HOME PAGE
CRONOLOGIA

DA 20 MILIARDI
ALL' 1  A.C.
1 D.C. AL 2000
ANNO x  ANNO
PERIODI STORICI 
E TEMATICI
PERSONAGGI
E PAESI

( QUI TUTTI I RIASSUNTI ) RIASSUNTO ANNI 1935-36

(Oggi diremmo che sono di parte; ma questo leggevano gli italiani; non dimentichiamolo)
(Noi qui cerchiamo solo di capire)

* GLI ACCORDI ITALO FRANCESI (Antitedeschi) (1935)
.

* IL RIARMO DELLA GERMANIA (1935)
* LA SITUAZIONE POLITICA IN INGHILTERRA (1935)
* NAZIONE-GOVERNO - POLITICA COLONIALE FINO ALLA CONQUISTA DI ADUA (GIUGNO 1935)
* NAZIONE-GOVERNO - POLITICA COLONIALE FINO ALLA CONQUISTA DI ADUA (AGOSTO 1935)
(gli articoli sopra in neretto seguono nelle successive pagine)

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------

GLI ACCORDI ITALO FRANCESI (1935)

Fra Italia e Francia, dalla fine della guerra in poi, si é sempre parlato, di tanto in tanto, per vedere di trovare una soluzione alle questioni che la Conferenza della pace aveva lasciate aperte fra i due paesi : la questione, cioé, dei compensi dovuti all'Italia, in materia coloniale, sulla base dell'art. 13 del Patto di Londra, e quella relativa alla situazione creatasi in Tunisia in seguito all'abolizione, avvenuta nel 1918, delle convenzioni del 1896 che regolavano lo statuto degli italiani in Tunisia. A queste questioni, nel 1930, era venuta ad aggiungersene una terza, quella della parità navale per il naviglio di superficie non limitato dal Trattato di Washington e per i sommergibili.
Si era parlato più volte, ufficialmente ed ufficiosamente, senza però mai giungere ad una base concreta di accordo : ed ogni volta che le conversazioni si riprendevano, la situazione appariva più complessa perché sulle questioni strettamente italo-francesi si veniva innestando ed ampliando il contrasto fra i due paesi, conseguenza della differente concezione delle necessità della politica generale.

Il contrasto italo-francese ha dominato tutta la politica europea per oltre un decennio : riassumerne le fasi sarebbe rifare la storia dell'Europa dal 1919 in poi : questo ci condurrebbe fuori tema e, dovendo parlare degli accordi italo-francesi, finirebbe per essere di cattivo gusto volere rievocare le vicende, talvolta aspre, del disaccordo italo-francese. Mi limiterò quindi a riassumere i precedenti dei negoziati italo-francesi, solo per quanto é strettamente necessario ad una migliore comprensione dell'importanza e della portata degli accordi di Roma, prendendo come punto di partenza l'ultima fase dei negoziati stessi che ha inizio, si può dire, dopo la firma del Patto a Quattro.
Il Patto a Quattro segna una tappa importante nelle relazioni italo-francesi, poiché l'averlo firmato significava, da parte francese, un considerevole avvicinamento alla concezione italiana della politica
generale, ispirata, per quanto concerne l'Italia, alla necessità di impostare la politica europea sul principio della collaborazione fra le principali potenze, su di una base di perfetta parità.
Molte ragioni hanno contribuito a far sì che il Governo francese si decidesse, nonostante le resistenze interne, ad aderire alla politica del Patto a Quattro : non delle ultime certamente é stato il fatto che in Francia il potere stava passando da una generazione politica all'altra : scompariva, decimata dalla morte e superata dagli avvenimenti, l'antica generazione che, prima della guerra, aveva fatta la politica della revanche e che, nella sua concezione della politica del dopo guerra, aveva voluto perpetuarne lo spirito : il posto da essa lasciato vuoto veniva occupato da una nuova generazione, non meno francese della precedente, ma più aperta alle nuove idee ed alle nuove necessità, più disposta ad aderire a quelle concezioni nuove della politica che lo sviluppo degli avvenimenti europei rendevano indispensabili. Non é quindi a caso che quando il Patto a Quattro é stato firmato, a capo del Governo francese si trovava un uomo nuovo, il signor Daladier.

Che al Patto a Quattro dovesse seguire un accordo italo-francese per la liquidazione delle questioni rimaste in sospeso fra i due paesi era logico e naturale : il Capo del Governo lo annunciò lui stesso nel suo discorso al Senato il 7 giugno 1933. Raggiunto infatti fra i due paesi un minimo indispensabile di accordi sulla impostazione generale della loro politica, occorreva sgomberare il terreno da quelle questioni particolari, che, per ragioni anche di carattere psicologico, costituivano un ostacolo ad una collaborazione sincera e cordiale. D'altra parte, l'intesa sulla politica generale era, in pratica, della liquidazione stessa, una premessa necessaria. È vero che l'Italia non reclamava altro che quello che le era stato solennemente promesso : ma dalla fine della guerra, del tempo ne era passato e molto ; ed oggi era l'Italia a chiedere e la Francia a dover dare : era quindi più che logico che, di fronte all'opinione pubblica, la possibilità per un Governo francese di fare delle concessioni all'Italia risultasse più facile in una atmosfera di maggiore comprensione fra i due paesi.

Ci si mise all'opera con sollecitudine. Se non che il campo delle trattative che, come conseguenza del Patto a Quattro, si era ristretto alle questioni puramente italo-francesi, si trovò ben presto a
d essere di nuovo allargato e reso più complesso e difficile dal fatto stesso che alla ratifica del Patto a Quattro, da parte dei parlamenti francese e tedesco, non si riusciva ad arrivare.
L'avvento al potere in Germania del nazionalsocialismo ha significato la fine di tutto quel sistema politico che, bene o male, si era venuto cristallizzando intorno al Trattato di Versailles e la cui premessa era appunto quella di una Germania rassegnata alla situazione di inferiorità che le era stata fatta dai Trattati di pace. Si era voluto perseguire all'infinito la politica della differenziazione fra Stati vincitori e Stati vinti : la politica, detta di Locarno, non era mai stata applicata sul serio e bene : si erano perdute, e non certo per colpa dell'Italia, molte eccellenti occasioni di risolvere, in modo equo e soddisfacente per tutti, questioni delicate come quella delle riparazioni e la limitazione degli armamenti della Germania. Il risultato di tutto questo complesso politico é stato che il nazionalsocialismo, invece di essere e di restare un fenomeno di politica interna tedesca, é venuto al potere con un programma ben definito di politica estera: spezzare, cioé, con il suo impulso le catene imposte alla Germania dal Trattato di Versailles e riacquistare alla Germania il suo posto nel mondo.

Come suole accadere per tutte le rivoluzioni, le sue ripercussioni non furono immediate : il solo che ebbe la concezione esatta della situazione fu il Capo del Governo il quale, intravedendone conseguenze e pericoli, volle tentare, con il Patto a Quattro, di incanalare su nuove vie la politica della rivoluzione tedesca ed evitarne così i contraccolpi. Il Patto a Quattro fu firmato e sembrò che, finalmente, l'Europa dovesse trovare la sua pace : mancò poi, sia in Francia che in Germania, la elasticità necessaria a comprendere le delicate necessità dell'ora e le ripercussioni della rivoluzione nazionalsocialista si svilupparono in pieno.
Come ho detto, tutto ciò si accompagnava, in Francia, a forti crisi di politica interna : la vecchia generazione si ostinava a non morire : la concezione politica a cui essa si era ispirata aveva impresso un solco troppo profondo nel popolo francese perché fosse possibile modificarla di colpo : il conflitto dalle Camere scese nelle piazze, nel paese intero.

