SCHEDE BIOGRAFICHE
PERSONAGGI
ARTHUR SCHOPENHAUER

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Per Arthur Schopenhauer (1788-1860) l'essenza dell'universo � volont�, radice unica che si realizza nell'uomo e nelle cose, colta non gi� attraverso un sapere razionale ma attraverso un'intuizione immediata. 

La volont� si rivela come irrazionale e come bisogno, deficienza, quindi infelicit� e dolore. Di questa infelicit� cosmica l'uomo � drammatico centro: al suo dolore la natura resta indifferente.

Il dolore � nota costante dell'esistenza; e tuttavia, Shopenhauer ravvisa una possibilit� di liberazione nella contemplazione estetica: in essa l'uomo diviene puro, disinteressato soggetto conoscente che, intuendo l'idea, si sottrae, sia pure soltanto per alcuni istanti privilegiati, al dolore dell'esistenza.

(vedi pagine di pensieri e frammenti "SUI DOLORI DEL MONDO" )

L'intuizione come strumento di conoscenza dell'essere, l'irrazionalit� del tutto, l'indifferenza della natura al travaglio umano, l'arte come conoscenza e come liberazione dal dolore sono motivi che entreranno nella sensibilit� e nella poetica del decadentismo.

L'attacco più forte al materialismo è la tremenda petitio principii, poichè all'improvviso ci si accorge che l'ultimo anello costituisce il punto di partenza e la catena è un cerchio. E ci si chiede come si può spiegare la mente con la materia, quando soltanto per mezzo della mente si può conoscere la materia?"

In breve la biografia di Schopenhauer

1788
Nasce a Danzica il 22 febbraio. Il padre Heinrich Floris esercita una attivit� commerciale. La madre Johanna Trosiener coltiva la letteratura ed emerse fra i più popolari romanzieri del tempo.
1793
La citt� libera di Danzica diventa prussiana e in conseguenza di ci� la famiglia si trasferisce ad Amburgo. Arthur S. ha cinque anni.
1797-1799
Per disposizione del padre - che erano animato da uno spirito cosmopolita che rimase un impronta anche del filosofo - dopo un viaggio in Francia, Arthur S. studia per due anni in un collegio a Le Havre.
1799-1804
Nell'arco di questa data con i genitori viaggia in Olanda, Inghilterra, Francia, Svizzzera, Austria, Germania.
Arthur continua gli studi ad Amburgo. Il padre Heinrich si augura che il figlio continui l'attivit� commerciale della famiglia, alla quale Arthur � profondamente avverso. Tuttavia entra nella casa commerciale del mercante amburghese Jenisch.
1805
Suicidio del padre di Schopenhauer, Heinrich. Nello stesso anno Johanna Trosiener si trasferisce a Weimar. Il suo salotto letterario � frequentato da uomini di cultura dell'epoca, in particolare da Goethe, Wieland, Klopstock ecc. Schopenhauer pur ancora in giovanissima età -17 anni- resta ad Amburgo a curare la ditta paterna.
1807-1809
Schopenhauer decide di lasciare l'attivit� commerciale e di vivere con le rendite familiari, per dedicarsi interamente agli studi universitari . Si iscrive alla facoltà di medicina di Gottinga, ma subito dopo attratto dalle ricerche filosofiche passa alla facoltà di filosofia berlinese. Studi classici a Gotha e poi a Weimar, dove la madre lo introduce nell'ambiente letterario citato sopra.

1811
Negli studi berlinesi è attratto dalla fama di Fichte. Ma approfondendo ne rimane profondamente deluso. Diventa un radicale oppositore all'idealismo e all'"ottimismo" fichtiano.

