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( QUI TUTTI I RIASSUNTI ) RIASSUNTO ANNI 1935-36

6 ARTICOLI DELL'EPOCA

Oggi diremmo che sono di parte; ma questo leggevano gli italiani e con questi articoli dei "maestri" si esaltavano;
non dimentichiamolo.
Compresi molti antifascisti di allora.

"Salvo qualche mezzacoscienza, nessuno di noi si augura che la guerra finisca. Potrà essere sciocco, ma è così. Noi, soldati, non abbiamo che un desiderio: continuare ! "
(Indro Montanelli - Su Civiltà Fascista")

* IL CONFLITTO ITALO-ETIOPICO E LA SOCIETA' DELLE NAZIONI (1935)
-
* GLI ACCORDI ITALO FRANCESI (1935)
* IL RIARMO DELLA GERMANIA (1935)
* LA SITUAZIONE POLITICA IN INGHILTERRA (1935)
* NAZIONE-GOVERNO - POLITICA COLONIALE FINO ALLA CONQUISTA DI ADUA (GIUGNO 1935)
* NAZIONE-GOVERNO - POLITICA COLONIALE FINO ALLA CONQUISTA DI ADUA (AGOSTO 1935)
(gli articoli sopra in neretto seguono nelle successive pagine)

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IL CONFLITTO ITALO-ETIOPICO E LA SOCIETA' DELLE NAZIONI
(giugno 1935 - da Civiltà Fascista n. 6)

Prima di procedere ad un esame della situazione politico giuridica che si è venuta creando, particolarmente per il fatto dell'atteggiamento dell'Inghilterra, fra l'Italia e la Società delle Nazioni, in relazione al conflitto italo etiopico, sarà forse utile riassumere le fasi della vertenza, precedenti all'ultima sessione del Consiglio della S. d. N. della quale dovremo occuparci con maggior dettaglio.
Il 5 dicembre dello scorso anno (1934) degli armati abissini, in numero di circa 1500, attaccarono di sorpresa il nostro posto di Ual Ual il presidio italiano, nonostante l'enorme sproporzione delle forze, poté resistere fino all'arrivo di qualche rinforzo, col cui intervento fu possibile mettere in fuga l'avversario. Il Rappresentante italiano ad Addis Abeba fu subito incaricato dal nostro Governo di richiedere al Governo etiopico delle scuse ed una indennità per gli uccisi, calcolata secondo gli usi locali. Il Governo abissino rispose alla nostra nota richiedendo, sulla base dell'art. 5 del Trattato italo-etiopico, l'applicazione della procedura arbitrale. Da parte nostra si fecero delle riserve circa la opportunità e la possibilità di applicare la procedura arbitrale : il Governo etiopico, invece di rispondere alla Legazione italiana, indirizzò al Segretario Generale della S. d. N. un telegramma invocante l'intervento della Lega.

Per meglio comprendere l'atteggiamento del Governo etiopico bisogna risalire un po' indietro. La frontiera fra la Somalia italiana e l'Ogaden non é mai stata delimitata sul terreno : il trattato del 1908 si limita a fissare i principi generali a cui si dovrà ispirare la commissione di delimitazione il giorno in cui si sia riunita : ma sebbene da parte italiana lo si fosse ripetutamente richiesto, la commissione non é stata mai convocata. Per molti anni noi ci eravamo limitati a mantenere il nostro protettorato sui sultanati di Obbia e
dei Migiurtini, senza però procedere ad una effettiva presa di possesso. Il Governo italiano ritenne questa situazione incompatibile con l'autorità e col prestigio dell'Italia coloniale e decise di effettuare l'occupazione effettiva del territorio : l'azione, auspice il quadrumviro De Vecchi, venne portata a termine nel 1926. Fu all'incirca in quell'epoca che venne dai nostri occupato e presidiato il posto di Ual Ual.
L'Ogaden era stato conquistato da Menelik : per molto tempo però il Governo abissino si era limitato a lasciare alla sua sovranità sulla regione una forma molto vaga : in pratica erano i piccoli capi locali che governavano : Addis Abbeba, di tanto in tanto, organizzava una spedizione più o meno razziatoria, per riscuotere i tributi e riaffermare la sua autorità.