Intanto tutta la costellazione politica europea era in movimento. La Germania nazionalsocialista ripudiava la politica di accordi con la Russia sovietica, la cosiddetta politica di Rapallo che, per dieci anni, era stata uno dei cardini della politica estera germanica, per mettersi apertamente contro Mosca.
Le ragioni di questo nuovo orientamento della politica tedesca sono di due ordini : filosofiche e politiche. Il nazionalsocialismo ha il suo libro di testo : « La mia battaglia», il libro scritto da Hilter durante la sua prigionia, dopo il fallito putsch del 1923. Sul valore di questo libro é stato molto discusso : ufficialmente ed ufficiosamente é stato detto che esso rispecchia quelle che erano le idee di Hilter nel 1923 e non quelle che sono le sue idee del 1933 : é stata anche annunciata una nuova edizione riveduta e corretta del libro,
edizione che finora però non é venuta alla luce. Quello che é certo é che molte delle manifestazioni della vita politica tedesca di oggi sono preannunciate in questo libro ; e nel libro stesso se ne danno le ragioni e le finalità. Uno di queste é appunto la politica nei riguardi della Russia sovietica.

Hilter comincia coll'affermare che per un governo nazionalsocialista non é concepibile una politica di relazioni cordiali con la Russia comunista. II III Reich, egli dice, dovrà condurre una lotta a fondo per sradicare dal popolo tedesco tutte le deformazioni a tipo marxista a cui quindici anni della Repubblica di Weimar hanno permesso di gettare radici profonde. Condurre questa politica all'interno ed all'estero una politica di relazioni cordiali, di quasi alleanza, con uno Stato comunista, costituisce una di quelle sottigliezze diplomatiche che non sono accessibili alla mentalità semplicista delle grandi masse : il suo unico risultato sarebbe quello di condurre alla confusione delle idee, ed impedire così il risanamento interno.
Secondo punto : sempre nel suo libro, Hilter afferma che, dopo la costituzione dell'Impero, alla Germania si aprivano due possibilità di espansione, due direttive. La prima era quella dell'espansione, commerciale e coloniale, nel mondo intero : questa politica avrebbe fatalmente messo la Germania in contrasto con l'Inghilterra, per farla con successo essa avrebbe dovuto appoggiarsi sulla Russia: perseverare cioé in quella che era stata la direttiva costante della politica di Bismark, come prussiano prima e come tedesco poi.

La seconda alternativa, invece, era quella dell'espansione territoriale, della conquista di nuova terra per il popolo tedesco, secondo le linee tradizionali tracciate, ancora nell'alto medioevo, dalle città anseatiche e
dai cavalieri teutonici, verso l'Europa Orientale, verso la Russia: questa politica presupponeva invece, per la sua riuscita, l'accordo con l'Inghilterra allora in contrasto con la Russia per l'Asia : la rinuncia quindi ad ogni espansione marittima e commerciale. La Germania guglielmina é caduta per avere voluto condurre di fronte le due politiche : il III Reich non deve ripetere questo errore, deve scegliere una di queste vie : Hilter non nasconde la sua preferenza per la via dell'espansione territoriale verso l'Oriente europeo.

Bisogna riconoscere che, da parte del Governo tedesco, ufficialmente, non si é avuta nessuna manifestazione che possa essere interpretata nel senso che, rompendo con la Russia, esso si sia ispirato a ragioni altre che quelle che abbiamo detto filosofiche. Ma a capo della sezione di politica estera del partito nazionalsocialista sta il signor Rosemberg, un tedesco del Baltico, ed un ardente sostenitore dell'espansione germanica verso le terre oggi abitate dagli slavi. Si ha un bel dire che la politica del Reich non é lui a farla, ma il fatto é che a Mosca si é persuasi che le idee esposte nel libro di Hilter sono oggi la politica vera del Governo nazionalsocialista : ed in politica estera, purtroppo, non ha valore solamente quello che é, ma anche e soprattutto quello di cui gli altri sono persuasi.

Questa convinzione poi é stata ribadita dalla nuova amicizia tedesco-polacca. Che la Germania nazionalsocialista e la Polonia di Pilsudski dovessero un giorno diventare le migliori amiche di questo mondo é stato uno dei colpi di scena più inaspettati della politica europea. Stresemann non aveva mai voluto riconoscere i confini orientali della Germania: che fosse Hilter a farlo, sia pure sotto la forma di una tregua di dieci anni, era una evoluzione troppo radicale perché non si fosse tentati di trovarne delle spiegazioni. E la spiegazione si é voluta appunto trovare in un accordo che, sostanzialmente, mirasse a stabilire le premesse per una espansione comune, tedesca e polacca, verso le terre russe, nei risultati della quale si sarebbero potuti trovare dei diversivi e delle compensazioni per qualche soluzione delle questioni del corridoio e dell'Alta Slesia.
Il risultato di tutto questo é stato che la Russia, da amica della Germania, è diventata amica della Francia e, coll'ardore della neofita, si é lanciata a capofitto nella politica cosiddetta di organizzazione
della sicurezza.

Qui é forse utile aprire una piccola parentesi : che cosa s'intende per organizzazione della sicurezza ? Lo Statuto della Società delle Nazioni prevede, in linea teorica, la garanzia di tutti per tutti, per il mantenimento dell'indipendenza e della integrità degli Stati membri : ma questo impegno, così vasto e generale, non ha mai avuta, non dico una applicazione pratica, ma nemmeno un principio di precisazione circa la maniera in cui le disposizioni dello Statuto avrebbero potuto funzionare. Di questo argomento si é discusso molto in sede di Conferenza dei disarmo : e si é venuti all'idea dei Patti, cosiddetti regionali, in base ai quali un certo numero di Stati, situati in una determinata regione, si impegnano a venire in soccorso di qualsiasi di essi che fosse vittima di una aggressione non provocata da parte di un altro Stato contraente, in una forma ed una misura già stabilite preventivamente : é quello che si chiama l'assistenza mutua. Si dirà, questa é un'alleanza.

Teoricamente almeno la differenza "é grande : un'alleanza, sia essa difensiva od offensiva, é sempre diretta specificatamente contro qualcuno: un Patto di assistenza mutua sarebbe invece multilaterale : un esempio pratico é dato dal Trattato di Locarno per cui Italia ed Inghilterra si sono impegnate a venire in aiuto, indifferentemente, della Francia o Germania, a seconda che l'una o l'altra sia la vittima di una aggressione, non provocata, sulle loro frontiere comuni.
Ma non é solo nel settore dell'Europa Orientale che la rivoluzione nazionalsocialista ha destate delle preoccupazioni : la sua attività politica si é sviluppata, anzi, con maggiore intensità nell'Europa danubiana, ed in particolare nei riguardi dell'Austria.