1813
Pubblicazione della
Quadruplice radice del principio di ragione sufficiente, opera con la quale aveva ottenuta la laurea in filosofia a Jena nello stesso anno. In seguito questa prima versione viene profondamente rielaborata e riedita in nuova veste. Si incontra con Goethe e si interessa vivacemente alla sua teoria dei colori. Si delinea il progetto di una ripresa e di un approfondimento della teoria goethiana, che tende tuttavia ad assumere poi lineamenti autonomi ed in parte critici nei confronti della posizione goethiana. Alla fine dell'anno ritorna a Weimar, e nei suoi sei mesi di permanenza si incontra più volte con Goethe. Ma nel maggio del 1814, entra in rottura con la madre (che non incontrerà mai più) e lascia Weimar. Ha conosciuto nel frattempo l'orientalista Majer che lo introduce nelle filosofie e religioni orientali.
1814-1815
Vuole partire volontario nella guerra antinapoleonica, poi rinuncia e si ritira in una casa di campagna a Dresda. Qui oltre che svolgere una tesi dottorale in filosofia dedica il suo tempo e le sue energie a quell'opera che doveva riuscire come il suo capolavoro
1816
Le ricerche sul colore culminano con la pubblicazione dell'opera
La vista e i colori
1818
Pubblicazione del
Mondo come Volont� e Rappresentazione. L'opera era gi� pronta l'anno precedente, venne edita dall'editore Brokaus di Lipsia nel dicembre del 1818 ma con la data del 1819.
1819
Iniziato nel settembre del 1818, fino al maggio del 1819, Schopenhauer compie un viaggio in Italia. Visita Venezia, Bologna, Firenze, Roma, Napoli. E' costretto a rientrare per il fallimento dell'azienda paterna. Opponendosi alla madre riesce a salvare il suo patrimonio.
1820
Tiene senza successo lezioni all'Universit� di Berlino come libero docente. Aspro scontro con Hegel alla sua prima lezione. Vorrebbe insegnare, ma è costretto a sospendere il corso per mancanza di studenti.
1822
Nuovo viaggio in Italia. Visita Milano, Genova, Firenze- Riedizione in edizione latina del libro sul colore. Rientrato in Germania, a Monaco si ammala per alcuni mesi.
1824
Ritorna a vivere a Dresda. L'hanno dopo torna a Berlino, dove resta fino al 1831 e sono inutili i tentativi nel voler insegnare.
1831
A Berlino scoppia una grossa epidemia di colera. Schopenhauer abbandona la città e si trasferisce a Francoforte sul Meno dove trascorrer� il resto della sua vita. Da Berlino era fuggito poco lontano anche il suo acerrimo nemico Hegel, che muore appunto di colera.
1836
Pubblica
Sulla volont� nella natura
1841
Pubblica
I due problemi fondamentali dell'etica. Quest'opera raccoglie insieme il saggio La libert� del volere umano e il saggio sul Fondamento della morale. Quest'ultimo presentato al concorso bandito dalla Società Reale di Danimarca, viene duramente giudicato.
1843-1844
Pubblicazione dei
Supplementi al Mondo e della seconda edizione della stessa opera, nel 1844, che presenta diversi rimaneggiamenti. Tuttavia Schopenhauer affida ai Supplementi le modifiche e le estensioni tematiche pi� rilevanti.Ma anche questa edizione non ottiene successo.
1847
Seconda edizione, profondamente rimaneggiata, della
Quadruplice radice del pricipio di ragione sufficiente
1848 Proprio a Francoforte, durante le Rivoluzione liberali austriache e tedesche, si raduna l'Assemblea nazionale tedesca che elaborerà la costituzione detta appunto di "Francoforte". L'anno dopo il Parlamento è disperso
1849
Durante i tentativi insurrezionali liberaldemocratici, la repressione delle truppe austriache. Schopenhauer esalta la repressione. L'anno dopo cadono le ultime speranze dell'evoluzione democratica della Germania. Nella repressione poliziesca sono perseguitati i seguaci della sinistra hegheliana, poi esclusi dall'insegnamento.
1851
Pubblicazione con successo dell'opera
Parerga e Paralipomena
, che raccoglie numerosi saggi caratteristici dell'ultima fase di pensiero del filosofo. La fama di Schopenhauer, all'inizio ignorato dalla critica e dal pubblico inizia a crescere sempre di pi�. Moltissimi giornali e riviste parlano di lui.
1856
L'università di Lipsia bandisce un concorso per un saggio sulla filosofia di Schopenhauer.
1858
Al suo 70mo compleanno riceve congratulazioni da tutti i paesi e da tutti i continenti. In Italia Francesco De Sanctis scrive e pubblica il dialogo "Schopenhauer e Leopardi".
1860
21 settembre - Una Morte serena si porta via la vita di Arthur Schopenhauer giunto all'età di 72 anni.

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SCHOPENHAUER IN ITALIA

L’interesse di De Sanctis per il pensiero di Schopenhauer è un caso quasi isolato nella cultura moderna italiana; perchè al di là di pensatori e studiosi appassionati, l’opinione dominante non era molto favorevole al filosofo tedesco. Lo schopenhauerismo è apparso “di fatto” a gran parte dell’opinione colta italiana grazie a Giovanni Papini, che ne “Il crepuscolo dei filosofi” (1906) lo ha definito come la «grande opera buffa della filosofia tedesca». Alla mancata fortuna di Schopenhauer in Italia hanno indubbiamente contribuito i neoidealisti Croce e Gentile. Quest’ultimi, infatti, pur esperti di cultura tedesca, hanno sempre mostrato per il «pessimismo» un sostanziale disinteresse o, peggio, una preconcetta opposizione contrapponendogli e preferendogli sempre le certezze metafisiche dello Spirito inteso come sostanza del mondo. Unica eccezione è il romanziere Italo Svevo che, come testimoniato dalla moglie Lidia, “sapeva a memoria” i testi del filosofo tedesco. Senz’altro l’influsso di Schopenhauer, è presente in opere come “Una vita” o “Senilità”.
Ma per essere sinceri Italo Svevo più che alla cultura italiana appartiene ad una cultura della “Mitteleuropa”.

Non sappiamo se Giacomo Leopardi riuscì a leggere il capolavoro di S. Il mondo come volontà di rappresentazione (uscito in data 1819 - che destò poco interesse e buona parte dei volumi finirono al macero), ma qualcosa doveva sapere, e un grande ammiratore sia di Leopardi che di Schopenhauer, fu indubbiamente Francesco De Sanctis, che scrisse il famoso "Dialogo".

Zurigo che nel 1858 ospitava una schiera di ferventi schopenhaueriani, al critico napoletano nel frequentarli deve essere venuta notizia della varia fortuna (anche se sul viale del tramonto) del filosofo tedesco, del carattere e dei gusti dell'uomo, della sua vita e delle sue compagnie di Francoforte.
E venne anche a sapere l'interesse che lui aveva destato a Schopenhauer. Ad avvertirlo fu Lindner, traduttore dei "Dialogo" allora pubblicato dal De Sanctis sulla
Rivista Contemporanea di Torino nel dicembre 1858.
Schopenhauer subito rispondeva al Lindner: "Mandatemi, mandatemi il dialogo per colmare subito la mia ardente curiosità. Qui in questa Abdera, è impossibile pensare che io possa procacciarmelo
" (lettera 14 febbraio 1859). E ricevuto, manifestava un caldo compiacimento.
"E' un importante progresso che l'Italia apre a me dinanzi. Io ho letto quel dialogo due volte attentamente, e debbo stupire nel riconoscre in qual alto grado questo italiano si sia impossessato della mia filofofia, e come bene l'abbia compresa. Egli non fa dei sunterelli e degli estratti dei miei scritti, come usano i professori tedeschi...senza vero intendimento e seguendo l'ordine delle pagine. NO: ma li ha assorbiti in succum et sanguinem, e li ha sulla punta delle dita per adoperarli dove occorre. E' inoltre convinto della verità, ed è pieno d'entusiasmo; ma crede di dover qua e là, per divertire il suo pubblico, mostrare un ghigno sarcastico...Lascio stare le invettive contro di me nella chiusa; le quali provengono da ciò che la Giovine Italia, come il canagliume democratico tedesco del 1848, non ha trovato in me il suo uomo. Forse l'autore è uno sbandito, che vive a Zurigo".(lett. 26 febb 1859: Briefe, edite da.Grisebach, Lipsia, Reclam, pagg. 403-406).

