, come la la lega ionica, la lega delle isole con al centro il santuario di Apollo a Delo. Tali leghe non erano stati sovrani, non battevano moneta, non avevano assemblee, e non deliberavano in temi di politica estera. In genere il loro scopo era la celebrazione di feste in onore di Antigono che vi riceveva un culto divino. Il sogno di Antigono e Demetrio rimaneva quello di ricreare la vecchia lega ellenica fondata da Filippo nel 337 e di assumerne l'egemonia, ma non avrebbero potuto conseguire l'obiettivo fin tanto che Cassandro e Poliperconte dominavano la scena greca.

Antigono inaugurò la politica, che fu anche quella dei Seleucidi, di fondare molte nuove città, con lo scopo di creare entità politiche nuove, che dipendessero completamente da lui per poter avviare l'attività economica e sociale, e che quindi gli fossero fedeli: Antigoneia sull'Oronte venne eletta a capitale e fu in quella città che si fece proclamare Re. In Anatolia iniziò a ricostruire Smirne, costrinse al sinecismo sette città per fondare Antigoneia nella Troade, mentre una terza città con quel nome sorse sul lago Ascanio. Tutte queste poleis erano autonome e i loro cittadini potevano contare su appezzamenti di terreni concessigli dal Re. Normalmente invece la terra era proprietà di Antigono che incassava quindi i proventi dei terreni agricoli. Il grano poi lo rivendeva alle città greche autonome ad un prezzo da lui fissato. Dal momento che aveva proibito alle stesse città greche l'importazione di grano dall'estero si ritrovò ad essere l'unico venditore disponibile, e realizzò non pochi profitti. Oltre a ciò, pur senza istituire un regolare sistema di tributi, pretese dalle città greche delle contribuzioni per le sue guerre, e dal momento che queste erano continue non poche amministrazioni finirono per contrarre debiti per pagare gli sforzi bellici del loro protettore.

LISIMACHIA E SELEUCIA

Antigono non fu l'unico diadoco che aveva progettato e costruito la propria capitale: se Cassandro poteva regnare a Pella, la capitale della Macedonia, e Tolemeo si era limitato a proseguire l'edificazione di Alessandria proponendosi come successore del fondatore, Lisimaco e Seleuco , come Antigono non avevano una città che per tradizione potesse fare da centro di una monarchia greco/macedone e dovevano quindi edificarne una ex-novo.

Lisimaco già nel 309 aveva dato inizio ai lavori della città che doveva diventare la sua capitale: Lisimachia, nella parte più a nord del Chersoneso tracico, tra Cardia e Pactie, la cui popolazione fu forzata ad entrare nel nuovo insediamento. La città doveva servire tanto come baluardo contro gli attacchi provenienti dai barbari Traci e da nemici asiatici, ma, sorgendo sulla rotta commerciale che dal Ponto portava al mar Egeo e alla Grecia, aveva tutte le possibilità di prosperare economicamente: Lisimaco ebbe sempre fama di investitore oculato e la fondazione di Lisimachia fu decisa tenendo conto del profitto che se ne poteva trarre.

Come abbiamo detto in precedenza, il terribile conflitto tra Antigono e Seleuco aveva ridotto la città di Babilonia alla rovina. Seleuco, impegnato dapprima nel consolidamento della nuova frontiera con Antigono, non si era preoccupato di ricostruirla, ma ora, dopo la sua proclamazione a Re, cercò una soluzione al problema. Si trattava di decidere se riedificare quanto restava della città o rifondarla ex-novo. Seleuco optò per la seconda soluzione e a poca distanza da Babilonia pose diede inizio alla costruzione di una città che avrebbe dovuto diventare la nuova capitale: Seleucia sul Tigri.
Naturalmente i babilonesi, specialmente il potente clero dell' E-sagila, avevano tutti i motivi per essere scontenti di dover subire la rivalità di una città con propri templi, sacerdoti e officianti del culto, e temevano seriamente che la popolazione dei nativi avrebbe seguito i Greci abbandonando Babilonia per risiedere nella capitale seleucidica. Ci furono resistenze che le fonti ci tramandano sotto forma di aneddoto.

