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ARTHUR SCHOPENAHAUER (2)

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Pensieri e Frammenti


"I DOLORI DEL MONDO"

L'esistenza umana ha certo come suo ultimo scopo il dolore: ove così non fosse, dovremmo dire che le manca la ragione d'essere al mondo. Ed invero, come ammettere che l'infinito dolore scaturente dalla miseria, di cui è intessuta la trama d'ogni vita quaggiù, non sia se non una mera accidentalità, e non piuttosto che ne costituisca la finalità? Ogni singolo malanno, preso in sè, si presenta innegabilmente come fatto d'eccezione; ma in linea generale è regola la sventura.
Non altrimenti d'un ruscelletto che fluisce via dolcemente fino a quando qualche ostacolo non ne sommuova la placida onda, anche la vita, così nella natura umana come in quella dei bruti, trascorre quasi incosciente e disattenta, se nulla contrasta alla volontà. Allora soltanto si risveglia l'attenzione quando la volontà sia stata attraversata, e le due forze contrarie abbiano dato di cozzo. Tutto quello che si oppone alla nostra volontà, che l'ostacola o le vuole resistere, tutto quello, cioè, che ci riesce dispiacente o doloroso, noi lo avvertiamo all'istante e con perfetta chiarezza. Basta la lieve sofferenza causataci da una scarpa troppo stretta a farci dimenticare lo stato di florida salute in cui ci troviamo: così non ci conforta il generale prosperare dei nostri affari, mentre ogni pensiero concentriamo , su di una quisquilia per la quale rimaniamo in angustie. - Dunque, il benessere e la felicità sono al tutto negativi, e il dolore soltanto è positivo.

Nulla è per me più assurdo di quei sistemi metafisici, e sono i più, che intendono il male come alcun che di negativo; denso soltanto, anzi, è positivo, dal momento che si fa sentire ... Il benessere, la felicità, lo stato di soddisfazione sono per contro, negativi, poichè non fanno che annullare un desiderio e porre termine ad una pena.
Non basta : quasi sempre i piaceri ci riescono inferiori alle aspettative che ne avevamo, mentre le afflizioni l'oltrepassano e di molto.
Per avere una pronta soluzione del problema se il piacere si avvantaggi sul dolore, o se almeno l'uno o l'altro riescano a compensarsi, non c'è che da istituire un confronto fra l'impressione che prova l'animale che ne sta divorando un altro, e l'impressione di quello che vien divorato.

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In ogni disavventura, in ogni sofferenza, una grande consolazione, pronta al sollievo di tutti, è data dal considerare lo stato di quanti si trovano ad essere anche più infelici. Ma che può questa consolazione contro la somma dei dolori?
L'umanità può paragonarsi ad un gregge che pascola tranquillo nel prato, mentre il beccajo va scegliendo con lo sguardo in mezzo all'armento i capi da macellare; nei nostri giorni felici noi non sospettiamo nemmeno quale sciagura in quell'ora stessa ci stia apprestando il destino - malattia, persecuzione, disastro, mutilazione, cecità, pazzia e via dicendo.

In ogni cosa che vorremmo far nostra, troviamo resistenza e contrasto; tutto ha una propria volontà nemica che occorre soggiogare. Nella vita dei popoli la storia non registra che guerre e tumulti; gli anni di tranquillità sembrano quasi brevi soste, intermezzi, casi fortuiti. Al modo stesso la vita degli individui è una lotta incessante, e non solo contro mali astratti, come la miseria e la noia, ma di uomo contro uomo. In ogni occasione ci si trova di fronte a un nemico, e tutta la vita è una guerra senza quartiere, nella quale si procombe coll'armi ancor strette in pugno.
Al vivere, già per sè tribolato, s'accompagna anche il precipitare del tempo che ne sospinge senza lasciarci prender lena, incalzando ognuno alle spalle colla sferza dell'aguzzino. - Quelli soltanto cui il tedio abbia assalito si salvano dalla sua persecuzione.