De Sanctis nel pubblicare il "Dialogo" (poi raccolto nei "Saggi") avvertiva "Il Dialogo è scritto a Zurigo il 1858; D. è l'autore, A. è un suo antico discepolo che viene da Napoli" (molti pensavano che leopardi venisse da Napoli). E nell'una e nell'altra edizione il De Sanctis chiariva in una nota: " Tutto quello che D. dice di Schopenhauer, opinioni, invettive, argomenti, paragoni, fino nei più minuti particolari, è tolto scrupolosamente dalle sue opere".

Il "DIALOGO"
("Schopenhauer e Leopardi")

Lo riportiamo integralmente qui, preso dall'originale "Saggi critici" del De Sanctis
Volume I, ediz. Treves, anno 1882.

vedi pagine a parte qui > >

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Nella sua stupenda "Storia della Filosofia" (1926, New York) Will Durant, termina il ritratto di Schopenhauer con queste affermazioni:

"Fu bene che Schopenhauer abbia portato la filosofia ad affrontare la cruda realtà del male ed abbia volto il pensiero umano allo studio dei mezzi per alleviarlo. Dopo di lui la folosofia trovò piú difficile vivere nell'atmosfera irreale delle dispute metafisiche : i pensatori cominciarono ad accorgersi che il pensiero senza l'azione non può sopravvivere
Fu anche bene che Schopenhauer abbia aperto gli occhi degli psicologi dinanzi alla sottile e profonda e onnipresente forza dell'istinto. L'intellettualismo, cioè la concezione dell'uomo come animale soprattutto pensante e preoccupato di adattare i mezzi a scopi razionalmente scelti, cominciò a vacillare con Rousseau, ricevette un fiero colpo con Kant e morì con Schopenhauer. Dopo due secoli di analisi psicologica, la filosofia trovò, al di là del pensiero, il desiderio, e al di là dell'intelletto, l'istinto : nello stesso modo che, dopo un secolo di materialismo, la fisica trova, al di là della materia, l'energia.

Dobbiamo essere grati a Schopenhauer di aver rivelato a noi stessi il nostro intimo spirito, di aver dimostrato che i nostri desideri sono gli assiomi delle nostre dottrine filosofiche e di aver spianato il cammino al riconoscimento che il pensiero non deve essere semplicemente un calcolo astratto di eventi impersonali, ma un flessibile strumento di azione e di desiderio.

In fine, ad onta di esagerazioni, Schopenhauer ci insegnò ancora la necessità del genio e il valore dell'arte. Capì che il bene ultimo � la bellezza e che la gioia vera sta nella creazione e nell'adorazione del bello
Unì la sua voce a quella di Goethe e di CarlyIe per protestare contro il tentativo di Hegel, Marx e Buckle di negare che il genio sia un fattore preponderante nella storia umana: in un'epoca in cui l'idea di grandezza pareva spenta, Schopenhauer predicò ancora una volta il culto nobilissimo degli eroi.
E nonostante tutti i suoi torti, riuscì ad aggiungere un altro nome alla loro lista".

Schopenhauer non ebbe madre, nè moglie, nè figli, nè famiglia, nè patria. "Fu assolutamente solo, senza neppure un amico; e tra uno e nessuno si stende l'infinito" (Nietzsche: Shopenhauer come educatore, Londra 1910, p.122). Ebbe quasi un senso paranoico di grandezza sconosciuta; mancatigli il successo e la fama, egli si chiuse in se stesso, tarlo roditore della propria anima.
Ci fu un attimo in cui, venticinquenne, tutto preso dall'entusiasmo di Fichte per una guerra di liberazione contro Napoleone, egli pensò -correva l'anno 1814- di arruolarsi volontario, si procurò perfino delle armi. Ma la prudenza lo trattenne in tempo e si disse che "dopo tutto, Napoleone non faceva che esprimere, in modo chiaro e preciso, quell'intima sensazione e brama di una vita più piena, che i deboli mortali sentono, ma devono forzatamente dissimulare" (
Wallace, articolo su Schopenhauer nell'Enciclopedia Britannica). Invece di partire per la guerra si ritirò in una casa di campagna.
Schopenhaur dedicò tutto il suo tempo e le sue energie all'opera che doveva riuscire il suo capolavoro, Il mondo come volontà di rappresentazione.
Tre anni dopo, mandò il manoscitto all'editore, premettendo che non si trattava di vecchie idee rimesse a nuovo, ma di un insieme perfettamente coerente di pensieri originali "chiaramente intelleggibili, vigorosi e non privi di bellezza": un libro "che sarà in seguito la fonte e lo spunto di un centinaio di altri libri" (In Wallace: Vita, p.10). Sarà stato egotismo insolente, ma Schopenhauer fu assolutamente sincero.