Anche qui sarà opportuno ritornare a « La mia battaglia» : che l'idea dell'Anschluss sia in prima linea nella sua concezione politica, traspare chiaramente dalla prima all'ultima pagina del libro. Per Hilter austriaco, nemico degli Asburgo, l'unione dell'Austria alla Germania costituisce non solo l'ultimo atto della unificazione del popolo tedesco, ma anche un dovere di razza per reagire contro quella deformazione dello spirito tedesco che la tradizione asburgica ed imperiale ha impressa all'Austria tedesca : questa deformazione é quella che noi chiamiamo la cultura austriaca.
Ho detto l'ultimo atto, e temo di non essere stato esatto. Hilter parla di un Reich di cento milioni di abitanti. Anche pensando che si siano volute arrotondare le cifre, Austria e Germania non arriverebbero che a 75. È lecito quindi dubitare che ci si siano voluti ag
giungere i tedeschi di Boemia, quelli di Svizzera, quelli dell'Alto Adige, ecc., ma il libro non dà maggiori dettagli su questo argomento.
L'Anschluss metteva la Germania in aperto contrasto con l'Italia.

L'indipendenza dell'Austria é stata sempre uno dei punti cardinali della politica italiana : é stata una concezione che il Governo italiano ha sempre sostenuto contro tutti i Governi che in Austria hanno tentato di realizzare l'Anschluss, in una forma o nell'altra, dai socialisti a Schober ai, nazionalsocialisti. E' una politica che l'Italia persegue e sostiene, non solo perché essa corrisponde ai suoi interessi, ma anche perché l'Italia é persuasa che l'Austria ha delle caratteristiche sue proprie, una cultura, una civiltà, una missione storica che ne fanno un paese, tedesco sì di lingua e di razza, ma nettamente differenziato dalla Germania. E la tendenza all'Anschluss, che esiste, sarebbe ingenuo il negarlo, in seno alla popolazione austriaca, é nel pensiero italiano il frutto e la conseguenza di circostanze contingenti, a cui non deve essere permesso di falsare una situazione che risponde invece a precise necessità di pace e di equilibrio europeo. Di questa sua politica l'Italia non aveva mai fatto mistero : non era quindi possibile che a Berlino ci si facessero delle illusioni al riguardo.

L'Italia é stato il solo paese al mondo, si può dire, in cui la rivoluzione nazionalsocialista sia stata accolta senza prevenzioni di sorta, anzi ; noi italiani siamo persuasi che il fascismo non é una concezione solamente italiana e temporanea : siamo convinti che esso sia la forma di Governo che risponde alle necessità del secolo, così come altre forme di Governo, in altri periodi storici, hanno risposto alle necessità di un'epoca. Ma gli interessi italiani restavano quelli che erano : ed era certo non comprendere l'Italia di Mussolini il farsi l'illusione, come non é escluso la si sia fatta in Germania, che sull'altare delle similitudini fra i due regimi, da parte nostra si sarebbe stati disposti a sacrificare gli interessi della politica italiana.
Se questa illusione si poté avere, certo é che gli avvenimenti del 25 luglio dello scorso anno la dissiparono. Di fronte alla minaccia, sia pure potenziale, che le formazioni nazionalsocialiste costituite in Germania da profughi austriaci, potessero varcare la frontiera per prestare man forte agli insorti, creando una situazione che il Governo federale austriaco non sarebbe stato forse in grado di controllare, il Governo italiano fece avanzare le sue truppe al Brennero. Era un avvertimento dato a chi voleva intenderlo : ed é stato capito, almeno fino ad oggi.

Questa evoluzione della politica generale, non poteva naturalmente restare senza conseguenza anche sulla impostazione della politica del disarmo. Nell'ottobre 1933 la Germania aveva abbandonato la Conferenza del disarmo e la Società delle Nazioni, dichiarando di non essere disposta a farvi ritorno se non il giorno in cui alla Germania fosse stata accordata senza riserve la parità di diritto effettiva. Si erano passati dei mesi alla ricerca di una base di accordo sulla misura del riarmo tedesco, che poi di questo si trattava : era sembrato un momento che questo accordo lo si potesse raggiungere sulla base del memorandum italiano ; poi, la nota Barthou aveva respinte tutte le trattative in alto mare. Un nuovo spiraglio di luce era stato aperto dall'inizio delle trattative relative alla Locarno Orientale, ma il rifiuto tedesco di aderirvi aveva fatte cadere anche queste speranze. Ma, mentre fra alternative di ottimismo e di pessimismo continuavano le conversazioni, la Germania stava prendendosi da sé quella parità di diritto che, ufficialmente, le veniva negata. Ci potevano, come ci possono ancora essere dei dubbi circa la portata degli armamenti tedeschi, ma il fatto era indiscutibile : lentamente la Francia si stava persuadendo che la sua politica di intransigenza giuridica non risolveva la questione e che bisognava mettersi sul terreno pratico : riconoscere, cioé, l'impossibilità di mantenere la Germania disarmata se non a mezzo di una nuova guerra, che non si voleva fare, e la necessità quindi di trattare con essa su di una base pratica allo scopo di arrivare alla conclusione di una convenzione di limitazione degli armamenti, intendendo la limitazione solo nel senso della proporzionalità degli armamenti stessi.

Su questa base l'intesa coll'Italia non era difficile : l'Italia aveva infatti sempre sostenuto il principio della parità di diritto, partendo dal punto di vista che era materialmente e moralmente impossibile pensare a mantenere un grande Stato sovrano in una condizione di permanente inferiorità. Ma fin dal primo giorno in cui la questione fu sollevata dalla Germania, la posizione dell'Italia fu chiaramente definita dal Capo del Governo : la Germania ha diritto alla parità, di questa parità però deve fare un uso concordato, graduale e limitato.
Partendo dalla premessa della necessità della collaborazione eur
opea, la impostazione italiana della questione era la sola logica. Si poteva discutere quanto si voleva sul valore giuridico della connessione fra il disarmo degli Stati non vincolati dai Trattati e le limitazioni agli armamenti tedeschi imposte dalla parte V del Trattato di Versailles : moralmente la connessione esisteva ed era innegabile. Ma era parimenti innegabile che il limite degli armamenti tedeschi sarebbe stato destinato ad avere la sua ripercussione su tutta la politica europea. Una Germania che si fosse dato di colpo un esercito pari a quello della Francia, mettiamo, avrebbe suscitato tali e tante di quelle apprensioni, da rendere ogni tentativo di pacificazione morale dell'Europa impossibile : la moderazione quindi di cui la Germania avrebbe dato prova nel fissare la misura effettiva di applicazione della parità di diritto, avrebbe costituito la misura della sua buona volontà di collaborare con le altre principali potenze.
Questo riavvicinamento fra le tesi italiane e francesi sulla questione del disarmo toglieva di mezzo una delle più grosse difficoltà per un accordo franco-italiano : la volontà comune di mantenere l'indipendenza dell'Austria costituiva un punto d'incontro di primo ordine. Ma ne derivavano pure nuove difficoltà come conseguenza dell'attitudine della Piccola Intesa nei riguardi della politica italiana a difesa dell'indipendenza austriaca.

