22. IL DOPO ALESSANDRO - LE SATRAPIE - I DIADOCHI

CONFLITTO A BABILONIA. (Giugno 323) - IL PRIMO SANGUE (Giugno 323) - LA DISTRIBUZIONE DELLE SATRAPIE (Giugno-Luglio 323)- FERMENTI IN GRECIA E IN ASIA - I PREPARATIVI DI ATENE - LE PRIME FASI DELLA RIVOLTA (Giugno 323-autunno 323) - VITTORIE DEI GRECI – ANTIPATRO ASSEDIATO (Autunno avanzato 323) - I PIANI DI LEONNATO - LA FINE DI LEOSTENE E LEONNATO (inverno 323-322) - VITTORIE MACEDONI (inverno 323-primavera 322) - AMORGO E CRANNONE (Luglio 322-Agosto 322) - LA CAPITOLAZIONE DI ATENE (Settembre 322)

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CONFLITTO A BABILONIA. (Giugno 323)
Non si erano spenti ancora i lutti nell'esercito per la morte del Re, che sorsero subito delle dispute su chi dovesse succedergli. Il Re macedone, come già detto, era eletto per acclamazione dall'esercito riunito, e questo si trovava spezzato in tre tronconi principali: i soldati e gli ufficiali presenti a Babilonia, le truppe di Antipatro in Europa, e i veterani sotto il comando di Cratero, che si trovavano in Cilicia, in marcia verso il rimpatrio. Secondo la consuetudine, l'assemblea aveva sempre eletto un rappresentante della famiglia di Filippo e Alessandro, quella degli Argeadi, ma al momento non ce ne erano di validi. Alessandro aveva avuto tre mogli, e una o forse più concubine; Barsine figlia di Artabazo gli aveva dato un figlio, chiamato Eracle, che viveva a Pergamo con la madre, ma che non era mai stato ufficialmente riconosciuto dal Re. Rossane, la prima delle mogli ufficiali era incinta , si sperava di un maschio. Degli altri figli maschi di Filippo e fratellastri di Alessandro, sopravviveva il solo Arrideo, figlio di Filinna, danzatrice di Larissa, tarato mentalmente e non in grado di regnare.

Nessuna di queste soluzioni garantiva un regno stabile. Tutti i canditati papabili avevano bisogno di un tutore, che avrebbe detenuto il vero potere. Nel primo consiglio, ristretto alle guardie del corpo e agli altri ufficiali, vennero fatte proposte contraddittorie: Perdicca, a cui l'anello dato da Alessandro dava in qualche modo una certa autorità, propose di aspettare che Rossane partorisse per vedere se il nascituro fosse un maschio e, in tal caso, affidargli il regno. Nessuno a parte Pitone appariva entusiasta dell'idea,principalmente per il fatto che il nuovo nato avrebbe ereditato il sangue asiatico dalla madre, e i Macedoni non volevano sentire parlare di essere comandati da un bastardo mezzo orientale: Nearco suggerì di dare il regno ad Eracle figlio di Barsine, Tolemeo si pronunciò per una direzione collegiale, Aristonoo infine propose lo stesso Perdicca per il regno; dopotutto Alessandro, affidandogli l'anello non poteva che avere indicato lui come successore. Secondo Curzio Rufo, Perdicca si schernì e sembrò tirarsi indietro, ma questa finta ritrosia era l'inevitabile atteggiamento che si richiedeva ad un pretendente al trono.

Del resto, accettare subito il trono era una mossa azzardata: Perdicca in realtà non era popolarissimo tra i soldati, almeno non come Cratero o Leonnato, non poteva sapere su quali amici contare e se l'esercito d'Europa avrebbe accettato la soluzione. Era molto più conveniente diventare tutore di un infante o di Arrideo, consolidare la propria posizione nel regno e salire al trono mettendo da parte l'incapace sovrano, come aveva fatto Filippo II con Aminta. Quindi è molto probabile che Perdicca fosse realmente titubante di fronte alla soluzione di salire al trono subito e che Aristonoo non gli fece un vero favore. Pitone allora ripropose la soluzione di Perdicca: il figlio di Rossane avrebbe ereditato il regno e sarebbe stato sotto la tutela congiunta di Leonnato e Perdicca, i più degni di esercitare tale ufficio perché di stirpe reale. Di suo aggiunse che la direzione degli affari d'Europa dovesse essere lasciata congiuntamente ad Antipatro e Cratero che avrebbero avuto pari dignità con Perdicca e Leonnato. Per accontentare tutti si sarebbe quindi creata una specie di tetrarchia con quattro effettivi governanti per il Re nominale. Tutta la cavalleria accettò la soluzione che accontentava sicuramente la nobiltà macedone, ma i fanti insorsero.
Secondo il racconto di Giustino (che riassume le Storie Filippiche di Pompeo Trogo)
"… i fanti, sdegnati che a loro non fosse stata lasciata nessuna parte nelle decisioni, proclamarono Re Arrideo, fratello di Alessandro, scegliendo per lui guardie del corpo della loro schiera, e ordinarono che fosse chiamato col nome di Filippo, suo padre. I cavalieri, venuti a conoscenza di ciò, mandarono come delegati a calmare gli animi dei soldati due dei nobili, Attalo e Meleagro: ma questi, ricercando un loro prestigio personale con la compiacenza verso la folla, tralasciarono i compiti a loro affidati e si accordarono con i soldati".