Ciononostante il libro - stampato e pubblicato nel 1818, uscito con la data 1919, suscitò appena qualche interesse. Il mondo - dopo la bufera napoleonica e con la successiva Restaurazione- era ancora troppo povero ed esausto per legger volentieri considerazioni intorno alla sua miseria e al suo esaurimento.
Sedici anni dopo la pubblicazione, Schopenhauer venne a sapere che la maggior parte delle copie erano andate al macero, vendute come carta straccia. Nel suo saggio sulla fama, in Saggezza della vita egli cita, con evidente allusione al suo capolavoro, due osservazioni di Lichtenberger : «Opere come questa sono simili a specchi : se un asino vi si mira, non potete aspettarvi che essi riflettano un angelo » - e - « quando una testa e un libro vengono ad urtarsi, e l'uno o l'altra risuona perch� vuoto, è questo sempre il libro? » ;
Schopenhauer continua con accento di vanità offesa : « Quanto più un uomo appartiene alla posterità, in altre parole all'umanità in generale, tanto più egli rimane estraneo ai suoi contemporanei : poich�, non essendo l'opera sua rivolta ad essi in modo particolare, ma solo in quanto essi fanno parte dell'umanità in generale, non si trova nelle sue pagine alcuno di quei tratti familiari di color locale che possa suscitare il loro interesse ». E qui diventa eloquente, come la volpe della favola: « Potrebbe un musicista essere lusingato dall'applauso scrosciante degli ascoltatori, se sapesse che quasi tutti sono sordi e vedesse una o due persone applaudire per nascondere la loro infermità? E che cosa direbbe se venisse a scoprire che quelle poche persone sono state spesso pagate per tributare al povero artista l'applauso più caloroso? In alcuni individui l'egotismo compensa la mancanza di fama; in altri individui, l'egotismo presta una generosa cooperazione alla loro fama già esistente".

In quest'opera Schopenhauer trasfuse tutto se stesso; i suoi lavori posteriori, quindi, non sono altro che commenti a quello; divenne talmudista del suo Torah ed esegeta delle proprie geremiadi. Nel 1836 pubblicò un saggio Sulla volontà della natura, il quale venne, fino ad un certo punto, incorporato nell'edizione ampliata di Il mondo come volontà e rappresentazione, apparso nel 1844.
Nel 1841 uscirono I due problemi fondamentali dell'etica e nel 1851 due importanti volumi di Parerga et Paralipomena, cioè letteralmente, « Prodotti secondari e resti », i quali furono tradotti in inglese come i Saggi. Per questa opera, che è il più leggibile dei suoi lavori, è pieno di sapienza e di spirito, Schopenhauer ricevette, come rimunerazione totale, dieci copie gratuite. L'ottimismo è difficile in simili circostanze. Un solo fatto venne a interrompere la monotonia della sua solitudine di studioso, dopo la partenza da Weimar. Da tempo sperava gli si presentasse l'occasione di esporre la sua filosofia in una delle grandi università germaniche : l'occasione si presentò nel 1822, allorch� fu invitato a Berlino come « Privat docent ». Egli, deliberatamente, scelse, per le sue conferenze, le stesse ore in cui l'allora potente Hegel teneva le sue lezioni, sperando che gli studenti guardassero a lui e ad Hegel con gli occhi della posterità. Ma gli studenti non erano in grado di vedere tanto lontano, e Schopenhauer si trovò a parlare alle sedie vuote. E sembra che ci fu anche uno scontro verbale con lo stesso Hegel.
Si rassegnò, ma si vendicò poi con le amare diatribe contro di lui, che guastarono le ultime edizioni del suo « capolavoro ». Nel 1831 scoppiò a Berlino un'epidemia di colera tanto che Hegel e Schopenhauer fuggirono: ma Hegel, tornato troppo presto, fu colpito dal morbo e in pochi giorni morì. Schopenhauer non si fermò finch� non ebbe raggiunto Francoforte, dove passò il resto della sua vita, che toccò i settantadue anni.

Da convinto pessimista, egli aveva evitato di cadere nell'illusione degli ottimisti : quella, cioè, di vivere con la penna. Aveva ereditato da suo padre la rendita parziale di un'azienda, che gli permetteva una modesta agiatezza, investendo il suo denaro con una prudenza non lecita ad un filosofo. Fallita la società nella quale era interessato, Schopenhauer, a differenza degli altri creditori, che si contentarono di riavere il settanta per cento dei loro crediti, pretese il pagamento integrale, e l'ottenne. Gli bastarono due camere presso una pensione, e là visse gli ultimi trent'anni della sua vita, senz'altra compagnia che quella di un cane, un piccolo barbone ch'egli chiamò Atma (il termine braminico per significare l'«Anima del mondo»); ma i burloni della città lo chiamarono il «giovane Schopenhauer ». Prendeva i suoi pasti generalmente al «Ristorante Inglese» : cominciando a mangiare, metteva sulla tavola, dinanzi a se, una moneta d'oro, che riponeva in tasca a pasto finito. Un cameriere, senza dubbio indignato, gli chiese alla fine il significato di quell'invariabile cerimonia. Schopenhauer rispose di aver promesso a se stesso di lasciar cadere la moneta nella cassetta dei poveri il primo giorno in cui avrebbe udito gli ufficiali inglesi, che colà pranzavano, discorrere di qualche cosa che non fosse di cavalli o di donne o di cani (Wallace, p.171).