Poi, un bel giorno, quale conseguenza dell'opera centralizzatrice a cui si era accinto il Negus, si decise di inviare sul posto dei capi abissini e di stabilire una autorità effettiva sul paese. Con quanta gioia delle popolazioni somale lo potrebbe dimostrare il numero di indigeni che sono venuti a rifugiarsi nelle nostre colonie per sfuggire alla rapacità dei funzionari etiopici. Da questo momento comincia la pressione etiopica sulla nostra frontiera : ammassamenti di armati, tentativi di occupare, di sorpresa, questo o quel posto, razzie eseguiti nel nostro territorio ai danni dei nostri sudditi : una situazione la quale obbligava le nostre autorità ad una continua vigilanza e sulla quale, a più riprese e senza risultati tangibili, era stata attirata l'attenzione del Governo etiopico.

Verso la fine dello scorso anno (1934) era in giro per la regione una Commissione anglo etiopica incaricata di stabilire il confine fra l'Ogaden ed il Somaliland britannico: e fissare la frontiera in una regione come l'Ogaden, stepposa ed abitata in gran parte da nomadi, é una cosa complessa poiché, più che stabilire una linea di frontiera propriamente detta, essa richiede che vengano stabiliti i diritti di pascolo delle tribù che si trovano sotto la sovranità dell'uno o dell'altro Governo : diritti di pascolo i quali si appoggiano a consuetudini antichissime e spesso in contrasto.
Il 23 novembre la Commissione mista anglo etiopica si presentava al nostro posto di Ual Uual : il nostro comandante si dichiarò pronto a lasciar passare in territorio italiano i due commissari, ma
rifiutò il passaggio alla loro scorta, dichiarando, come era logico, che in territorio italiano essi sarebbero stati sotto la protezione delle nostre autorità : il nostro comandante poi, di fronte ai reclami del Commissario etiopico, che sosteneva essere Ual Ual territorio dell'Impero eccepì che, in ogni caso, la questione di frontiera non poteva essere di competenza che dei due Governi e che lui, da buon soldato, non aveva altra incombenza che quella di provvedere alla guardia del posto affidatogli. La Commissione anglo etiopica si ritirò allora ad Ado e di lì inviò al Capitano Cimmaruta una lettera di protesta.

L'atteggiamento del Colonnello Clifford - il commissario britannico - in tutto questo affare non risulta molto chiaro : in mancanza di documenti precisi ci guarderemo bene, naturalmente, da qualsiasi affermazione : gli agenti locali, si sa, sono qualche volta affetti dalla mania di strafare. Quello che é certo é che l'atteggiamento del Commissario britannico dovette essere interpretato dagli etiopici come una specie di impegno, da parte dell'Inghilterra, ad appoggiare i reclami abissini relativi all'appartenenza di Ual Ual da quei buoni barbari che essi sono ritennero che fosse quello il momento opportuno per procedere all'attacco dei nostro posto.
L'art. 5 del Trattato italo etiopico del 1928 prevede, per la risoluzione delle questioni che possano sorgere fra i due paesi, tre fasi distinte - le trattative diplomatiche - la procedura di conciliazione - l'arbitrato. A parte quindi ogni considerazione di sostanza, giuridicamente parlando, il Governo abissino non poteva reclamare l'arbitrato fino a che non fossero state esaurite le due fasi precedenti, negoziati cioé e conciliazione. Ancora meno poteva rivolgersi alla Società delle Nazioni poiché la Società delle Nazioni, a norma dell'art. 15 del Covenaut, avrebbe potuto, eventualmente, intervenire soltanto dopo che fossero state esaurite senza risultato, tutte le procedure conciliative previste dai trattati esistenti fra le due parti in causa.
Il Governo abissino intanto sosteneva di essere stato lui l'aggredito a Ual Ual : poteva essere anche una buona tattica, quella di mettere le mani avanti, per chi non si sentiva la coscienza del tutto pulita. Ma oltre a questo il Governo etiopico tentava di spostare i termini della questione : per sfuggire alle sue eventuali responsabilità in merito all'incidente stesso, tentava di allargare la discussione portandola sulla questione delle frontiere : tendeva in altre parole a sostenere che gli italiani a Ual Ual si trovavano abusivamente in territorio etiopico e che quindi, se anche del sangue era corso, ciò era dovuto al fatto che gli italiani stavano avanzando al di là delle loro frontiere. Tesi anche questa giuridicamente poco fondata poiché, anche ammettendo che realmente Ual Ual fosse in territorio etiopico, il possesso italiano del posto durava, indisturbato, da otto anni. Ora nel diritto internazionale, come nel diritto privato, il possesso indisturbato, protratto, per un certo periodo di tempo, crea una situazione di diritto che non può essere modificata dall'azione diretta ed individuale. Il Governo etiopico avrebbe potuto reclamare, quindi, presso il Governo italiano per avere la restituzione di un territorio che esso reclamava come suo : non era però in diritto di inviare dei suoi armati a riprenderselo colla forza.