Meleagro fece portare alla reggia dai suoi accoliti un più che riluttante Arrideo, sperando di ottenere da lui l'approvazione dell'eliminazione di Perdicca e dei suoi amici che aveva intenzione di eseguire subito. Perdicca e Leonnato si chiusero dentro la sala in cui era deposto il corpo di Alessandro, ma i loro avversari che si erano riversati nella reggia, sfondarono le porte. Non si arrivò ancora ad uno spargimento di sangue: Perdicca e Leonnato furono allontanati dalla reggia e per conto loro decisero di uscire dalla città, seguiti dalla cavalleria a loro fedele, mentre Arrideo si insediava sul trono spalleggiato da Meleagro che diventava in via non ufficiale il suo tutore legale.

Per non dare l'impressione di avere rotto completamente con la fanteria, Perdicca trovò la forza di ritornare al palazzo da solo. Contava di riprendere il suo ascendente sui soldati, che più che lui come persona avversavano la sua politica, e non era detto che avrebbero voluto un Meleagro al suo posto. Questi infatti, dopo avere strappato un tacito assenso al re imbelle, mandò l'ordine ai suoi soldati di uccidere il principe dell'Orestide; questi attese con calma gli emissari e li dissuase dall'eseguire l'ordine con il suo carisma, poi, vista la mala parata si recò nuovamente dalla cavalleria fuori Babilonia. La rottura tra i due reparti Macedoni divenne completa e i cavalieri attuarono il blocco della città tagliando i rifornimenti.

Per tre giorni la situazione rimase in stallo; una prima ambasceria da parte di Arrideo per arrivare ad un accordo riportò come risposta che i cavalieri reclamavano la consegna dei capi della sedizione. La fanteria si preparò allora ad uno scontro che sembrava inevitabile, quando Arrideo pose un veto a questa risoluzione dichiarando di volere piuttosto ritirarsi dal trono che causare lo spargimento del sangue dei suoi compatrioti. Nel frattempo anche Eumene di Cardia, l'ex segretario di Alessandro che pur parteggiando per i cavalieri era rimasto nella reggia con Perdicca, ammansì, secondo le parole di Plutarco, l'animo dei fanti e li convinse ad accettare una soluzione di compromesso con la cavalleria. Una nuova trattativa giunse ad una soluzione di compromesso così descritta da Giustino.

" ….i cavalieri, richiamati alla concordia, riconobbero Re Arrideo. Fu riservata una parte del regno al figlio di Alessandro se fosse nato. Questi accordi venivano presi dopo aver posto in mezzo la salma di Alessandro, affinchè la sua maestà fosse testimone delle loro risoluzioni. Raggiunte queste intese, Antipatro fu preposto alla Grcia e alla Macedonia, a Cratero fu affidata la custodia del tesoro e della corona, la cura dell'accampamento, dell'esercito e dei Re vassalli fu assegnata a Meleagro e a Perdicca. Arrideo avrebbe preso il nome di Filippo III con cui fu da allora riconosciuto sulle monete".

IL PRIMO SANGUE (Giugno 323)

Rispetto alla soluzione di Pitone era stato aggiunto un nuovo re e un nuovo reggente, complicando ulteriormente la governabilità dell'impero. Meleagro era riuscito a fare un balzo di carriera, appoggiandosi agli umori dell'esercito, ma la sua posizione non aveva basi reali di popolarità tra i soldati, che l'avevano sostenuto solo perché aveva caldeggiato la candidatura di Arrideo. Qualche giorno dopo il raggiungimento del compromesso, Perdicca e Meleagro eseguirono la purificazione dell'esercito che comportava lo sventramento di una cagna davanti all'esercito riunito in presenza del nuovo Re Filippo. Qui, con un colpo di mano condotto con freddezza, Perdicca fece prima isolare per mezzo dei suoi cavalieri i 300 sostenitori di Meleagro più coinvolti nell'assalto alla reggia di qualche giorno prima, poi accusandoli di sedizione, li fece calpestare a morte dai suoi elefanti, nell'indifferenza di Re Filippo e nel silenzio degli altri commilitoni. Meleagro, vistosi perduto si rifugiò in un tempio da cui fu tirato fuori a forza e ucciso. La sua meteorica entrata e uscita di scena ebbe però la conseguenza durevole dell'elevazione al trono di Filippo Arrideo, che si rivelò, così malato di mente e distante da problemi politici da essere disposto a seguire ed approvare qualunque soluzione proposta dal reggente di turno. La sua malattia mentale non faceva affatto ben sperare per il futuro dell'impero.

Anche all'interno dell’harem d’Alessandro ci furono dei drammi. La madre di Dario, Sisigambri, che era sopravvissuta a tutti gli sconvolgimenti di quegli anni decise di lasciarsi morire di fame alla morte del Re. Rossane, la prima moglie di Alessandro, gelosa di Statira, figlia di Dario, che Alessandro aveva sposato nelle nozze collettive di Susa, la fece uccidere insieme alla sorella Dripetide che aveva sposato Efestione. I loro cadaveri furono gettati in un pozzo, e Perdicca dovette aiutare Rossane a coprire il misfatto facendo riempire di terra il buco. Nulla si conosce della sorte del figlio di Dario e di Parisatide, figlia di Oco, ma sembra che l'estinzione della famiglia achemenide seguisse di poco la morte di Alessandro. Più tardi Rossane diede alla luce un maschio, con gran sollievo di Perdicca,e questi fu subito elevato al regno col nome di Alessandro IV, e pari dignità con Filippo III Arrideo.

LA DISTRIBUZIONE DELLE SATRAPIE (Giugno-Luglio 323)

L'assassinio di Meleagro, se aveva tolto di mezzo un personaggio scomodo, consolidò tuttavia la malcelata ostilità che già i Macedoni nutrivano per Perdicca. Secondo Arriano egli sospettava di tutti e da tutti era guardato con sospetto, e tuttavia decise di nominare satrapi, proprio quelli di cui maggiormente diffidava, fingendo di attuare la volontà di Arrideo.