Le università ignoravano lui e i suoi libri, quasi volessero confermare il detto di Schopenhauer, che in filosofia ogni progresso avviene al di fuori dei recinti accademici. - « Nulla - disse Nietzsche - offendeva tanto i dotti della Germania quanto la dissimiglianza di Schopenhauer nei loro confronti ». - Questi aveva, però, imparato ad essere paziente; confidava che, sebbene in ritardo, il riconoscimento sarebbe venuto. Ed infatti, con molta lentezza, venne. La classe media, formata da avvocati, medici mercanti, trovò in Schopenhauer un filosofo che offriva non semplicemente un gergo pretenzioso intorno a chimere metafisiche, bensì un intelligibile studio dei fenomeni della vita reale.
L'Europa, delusa negli ideali e negli sforzi del 1848, si volse, quasi applaudendo, a questa filosofia, che aveva espresso la disperazione del 1815. L'attacco della scienza contro la teologia, l'accusa dei socialisti contro la miseria e la guerra, l'importanza biologica nella lotta per l'esistenza, tutti questi fattori aiutarono a elevare finalmente Schopenhauer alla fama.

Era ancora in tempo per poter gioire della sua popolarità : leggeva con avidità tutti gli articoli che apparivano su di lui; chiedeva agli amici che gli mandassero qualunque brano di commento stampato che potesse capitare loro fra mano, offrendo di pagare le spese postali. Nel 1854 Wagner gli inviò una copia dell'« Anello dei Nibelunghi », accompagnandola con poche righe di apprezzamento per la sua filosofia della musica. Così il grande pessimista divenne, nei suoi ultimi anni, quasi ottimista : suonava assiduamente il flauto dopo pranzo e ringraziava il tempo di averlo liberato dagli ardori della gioventù. Veniva gente da ogni parte del mondo per vederlo, e nel 1858, compiendo egli i settant'anni, gli piovvero congratulazioni da tutti i paesi e da tutti i continenti.
Ma oramai non aveva che due anni da vivere. Il 21 settembre 1860, come al solito, si mise a tavola per la colazione, solo e apparentemente in buona salute. Un'ora dopo la padrona di casa lo trovò ancor seduto al suo posto, morto.

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Anche se fece di tutto per convincere se stesso di essere un ottimista, Schopenhauer è un filosofo profondamente pessimista. Ma nella sua epoca -quella epoca- non era il solo pessimista; c'era Byron in Inghilterra, De Musset in Francia, Heine in Germania, Leopardi in Italia, Puskin e Lermontov in Russia. Perfino fra i musicisti c'era Schubert, Schumann, Chopin e lo stesso ultimo Beethoven.
Quando rinunciò a partire per la guerra, e si ritirò saggiamente in campagna, era già l'anno 1815, e quello era il tempo della Santa Alleanza. A Waterloo si era combattuto, la rivoluzione era spenta e il « Figlio della Rivoluzione » marciva su una roccia nel lontano oceano... Qualche cosa dell'apoteosi della volontà di Schopenhauer fu dovuta a quella magnifica e sanguinosa apparizione della volontà fattasi carne nel piccolo Corso; e qualche cosa della sua disperazione di vivere venne dalla patetica lontananza di S. Elena. Volontà, alla fine disfatta, e sola vincitrice di tutte le guerre, la tetra Morte. I Borboni erano ritornati, i baroni feudali avevano preteso le loro terre e il pacifico idealismo di Alessandro aveva inconsapevolmente generato una lega per la soppressione di ogni progresso. Il grande periodo era passato «Ringrazio Dio - disse Goethe, - di non essere giovine in un mondo così profondamente disfatto».

Tutta l'Europa giaceva prostrata. Milioni di baldi uomini erano periti; milioni di ettari di terreno erano stati trascurati o giacevano incolti; in ogni parte del Continente la vita doveva ricominciare da capo e riconquistare lentamente e faticosamente quell'agiatezza economica che era stata inghiottita dalle guerre.
Schopenhauer sedicenne, viaggiando attraverso la Francia e l'Austria nel 1804, fu colpito dal disordine e dal sudiciume dei villaggi, dalle miserabili condizioni dei contadini, dall'inquietudine e dalla miseria delle città. Il passaggio degli eserciti di Napoleone e degli alleati aveva lasciato cicatriti sanguinose su tutte le contrade. Poi venne il resto. Mosca in cenere, e perfino Inghilterra, l'orgogliosa vincitrice della lotta, pur senza aver subito distruzioni di sorta, gli agricoltori erano rovinati dalla caduta del prezzo del grano; e gli operai delle industrie stavano provando tutti gli orrori del nascente ed incontrastato sistema di organizzazione del lavoro. La smobilitazione degli eserciti accresceva la disoccupazione. « Ho udito da mio padre - scrisse Carlyle - che negli anni in cui la farina di avena raggiunse il prezzo di dieci scellini a « stone » aveva visto i lavoratori recarsi di nascosto ai ruscelli per bere, invece di mangiare, ansiosi solo di celare gli uni agli altri la propria miseria »
(Froude: Life and letter of Tomas Carlyle, I, p. 52).

Mai la vita era apparsa così vuota e miserabile. E' vero, la Rivoluzione era spenta; e con essa anche la vita pareva avesse abbandonato il cuore dell'Europa. Il nuovo paradiso, chiamato Utopia, il cui chiarore aveva temperato il crepuscolo degli dei, si era allontanato in un nebuloso avvenire, dove soltanto gli occhi della giovinezza potevano scorgerlo; gli spiriti maturi, che a lungo si erano lasciati attrarre da quel miraggio, ora se ne allontanavano, disgustati di quella beffa giocata alle speranze degli uomini. Il giovane solo può vivere nel futuro, come solo il vecchio può vivere nel passato; ma la maggior parte degli uomini deve vivere nel presente, e il presente era rovina.