Alla Società delle Nazioni il Governo italiano fece valere le sue ragioni ed il Consiglio della Lega riconobbe di non essere competente ad occuparsi della questione fino a che le due parti non avessero esperita la procedura di risoluzione delle vertenze prevista dall'art. 5 del Trattato nel 1928. Fin da quel momento però si ebbero le prime avvisaglie di quella che sarebbe stata in seguito all'attitudine dell'Inghilterra, ma per allora non si insistette oltre.

Si domanderà ora : come é che da un incidente, grave sì, ma sostanzialmente di una importanza locale si é potuti arrivare fino alla situazione attuale ? il fatto é che l'incidente di Ual Ual non é stata che la manifestazione sanguinosa di uno stato di cose che veniva maturando oramai da molti anni, era la fiamma che rivela il fuoco che cova da tempo sotto la cenere.
Non staremo qui a rifare la storia degli incidenti di frontiera i quali si sono susseguiti, senza interruzione, lungo tutta la nostra linea di confine. L'Imperatore Haile Selassié, salito al trono dopo un'opera lunga e paziente eliminandone gli eredi legittimi, i figli di Menelik, si é voluto accingere all'opera ardua di «modernizzare » il suo Impero. Modernizzare voleva dire, soprattutto abbattere il potere locale dei ras, qualche volta superiore a quello dello stesso imperatore. Questo Luigi XI in miniatura - il paragone vale soprattutto per le doti morali e militari del Sovrano - per stroncare i grandi feudatari ha preferito appoggiarsi di preferenza sulla classe dei giovani abissini : quelli cioè dei suoi compatrioti i quali, avendo passato qualche anno nelle scuole europee, credono oramai di avere appreso tutto lo scibile e di potersi considerare degli uomini moderni : fra gli elementi che questi giovani hanno portato dall'Europa c'é anche il nazionalismo, nella forma che esso assume quando esso si innesta sulle razze inferiori, ossia della megalomania e della xenofobia.

Ecco quindi la politica interna trasformarsi in funzione di politica estera : da una parte i capi tradizionalisti, timorosi dei progressi del potere centrale, incapaci di lottare contro un uomo il quale usa come arma la penna invece della spada, si sono dati a cercare di creargli delle difficoltà all'estero, nella speranza di riuscire così a rovesciare il non bene amato Imperatore. Dall'altra i giovani nazionalisti, prima ancora di avere iniziata la parte più elementare dell'opera di civilizzazione del loro paese, già sognano di una grande Abissinia col suo sbocco al mare, sul Mar Rosso e sull'Oceano Indiano, ossia attraverso quelle che sono oggi le colonie italiane.
Di qui lo stato permanente di anarchia di cui hanno avuto a soffrire tutti i paesi confinanti coll'Etiopia : la stessa Inghilterra, sebbene oggi essa cerchi di negarlo, per non indebolire le sue tesi, ma soprattutto l'Italia poiché é contro l'Italia, che essi considerano come la più debole, che si appuntano le ambizioni abissine.
Di qui il primo aspetto del problema italo etiopico ; quello della sicurezza. Tanto la Eritrea quanto la Somalia sono abitate da popolazioni da tempo pacificate, affezionate al nostro dominio e quindi, per mantenervi l'ordine, basterebbe, come é stato fatto fino a poco tempo fa dall'Italia, una esigua forza di polizia. Ma di fronte alla minaccia etiopica noi saremmo obbligati a mantenere quelle colonie in stato permanente di difesa, a stabilirvi forze del tutto sproporzionate alla entità delle colonie stesse, ma in rapporto a quelle forze che il vicino etiopico potrebbe mettere in campo. E l'Italia sarebbe costretta a tener presente che, ogni qualvolta essa si trovasse implicata in qualche conflitto europeo, l'Abissinia non perderebbe una buona occasione per attaccarla alle spalle. Se già durante la guerra mondiale, l'Abissinia essendo in istato di sfacelo, dovemmo d'urgenza mandarvi delle truppe per mettere fine alle velleità di Ras Seyum cosa avverrebbe domani di fronte ad una Abissinia unificata ed armata sufficientemente, col concorso di amabili istruttori europei ?