In Europa, tutta la Tracia, e la regione Europea degli stretti, fu assegnata a Lisimaco, figlio di Agatocle; la Macedonia, l'Epiro, fino ai monti Cerauni, le regioni dei Triballi, degli Agriani e degli Illiri, rimase ad Antipatro che insieme a Cratero doveva avere una sorta di supervisione sugli affari europei, in quanto entrambi reggenti. In Asia Leonnato si vide assegnata la Frigia Ellespontica, la regione Asiatica degli stretti, Antigono ebbe la Licia, la Panfilia e continuò a governare la Grande Frigia, Menandro fu il nuovo satrapo di Lidia, Asandro ottenne la Caria di cui era morta qualche tempo prima Ada, l'ultima dinasta della dinastia di Mausolo.

Gran parte dell'Asia Minore non era stata conquistata da Alessandro, che non si era spinto né sulle coste pontiche, né in Cappadocia ancora governata dal dinasta locale Ariarate. Per ricompensare Eumene dei servigi che aveva prestato nell'opera di conciliazione, Perdicca gli affidò quindi il compito di conquistare quest’ultima regione e di governarla come satrapo, con il previsto appoggio di Leonnato e Antigono. Tutte le satrapie vicine alla Babilonia furono date a uomini fidati o di scarso spessore: Pitone ottenne la Media, mentre al precedente governatore Atropate fu lasciato il pezzo più a nord della satrapia, che divenne con l'andare del tempo un suo domino personale, e prese infatti il nome di Media Atropatene (l'odierno Azerbaijan).

La Cilicia e la Siria, la Mesopotamia e la Babilonia passarono rispettivamente a Filota, Laomedonte, Arcesilao e Arcone, mentre la ricca satrapia d'Egitto divenne appannaggio di Tolemeo. Cleomene, che ai tempi di Alessandro aveva praticamente governato da solo la regione, pur rivestendo soltanto la carica di collettore di tasse, fu lasciato al suo posto ma in subordine al nuovo satrapo. Alle satrapie orientali furono lasciati gli stessi satrapi creati da Alessandro. Taxila e Poro, in India, Ossiatre, nel territorio tra l'Hindu Kush e il Punjab, Siburzio in Aracosia e Gedrosia, Stasanore in Aria e Drangiana, Filippo in Battriana e Sogdiana, Frataferne in Partia e Ircania, Peuceste in Persia, e Tlepolemo in Carmania rimasero a governare i loro possedimenti.

Venne implicitamente a cadere l'imposizione di Alessandro che i satrapi non potessero arruolare mercenari, e difatti i governatori ripresero ad avere eserciti privati. Alcuni personaggi illustri non ebbero per il momento dei governatorati: Seleuco, il comandante degli scudati sotto Alessandro venne promosso ipparco della cavalleria, la carica che dava il comando dello squadrone di cavalleria degli eteri e che ne faceva il vice del Re o, in questo caso, del reggente, mentre Cassandro, figlio di Antipatro fu promosso a capitano delle guardie del corpo. In questo modo Perdicca e il suo entourage potevano credere di avere tacitato per il momento le ambizioni degli ufficiali più influenti e pericolosi, con incarichi importanti e remunerativi, anche se tutti gli sforzi e la buona volontà di Perdicca non potevano contrastare separatismo di Tolemeo, l’ambizione di Leonnato e Antigono, la diffidenza di Antipatro e Cratero e l’infedeltà di Pitone, come sarebbe stato dimostrato dagli avvenimenti seguenti.
Perdicca era competente e forse sincero nel suo ruolo di protettore della monarchia, ma mancava di carisma e di tatto e non riuscì ad assicurarsi né veri amici, con eccezione di Eumene, né l’indispensabile affetto dei soldati. Del resto nemmeno gli altri ufficiali potevano per il momento avere un seguito sufficiente da potere aspirare al suo posto o addirittura alla monarchia, per cui per il momento recitarono la parte dei satrapi subalterni, e riuscirono a far fronte comune di fronte alla grande rivolta che fece seguito alla morte di Alessandro.

FERMENTI IN GRECIA E IN ASIA

Naturalmente la morte del Re dell’Asia non aveva mancato di avere serie ripercussioni tra quelli dei suoi sottoposti o “alleati”, che mai avevano digerito la sua supremazia, cioè dei Greci. Gli Ateniesi e gli Etoli ormai erano sul punto di ribellarsi apertamente persino durante la vita del macedone, per via del famigerato decreto di rientro degli esuli, che avrebbe costretto gli Etoli a ridare case e terreni ai cittadini della città acarnana di Eniade, e agli Ateniesi di fare altrettanto con i cittadini di Samo, da loro esiliati nel 365 per far posto ai propri coloni (cleruchi). Nel caso di Atene poi la questione degli esuli non era altro che il pretesto per prendersi la rivincita sulla Macedonia e soppiantarla nel suo ruolo guida nella Grecia , che si sentiva sempre più soffocata dal giogo macedone.