Quante migliaia di eroi e di entusiasti avevano combattuto per la Rivoluzione! In tutta Europa il cuore della gioventù si era volto verso la giovane Repubblica ed aveva vissuto in quella luce e in quella speranza, finch� Beethoven strappò la dedica della sua Sinfonia Eroica all'uomo che aveva cessato di essere il Figlio della Rivoluzione, per diventare il genero della Reazione. Quanti ancora avevano combattuto per la grande speranza e avevano creduto con tormentosa incertezza a quella fine? Ed ora questa era la fine vera : Waterloo e S. Elena e Vienna; e sul trono della Francia prostrata ancora un Borbone, che nulla aveva imparato, e nulla dimenticato. Questa era la gloriosa soluzione di tante speranze e di tanti sforzi, quali la storia umana non aveva ancora registrato. Quale commedia doveva apparire una simile tragedia a coloro che sentivano la propria risata un poco amareggiata dalle lacrime !

Molti fra i miseri ebbero, in quei giorni di delusione e di sofferenza, il conforto della speranza religiosa; ma una larga parte delle classi superiori avevano perduta la loro fede e guardavano il mondo in rovina senza alcuna visione consolatrice di una vita migliore, in cui i mali orrendi del presente si sarebbero dissolti nella giustizia finale e nella bellezza. Invero, era un po' difficile credere che un mondo così miserabile, quale lo videro gli uomini del 1818, fosse retto dalla mano di un Dio intelligente e benevolo!
Mefistofele aveva trionfato, ed ogni Faust giaceva nella disperazione. Voltaire aveva seminato tempesta e Schopenhauer doveva far maturare la messe.

Raramente il problema del male era stato scagliato con maggiore violenza e maggiore insistenza in faccia al filosofo e al religioso. Da ogni tomba di soldato, da Boulogne a Mosca e alle Piramidi, si levava muta un'interrogazione alle stelle indifferenti. Per quanto tempo ancora, o Signore, e perch�?
Questa calamità quasi universale era forse la vendetta di un Dio giusto contro l'età della Ragione e dell'incredulità? Era un richiamo perch� lo spirito penitente si inchinasse dinanzi alle antiche virtù della fede, della speranza e della carità? Così pensavano Schlegel e Novalis e Chateaubriand e De Musset e Southey e Wordsworth e Gogol; ed essi ritornarono all'antica fede, come tanti figliuoli prodighi, felici di rientrare nella casa paterna. Ma altri diedero una risposta più dura : il caos dell'Europa altro non era che il riflesso del caos dell'universo : che nessun ordine divino poteva esistere, ne alcuna speranza celeste; che Dio, se Dio esisteva, era cieco e il male covava sulla faccia della terra. Così dissero Byron, Heine, Lermontof, Leopardi e il Nostro filosofo.

L'UOMO.

Schopenhauer nacque a Danzica il 22 febbraio 1788. Suo padre era un mercante noto per la sua abilità, di temperamento impetuoso, di carattere indipendente e amante della libertà. Quando il figlio ebbe cinque anni, si trasferì da Danzica ad Amburgo, perch� la sua città, nel 1793, perdette la libertà in seguito alla sua annessione alla Polonia. Il giovine Schopenhauer crebbe, perciò, in mezzo agli affari e alla finanza, seguendo il padre anche in Francia dove per due anni intraprese i primi studi, a Le Havre; e sebbene abbandonasse presto la carriera mercantile, nella quale il padre l'aveva spinto, gli rimase sempre una certa ruvidezza di modi, una tendenza realistica della mente, insieme con la conoscenza del mondo e degli uomini; fu l'opposto di quel tipo di filosofo accademico che egli disprezzava. Il padre poi morì, pare, suicida, nel 1805. La nonna paterna era morta pazza.
« Il carattere o la volontà » dice Schopenhauer - « è ereditato dal padre; l'intelligenza dalla madre » ( S. Il mondo come volontà e rappresentazione, Londra, 1883, III, 300).

Sua madre era intelligente, ed emerse fra i più popolari romanzieri del tempo; ma fu donna anche di carattere. Era stata infelice col prosaico marito, e quando egli morì ella passò a liberi amori, trasferendosi a Weimar, dove l'ambiente era più adatto a quel genere di vita. Quando poi decise di risposarsi il figlio si oppose al nuovo matrimonio di sua madre; e le sue dispute con lei gli ispirarono una larga parte di quelle mezze verità sulle donne, con le quali egli doveva condire la sua filosofia. Una lettera a lui diretta dalla madre rivela lo stato dei loro rapporti : « Tu sei pesante ed insopportabile, ed � difficile vivere con te; tutte le tue buone qualità sono oscurate dalla tua presunzione e sono inutili per il mondo, perch� non sai reprimere la tua tendenza a criticare gli altri » (In Wallace: Vita di Schopenhauer, Londra, senza data, p. 59).
Così stabilirono di vivere separati : egli si sarebbe recato da lei come ospite in mezzo agli altri ospiti : fra loro, doveva esserci quella cortesia che lega due estranei, e non l'odio di parenti. Goethe, che amava la signora Schopenhauer perch� ella gli concesse di condur seco la sua Cristiana, fece peggiorar le cose, dicendo che suo figlio sarebbe diventato un uomo di grande fama: la madre non aveva mai udito che due geni potessero esistere nella stessa famiglia. Alla fine, durante una disputa più violenta del solito (anche per questioni patrimoniali), la madre giunse a buttare il figlio e rivale giù per le scale; ma questi rispose aspramente, dicendole che la posterità l'avrebbe ricordata solo perch� egli era suo figlio.