E' questo un problema che va risolto una volta per tutte : l'Italia ha, al pari delle altre potenze europee, il diritto di avere la sicurezza delle sue colonie dell'Africa Orientale ; specialmente se si tiene conto che essa, a differenza della Francia e dell'Inghilterra, non ha là solo alcune briciole di un vasto impero, ma la metà quasi delle colonie che essa possiede.
Il secondo aspetto del problema é di più vasta portata. L'Italia, entrata per ultima nell'agone delle competizioni coloniali, non ha potuto assicurarsi il suo posto al sole : al tavolo di Versailles essa é stata defraudata di quello che era il suo buon diritto in materia di distribuzione di mandati e di colonie. Ma l'Italia ha anche essa, non meno degli altri, il diritto di avere un campo che sia lasciato libero alla sua espansione, alla sua attività ; di uno sfogo per il soprappiù della sua popolazione. Le Colonie italiane non sono sufficienti a questo scopo : in particolare l'Eritrea e la Somalia hanno per l'Italia una importanza soprattutto in quanto ponte di passaggio verso l'Etiopia tanto più vasta e più ricca.

Con il Trattato del 1928 l'Italia ha fatto il suo massimo sforzo per vedere di assicurarsi questo sbocco attraverso una politica di buone relazioni e di collaborazione amichevole con l'Etiopia : poi ha atteso con pazienza i frutti della sua politica. Ed i frutti sono stati una diffidenza sempre crescente che ha poi degenerato in ostilità aperta. Il Negus si é sempre dimostrato pronto a prestare un orecchio benevolo alle richieste che gli venivano da ogni parte, anche dal Giappone, ma con l'Italia mai.

Ora, al XX secolo, non é possibile ammettere che un popolo barbaro voglia volontariamente chiudere ad ogni attività civile un territorio ricco e vasto, per ragioni di semplice xenofobia : e non é possibile che un popolo giovane ed in pieno sviluppo se ne stia lì sulla porta ad attendere, per un principio astratto di rispetto al diritto di indipendenza dell'Abissinia. Come nel diritto privato italiano non si ammette che il proprietario lasci incolte le sue terre, così nel campo internazionale, non é possibile ammettere che uno stato voglia volontariamente escludersi dalla collettività civile. In questo caso bisognerà presto o tardi sfondare quella porta che si vuole tenere chiusa.

Questi in breve i termini del problema : queste le ragioni per cui l'Italia ha trasportate sulle rive dei Mar Rosso le sue truppe, decisa, questa volta, a risolvere una volta per tutte il problema dei suo rapporti, sia politici che militari che economici col vicino Impero. Tanto meglio se questo problema potrà essere risolto senza che sia necessario far uso delle forze raccolte laggiù : ma bisogna che tutti si rendano conto che, occorrendo, l'Italia é ben decisa a servirsene

E ora torniamo a Ginevra:
Il 24 maggio la Società delle Nazioni si é riunita per discutere della attuale fase del conflitto italo etiopico.
Poco prima della ultima riunione del Consiglio della S. d. N, il 16 aprile, il Governo etiopico aveva, di sua iniziativa unilaterale dichiarata esaurita la fase della trattative diplomatiche, reclamando quindi l'intervento del Consiglio della S. d. N. Da parte nostra, per spirito di conciliazione, non si era voluto sollevare questioni sul fatto, se le trattative diplomatiche avessero effettivamente esaurite tutte le loro possibilità, ci si era limitati a ricordare che, ai termini del sempre citato articolo 5, si doveva ora passare alla procedura di conciliazione. Questo principio era stato accettato senza difficoltà dal Consiglio ed il Governo italiano aveva proceduto alla nomina dei suo rappresentanti nella Commissione di conciliazione.