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Eppure, come tolto alla pressione atmosferica il nostro corpo andrebbe in sfacelo, non diversamente ove il peso della miseria, della pena, delle illusioni, e degli inutili conati fosse portato via d'un tratto dalla vita dell'uomo, egli ne salirebbe in tanto eccesso di superbia da scoppiarne in frantumi, o per lo meno arriverebbe alla più stramba insensatezza, per toccare anche la pazzia furiosa. - E' sempre necessario ad ogni persona un certo carico di Pensieri, di affanni, di infelicità, come è indispensabile la zavorra al bastimento per mantenere l'equilibrio e far buona rotta.
Lavoro, fatica, pena e miseria: è ben questa la sorte che alla maggior parte dei viventi è riservata durante tutta l'esistenza. Eppure, se bastasse formulare un desiderio per vederlo esaudito, di che sarebbe fatta la vita, a che sarebbe impiegato il tempo? Mettete un po' l'umanità in un paese di cuccagna, dove tutto germinasse spontaneo, dove le allodole se ne volassero belle e arrostite in bocca a chi avesse appetito, dove ogni uomo trovasse al primo angolo di via la donna dei suoi pensieri, e la potesse avere subito disposta alla sua brama, ebbene: vedreste gli uomini morirvi di noia, o impiccarsi per la disperazione, mentre altri cercherebbero motivi di contesa, si scannerebbero, si assassinerebbero, insomma si procurerebbero ben più tristi amarezze di quante non ne prodighi loro madre natura attualmente. - Talchè ad una razza cosiffatta nessun'altra scena più appropriata, nessuna esistenza più degna.
Nei nostri primi anni di vita noi rimaniamo di fronte al destino che ci aspetta come i bimbi davanti a un sipario calato nell'impaziente e lieta attesa degli avvenimenti, che saranno rappresentati. Questo perchè nulla possiamo prima sapere! Per chi conosce già la trama della commedia, i bimbi sono martiri innocenti condannati non alla morte, ma alla vita, e che, meschini loro ! ignorano tuttavia la loro sentenza. Eppure ciò non toglie che tutti augurino a sè stessi una tarda età, vale a dire una condizione che si potrebbe esprimere in questo modo: « L'oggi è una mala giornata, ed ogni giorno che verrà sarà anche peggiore - fino a che non sarà venuto l'ultimo: il pessimo! »