La lega ellenica capeggiata da Filippo e poi da Alessandro prevedeva la libertà ed autonomia dei suoi membri e, soprattutto, non prevedeva interferenze del potere centrale nella costituzione delle città. Ma Antipatro, il luogotenente di Alessandro in Europa, pur tenendo sgombre da presidi quasi tutte le poleis, aveva tuttavia mantenuto saldo il potere sulla regione tramite forti guarnigioni a Corinto, nella rocca Cadmea, che dominava le rovine di Tebe e a Calcide in Eubea. Inoltre aveva creato tirannidi in alcune città, come Messene e Sicione e favorito ovunque il partito dei benestanti, a scapito di quello democratico. E quest’ultimo iniziava a identificarsi sempre più con le masse dei poveri e dei diseredati.
Gli anni della grande espansione macedone in Asia erano stati anni duri per l’Ellade, travagliata da una carestia senza precedenti, che aveva imperversato per sette anni a partire dal 331 e che era in parte stata resa peggiore da Cleomene in Egitto con la sua spregiudicata politica speculativa e il monopolio delle esportazioni di grano dall’Egitto, che vendeva agli affamati Greci ai prezzi più alti possibili.

Ad Atene in qualche modo si fece fronte al problema grazie alla cooperazione di certi mercanti stranieri e all’istituzione nel 328 di una commissione a cui contribuivano i cittadini più ricchi per acquistare il grano al corrente prezzo di mercato e rivenderlo ai cittadini meno abbienti ad uno più basso. Tuttavia la situazione si era deteriorata al punto che gli Ateniesi si ridussero a mandare una flotta nell’Adriatico al comando di un certo Milziade, con l’incarico di fondare una colonia dove procurarsi finalmente gli agognati cereali. Le altre città, meno organizzate di Atene e meno potenti economicamente, patirono molto di più in proporzione, e Alessandro non ebbe modo o tempo di aiutarle. Intere famiglie caddero in rovina e molti uomini non trovarono né lavoro né fonti di sostentamento scelsero di combattere come mercenari per Alessandro, che infatti non ebbe mai penuria di uomini provenienti dalla Grecia.

Il sovrano macedone più che impegnarli in battaglia preferì di solito trasformarli in coloni per le proprie fondazioni nell’oriente, e pertanto molti di essi finirono in Battriana, in India e nelle satrapie orientali. La vita in quei luoghi remoti era molto grama, e le poche risorse locali potevano essere sfruttate con un lavoro così duro che molti non se la sentivano di intraprendere. Sfuggire alla vita del miserabile in Grecia per iniziarne una da povero in Battriana non era esattamente quello che si erano proposti i mercenari Greci, che avevano dato segni di insofferenza già durante il regno di Alessandro, ribellandosi sia in India che in Battriana –tumulti che furono sedati con difficoltà-. Dopo la morte di Alessandro esplose una nuova rivoluzione in Battriana, dove ben presto alcune migliaia di mercenari (23000 secondo Diodoro, molti meno secondo gli storici moderni), cercarono di rientrare in patria sotto la guida di Filone di Enia.

I PREPARATIVI DI ATENE

Fin dai tempi della battaglia di Cheronea Atene si era riproposta di prendersi la rivincita sui Macedoni. Nonostante la vastità dell’impero di Alessandro l’impresa non appariva troppo disperata da un punto di vista militare, poiché se gli Ateniesi non potevano competere con le forze Macedoni riunite, erano in grado di mobilitare un numero di uomini non troppo inferiore a quello macedone disponibile nella zona -consistente nelle truppe di Antipatro che assommavano a meno di quindicimila uomini - e , con l’aiuto di alleati Greci, potevano ribaltare i rapporti di forza. Atene, nei dodici anni successivi alla battaglia di Cheronea si era giovata dell’opera di Licurgo, un oratore noto per la sua severità morale e per l’onestà amministrativa, che per dodici anni amministrò le finanze della città. Le lunghe mura del porto e della città furono restaurate, così come quelle delle fortezze in Attica.

Il ricordo della cattiva prova data dagli Ateniesi a Cheronea, battaglia in cui per la maggior parte si erano dati alla fuga e lasciati catturare, mentre i Tebani avevano resistito fino alla morte, bruciava ancora Licurgo, che intendeva evitare il ripetersi di questi episodi, dando un migliore addestramento alle truppe. Questo proposito venne raggiunto con la riforma dell’Efebia, il servizio militare obbligatorio dei giovani Ateniesi, che venne portato a due anni uno dedicato all’addestramento e l’altro al servizio di guarnigione. In tal modo si contava di trasformare i cittadini così addestrati in eccellenti riservisti. Nello stesso tempo la flotta fu rafforzata e portata a 407 navi di cui 50 quadriremi e 7 quinqueremi, anche se non più di 200 navi potevano essere equipaggiate di volta in volta per azioni di guerra. Licurgo perse la sua influenza nel 326 e morì due anni più tardi, dopo avere pure subito l’onta di un processo da parte dei suoi avversari politici, ma la sua opera sopravvisse, e Atene, una volta che la carestia ebbe termine nel 324, si trovava pronta all’azione.

Nel 324 ad Atene gli uomini più influenti di Atene erano il democratico antimacedone Iperide e il capo mercenario Leostene. Questi, secondo Pausania (Periegesi I,25): “..prevenendo Alessandro riportò in Europa via mare tutti quei mercenari Greci al soldo di Dario e dei suoi satrapi e che Alessandro voleva mandare ad abitare in territorio Persiano”

L’oscuro Leostene era dunque un grande leader di truppe con buon talento politico e organizzativo. Il malcontento dei mercenari di Alessandro, che erano stati lasciati a coltivare le terre delle satrapie più inospitali, era particolarmente aspro proprio tra gli ex mercenari dei persiani, che con tanto maggior impegno avevano combattuto per i vecchi padroni. Ora ben 8000 di essi, che erano stati rinforzati da ulteriori contingenti arrivati dall’Asia, quando Alessandro aveva ordinato la smobilitazione delle truppe mercenarie al soldo dei satrapi, furono arruolati da Leostene grazie a 50 talenti forniti da Iperide, che li aveva prelevati dal tesoro di Arpalo. In teoria figuravano essere truppe personali del comandante mercenario, e Antipatro, lo stratego d’Europa, non si rese conto per tempo che sarebbero state usate per la rivolta.