Appiano nei suoi Syriaca racconta che: quando ai Magi venne ordinato di indicare il giorno propizio e l'ora per iniziare gli scavi, essi falsificarono l'ora perché non volevano avere una tale fortezza costruita contro di loro. Mentre Seleuco nella tenda attendeva l'ora data, e l'esercito, pronto ad iniziare il lavoro, aspettava tranquillo che il re desse il segnale, improvvisamente nell'ora realmente più propizia, i soldati balzarono su come se qualcosa li chiamasse al lavoro, in modo che nemmeno gli araldi riuscivano a trattenerli. Quando il lavoro fu portato a termine, Seleuco era scoraggiato e ancora interrogò i Magi riguardo alla città, ed essi, essendosi assicurati una promessa di impunità replicarono:- "ciò che è destino, o Re, che sia buono o cattivo, né gli uomini né le città possono cambiarlo, perché c'è un destino per le città, così come per gli uomini. E' stato deciso dagli dei che questa città debba durare per il tempo più lungo, perché ebbe principio nell'ora in cui avrebbe dovuto. Noi temevamo che fosse costruita come una fortezza contro di noi e dicemmo il falso sull'ora fissata, ma il destino è stato più forte degli astuti magi e dell'inconsapevole Re"-


Naturalmente l'aneddoto termina col perdono garantito da Seleuco ai Magi. Dopotutto, la divinità non non avrebbe potuto mandargli un segno più favorevole. La città conobbe immediatamente una grande fioritura e numerosi Babilonesi abbandonarono la loro vecchia città per abitare nella nuova.

SELEUCO IN BATTRIANA E IN INDIA (306-304)

Negli anni in cui in Occidente si combattevano le guerre tra Demetrio, Tolemeo e Cassandro, Seleuco muoveva alla conquista dell'Iran Orientale in un territorio in cui, dalla morte di Alessandro, i rappresentanti del governo centrale avevano esercitato una sovranità puramente teorica e dove anche Antigono non si era spinto per affermare il proprio potere. L'ultima occasione in cui i satrapi delle satrapie superiori si erano riuniti era stata al tempo della guerra tra Antigono ed Eumene. Poi per oltre dieci anni non si seppe nulla di loro e Seleuco, quando si spinse in Battriana trovò una situazione piuttosto confusa in cui dovette far fronte all'opposizione dei Battriani, forse comandati da regoli locali, forse dal vecchio satrapo Stasanore.
Giustino afferma che i Battriani furono battuti e sottomessi senza fornire ulteriori particolari; gli storici moderni ipotizzano che Seleuco abbia vinto tanto con la guerra che con la diplomazia, grazie all'influenza di Apama, la figlia di Spitamene che Seleuco aveva sposato durante le nozze di Susa e che non aveva mai ripudiato, anche nei momenti in cui i vantaggi politici del matrimonio erano nulli

Subito dopo la conquista della Battriana Seleuco marciò verso l'India con l'intento di restaurare il dominio macedone che lentamente era stato cancellato dalle lotte tra i satrapi e dall'assorbimento dei pochi coloni greci ivi impiantati nelle popolazioni indigene. Questa volta però non avrebbe dovuto affrontare la disorganica resistenza di capi locali e di tribù che aveva incontrato Alessandro. I soldati del conquistatore si erano rifiutati di proseguire oltre l'Ifasi, dato che le notizie sull'imponenza del regno del Maghada erano bastate a scoraggiarli. Pochi anni dopo la dinastia dei Nanda che regnava sulla capitale del Maghada, Patalipura, era stata rovesciata da un usurpatore, Chandragupta Maurya, fondatore dell'omonima dinastia che, di conquista in conquista, arrivò a dominare su quasi tutta l'India. La sua eminenza grigia era in verità il primo ministro Kautilya, un brahamano emarginato dalla corte dei Nanda che, non potendo aspirare al trono per via di una deformità fisica, aveva fatto da mentore a Chandragupta, compilando per il suo protetto un trattato di arte dello stato chiamato Arthasastra.