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Quando ci si rappresenti alla mente, se pure in modo approssimativo, il cumulo di mali, di affanni e di sofferenze d'ogni genere, cui il sole dà luce nel suo corso diurno, si dovrà pur convenire nell'augurio che quest'astro non avesse per la terra maggior virtù di suscitar vite di quel che non n'abbia per la luna; meglio sarebbe infatti che, al pari di quel pianeta, anche la superficie terrestre si trovasse ancora allo stato di ghiaccio.
Anche può ritenersi la vita come un episodio che interrompe senza scopo la beata tranquillità del nulla. Comunque, perfino il fortunato cui l'esistenza riesca quasi sopportabile, col progredire degli anni si forma sempre più chiara la persuasione che la vita è per tutto un d'isappointment, nay, a cheat; in altre parole, ch'essa si presenta come, un'enorme mistificazione, se non peggio come una vera ciurmeria...
Uhi fra potuto vedere due o tre generazioni, si trova ridotto nella identica disposizione di spirito di quello spettatore che abbia preso posto in una baracca di saltimbanchi da fiera e che si fermi ad assistere per due o tre volte di fila alla stessa pantomima: l'effetto essendone calcolato per un'unica rappresentazione, ogni illusione s'è dileguata insieme alla novità.
C'è invero da smarrirsi a voler considerare lo sciupio di energie che si ha nell'universo; le innumerevoli stelle fisse, ad esempio, che scintillano nell'infinito dei cieli al solo scopo di illuminare dei mondi nei quali, quando noti vi è di peggio, a giudicarne almeno dal bel campione sul quale viviamo, si perpetua il fastidio.
Non v'ha nato di donna che meriti d'essere invidiato, e invece quanti sono veramente degni di compassione!
La vita è un compito che bisogna laboriosamente adempiere: sotto questo rispetto, il vocabolo de-functus è una bella parola.
Pensate per un momento che la funzione procreativa non risponda ad un bisogno, nè includa alcuna voluttà, e non sia nulla più di un atto di riflessione e di ragionamento: forse che l'umanità continuerebbe a vivere sulla faccia della terra? O piuttosto ogni vivente non sarebbe stato penetrato di tanta pietà per la generazione ventura da risparmiarle il peso dell'esistenza, o per lo meno non sarebbe rimasto dubitoso prima di addossarglielo a sangue freddo?
Ma è un inferno questo mondo, ed in esso gli uomini si differenziano in anime tormentate e in demoni tormentatori.
Mi si dirà che la mia è una filosofia sconsolata - e questo non per altro se non perchè io dico la verità, mentre le anime timorate amano sentir ripetere: che la tradizione del peccato originale mi riconcilia coll'Antico Testamento, poichè quella, per quanto presentata sotto il velo dell'allegoria, a me appare come la sola verità metafisica dei libri sacri. Ed infatti, la vita nostra sembra proprio l'effetto immediato di una grave colpa e di un peccaminoso desiderio....
Vi sarebbe caro aver sempre a vostra guida una bussola perfetta, per potervi orientare nella vita senza timore d'ingannevoli miraggi? Abituatevi a considerare la terra come un luogo di penitenza, come un reclusorio, a penal colony, come già l'avevano chiamata i più antichi filosofi (Clero. Alex. Strom. L. III. C. 3, p. 390) e alcuni fra i padri della Chiesa (Augustin. De civitate Dei L. XI. C. 23). In ogni tempo la filosofia, il Brahmanesimo come il Buddismo, Empedocle come Pitagora, si sono confermati nell'identico concetto; Cicerone (Fragmenta de philosophia, vol.. 1.2, p. 316, ed. Bip.) ricorda che gli antichi sapienti nell'iniziazione ai misteri insegnavano: nos ob aliqua scelera suscepta in vita superiore, poenarum luendarum causa natos esse. Vanini - quel Vanini il quale han trovato più comodo dannare al rogo che confutare - esprime la medesima idea in una forma assai recisa quando dice: Tot, tantisque homo repletur miseriis ut, si christianae religioni non repugnaret, licere auderem: si daemones dantur, ipsi in hominem corpora transmigrantes, sceleris poenas luunt. (De admirandis naturae arcanis, dial. L, p. 353). Che più? Anche nel Cristianesimo, a volerlo comprendere bene, la vita è considerata come la conseguenza di un fallo, di una caduta. Ove ci si renda famigliare questa persuasione, non vorremo aspettarci dalla vita se non quanto essa può dare; e invece di giudicare come accidenti imprevisti ed eccezionali le sue contrarietà, le sofferenze, i guai, gli affanni grandi o piccini, penseremo che così dev'essere, ben sapendo che quaggiù ognuno ha la sua croce da portare, ed ognuno la porta a modo suo. In mezzo ai tormenti del reclusorio, uno dei più atroci, è certo cagionato dalla società che vi si trova. Avviene lo stesso nella società degli uomini, e per me lo dica chi ne meriterebbe una migliore. Un'anima superiore, un genio, bene spesso si trovano commossi dal medesimo sentimento che proverebbe un nobile prigioniero di Stato nel ritrovarsi in carcere circondato da delinquenti volgari; e come lui cercano di isolarsi. Ma per la gran massa, una simile concezione del mondo induce l'abitudine di considerare come naturali, e per questo senza sentirsene contrariati, quelle che si chiamano le imperfezioni umane, cioè l'abietta conformazione dell'ingegno e dell'anima nell'universalità degli uomini, e che quasi sempre appare evidente nei tratti della loro stessa fisionomia....
La persuasione che il mondo, e l'uomo di necessità, sono tali da demeritare l'esistenza, ci fa l'un l'altro indulgenti; che vorreste aspettarvi di meglio da una razza di cotal genere? Io, per me, arrivo persino a pensare che noi non ci dovremmo chiamare nelle reciproche relazioni: Signore, Eccellenza, o similmente; ma piuttosto: compagno d'affanni, soci malorum, fratello in duolo, my fellow-sofferer. Può sembrare questa un'espressione stravagante, in realtà sarebbe la più adatta, poichè farebbe apparire qual'è veramente il prossimo nostro, richiamandoci alla necessità della tolleranza, della pazienza, dell'indulgenza, dell'amore versoi nostri simili, a cui nessuno potrebbe sottrarsi e di cui per conseguenza ciascuno da sua parte è debitore agli altri.