LE PRIME FASI DELLA RIVOLTA (Giugno 323-autunno 323)

Quando la notizia della morte di Alessandro giunse ad Atene, fu accolta con una grande incredulità. Un certo Asclepiade portò la notizia, ma l’oratore Demade, un ambiguo personaggio filomacedone esortò i cittadini a non credergli “ Se fosse vero- disse- tutto il modo sentirebbe già da un pezzo l’odore del cadavere”. Il popolo tuttavia prese ad agitarsi e a nulla valsero i tentativi dell’altro esponente del partito filomacedone, Focione di tenerlo calmo. La situazione fu tosto presa in mano da Leostene e Iperide.

L’oratore Ateniese si sbarazzò di Demade con tre accuse di Illegalità che lo fecero privare dei diritti civili, e fece tacere la fazione filomacedone, poi autorizzò Leostene ad agire apertamente come inviato Ateniese e a cercare l’alleanza con gli Etoli, che prontamente risposero, fornendo 7000 uomini e inducendo i Locresi e i Focesi ad entrare nell’alleanza. Allo stesso tempo altre ambascerie furono mandate dagli Ateniesi nel Peloponneso. Demostene, che in quel momento si trovava esule ad Egina, si unì ad una di esse e riuscì a trarre dalla sua parte Argo, Sicione, l’Elide e Messene. Gli Ateniesi non riuscirono tuttavia ad assicurarsi l’appoggio degli stati militarmente più potenti della regione: Sparta e l’Arcadia. La prima si era svenata nella guerra di Agide sei anni prima e, venuta a patti, aveva dovuto consegnare ben 50 ostaggi ai Macedoni; gli Arcadi non si mossero proprio perché Sparta non prese posizione: movendo il loro esercito in aiuto degli Ateniesi, rischiavano seriamente che gli Spartani attaccassero il loro territorio rimasto indifeso.

Il periegeta Pausania aggiunge che anche loro non avevano superato il salasso che avevano ricevuto a Cheronea. I Macedoni potevano contare sulla forzata alleanza di Corinto per via della presenza della guarnigione Macedone sull’Acrocorinto, su quella dell’Eubea, anch’essa dominata dal presidio Macedone a Calcide e sul sincero sostegno dei Beoti, che erano tutti filomacedoni poiché temevano che una vittoria della coalizione greca avrebbe portato alla ricostruzione di Tebe, il cui territorio, dopo la distruzione della città, era stato distribuito da Alessandro agli altri Beoti, che non avevano alcuna intenzione di renderlo ai Tebani. I Greci delle isole non aderirono alla coalizione. A Rodi era stata cacciata la guarnigione macedone, imposta alla città durante la guerra contro i Persiani e mai più ritirata, nonostante le promesse fatte da Alessandro. Ma i Rodiesi, una volta liberatisi dei Macedoni adottarono una politica di stretta neutralità e non aiutarono nessuna delle due parti.

ANTIPATRO ASSEDIATO (Autunno avanzato 323)

Gli Ateniesi si prepararono con grande impegno alla guerra. Tutti gli uomini validi tra i diciotto e i quaranta anni furono chiamati alle armi, tre delle dieci tribù cittadine furono preposte alla difesa dell’Attica, mentre le altre sette sarebbero state impiegate per la campagna vera e propria. La flotta allestita per il combattimento contava 200 triremi e 40 quadriremi. Nelle prime fasi della campagna Leostene occupò il passo delle Termopili con i mercenari e gli Etoli; gli Ateniesi gli inviarono 5000 fanti, 500 cavalieri e altri 2000 mercenari, che una volta giunti a Platea si trovarono di fronte forze riunite dei Beoti, ben decisi a fermarli. Ma Leostene con una mossa fulminea discese dalle Termopili con i suoi mercenari e insieme agli Ateniesi inflisse una grave disfatta ai Beoti, per poi ritornare a presidiare il passo in attesa dell’arrivo di Antipatro.

Lo stratego d’Europa non era mai stato tanto a corto di uomini come in quel delicato momento. Essendo l’esercito Macedone disperso un po’ per tutta l’Asia non aveva a disposizione che 13000 fanti e 600 cavalieri delle leve nazionali. Come ai tempi della campagna contro Agide cercò di raccogliere alleati lungo la strada, principalmente dai Tessali la cui fedeltà ai Macedoni durava da oltre trenta anni. Essi in un primo momento lo seguirono, ma proprio quando raggiunse le Termopili, la loro cavalleria, guidata da Menone, defezionò in massa ai Greci. Attaccato dai vecchi e nuovi nemici, Antipatro accettò battaglia a nord delle Termopili, e venne sconfitto.

L’esito dello scontro causò nuove importanti adesioni alla causa ellenica: la Tessaglia eccetto Pelinna, gli Etei eccetto quelli di Eraclea Trachinia, gli Achei della Ftiotide, tutta la Malide eccetto Lamia passarono dalla parte di Leostene, seguiti dagli abitanti della Doride, gli Alizei, i Dolopi e le regioni semibarbariche dell’Epiro. Dei popoli barbari anche i Traci di Seute si mobilitarono in aiuto dei Greci. Antipatro si trovava strategicamente imbottigliato tra nemici vittoriosi a sud e alleati traditori a nord. Non potendo ritornare in Macedonia perché i Tessali gli avevano tagliato le linee di comunicazione, dovette rinchiudersi nella città di Lamia e attendere che i suoi colleghi in Asia venissero a liberarlo. Poteva contare unicamente sulle scorte di viveri che la sua debole flotta di 110 navi poteva procurargli.