Sulla questione austriaca la Piccola Intesa, con una serie di comunicati diramati ad ogni possibile occasione, ha voluto dare l'impressione di una unità di vedute sulla quale, in realtà, a voler essere molto ottimisti, il minimo che si potesse dire era che si durava una grande fatica a mantenerla. Per la Cecoslovacchia la questione dell'Anschluss é una questione di vita o di morte.
Il giorno in cui la Germania si fosse installata a Vienna, circondata per tre lati dalla Germania, sul quarto l'Ungheria ostile, con i suoi tre milioni di tedeschi nei Sudeti e col suo milione di magiari, la Cecoslovacchia si sarebbe trovata nell'alternativa di diventare uno Stato vassallo della Germania o sparire. Pur non avendo quindi eccessive simpatie per l'Italia, avrebbe tuttavia preferita qualsiasi delle soluzioni patrocinate dall'Italia pur di evitare l'Anschluss.
La posizione della Jugoslavia era invece allora differente : all'epoca in cui parliamo, ossia all'estate scorsa, la nota dominante della politica jugoslava era ancora la prevenzione contro l'Italia. Fino a che le relazioni fra Italia e Francia erano state tese, l'amicizia della Francia poteva fornire una base d'appoggio sufficiente; in presenza del riavvicinamento italo francese in Jugoslavia si temeva di dover finire per essere l'oggetto dell'accordo italo-francese. Prevenzione assurda poiché mai, in tutti i negoziati che sono intervenuti fra l'Italia e la Francia, é stata pronunciata una parola che potesse essere interpretata in questo senso, ma che tuttavia esisteva e portava le sue conseguenze. La Germania aveva fatto a Belgrado qualche approccio, ed in Jugoslavia si veniva sviluppando la tendenza a considerare che, dopotutto, la Germania a Vienna, in funzione antiitaliana, avrebbe potuto essere più utile agli interessi jugoslavi che il vedervisi affermare l'influenza morale e politica dell'Italia. Era cominciata quindi, da parte jugoslava, quella politica ambigua, la cui manifestazione più aperta é stato l'appoggio dato ai nazionalsocialisti austriaci i quali, dopo la fallita rivolta del luglio, si erano rifugiati in Jugoslavia.

La Romania si riteneva la meno minacciata di tutte dall'eventualità di un Anschluss e si teneva quindi un po' in disparte, ritenendo, con questo suo atteggiamento neutro, di parare alla eventualità che, in caso di realizzazione dell'Anschluss, la Germania, in odio alla Romania, sposasse in pieno le tesi ungheresi per la Transilvania.
A base di tutto questo atteggiamento incerto della Piccola Intesa era la convinzione che Francia ed Italia non sarebbero mai riuscite a mettersi d'accordo sul serio e che quindi, di fronte ad una Italia e ad una Francia separate ed in contrasto, la Germania avrebbe finito, presto o tardi, col realizzare i suoi piani : era quindi prudente prepararsi alla situazione che poteva venire a crearsi.
A Parigi, per un complesso di ragioni, si sopravvalutava il momento anti-italiano di questa attitudine della Piccola Intesa ; si era ancora sotto l'impressione della defezione polacca e si temeva che l'accordo con l'Italia avrebbe potuto avere come conseguenza il passaggio della Piccola Intesa al campo tedesco. Di qui resistenze interne - la Piccola Intesa si é inserita fortemente nella vita interna francese - ad abbandonare la vecchia via, bene o male sperimentata da anni, per una via nuova della quale non si sapeva ancora che cosa avrebbe potuto dare. Si delineava così una impostazione dei negoziati franco-italiani - sarebbe più esatto il dire un accenno ad una impostazione - che per l'Italia non era accettabile. L'accordo con l'Italia, si diceva, deve essere preceduto da un accordo fra l'Italia e la Piccola Intesa.
La tesi italiana era invece questa. Anche l'Italia ha tutto l'interesse a che l'accordo franco-italiano si faccia senza che esso debba avere, come conseguenza, un passaggio della Piccola Intesa all'altro campo : ma la Francia, dal canto suo, ha un eguale interesse che l'accordo stesso non abbia come conseguenza una defezione degli amici dell'Italia. L'accordo dell'Italia e della Francia non deve avere come premessa l'abbandono di questa o quella amicizia : una volta realizzata l'intesa fra i due paesi principali, si lavorerà insieme a raggiungere l'accordo fra l'Italia e gli amici della Francia, la Francia e gli amici dell'Italia e gli amici dei due paesi fra di loro. Compito certamente non facile, ma le possibilità dei due paesi uniti ed agenti di concerto erano molte.
Barthou si convinse facilmente delle argomentazioni italiane: volle tentare di fare qualche passo innanzi e intendeva, invitando il Re Alessandro a Parigi, convincerlo della necessità di tentare la via dell'intesa con l'Italia : da parte sua il Capo del Governo italiano, nel suo discorso agli operai di Milano, fece una pubblica dichiarazione amichevole nei riguardi della Jugoslavia. II generoso tentativo di Barthou costò la vita a lui ed al suo ospite.
L'attentato di Marsiglia sembrava destinato ad essere la fine, almeno della fase attuale, dei negoziati franco-italiani : ne risultò invece la pietra di paragone : la maniera come si svolsero a Ginevra i dibattiti relativi al conflitto sorto fra Ungheria e Jugoslavia per le responsabilità di Marsiglia, fu la dimostrazione palmare di quanto l'Italia aveva sempre affermato, che cioé Francia ed Italia, d'accordo, potevano benissimo difendere lealmente ognuna i propri amici, e collaborare insieme ad una soluzione soddisfacente dei loro conflitti. Con la fase dei dibattiti ginevrini veniva a cadere l'ultima delle difficoltà serie che si opponevano all'accordo franco-italiano.

Infatti, a poco più di un mese di distanza, (il 7 gennaio 1935) Mussolini e Laval, a Palazzo Venezia, consacravano questo accordo in una serie di documenti.
I negoziati che si sono svolti a Roma durante la visita del signor Laval sono stati difficili e serrati : ognuna delle due parti difendeva onestamente e lealmente i suoi interessi : ma dalle due parti si aveva, preciso, il desiderio di comprendersi e di riuscire : e si è riusciti.
L'accordo fra Italia e Francia é, come esso doveva necessariamente essere, un accordo di compromesso. Come ha detto il Capo del Governo nel suo discorso ai giornalisti francesi, dopo la firma degli accordi, esso costituisce « una transazione reciprocamente soddisfacente, tra esigenze opposte, perché la diplomazia dimostra la propria utilità e la propria sagacità nella ricerca e nella realizzazione, non nella frattura degli equilibri necessari per l'amicizia e la collaborazione dei popoli».