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Se fino a mezzo il suo cammino la vita è una insaziata aspirazione alla felicità, quando essa declina al tramonto invece è mai sempre oppressa da un
angoscioso senso di sgomento, poich� a quell'ora tutti, chi più chi meno, hanno dovuto persuadersi essere la felicità una vana chimera, mentre il dolore soltanto è vero. Per questo, gli uomini di criterio rivolgono i loro desideri ad evitar di soffrire piuttosto che a procacciarsi intensi godimenti, creandosi in certa guisa uno stato invulnerabile. - Nella mia fanciullezza non potevo sentir squillare il campanello di casa senza provarne una subita gioia, e dicevo fra me: « Bene, per bacco! C'è qualche novità! «Cogli anni, ammaestrato dalla esperienza del vivere, lo stesso rumore mi metteva quasi in apprensione, tanto che mi chiedevo: « Ahimè! Che ci sarà di nuovo? »

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Nell'età senile, passioni e desideri si spengono le une appresso degli altri, man mano che l'obietto di ciascun sentimento perde le sue attrattive; la sensibilità si attutisce, la facoltà di percezione si fa le più debole, le immagini si annebbiano, le impressioni non si stampano più nella coscienza e si dileguano senza lasciar traccia di sè, i giorni precipitano l'uno sull'altro, nulla più riesce interessante, tutto nella vita perde di colore. Sotto il peso degli anni, l'uomo non cammina che barcollando o si ricantuccia a riposare, divenuto ombra di sè stesso, quasi fantasma di quello che fu. Ecco la morte: che le resta da uccidere? Un giorno l'assopimento si muta in sonno, ed i suoi sogni.... ah! ecco il problema, su cui ha già delirato Amleto nel famoso monologo. Io dico che fin da ora sogniamo.

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Chiunque si sia ricreduto delle giovanili illusioni, se abbia fatto tesoro dell'esperienza propria ed altrui, se conosca la storia del passato e sia al corrente degli avvenimenti del giorno, se non abbia ottenebrata la mente da radicati pregiudizi, deve giungere a questa conclusione: che il mondo umano è in balìa del caso e dell'errore, dai quali, fuor d'ogni senso di pietà, è dominato e retto a capriccio, la follia e la malvagità aiutando coll'incessante roteare del loro scudiscio.
In tal modo, quel poco di bene che può nascere fra gli uomini può venire alla luce solo a prezzo d'infiniti contrasti; se c'è un'idea nobile e saggia a grande stento troverà il modo di farsi conoscere, di farsi comprendere, d'essere attuata; mentre che l'assurdo ed il falso nel campo delle idee, l'oscenità e la volgarità in quello dell'arte, la malizia e la furberia nella vita pratica, godono di un trionfo assoluto e continuo. Un pensiero elevato, un'opera superiore appaiono come eccezione, come un caso imprevisto, strano, inaudito, senza esempio, come un areolito, prodotto da tutt'altro ordine di cose di quello che ci governa. Se poi guardiamo alla sorte dei singoli, vediamo che la storia di ogni vita è sempre la storia di una sofferenza, giacchè, qualunque via si è scelta, non si avrà che una ininterrotta serie di rovesci e di sventure, da ciascuno gelosamente nascosti, come chi ben sa che, lungi dall'ispirare simpatia o compassione, ogni altro ne gioirebbe, tanto la gente, nei momenti in cui ne sia priva, si compiace in considerare i malanni d'altrui.
Onde è ben difficile trovare un uomo il quale, giunto al termine della sua vita, se voglia essere ad un tempo sincero e ponderato, si auguri di ricominciare da capo e non preferisca invece infinitamente precipitare nel nulla.