I PIANI DI LEONNATO

Le forze Macedoni che potevano aiutare Antipatro erano tutte piuttosto lontane. Cratero con i suoi 10000 veterani era ancora in Cilicia e non sarebbe arrivato per altri mesi, Lisimaco, appena giunto in Tracia, si era trovato di fronte l’esercito di Seute al completo e aveva avuto l’ardire di accettare uno scontro con delle forze quattro volte inferiori a quelle dell’avversario. Aveva vinto, ma a fatica, e non poteva permettersi di lasciare la regione per portare aiuto allo stratego d’Europa. Rimanevano Leonnato e Antigono. Essi teoricamente non potevano fare nulla perché avevano ricevuto precisi ordini da Perdicca di aiutare Eumene ad abbattere Ariarate e ad annettere la Cappadocia all’impero. Antigono aveva fatto orecchie da mercante agli ordini di Perdicca, ma Leonnato, sia pure malvolentieri, si era addentrato in Frigia con Eumene, quando giunse presso di lui Ecateo, governatore di Cardia, con la richiesta d’aiuto d’Antipatro.

Leonnato era propenso ad accettare e rivelò ad Eumene le sue intenzioni. Si sarebbe recato in Europa con la scusa di aiutare Antipatro, ma, appena giunto in Macedonia, avrebbe reclamato il regno di Macedonia sulla base delle sue parentele con la famiglia Argeade. Secondo Plutarco mostrò anche alcune lettere di Cleopatra, sorella di Alessandro, che lo invitava a Pella per sposarlo. Eumene tuttavia si sentiva molto più legato a Perdicca che non a Leonnato, e non aveva nessuna intenzione di avvicinarsi ad Antipatro ed Ecateo, due nemici personali che aveva sempre tentato di screditare presso Alessandro, e che avevano quindi tutte le ragioni per farlo fuori non appena fosse loro capitato tra le mani. Silenziosamente Eumene lasciò l’ambizioso satrapo per raggiungere Perdicca che, preso atto di quanto Eumene ebbe a riferirgli, mosse l’esercito reale per conquistare la Cappadocia.

LA FINE DI LEOSTENE E LEONNATO (inverno 323-322)

Per tutto l’inverno del 323-322 Antipatro languì in Lamia circondato dalle forze Elleniche, senza che la situazione si sbloccasse in un senso o nell’altro. I Macedoni avevano tentato di alleggerire la pressione sugli assediati sbarcando un corpo di spedizione, prelevato dalla guarnigione di Calcide, a Ramnunte in Attica; ma le tre tribù ateniesi guidate da Focione, sconfissero e ributtarono a mare gli incursori. Leostene sapeva che doveva far capitolare Antipatro prima dell’arrivo dei rinforzi e lanciò le sue truppe in una serie di violenti quanto vani attacchi alle fortificazioni erette dai Macedoni. Poi ebbe la buona idea di tagliare i rifornimenti e costruire un muro e un fossato di controvallazione, mossa che spinse Antipatro a tentare una sortita per impedire i lavori. Leostene cercò di prestare aiuto alle truppe , ma cadde colpito da una pietra.

I Greci non erano stati sconfitti, ma la morte del comandante in capo e organizzatore della rivolta era una perdita gravissima, che giustificava il commosso elogio funebre pronunciato da Iperide. Il comando fu rilevato da Antifilo e Menone di Tessaglia, due eccellenti comandanti che non avevano però lo stesso carisma di Leostene nel tenere uniti gli alleati. Altra perdita, meno sentita ma non meno grave era costituita dalla defezione degli Etoli, che per problemi interni che le fonti non ci chiariscono, erano ritornati in patria già prima che Leostene morisse , lasciando l’esercito greco con soli 22000 fanti e 3500 cavalieri. Si avvicinava intanto Leonnato, che, nonostante la sorveglianza della flotta Ateniese era riuscito a passare gli stretti, aveva ricongiunto le proprie truppe con quelle di Sirras, luogotenente di Antipatro in Macedonia, ne aveva arruolate altre e si preparava a muovere in soccorso degli assediati in Lamia verso la fine dell’inverno del323/322.

Gli Elleni dovevano evitare che i due eserciti nemici si ricongiungessero; avevano ancora una certa superiorità numerica su ciascuno di essi, preso isolatamente, per cui decisero di annientare le truppe di soccorso di Leonnato, che contavano un numero uguale di fanti, ma solo 1500 cavalieri, per poi rivolgersi contro Antipatro. Per fare ciò dovettero togliere l’assedio a Lamia e portare gli inabili al combattimento e i carriaggi a Melitea, lasciando piena libertà d’azione allo stratego d’Europa. In una località sconosciuta della Tessaglia la cavalleria tessala si imbatté in quella macedone, guidata personalmente da Leonnato, che procedeva in avanscoperta. Lo scontro data la sproporzione quantitativa e qualitativa delle forze in campo non lasciava dubbi sull’esito e l’ambizioso diadoco cadde combattendo, dopo essere stato respinto nelle paludi circostanti. Ma gli ufficiali delle fanterie Macedoni ebbero l’accortezza di condurre i falangiti presso dei terreni accidentati dove la letale cavalleria tessala non potesse arrivare, e ivi attesero l’arrivo di Antipatro, che si presentò il giorno dopo.