Gli accordi firmati a Roma il 7 gennaio scorso (1935) possono dividersi in due gruppi : quelli che riguardano la liquidazione delle questioni lasciate in sospeso fra Italia e Francia fin dall'epoca delle negoziazioni per la pace di Versailles ; quelli che riguardano, invece, la possibilità della collaborazione futura fra Italia e Francia, ne fissano i limiti e ne stabiliscono la modalità e la procedura.
Degli accordi coloniali, che sono poi queste le questioni che restavano da risolvere fra i due Paesi, si é largamente occupata, a suo tempo, la stampa italiana : essi non hanno bisogno di particolare trattazione : mi limiterò quindi ad un breve accenno.
Per Tunisi : gli accordi attualmente in vigore - ossia le vecchie convenzioni del 1896 che la Francia denunciò nel 1918 e che, da allora, venivano rinnovate di tre mesi in tre mesi - vengono riconfermati per dieci anni, ossia fino al 1945 ; a partire da questa data, i figli di italiani, nati fra il 1945 ed il 1965, sono cittadini italiani, con la facoltà di optare per la nazionalità francese al momento in cui essi raggiungeranno la loro maggiore età, ossia nel periodo fra il 1965 ed il 1985 ; per i nati dopo il 1965 si applicherà il diritto francese comune.
A partire dal 28 marzo 1955, le scuole italiane, che attualmente sono scuole regie italiane, saranno trasformate in scuole private, sottoposte alla legislazione scolastica francese, analogamente a quanto
viene oggi praticato, senza inconvenienti, per le scuole italiane esistenti sul territorio metropolitano.
Gli italiani che, anteriormente al 1945, saranno stati ammessi all'esercizio delle professioni liberali conserveranno questo loro diritto vita natural durante : senza pregiudizio, questo, del regolamento ulteriore che risulterà da una apposita convenzione da negoziarsi fra i due Stati nel corso di questi dieci anni.
Si risolve così, a condizioni eque, uno stato di cose delicato che si era venuto creando in seno alle nostre collettività in Tunisia, come conseguenza della situazione precaria in cui esse si trovavano
giuridicamente dal 1918.
A titolo di compensi coloniali, da noi richiesti, sulla base dell'articolo 13 del Patto di Londra, la frontiera fra la Libia e l'Africa Equatoriale francese viene spostata fino a raggiungere una linea che, partendo da Tummo, raggiunge la frontiera ovest del Sudan all'intersezione del 24° meridiano est dì Greenvich con il 18°45 di latitudine nord.
La frontiera fra l'Eritrea e la Costa francese dei Somali viene rettificata secondo una linea che da Der Eloua va fino a Daadato. In più viene riconosciuta all'Italia la sovranità sull'isola di Dumerrah.
Queste concessioni, naturalmente, non rappresentano la cessione di un impero coloniale : del resto, l'Italia non aveva mai richiesto qualcosa del genere. Quello che l'Italia domandava era il riconoscimento concreto, da parte della Francia, come lo aveva fatto l'Inghilterra, del suo buon diritto ad avere dei compensi coloniali. E questo é stato fatto.

Della questione della parità navale non é stato discusso nelle conversazioni di Roma. La questione della proporzionalità delle flotte é in stretto rapporto con la situazione politica esistente fra i due Paesi e deve naturalmente essere considerata sotto un punto di vista differente a seconda che sia prevedibile che le due flotte siano destinate a collaborare od a fronteggiarsi. Del resto essa non é oggi di attualità. I programmi navali dei due paesi sono ormai stabiliti per un certo periodo di tempo sulla base del pari passu : la denuncia da parte del Giappone del Trattato di Washington ha messo del resto in forse tutta la questione della limitazione degli armamenti navali : oggi non é nemmeno certo se nel 1936 si potrà riunire la conferenza che dovrebbe elaborare un nuovo Trattato. Se questo avverrà si penserà allora a trovare tra Italia e Francia una formula d'accordo per questa come per numerose altre questioni che verranno sollevate in occasione della conferenza.

Passiamo ora ad esaminare quell'insieme di documenti, che si possono chiamare costruttivi, dell'accordo franco-italiano. Primo fra tutti la « dichiarazione generale ».
Con questo documento, che é stato reso di pubblica ragione, Italia e Francia si dànno atto che sono state risolte le questioni principali in sospeso fra di loro: affermano il loro proposito di sviluppare l'amicizia tradizionale che unisce le due Nazioni e di collaborare, in uno spirito di reciproca fiducia, all'opera della ricostruzione europea : a questo scopo esse stabiliscono di consultarsi fra di loro qualora le circostanze lo richiedessero.

Quale é lo scopo e la portata di questa dichiarazione generale ? Tutte le volte che, nel passato, si é parlato di fare qualche cosa fra Italia e Francia si é sempre pensato alla conclusione di uno di quei Trattati a cui la prassi del dopo guerra ha dato il nome, secondo i casi, di Trattati di amicizia o di non aggressione. Ma di questi trattati, con poche differenze di forma, dalla fine della guerra in poi, ne sono stati fatti tanti e fra tanti Stati che essi hanno finito per perdere una gran parte della loro importanza per ridursi a delle formule più o meno stereotipate. Un Trattato di questo genere non sarebbe stato consono all'importanza dell'accordo italo-francese ma, d'altra parte, un insieme di accordi che non contenesse una formula a portata generale sarebbe stato incompleto. Si é ricorso quindi a questa formula nuova la quale, pur essendo sufficientemente ampia e comprensiva, lascia ai due paesi la elasticità necessaria nei rapporti fra due grandi Potenze, ad interessi generali, le cui relazioni, a meno di volerle restringere, non sono sempre suscettibili di esser racchiuse in formule precise.

La sostanza di questa dichiarazione é la seguente: in avvenire, ogni qualvolta si presenti una questione la quale comunque tocchi gli interessi dei due paesi - e questo equivale a dire di ogni questione a carattere generale - Italia e Francia dovranno consultarsi per adottare una linea politica comune. Una volta raggiunto questo accordo fra di loro esse agiranno di concerto per sostenere il loro punto di vista.
Il secondo accordo si riferisce alla questione austriaca ed a quella danubiana. Italia e Francia, persuase della necessità di ristabilire nei rapporti degli Stati danubiani, sia fra di loro come verso alcune grandi Potenze, un'atmosfera di fiducia, hanno deciso di raccomandare ad un certo numero di Stati la conclusione di una convenzione contenente l'impegno di astenersi, per l'avvenire, nei loro rapporti reciproci, da qualsiasi atto che comunque ed in qualsiasi forma rappresenti una ingerenza negli affari interni reciproci. A far parte di questo accordo sono chiamate - oltre naturalmente la Francia, l'Italia e la Germania Austria - Cecoslovacchia, Ungheria, Jugoslavia, Romania e Polonia, ossia tutti gli Stati cosiddetti successori dell'antico Impero austro-ungarico.
In attesa della conclusione di questa convenzione, qualora l'indipendenza dell'Austria venisse minacciata, Italia e Francia si consulteranno con l'Austria e con quegli altri Stati a cui esse riterranno opportuno di estendere questa consultazione per decidere sul da farsi.
Non occorre dire che questo accordo ha soprattutto in vista la questione dell'Anschluss. Sebbene esso non faccia, e di proposito, menzione diretta dell'Austria, quando si parla di non ingerenza é evidente che il pensiero corre a tutta quella politica che é stata svolta allo scopo di raggiungere, con la forza o senza, l'annessione dell'Austria alla Germania. Per questo la prima potenza ad essere chiamata a partecipare a questo accordo, la prima a cui i Governi italiano e francese hanno trasmesso l'invito ufficiale, é stata la Germania. Se si ha in vista una sistemazione pacifica e consensuale del problema dell'indipendenza dell'Austria, é evidente che questa sistemazione non sarà possibile se non il giorno in cui la Germania si sia impegnata a rispettarla essa stessa. Qualora la Germania non vi aderisse, o, una volta aderito, non facesse fronte ai suoi impegni, si potrebbe magari parlare di accordo fra gli Stati interessati a che l'Anschluss non si faccia, per impedirlo, ma questo sarebbe un tutt'altro affare.