Sebbene questa non sia stabilito da nessuna precisa disposizione internazionale pure é uso, generalmente adottato, che i due arbitri scelti dalle due parti siano dei nazionali : solo per il superarbitro si sceglie generalmente uno straniero : l'Etiopia invece cominciò subito col nominare un francese ed un americano, non solo, ma tentò anche con una sua nota di impugnare la validità degli arbitri italiani, sostenendo che essi, essendo funzionari, non potevano esplicare il loro mandati con la necessaria imparzialità. Messo alle strette, il Governo etiopico finì poi per dichiarare che era stato obbligato a ricorrere a degli arbitri stranieri, perché non vi erano degli abissini in grado di assumersi il compito.
Questa dichiarazione era di per se stessa una riprova di quanto andava sostenendo l'Italia, essere cioé impossibili voler trattare su di un piede di eguaglianza noi e gli abissini : in ogni modo, per dar ancora una prova della sua buona volontà, i Governo italiano fece conoscere che non avrebbe sollevate obiezioni alla nomina di due arbitri non etiopici.
Ciononostante il dibattito ginevrino, chiusosi in seduta notturna é stato abbastanza agitato. Il Governo abissino spalleggiato da quello britannico insisteva soprattutto su due punti : primo che la competenza degli arbitri dovesse estendersi anche alle questioni relative alla delimitazione della frontiera italo etiopica : secondo, che la questione non dovesse essere lasciata alla sola competenza degli arbitri, ma che se ne dovesse incaricare fin da questo momento il consiglio della società delle Nazioni, trattandosi di questione che poteva essere ricondotta nei casi previsti dall'art. 11 del Covenant.

A questa richiesta etiopica era stata data una più precisa formulazione dall'Inghilterra nel senso che essa richiedeva che venisse nominato dal Consiglio un apposito comitato per seguire le fasi della vertenza o, in mancanza di un comitato, si passasse senz'altro alla nomina di un relatore. A queste richieste etiopiche l'Inghilterra aggiungeva la pretesa che il Governo italiano si impegnasse a non fare ricorso alla forza o, comunque, facesse esplicito riferimento all'art. 5 del Trattato, che fa menzione appunto di tale obbligazione.
Da parte italiana si é sostenuta ancora una volta la incompetenza del consiglio. In suo intervento infatti avrebbe potuto giustificarsi sia in base all'art. 11 che in base all'art. 15. Per quanto riguarda l'applicazione dell'art. 11, ogni eventuale misura di salvaguardia presa in sua applicazione deve, per essere possibile, essere approvata all'unanimità dal Consiglio, comprese nel computo dei voti le parti in causa. Dato che l'Italia non accettava l'ingerenza della Lega l'articolo 11 si dichiarava per ciò stesso inapplicabile.

L'art. 15, da parte sua, prevede esplicitamente che la procedura in esso prevista non può essere applicata quanto sia già in corso una procedura arbitrale, come era appunto il caso per la fase attuale della vertenza italo-etiopica.
Nonostante le resistenze inglesi, il consiglio si é trovato costretto ad ammettere la limitatezza dei suoi poteri e ad astenersi per il momento, da qualsiasi « iniziativa » da parte sua.
Per quanto concerne la richiesta inglese di un impegno al non ricorso alla forza, sulla base dell'art. 5 del Patto del 1928, da parte italiana si é mantenuto, con tutta fermezza, il principio che non é possibile isolare una disposizione di un Trattato da tutto il resto delle sue stipulazioni, che ne costituiscono la giustificazione e la contropartita. L'Italia non poteva impegnarsi al rispetto di una sola stipulazione, quando di tutte le altre da parte, etiopica, non era stato tenuto alcun conto. Ed il Rappresentante britannico si é trovato nella impossibilità di insistere oltre sul suo punto di vista.