Lo stratego d’Europa aveva tratto il massimo beneficio con il minimo sforzo. Leonnato avrebbe preteso probabilmente di dividere con lui il comando o addirittura l’avrebbe messo in subordine, ma con la sua morte ne aveva ereditato le truppe, che lo riconobbero comandante con pieni poteri. Ora possedeva una certa superiorità numerica sugli avversari, ma il timore della cavalleria tessala lo spinse a non affrontare lo scontro, preferendo rimanere sulle elevazioni dell’Acaia Ftiotide. Gli Ellenici, nella pianura Tessala erano in grado ancora di bloccare le comunicazioni con la Macedonia, ma non potevano più contare su una resa di Antipatro dal momento che non erano riusciti ad annientare l’esercito di soccorso.

VITTORIE MACEDONI (inverno 323-primavera 322)

Sia pure tra sospetti e mancanza di collaborazione tra i satrapi e i reggenti, la macchina bellica macedone si stava mettendo in moto sui vari scacchieri. Il satrapo di Media Pitone, dietro istruzioni di Perdicca aveva guidato un contingente di Macedoni contro i mercenari ribelli della Battriana, e, grazie al tradimento di uno dei loro capi, li aveva completamente sconfitti. Aveva cercato di venire ad un accordo amichevole con loro per costituire col loro supporto un piccolo esercito personale, ma Perdicca, per prevenire una mossa del genere, aveva preventivamente ordinato di uccidere, una volta vinti, tutti quanti i ribelli e di distribuire il bottino ai soldati Macedoni. Essi infatti, ignorando gli accordi presi dal loro comandante, piombarono di sorpresa sui Greci sterminandoli tutti quanti, mentre Pitone dovette fare buon viso a cattivo gioco e riportare le truppe da Perdicca.

Il reggente non era stato inattivo nel frattempo. All’arrivo di Eumene si era impegnato di persona nella campagna di Cappadocia, e con pieno successo: Ariarate era stato sconfitto sul campo con la perdita di 3000 morti e 5000 prigionieri e, dopo essere caduto nelle mani di Perdicca, perse il trono e la vita. La Cappadocia era stata così soggiogata e data ad Eumene, ad eccezione della parte confinante con l’Armenia che venne assegnata Neottolemo, col compito di sottomettere l’Armenia, allora guidata da Oronte, un altro dei generali di Dario, che aveva partecipato alla battaglia di Gaugamela e che era riuscito a riguadagnare la sua satrapia, rimanendo indisturbato per tutti gli anni successivi. Perdicca lasciò invece la Cappadocia, per accingersi alla sottomissione della Pisidia, la cui battagliera popolazione aveva resistito a tutti i tentativi di conquista compiuti da Alessandro e dai suoi satrapi.

Dopo due difficili assedi conquistò sia le città dei Larandi e degli Isauri, la cui popolazione preferì morire tra le fiamme pur di non arrendersi, e venne ad accordi più pacifici con Termesso in Pisidia, che divenne una potente alleata per Perdicca. Al governo della regione lasciò il fratello Alceta. Anche Neottolemo ebbe successo in Armenia, di cui divenne satrapo, per cui la campagna invernale portò come risultato una notevole espansione dell’impero in Anatolia. Perdicca aveva rafforzato anche la sua posizione personale assicurando le nuove province a parenti ed amici. Nel frattempo non aveva trascurato la rivolta della Grecia: venne infatti mandata una flotta di rinforzo per aiutare il piccolo contingente macedone nell’Egeo ad avere ragione degli ateniesi che al comando dell’ammiraglio Evezione si erano stabiliti nell’Ellesponto per prevenire il passaggio dei rinforzi di Cratero.

AMORGO E CRANNONE (Luglio 322-Agosto 322)

La nuova flotta macedone, al comando dell’ammiraglio Clito, detto il Bianco, contava ora 240 navi ed era superiore a quella di 170 navi messa in mare dagli Ateniesi. Il primo scontro avvenne ad Abido sull’Ellesponto verso l’Estate del 322: gli Ateniesi ebbero la peggio e furono cacciati dall’area degli stretti, mentre le truppe di Cratero poterono transitare in tutta sicurezza. Con le generose contribuzioni dei meteci, gli Ateniesi riorganizzarono la flotta che affrontò ancora quella Macedone presso, presso Amorgo e forse perfino alle isole Echinadi, al largo delle coste Acarnane, ma sempre con esito infausto. La battaglia di Amorgo, mal registrata dalle fonti che ne fanno appena cenno, fu tuttavia una disfatta decisiva. Mai più, dopo questa battaglia, si sarebbe vista una flotta Ateniese solcare i mari. Clito festeggiò la vittoria offrendo offerte votive a Delo e subito dopo pose il blocco al Pireo.

Nel frattempo Cratero era arrivato in Tessaglia congiungendosi con Antipatro. Al suo seguito aveva portato 6000 veterani Macedoni già congedati da Alessandro, 4000 fanti che si erano aggiunti all’esercito durante il viaggio, 1000 arcieri e frombolieri Persiani, e, soprattutto 1500 cavalieri, che costituivano un rinforzo decisivo. Cratero si mise disciplinatamente agli ordini di Antipatro, e insieme penetrarono in Tessaglia, accampandosi presso il fiume Peneo. Il loro esercito di oltre 40000 fanti, armati pesantemente, 3000 arcieri e frombolieri e 5000 cavalieri era di molto superiore a quello greco, che contava appena 25000 fanti e 3500 cavalieri. Mancavano ancora molti contingenti delle città greche, ma i comandanti ellenici, Antifilo e Menone, decisero di battersi, sperando che la loro cavalleria risolvesse la situazione.