Intanto, per evitare spiacevoli sorprese, in attesa che alla convenzione si arrivi o nel caso che la sua conclusione non risultasse possibile, funzionerà la consultazione italo-francese-austriaca. Questo accordo di consultazione costituisce, per l'Italia, un notevole vantaggio.
Nel luglio scorso l'Italia si é trovata sola quando si é trattato di fare qualche cosa di positivo per aiutare il Governo austriaco a mantenere la sua indipendenza. Qualora la situazione avesse richiesto che le truppe italiane avanzassero in Austria, e qualora in Austria esse si fossero scontrate con truppe regolari o irregolari tedesche, l'Italia si sarebbe trovata sola a fronteggiare tutte le possibili conseguenze di questa situazione. In seguito agli accordi di Roma, qualora si verificasse una situazione analoga a quella del luglio scorso, l'Italia non si troverebbe ad essere più sola a fronteggiare gli eventi.

Aggiungo che questa situazione é stata, a breve distanza, perfezionata in seguito all'adesione dell'Inghilterra al Patto italo-francese di consultazione, adesione che é stata comunicata ufficialmente in
occasione del viaggio di Flandin e di Laval a Londra. Naturalmente, per ragioni geografiche e di politica generale, la consultazione coll'Inghilterra non ha lo stesso valore e lo stesso significato, agli effetti pratici, che la consultazione con la Francia : ma l'appoggio morale dell'Inghilterra a quanto eventualmente dovessero intraprendere Italia e Francia, costituisce un elemento di valore morale non privo di significato.
Ma il patto di non ingerenza proposto dall'Italia e dalla Francia non ha una funzione ed un valore limitati all'Austria : esso dovrebbe comprendere tutto il problema dei rapporti degli Stati danubiani fra di loro e con le principali potenze. Qui quando si parla di ingerenza e di non ingerenza non si parla naturalmente più di forme di Anschluss : si ha in vista principalmente tutto quel complesso di problemi e di reazioni che si sono venute costituendo intorno al problema della revisione dei confini ungheresi. La politica dell'Ungheria ha sempre mirato a non compromettere, sotto nessuna forma, le rivendicazioni che essa mantiene verso territori che le sono stati tolti in seguito al Trattato del Trianon. La politica della Piccola Intesa è stata invece sempre diretta ad ottenere, con un mezzo o con l'altro, questa rinuncia definitiva da parte dell'Ungheria.

Questo conflitto politico non sempre é rimasto ristretto nei limiti delle relazioni che, con un vecchio eufemismo diplomatico, si definiscono di buon vicinato, ed é ancora sempre suscettibile di degenerare in qualche cosa di più grave.
Impegnandoli alla non ingerenza, che in questo caso significherebbe soprattutto l'impegno a non tentare di realizzare i loro fini politici con la forza, si otterrebbe il risultato di riportare anche eventuali conflitti fra questi Stati entro limiti giusti ed onesti, si stabilirebbe, nei loro rapporti reciproci, quel minimo di normalità e di fiducia che é la premessa necessaria perché possa in avvenire, grazie agli sforzi dell'Italia e della Francia, realizzarsi, nella tormentata regione danubiana, una politica fattiva di stabilizzazione politica e di ricostruzione economica.

La formula proposta nel protocollo di Roma non domanda a nessuno delle rinunce di principio : gli ungheresi potranno continuare a sostenere le loro tesi revisioniste, la Piccola Intesa potrà continuare a sostenere il punto di vista contrario : gli uni e gli altri si impegnano soltanto a rinunciare, sotto qualsiasi forma, all'uso della forza, sia morale che materiale, per arrivare al raggiungimento dei loro fini politici. Nella nuova atmosfera di fiducia e di collaborazione, che, con l'appoggio della Francia e dell'Italia, si potrà stabilire nei rapporti di questi Stati fra di loro, si vedrà poi se non sarà possibile convincerli, nell'interesse superiore della pace generale, della necessità di nuovi accordi e di nuove sistemazioni, raggiunte di comune e pacifico accordo dagli Stati interessati. Tutto questo esula, come ho detto, dal contenuto del proposto Patto di non ingerenza : il Patto mira soltanto per ora a stabilire le premesse di qualsiasi possibile futuro sviluppo.
Il terzo punto é quello relativo agli armamenti. Esso riguarda soprattutto la riaffermazione di alcuni principi, e cioé Francia ed Italia mantengono la posizione assunta con la dichiarazione dell'11 dicembre 1932, che alla Germania deve essere riconosciuta la parità di diritto nella sicurezza per tutti. Questa tesi é stata poi più ampiamente sviluppata nel comunicato conclusivo delle conversazioni anglo-francesi di Londra. La concessione alla Germania della parità effettiva di diritto, il riarmo in altre parole, le verrà concesso se essa vorrà dar prova della sua volontà di pace e di collaborazione firmando alcuni accordi internazionali, che sono ritenuti necessari per ristabilire la fiducia là dove maggiormente essa é stata turbata : e cioé la Locarno Orientale ed il patto danubiano : in più la Germania dovrà negoziare, liberamente, una convenzione di limitazione degli armamenti che sarà destinata a sostituire, nei suoi riguardi, lo statuto previsto dalla parte V del Trattato di Versailles.

In altre parole : Francia ed Italia mostrano una volta di più il loro desiderio di collaborare colla Germania, si dichiarano disposte a questo scopo ad eliminare il maggiore ostacolo di principio che fin qui aveva reso tale collaborazione impossibile: l'inferiorità giuridica tedesca in fatto di armamenti ; subordinano, come del resto é logico, questa loro concessione a delle prove concrete da parte della Germania della sua disposizione a collaborare anch'essa : altrimenti il riarmo della Germania finirebbe, come già sta facendo, per peggiorare anziché migliorare l'atmosfera generale. (sul "riarmo tedesco" vedi capitolo successivo)
Nella parte relativa agli armamenti è ribadito un altro principio : che nessun paese può modificare per atto unilaterale gli obblighi da esso comunque assunti in materia di armamenti qualora una eventualità del genere dovesse verificarsi i due Governi si consulterebbero.

Il principio che la revisione dei Trattati, di qualsiasi genere essi siano, non possa aver luogo per atto unilaterale é stato sempre, da parte italiana, sostenuto come corollario necessario della sua presa di posizione in materia di revisione : si tratta di un principio il cui mantenimento é necessario anche per l'avvenire, anche nell'eventualità che ad una convenzione per la limitazione degli armamenti si possa arrivare. Che valore, infatti, potrebbe avere una convenzione di questo genere, qualora uno qualsiasi dei suoi contraenti avesse il diritto di modificarla per atto suo unilaterale ?

Quello invece che richiede qualche spiegazione é la clausola della consultazione prevista per il caso in cui si verificasse una violazione unilaterale degli impegni di cui abbiamo parlato : a stretto rigore, di fatto se non in diritto, la Germania ha già violati, unilateralmente, gli obblighi impostile, in materia di armamenti, dal Trattato di Versailles : ci sarebbe quindi già adesso ragione di consultarsi. (!?)

(Nota: le ostilità anglo-francese per la guerra in Etiopia, non ha fatto altro che avvicinare Mussolini ad Hitler, vanificando così queste consultazioni. Ndr.)