Sempre per dar prova del suo spirito di conciliazione il Governo italiano si é adattato ad ammettere che venga fissato un termine - il 28 agosto --- per l'esaurimento della procedura arbitrale.
Infatti, ognuna delle sue parti potrebbe, quando ritenga che la procedura arbitrale sia fallita, chiedere al Consiglio ed alla Assemblea di dar corso alla procedura dell'art. 15. L'Etiopia avrebbe quindi potuto, a suo piacere, provocare a tal fine una riunione straordinaria del Consiglio : il precedente della maniera con cui era stata chiusa la fase diplomatica, non era, a questo riguardo, molto incoraggiante. Ad evitare possibili manovre etiopiche era opportuno e necessario stabilire che gli arbitri conciliatori avessero un minimo di tempo per assolvere il loro mandato. Questo non esclude naturalmente che, se la procedura arbitrale si svolgerà normalmente, si potrà sempre chiedere un prolungamento del termine, il che è del resto conforme ad una specifica disposizione del Patto, che non può essere modificata da una decisione del Consiglio.

Nel discorso pronunciato a seguito delle deliberazioni del Consiglio il delegato italiano ha tenuto a mettere bene in chiaro che la competenza degli arbitri é limitata alla trattazione dell'incidente di Ual Ual e degli altri che si sono succeduti, ma che, in ogni modo essa non può estendersi alla questione della delimitazione delle frontiere. Lo stesso principio é stato riaffermato dal Capo del Governo nel suo discorso alla Camera il 25 maggio. Precisazione tanto più opportuna in quanto, da parte inglese, allo scopo di magnificare il successo riportato dalla Lega, per ragioni elettorali, si era tentato di dare alla competenza degli arbitri una interpretazione dubbia ma estensiva.
Gli arbitri delle due parti si sono riuniti ai primi di giugno a Milano e torneranno a riunirsi alla fine di giugno a Scheveningen. Eventualmente, il 25 luglio il Consiglio della Società delle Nazioni potrà essere invitato a riunirsi per la scelta del superarbitro.

Si domanderà ora : quale la ragione di questo atteggiamento così contrario all'Italia da parte dell'Inghilterra? Che l'Inghilterra voglia difendere i suoi interessi in Abissinia é una cosa del tutto naturale e non saremmo certo noi italiani a sorprendercene. Ma gli interessi inglesi in Abissinia, in rapporto a quelli italiani e francesi, sono già stati stabiliti in una serie di trattati e di documenti, dal tripartito del 1906 alle lettere del 1925. Nulla, del resto, nell'atteggiamento italiano dà diritto all'Inghilterra a pensare che dei suoi interessi si voglia non tener conto, né che, come del resto qualche influente periodico inglese da lui stesso riconosciuto, questi interessi sarebbero meglio difesi in una Abissinia arbitra assoluta dei suoi destini che in una Abissinia dove maggiore fosse l'influenza italiana. Restano dunque soprattutto due alternative. O l'Inghilterra vuole deliberatamente soffocare ogni possibile espansione italiana, oppure essa crede effettivamente di difendere così la Società delle Nazioni. Scartiamo per ora la prima ipotesi che ci porterebbe nel campo delle polemiche, ed esaminiamo invece la seconda.

L'Inghilterra si é piazzata per ora sul terreno puramente formale e giuridico. L'Italia e l'Abissinia - essa dice - sono ambedue membri della Società delle Nazioni : qualsiasi conflitto che intervenga fra di loro dovrà quindi essere risolto secondo la procedura prevista per gli stati membri. L'Inghilterra vuole che la Società delle Nazioni sia forte, perché solo attraverso una società delle Nazioni forte si potrà avere una organizzazione collettiva della pace. Se si ammette che l'Italia faccia uso della forza per ridurre l'Abissinia alla ragione, il principio della Società delle Nazioni ne riceverebbe un grandissimo colpo, dal quale forse non potrebbe più riaversi. Si può anche ammettere che sia stato un errore quello di fare entrare l'Abissinia a Ginevra ma oramai essa c'é e bisogna trattarla come tale. Per cui l'Inghilterra deve insistere perché a conflitto venga data una soluzione pacifica.

In primo luogo ci sarebbe da osservare che con questa argomentazione si fa una certa confusione fra l'incidente di Ual Ual inteso in senso ristretto e tutto il problema d'insieme dei rapporti italo etiopici del quale l'incidente stesso é parte integrale. Se a stretto rigore infatti dell'incidente di Ual Ual si potrà avere una soluzione pacifica - vorremmo in ogni modo vedere cosa farà il Negus nel caso che il verdetto degli arbitri gli fosse contrario -- non é certo ammissibile che l'insieme della questione, nei termini in cui l'Italia la pone - ed é certo l'Italia la sola a poter giudicare come essa vada posta - sia suscettibile di essere risolta con i mezzi societari. Sarebbe divertente vedere come sarebbe accolta ad Addis Abbeba una commissione della Lega che vi si recasse ad invitare il Negus a fare delle vaste concessioni all'Italia nel campo politico e nel campo economico.