La battaglia fu combattuta lo stesso giorno in cui si era combattuta quella di Cheronea sedici anni prima e con un esito non molto diverso: la cavalleria tessala prevalse su quella macedone, ma la falange scompaginò le file della fanteria greca, che dovette rifugiarsi sulle alture. 130 Macedoni e 500 Greci erano morti in battaglia, ma i primi erano rimasti padroni del campo. Antifilo e Menone cercarono di trattare una tregua con Antipatro, ma questi non riconoscendo alcun valore alla coalizione delle città elleniche disse che avrebbe trattato l’armistizio con ciascuna città. Ormai signore del campo costrinse a capitolare, prima Farsalo, poi tutte le altre città Tessale, mentre l’esercito degli alleati, iniziò a perdere i pezzi e a squagliarsi. Come aveva previsto Antipatro, ogni singola città mandò proprie ambascerie per trattare la pace e la lega ellenica si sciolse.

LA CAPITOLAZIONE DI ATENE (Settembre 322)

La situazione ad Atene era ancora peggiore che dopo Cheronea, perché all’epoca la città manteneva il dominio sul mare e poteva resistere indefinitamente ad un assedio, mentre ora, con la flotta macedone che bloccava i porti, c’erano poche prospettive di sopravvivere per un altro inverno. L’esercito alleato si era ormai volatilizzato, dato che ogni città aveva preferito venire ad accordi separati con Antipatro, ed anche ad Atene il partito dei pacifisti, che si identificava con quello dei ricchi possidenti, prese in mano la situazione: Demostene, e Iperide, condannati a morte dall’assemblea popolare, che già cercava di compiacere i vincitori, fuggirono da Atene, mentre Focione e Demade, appartenenti al partito oligarchico furono mandati a negoziare con lo stratego d’Europa, che si trovava accampato presso le rovine di Tebe. Se gli Ateniesi speravano di ottenere condizioni favorevoli dovettero ben presto disilludersi

Secondo Plutarco Antipatro: “pretese che gli Ateniesi si rimettessero alla loro discrezione, come Leostene aveva preteso da lui che facesse per lasciarlo uscire da Lamia.” Dopo avere bruscamente interrotto uno degli ambasciatori, Senocrate, Antipatro aggiunse: gli Ateniesi avrebbero ottenuto amicizia e alleanza da lui alle seguenti condizioni: se gli avessero consegnato Demostene e Iperide, se avessero adottato per governarsi la loro antica costituzione, basata sul censo, se avessero accolto una guarnigione macedone a Munichia, e se gli avessero pagato una multa, oltre a risarcirlo delle spese che aveva affrontate per sostenere la guerra. Gli altri ambasciatori si dichiararono soddisfatti, giudicando umane queste condizioni di pace; ma non fu dello stesso parere Senocrate: come schiavi, disse, Antipatro li trattava con moderazione, come uomini liberi, con durezza.

Non c’era per la verità altro da fare. Antipatro trattò la gloriosa città peggio di quanto avessero fatto gli Spartani alla fine della guerra del Peloponneso. I capi della sconfitta fazione democratica, che erano fuggiti da Atene, furono rintracciati uno alla volta: Iperide e molti altri furono uccisi, Demostene si diede la morte prima di cadere nelle mani dei nemici. Una guarnigione macedone si insediò in città che fu di fatto privata della sua indipendenza. Tutti i cittadini di censo inferiore alle 2000 dracme furono privati della cittadinanza e declassati a meteci, ed erano ben 22000 uomini. Dal momento che potevano diventare fonte di tumulti e agitazioni, Antipatro offrì loro la possibilità di andarsene da Atene e coltivare alcune terre in Tracia. Alcuni accettarono, altri preferirono intraprendere la carriera di mercenario, dato che di uomini d’arme c’era grande richiesta in tutto l’impero, non pochi tuttavia rimasero in città, come una minoranza disonorata e ansiosa di riscatto.

Se anche Atene riuscì in seguito a liberarsi (mai tuttavia con le proprie forze) delle forze d’occupazione, non riuscì mai più a svolgere una politica indipendente, ne ad essere la forza trascinante della democrazia in Grecia. Antipatro aveva avuto in questo un maggior successo di Filippo e Alessandro. Secondo Diodoro Antipatro ritornò in Macedonia, dove tributò grandi onori a Cratero, che invece di succedergli nel comando delle truppe Macedoni in Europa, come era stato decretato da Alessandro, aveva accettato di collaborare con lui, accettandone la linea politica. In cambio della sua acquiescenza e collaborazione, ebbe onori e doni e la mano di Fila, figlia dello stratego d’Europa. Fu questo il primo dei numerosissimi matrimoni politico-dinastici che avrebbero contraddistinto le relazioni tra i diadochi.

La questione degli esuli Sami, che aveva costituito uno dei motivi della rivolta, fu demandata a Perdicca, che decise, come gli Ateniesi temevano, per il ritorno degli esuli. I Sami dopo 43 anni rientrarono in possesso delle loro terre, mentre i coloni Ateniesi dovettero ritornare ad Atene o accodarsi ai loro compatrioti emigrati in Tracia. La rivolta che aveva causato la guerra Lamiaca non era tuttavia affatto finita. Gli Etoli, che in modo piuttosto sconcertante avevano lasciato gli altri alleati a sbrigarsela da soli, resistevano invitti nel loro territorio e non si mostravano disposti a fare la pace con Antipatro. Poiché non avevano città di rilievo da difendere, e abitavano un territorio montuoso e poco praticabile per le armate Macedoni, potevano opporre la tattica della guerriglia contro gli invasori, rimandando sempre lo scontro campale.


I loro sforzi e la loro tenacia avrebbero avuto ben presto un premio, perché fra non molto il conflitto scoppiato tra i diadochi avrebbe permesso loro di rimanere indipendenti.

LE TRE GUERRE DEI DIADOCHI > > >

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