La clausola, quindi, va intesa in un senso più lato : nel senso cioé che Francia ed Italia, quando verrà comunque in discussione la questione degli armamenti tedeschi e della loro legalizzazione, si consulteranno per adottare una linea di condotta comune : nel frattempo essi si asterranno dal compiere qualsiasi atto che sia suscettibile di essere interpretato come un riconoscimento giuridico degli armamenti tedeschi. Si tratta di una clausola di procedura piuttosto che di sostanza.
Riassumendo, gli accordi di Roma prevedono, per l'avvenire, una consultazione e quindi un concordamento della politica generale dei due paesi di fronte a qualsiasi questione che possa venire sul tappeto : in particolare, di fronte alle due questioni che già sono aperte e sempre suscettibili di entrare, da un momento all'altro, in una fase critica, viene stabilita una base concreta di accordo e di politica concordata e viene ribadito il principio della consultazione per ogni eventualità che potesse presentarsi e che non sia stato possibile prevedere fin dal momento dei negoziati. In pratica, cioé, l'applicazione concreta a due questioni concrete della politica prevista nella dichiarazione generale.

Gli accordi di Roma sono stati accolti in Inghilterra con sincera simpatia: l'Inghilterra, la cui politica é diretta al mantenimento della pace e Tropea, ha salutato negli accordi di Roma una efficace garanzia appunto di questa pace europea. Agli accordi di Roma fanno, infatti, riferimento espresso il comunicato conclusivo delle conversazioni anglo-francesi, le quali, di fronte alla situazione concreta quale essa si presenta oggi, costituiscono appunto la continuazione e la estensione logica degli accordi di Roma.

In Russia, invece, gli accordi di Roma hanno suscitato, in un primo momento almeno, qualche apprensione e qualche preoccupazione.
Per le ragioni a cui ho accennato, alla Russia sta a cuore particolarmente il Patto Orientale. Non che la Russia si disinteressi dell'Anschluss, al contrario : temendo un attacco della Germania essa deve naturalmente temere qualsiasi cosa che sia suscettibile di rafforzarla, di renderla, domani, un avversario più temibile : essa teme invece di correre il rischio di essere lasciata sola.
Le tesi russe erano in sostanza le seguenti : la Germania ha riarmato, si é data la parità di diritto, si trova ora quindi in grado di parlare con la Francia e con l'Italia non più in condizione di inferiorità. Ma alla Germania interessa di avere il riconoscimento giuridico di questi suoi armamenti ed é persuasa che, per ottenerlo, essa deve finire col dare in cambio qualche cosa. Fino a ieri, dopo il viaggio di Barthou a Londra almeno, la Germania sapeva che la parità di diritto era connessa con il Patto Orientale e che, se voleva che i suoi armamenti fossero legalizzati, doveva firmare, sia anche in una forma un po' differente da quella che le era stata proposta, il Patto Orientale.
Ora veniva in ballo il Patto danubiano : non che la Germania tenga all'Anschluss meno che ad una eventuale espansione nell'Europa Orientale : ma il Patto danubiano, congegnato in una forma più elastica e meno impegnativa senza l'assistenza mutua, poteva riuscire meno ostico alla Germania : la Germania poi, tiene, e ne ha date varie prove, almeno verbali, a mettersi d'accordo con la Francia il giorno in cui si sia persuasa che la Francia tiene all'indipendenza austriaca non meno dell'Italia potrebbe forse rassegnarsi anche a rinunciarvi almeno per qualche tempo. In ogni modo era possibile che essa decidesse di negoziare i suoi armamenti in cambio del Patto danubiano : nel qual caso non ci sarebbe stato più alcun mezzo di pressione per far accettare alla Germania il Patto Orientale. Questa naturalmente tutta la complessa impostazione diplomatica del problema : in parole povere, la Russia temeva che Francia ed Italia, pur di assicurare in qualche modo l'indipendenza austriaca, fossero disposte, magari si fossero impegnate, a lasciare alla Germania mano libera nell'Europa Orientale.

Anche dal punto di vista teorico questa tesi, che potremo chiamare della connessione fra i vari Patti, era infondata.
Le questioni che sono oggi sul tappeto, le principali si intende, sono quattro : gli armamenti tedeschi, il Patto Orientale, il Patto Danubiano ed il ritorno della Germania a Ginevra. Logicamente parlando non vi é fra di esse nessun legame : nulla impedirebbe di regolarne una e di lasciare aperte le altre. Ma in fatto il nesso fra di esse esiste ed é strettissimo, in quanto la loro soluzione dipende da un'unica premessa : la politica che la Germania intenderà di adottare, se vorrà cioé collaborare con l'Europa, con vera e leale volontà di pace, oppure se essa vorrà continuare nella politica in cui sembra essersi messa, di isolamento sdegnoso.
Se la Germania intende collaborare su piede di parità - e qui per piede di parità si intende che la Germania non voglia addirittura la sua superiorità - é chiaro che allora essa é interessata ad ottenere una legalizzazione dei suoi armamenti : in questo caso, pur tenendo conto dei suoi interessi ed anche delle sue suscettibilità, non sarà troppo difficile persuaderla della necessità, ai fini della pacificazione degli animi, di firmare i patti che le vengono proposti e di tornare a Ginevra ; si potrà quindi arrivare ad una pacificazione generale.

Ma se invece la Germania intende continuare la sua politica di isolamento e di fatti compiuti, poco le importerà che i suoi armamenti abbiano o meno tutti i crismi della legalità, dal momento che essa se li é dati e nessuno le ha impedito di darseli : le importerà quindi anche meno di limitare la sua libertà d'azione, anche se teorica, poiché, in fatto, essa dovrebbe contare anche con chi non é deciso a lasciarla fare, sottoscrivendo dei Patti del genere del Patto Orientale o del Patto danubiano od anche una semplice convenzione di limitazione degli armamenti. È in questo senso che é esatta la tesi dei connessionisti, che cioé, o vi é sicurezza per tutti, o non ce n'é per nessuno, in pratica solo però e non in teoria.

Ma le preoccupazioni russe erano infondate anche sotto un altro punto di vista ; che esse non rispondevano a quella che era stata l'impostazione dei negoziati italo-francesi. A Roma non si era parlato espressamente del Patto Orientale per una ragione molto semplice l'Italia, nel luglio scorso, aveva precisata la sua posizione al riguardo lo vede con favore, ma non ha alcuna intenzione di prendervi parte. Non c'era ragione di rivedere questo atteggiamento italiano e la Francia restava libera di procedere nella sua politica, conformemente agli impegni assunti con la dichiarazione Litvinoff-Laval del 5 dicembre 1934. Bastava quindi, agli effetti immediati dei rapporti italofrancesi, il riferimento indiretto ad esso contenuto in fatto nella dichiarazione relativa agli armamenti.