Subito dopo Schopenhauer lasciò Weimar e sebbene sua madre abbia vissuto ancora ventiquattro anni, egli non la rivide mai più. Anche Byron, ancora fanciullo nel 1788, pare abbia avuto la stessa sfortuna con la propria madre. Entrambi furono portati al pessimismo in gran parte da questa circostanza; un uomo che non ha conosciuto l'amore della madre, - e peggio, ne ha conosciuto l'odio, - non può vedere il mondo con occhio benigno.
Frattanto, Schopenhauer era passato attraverso il « gymnasium » e l'università ed aveva imparato assai più di quanto avesse letto sulle loro pergamene. Le delusioni che ebbe a sopportare in amore e nel mondo inasprirono il suo carattere e la sua filosofia (Cfr. Wallace, 9.). Divenne di umor tetro, cinico e sospettoso : era ossessionato da timori e da malate fantasie; teneva chiuse sotto chiave le sue pipe, non affidò mai il suo viso al rasoio di un barbiere, dormiva con pistole cariche al suo fianco, temendo qualche ladro notturno, inoltre non poteva sopportare i rumori, scrisse perfino un saggio: "il rumore è una tortura per tutti gli intellettuali.... Sono stato per lungo tempo dell'opinione che la somma di rumori che un individuo può sopportare indisturbato sta in proporzione inversa alla sua capacità mentale e può, perciò, essere considerata come una certa unità di misura... Il rumore mi ha causato un tormento quotidiano per tutta la vita" (Il Mondo.c.v.r...pa. 199: Saggi "Del rumore").


LA FILOSOFIA SI SCHOPENHAUER
SAGGEZZA DELLA VITA.

"Si consideri, prima di tutto, l'assurdità del desiderio dei beni materiali. Gli stolti credono che, se potessero ottenere anche soltanto la ricchezza, i loro desideri sarebbero del tutto appagati : un uomo di molti mezzi si suppone abbia il potere di soddisfare ogni desiderio. Molta gente è spesso rimproverata per la brama del denaro, ch'essa predilige sopra ogni altra cosa : tuttavia, questa brama è naturale ed inevitabile, poich� il denaro, come un instancabile Proteo, è sempre pronto a convertirsi nell'oggetto su cui si sono fissati per un istante i loro mutevoli e multiformi desideri. Qualunque altra cosa può soddisfare un «unico » desiderio; solo il denaro è buono in modo assoluto... perch� esso rappresenta, in astratto, la soddisfazione di ogni brama » ("Saggi", "La saggezza della vita", p.47)). Ciò nonostante, una vita consacrata all'acquisto della ricchezza sarebbe totalmente perduta, se non si conoscesse il modo di convertire la ricchezza in felicità; e questa è un'arte che richiede cultura e saggezza. Una successione di imprese nel dominio dei sensi non soddisfa mai a lungo; si deve comprendere il fine della vita e non solo l'arte di acquistare i beni. Gli uomini sono mille volte più intenti a di
ventar ricchi che ad acquistare una cultura; sebbene sia fuori di dubbio che un uomo in quanto " è " contribuisce assai più alla sua felicità che in quanto egli " ha " » (ib. p.11).

« Un uomo che non sente bisogni intellettuali è
chiamato "filisteo" (ib.p.41); egli non sa come impiegare il suo tempo - « dificilis in otio quies » (La pace nell'ozio è difficile), egli erra da luogo a luogo, ricercando avidamente nuove sensazioni; e infine, è raggiunto da quella Nemesi del ricco ozioso o dell'epicureo cinico, che si chiama « ennui » (ib.p.22).

Non la ricchezza si deve conquistare, dunque, ma la saggezza. « L'uomo impetuoso sforzo di volontà (e che ha il suo centro nel sistema generativo) ed è nel tempo stesso la creatura eterna, libera e serena della conoscenza pura (avente il suo centro nel cervello)» (ib p.262). Meraviglioso a dirsi, il sapere, bench� nato dalla volontà, è tuttavia capace di padroneggiarla. E la sua possibilità di indipendenza appare subito nel modo diverso con il quale esso risponde, in certi casi, ai dettami del desiderio. Qualche volta l'intelletto rifiuta di obbedire alla volontà per es.: quando tentiamo invano di fissare la nostra mente su qualche cosa, o quando invano si chiede alla memoria qualche cosa che le avevamo affidato. Allora, la collera della volontà contro l'intelletto rende molto chiara, in questi casi, la sua relazione con esso, e la differenza tra i due. D'altra parte, irritato a sua volta da quella collera, l'intelletto, spontaneamente ed inaspettatamente, risponde talvolta parecchie ore dopo o anche al mattino seguente a quanto gli era stato richiesto » (ib. p.439).
" Da subordinato ribelle, l' intelletto può farsi dominatore. « In conseguenza di antecedenti riflessioni, o di necessità riconosciute, può l'uomo accettare o compiere freddamente l'atto più estremo e più terribile per lui: suicidio, supplizio, duello, o imprese tali da porre in pericolo la sua vita, e contro le quali, generalmente, tutta la sua natura animale si ribella. In queste circostanze si rivela fino a qual punto la ragione ha soggiogata la natura animale » (il M.V.R., I p.112).

"Il potere dell'intelletto sulla volontà porta ad ulteriori sviluppi: il desiderio può essere moderato o vinto dal sapere : e soprattutto da una ,filosofia deterministica, che riconosce ogni cosa come l'inevitabile risultato di quella antecedente. Di dieci cose che suscitano in noi la noia, nove non potrebbero farlo se noi le studiassimo nelle loro cause e conoscessimo perciò la loro necessità e la loro vera natura... Poich�, ciò che la briglia e il morso sono per un cavallo riottoso, �, nell'uomo, l'intelletto per la volontà » (ib., II, p.426). « Ed è tale per necessità intrinseca ed estrinseca; nulla piu ci dona quiete quanto una cultura raffinata » (ib. I, p. 396). Più conosciamo le nostre passioni, e meno esse potranno dominarci; e « nulla potrà maggiormente proteggerci » (Consigli e massime, p 51). « Si vis tibi omnia subjicere, subjice te ratio » ("Se vuoi sottomettere il mondo a te stesso, comincia a sottometterti alla ragione" Seneca).