Non riaccenderemo qui la polemica circa la maniera con cui l'Inghilterra, che vorrebbe oggi farci la lezione, ha acquistato il suo Impero coloniale. Riconosciamo anche noi che effettivamente, come dicono gli inglesi, la risoluzione della questione etiopica é per la Società delle Nazioni una questione di vita o di morte : soltanto non esattamente nei termini in cui la questione viene posta dagli inglesi.
Si tratta in sostanza di sapere che cosa é e che cosa deve essere la Società delle Nazioni : un organismo giuridico od un organismo politico : una Santa Alleanza od una applicazione alla politica estera del principio liberale adottato per la politica interna ?

Il Govenant di Ginevra contiene due principi i quali, a seconda dei punti di vista, si completano o si contraddicono ; l'art. 10 e l'articolo 19. L'art. 10 contiene il principio dello statu quo : la garanzia collettiva della indipendenza e della integrità dei singoli stati membri. L'art. 19 contiene invece il principio della evoluzione ammettendo l'idea del riesame delle situazioni, rese dal tempo e dalle circostanze insostenibili, anche se territoriali, quando esse non rispondano più alle esigenze dei momento. Nella mente dei compilatori del Patto i due principi si equivalevano ed erano destinati a controbilanciarsi : originariamente, anzi, essi trovavano posto nello stesso articolo. L'evoluzione pratica della Lega, nei quindici anni di sua vita, mentre ha diretto tutti i suoi sforzi a precisare la portata ed il funzionamento dell'art. 10 e di quelli che ne assicurano la messa in pratica, ha lasciato completamente in disparte l'art. 19 per cui, oggi, ci si potrebbe addirittura considerare sorpresi che esso esista ancora, quando si sentono le alte grida che lanciano da ogni parte i più strenui difensori della Lega, ogni qualvolta si parla di revisione. La Lega si avvia così, ogni giorno di più, a diventare la Lega dei « beati possidentes" contro quelli che non hanno ma che aspirano anche loro, al loro posti al sole.

Un grande italiano, Vilfredo Pareto, ha sostenuta la teoria della circolazione delle aristocrazie : é un principio il quale si può benissimo applicare anche alla politica estera : quello infatti che in politica interna sono le rivoluzioni é la guerra in politica estera. Se si vogliono evitare le rivoluzioni bisogna tener conto a tempo di quelli che sono i giusti bisogni ed i desideri delle classi inferiori : se si vogliono evitare le guerre bisogna dare la sensazione ai popoli, che sono in pieno sviluppo, che essi possono conquistare il loro posto al sole senza aver bisogno per questo di ricorrere alla sorte delle armi. La Lega se vuol vivere deve dimostrare di essere non un organismo puramente giuridico, ma di aver in se anche l'elemento politico della evoluzione. Altrimenti l'Italia, per citarne una, potrebbe essere indotta a seguire l'esempio della Germania e del Giappone ; e non é affatto detto che essa sarebbe l'ultima ad abbandonare l'onesto consesso di Ginevra per cui, alla fine dei conti, la Lega potrebbe non restare altro che la Santa Alleanza dei "beati possidentes"; e non é ben certo che essa avrebbe una sorte migliore di quella nobile istituzione sorta cento anni prima.

La questione italo-etiopica non é nè può essere ridotta ai termini di questione giuridica; si tratta di una questione politica che va trattata e risolta come tale. Se la Società delle Nazioni dimostrerà di saperla risolvere in questa forma e portata tanto meglio : essa avrà così forse fatta la sola cosa utile della sua storia. Se essa invece vorrà trincerarsi dietro la barriera delle sue concezioni strettamente giuridiche, forse si potrà anche gridare a Londra ed altrove che essa ha riportata una grande vittoria: ma di fatto essa avrà firmato il suo decreto di morte.

GLAUCO VALENTI
(su Civiltà Fascista n. 6, giugno 1935)

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