Ora, sembra, le apprensioni russe si sono calmate. Il Governo francese, a dimostrare la continuità della sua politica, si é affrettato a rimettere al Governo tedesco un suo memorandum sul Patto Orientale e si attende che il Governo tedesco si pronunci sull'argomento. A Londra poi la connessione di tutti i Patti e di tutte le questioni fra di loro é stata riaffermata con tanta solennità da non lasciare più alcun dubbio in proposito. Ciò del resto é stato anche riconosciuto dal Governo sovietico.
Quale é ora lo stato dei negoziati per tutte le questioni prese in considerazione dagli accordi di Roma?
I Governi italiano e francese hanno portato la loro proposta di Patto danubiano alla conoscenza dei Governi interessati : in primo luogo del Governo germanico. La proposta italo-francese si limita a fissare quel minimo di principi che dovranno, ad avviso dei due Governi, costituire la base del futuro patto. Si é voluto espressamente evitare anche l'apparenza di un fatto compiuto italo-francese a cui altri Stati fossero chiamati ad aderire. La forma del futuro patto sarà stabilita solo nel corso dei negoziati che si dovranno svolgere fra gli Stati interessati : e tutti sanno che nei trattati la forma ha una importanza non minore della sostanza. Il Governo tedesco ha risposto al passo italo-francese domandando dei chiarimenti su alcuni punti relativi alla portata e alle finalità del patto proposto : la risposta alla Germania é stata consegnata in questi giorni e si attende ora che il Governo germanico si pronunci definitivamente.

Gli altri Stati non si sono ancora pronunciati, salvo che con delle adesioni molto generiche di principio. È del resto naturale che così sia. Non era possibile, da una parte, per ragioni evidenti, trattare sullo stesso piede la Germania e gli altri Stati: d'altra parte, é soltanto dopo che si saprà se la Germania aderirà o meno, che si potrà essere fissati sul carattere che dovrà avere il Patto stesso: se sarà, cioé, un Patto di collaborazione fra tutti, o se finirà invece per essere solo un Patto fra alcuni Stati diretto ad impedire che altri realizzi le sue mire. È quindi logico e naturale che gli Stati minori aspettino che la Germania si sia pronunciata in un senso o in un altro prima di far conoscere anche essi le loro decisioni definitive, prima di precisare i loro interessi e le loro riserve.
(Nota: l'11 aprile 1935, si svolge la conferenza di Stresa. Le tre potenze (Gran Bretagna, Francia, Italia) stabiliscono un fronte comune contro la Germania. Ma il patto entra in crisi quando si apprende che la Gran Bretagna in gran segreto ha firmato un patto navale e ha riconosciuto a Hitler la possibilità di riarmarsi. Anche se in seguito la questione etiopica-italiana porrà fine a questa alleanza. Ndr.)

Per quanto concerne il Patto Orientale, come ho detto, si attende ora che la Germania risponda al memorandum francese.
Per la questione del disarmo, o, più propriamente, della limitazione degli armamenti, occorre in primo luogo attendere che la Germania abbia fatto conoscere se essa intende o meno aderire ai patti che le sono stati proposti, quale contropartita al suo riarmo : occorrerà poi conoscere quali siano le idee della Germania circa la convenzione futura che dovrebbe stabilire la proporzionalità fra gli armamenti dei vari paesi : poiché é chiaro che se la Germania venisse fuori con delle cifre tali da mettere gli altri Stati in condizioni di inferiorità nei suoi riguardi, non ci sarebbe nessuna utilità pratica a concludere una convenzione : tanto varrebbe restare nel regime attuale in cui ognuno é libero di armarsi nella misura delle sue possibilità.

La decisione é in sostanza, dunque, nelle mani della Germania. E da questa decisione della Germania dipenderà lo sviluppo avvenire di tutta la politica europea.
È anche dalle decisioni della Germania che dipenderà la portata e l'orientamento futuro degli accordi italo-francesi.
Sarebbe peccare di eccessivo ottimismo il dire che con gli accordi firmati a Roma fra Francia ed Italia tutto é finito : dieci anni di contrasti lasciano sempre dietro di loro dei sedimenti psicologici, delle viscosità che non é sempre agevole, anche con la migliore volontà di questo mondo, eliminare d'un tratto : l'amicizia deve essere curata, ha detto il Capo del Governo ; é soprattutto necessario che gli interessi dei due paesi rimangano convergenti, poiché solo quei trattati e quelle amicizie sono solide che rispondono alla comunanza degli interessi : ed armonizzare gli interessi dei due paesi dovrà appunto essere il compito dei due Governi e delle due diplomazie.
Gli accordi di Roma hanno liquidato le questioni rimaste in sospeso : é questo un fatto acquisito sul quale non si tornerà più hanno anche liquidato quello stato d'animo speciale per cui la Francia era naturalmente portata a vedere, in ogni manifestazione della politica italiana, una punta anti-francese e viceversa : i due paesi sono oggi pronti a comprendere ed a comprendersi. Lo stato d'animo dei due Governi é stato espresso in maniera felice dal signor Laval in un suo recente discorso : "Mussolini lavorerà per l'Italia, io lavorerò per la Francia, insieme lavoreremo per la pace".

Di contrasti fra Italia e Francia ce ne saranno probabilmente ancora, per qualche tempo : ma invece di essere dei contrasti fra coniugi in istanza di divorzio saranno delle baruffe fra marito e moglie che sono decisi ad andare d'accordo. Del resto, fra Italia e Francia esiste un substrato psicologico, una affinità profonda, che se, a suo tempo, ha reso più acuto il dissidio, può servire efficacemente oggi la causa dell'accordo. Anche senza voler entrare nella retorica d'uso, non conviene dimenticare che francesi ed italiani sono e si sentono latini : e questo sentimento, specialmente nelle ore difficili, si fa sentire più di quanto altri non creda.

L'accordo italo-francese non è diretto contro nessuno, né grande né piccolo. E' in piena coscienza e con lealtà intera che Italia e Francia hanno proposto alla Germania delle basi ragionevoli di accordo. Se dall'altra parte si mostrerà una eguale buona volontà si sarà certo disposti a fare ancora delle altre concessioni se necessario, purché naturalmente quanto viene chiesto resti entro limiti ragionevoli, purché non si domandi né all'Italia né alla Francia di sacrificare nessun interesse vitale, come non si domanda alla Germania di sacrificare nessun suo interesse vitale. Se l'invito sarà accolto dalla Germania, allora, che si ritenga o no opportuno di riesumarlo, si ritornerà alla politica del Patto a Quattro, ad una politica cioé di collaborazione leale delle principali potenze, senza sottintesi, senza fini particolaristici, al solo scopo superiore della pace e della ricostruzione europea.

M a non si può escludere anche un'altra eventualità, che la Germania, cioé, rifiuti di accogliere l'invito che le viene rivolto.
In questo caso la politica italo-francese dovrà trovare il suo sviluppo logico in un'altra via : provvedere ai mezzi più opportuni perché eventuali manifestazioni della politica altrui non possano mettere a repentaglio i loro interessi e la pace europea.
L'accordo italo-francese, insomma, é un accordo fra due Potenze che vogliono la pace e che sono decise a mantenere questa pace.

PIETRO QUARONI
(su Civiltà Fascista n. 4, aprile 1935)

SEGUE

* IL RIARMO DELLA GERMANIA (1935) > > >

* LA SITUAZIONE POLITICA IN INGHILTERRA (1935)
* NAZIONE-GOVERNO - POLITICA COLONIALE FINO ALLA CONQUISTA DI ADUA (GIUGNO 1935)
* NAZIONE-GOVERNO - POLITICA COLONIALE FINO ALLA CONQUISTA DI ADUA (AGOSTO 1935)


 ALLA PAGINA PRECEDENTE

INDICE TEMATICO    CRONOLOGIA GENERALE