"La più grande di tutte le vittorie non � quella del conquistatore del Mondo, bensì quella del vincitore di se stesso. Così la filosofia raffina la volontà. Ma essa deve essere intesa come esperienza e pensiero; e non come semplice lettura o studio passivo. L'accettare costantemente il pensiero degli altri può ridurre e sopprimere il nostro; e alla fine paralizzare in noi la facoltà di pensare... È tendenza di molti studiosi una specie di fuga vacui (assorbimento nel vuoto) dalla « povertà della loro propria mente, la quale � attratta a forza dal pensiero degli altri... E' pericoloso leggere intorno ad un argomento, prima di averlo meditato noi stessi... Quando leggiamo, un'altra persona pensa per noi; cio� noi non facciamo altro che seguire il suo processo mentale. Avviene così che, se un individuo trascorre gran parte del suo tempo nella lettura, egli perde gradatamente la capacità di pensare... La coscienza del mondo può essere considerata come una specie di testo, di cui la riflessione e lo studio formano il commento. L'uomo dotato di profonda riflessione e di forza intellettiva, ma di poca cultura, fa pensare ad uno di quei libri che portano su ogni pagina due righe di testo e quaranta di commento» (ib, II, p. 254).

"Il primo consiglio è, dunque : la vita prima dei libri; e il secondo il testo prima del commento. Leggere gli autori piuttosto che gli espositori e i critici (vedi in fondo). Soltanto dagli autori possiamo ricavare pensieri filosofici; quindi, colui che si sente attratto alla filosofia deve ricercare i suoi immortali insegnamenti nel quieto santuario delle loro opere (ib.,XXVII). Un'opera di genio vale mille commenti. Entro questi limiti, la ricerca di una cultura, sia pure attraverso i libri, è ottima cosa, inquantoch� la nostra felicità dipende da ciò che abbiamo nella testa e non già da ciò che abbiamo nelIe tasche. La stessa gloria è follia: la testa degli altri è un luogo troppo meschino per albergare la nostra vera felicità» (Saggezza della vita, p. 117).

«Un individuo non è mai gran cosa nel concetto di un altro: ognuno, in fondo, deve star solo: ciò che importa e la personalità di colui che sta solo... La felicità che ci viene da noi stessi e più grande di quella che ci viene dai nostri simili... L'aspetto del mondo dipende soprattutto dal modo con cui un uomo lo guarda... Posto che tutte le cose che esistono o che si manifestano esistono solo nella coscienza dell'individuo e a lui solo si manifestano, ne segue che l'essenziale per l'individuo e la formazione della sua coscienza... Perciò Aristotele diceva con grande verità : Esser felici significa essere « orgogliosi » (ib., pp.27-9).

"La via per uscire dai mali di una volontà sconfinata � l'intelligente contemplazione della vita attraverso le opere dei grandi uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi : soltanto per l'osservazione di intelletti devoti quei sommi hanno vissuto. Una mente disinteressata s'innalza come un profumo al di sopra delle colpe e delle follie della volontà » (Ib. p. 34-108).

"La maggior parte degli uomini non sa mai innalzarsi al di sopra delle cose, poich� le considera dal punto di vista del desiderio : da ciò la loro miseria; solo considerandole dal punto di vista della conoscenza si raggiunge la libertà.
Quando una causa esterna o una disposizione interiore ci solleva improvvisamente fuori dal dominio della volontà, liberando l'intelletto dalla schiavitù di essa, la nostra attenzione non � più a lungo attratta dall'oggetto della volontà, bensì considera le cose indipendentemente dalle loro relazioni con questa, cio� senza interesse personale, ma da un punto di vista puramente obiettivo, e ad esse si consacra interamente, in quanto sono idee e non cause. Avviene allora che la pace, la quale, bench� lungamente agognata, sempre fuggiva da noi allorch� eravamo schiavi del desiderio, ora viene a noi spontaneamente, e con lei la felicità. E' questo lo stato privo di sofferenza, che Epicuro stimava come il bene sommo; simile allo stato degli dèi, e che ci rende per il momento liberi dal miserabile impero della volontà : � una tregua alla penosa servitù della volontà : la ruota di Issione per un istante si � arrestata » )in M.V.R. p. 254
(Issione, secondo la mitologia classica, avendo tentato di conquistare Giunone, fu condannato ad esser legato ad una ruota in perpetuo movimento)

Più che rimandare il lettore a opere su Schopenhauer, invitiamo a leggere Schopenhauer stesso (come del resto lui ci suggerisce). La sua opera principale (eccetto la I parte) non presentano difficoltà alla lettura ed è densa di pensiero: così tutti i "Saggi" sono preziosi e attraenti. Quanto alla biografia, la migliore ci risulta essere quella di Wallace.

Ottima, di Laterza, l'opera "Il mondo come volontà e rappresentazione", con 73 pagine di introduzione di Cesare Vasoli. Che è poi la ristampa integrale dell'edizione apparsa nel 1928 a cura di Paolo Savj-Lopez.

Chiudiamo con un pensiero di S. che riprende da Platone (De Rep. 7) che qui in fondo ci sta bene:

"Coloro che vanno fuori dalla caverna e hanno contemplato la vera luce solare e le cose davvero esistenti (nel nostro caso le idee), rientrando nella caverna con i loro occhi non più abituati all'oscurità, non sanno più distinguere le cose, si muovono goffamente, ed essi vengono perciò derisi dagli altri che dal buio della caverna non si sono mai allontanati"

Da un antica pubblicazioni proponiamo qui
pensieri e frammenti di Schopenhauer

"I DOLORI DEL MONDO"


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