Sotto la guida del suo illuminato maestro Chandragupta aveva creato uno stato solido e forte che dominava dall'Indo fino al Deccan e poteva far fronte a qualsiasi invasore, come Seleuco ebbe modo di scoprire quando nel 304 varcò l'Indo sulle orme di Alessandro e tentò invano di abbattere il potente sovrano del Maghada. Il trattato di pace che mise al conflitto fu tutto in suo sfavore, dato che dovette rinunciare alle satrapie dell'India, della Aracosia e della Gedrosia. In cambio ebbe 500 elefanti, che avrebbero giocato un ruolo decisivo nelle successive campagne e l'amicizia del regno dell'India che non avrebbe mai dato alcun fastidio ai Seleucidi nei decenni a venire.

Nonostante lo scacco parziale e la rinuncia ad alcune delle conquiste di Alessandro le campagne di Seleuco in Oriente furono decisive per la conservazione dell'Ellenismo nell'Iran e anche da sole gli avrebbero ben meritato l'apellativo di “vincitore“ con cui è passato alla storia. Di tutti i diadochi fu l'unico che capì l'importanza dell'Oriente per la sopravvivenza del mondo ellenistico, anche se più avanti si sarebbe sentito sempre più irresistibilmente attratto dalla macedonia e dal mondo mediterraneo il cui accesso gli era per il momento impedito dal regno di Antigono.

CONCLUSIONE

In questo capitolo abbiamo visto concludersi le tristi vicende della dinastia argeade i cui ultimi membri furono eliminati l'uno dopo l'altro nell'indifferenza o rassegnazione dei sudditi macedoni. Al loro posto, i generali sopravvssuti a lunghi anni di lotte intestine si sentivano ormai in grado di rivendicare la piena sovranità ui territori che occupavano, strappati ai loro rivali dopo guerre interminabili e continui ribaltamenti di fronte.
L'acclamazione popolare, la fondazione di città, le conquiste militari o la difesa vittoriosa da un attacco fornirono i pretesti per legittimare la loro pretesa ad una sovranità piena e assoluta

Nel 304 il mondo greco aveva quindi visto sorgere sulle ceneri dell'impero di Alessandro cinque regni greco/macedoni: quello di Cassandro in Macedonia, di Lisimaco in Tracia, di Antigono in Asia Minore e in Siria, di Tolemeo in Egitto e di Seleuco in babilonia e nell'Iran Orientale. Pochi potentati in Asia minore (Bitinia, Cappadocia Armenia) e alcuni stati greci come Bisanzio, Rodi, Sparta e l'Etolia erano rimasti realmente indipendenti dai nuovi regni.

Alcuni dei diadochi come Cassandro sembravano volersi accontentare dei paesi su cui già regnavano, altri come Seleuco e Antigono ripercorsero le orme del conquistatore cercando di riconquistare i paesi barbari da lui sottomessi o di abbattere gli altri generali e di presentarsi come protettori dei greci e restauratori dell'impero universale.
I loro tentativi avrebbero portato ancora a lunghe e sanguinose guerre, prima che diventasse palese che nessuno aveva mezzi sufficienti per ricostruire la perduta unità. Antigono e Demetrio tentarono, forti dei loro apparentemente invincibili mezzi militari, di abbattere gli altri diadochi a cominciare da Cassandro ....

... il racconto del loro ultimo tentativo, con tutte le conseguenze che ne sarebbero derivate, sarà oggetto del prossimo capitolo.

IL CONSOLIDAMENTO DELLE MONARCHIE ELLENISTICHE > > >

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