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Non vi è cosa stabile nella instabile vita: nè infinito dolore, nè eterno piacere, nè impressione che resista, nè entusiasmo che non si spenga, nè alta concezione che permanga come norma all'intera esistenza. Tutto si dissolve nel torrente degli anni. I minuti, atomi infiniti delle piccole cose, frammenti d'ogni nostra azione, sono le tignole che rodono ogni impresa nobile e audace.... Nulla si piglia sul serio nella vita; il fango non ne vale la pena. Noi dobbiamo ritenere la vita come una continua menzogna, nelle cose minime come in quelle importanti. Ha promesso? non manterrà, salvo che non voglia far vedere come poco desiderabile fosse ciò cui si agognava: o è la speranza che si fa gioco di noi, o è la cosa sperata. Ci ha donato -------------
alcun che? Fu soltanto per potercelo riprendere. La lontananza, come per arte di magia, ci fa intravedere dei paradisi; ma ecco che si dileguano come miraggi, non appena ci siamo lasciati prendere dalla malia.
La felicità è dunque sempre o nell'avvenire o nel passato; e il presente è simile ad una lieve nuvoletta che il vento trasporta al di sopra del piano solatìo: innanzi a lei, dietro a lei tutto rifulge nel sole; essa soltanto proietta sempre per dove passa un'ombra.

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L'uomo non vive che nel presente, e questo, mentre da una parte si perde irremissibilmente nel passato, dall'altro s'inabissa verso la morte; la vita di ieri, ove non influisse sul presente colle sue conseguenze che sono il risultato della volontà in azione, sarebbe del tutto morta, finita: dovrebbe dunque essergli indifferente che questo passato fosse fatto di gioia o di martirio. L'istante attuale sfugge ad ogni presa, e senza posa si tramuta in passato; l'avvenire, poi, è quanto mai incerto e senza durata.... E come meccanicamente il camminare non è altro se non una caduta sempre impedita, la vita non è che una morte sempre sospesa, una morte rimandata; e la nostra attività psichica è sempre unicamente una lotta contro la noia. Alla fine, però, la morte ottiene la sua ragione e trionfa; poichè noi le apparteniamo per il fatto stesso d'esser nati, ed essa non fa che trastullarsi colla preda prima di farne suo pasto. Eppure noi abbiamo durante tutta la vita tante cure, tante precauzioni per prolungarci l'esistenza fino all'estremo, così come facendo le bolle di sapone si cerca di gonfiarle quanto più e quanto più a lungo si possa, ad onta della certezza che finiranno collo scoppiare.

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La vita non ci vien già offerta come un dono, di cui non abbiamo che a rallegrarci; anzi, essa è un dovere, un compito che occorre adempiere a prezzo di molto lavoro; ne proviene uno stato di universale, miseria, una fatica senza posa, una concorrenza spietata, una lotta che non conosce tregua, una sempre
vigile attività, che richiede il massimo sforzo di ogni energia fisica ed intellettuale. Milioni di uomini, uniti in nazioni, concorrono a costituire il pubblico bene, ogni individuo essendovi spronato in vista del suo personale vantaggio; ma coloro che soccombono vittime del benessere sociale si contano a migliaia. Quando per folli pregiudizi, quando per tenebrose mene politiche, si suscitano guerre fra le genti, occorre che il sudore e il sangue del popolo scorrano a rivi per dar corpo alle fantasticherie di pochi o per pagare il fio delle loro colpe.
In tempo di pace, prosperano le industrie e i commerci, si fanno meravigliose invenzioni, i mari sono solcati da bastimenti che da ogni parte del globo portano cose pregiate, migliaia di uomini sfidano la morte sui flutti. Ogni cosa si agita, vi è chi pensa, vi è chi lavora, in una indescrivibile operosità tumultuosa.
Ma qual'è lo scopo ultimo di tanto affaccendarsi? Di mantenere in vita, durante un breve spazio di tempo, degli esseri effimeri e tormentati; di mantenerli in una vita che nella migliore ipotesi si riduce ad una sopportabile miseria e ad un'assenza relativa di dolore, minata sempre dalla noia; di provvedere, poi, alla riproduzione di tale razza, e di perpetuare nei secoli lo stesso detestabile ambiente.

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Per quanto ci si adoperi a sopprimere la sofferenza, non si potrà ottenere nulla di meglio che di farle mutare aspetto. Essa comincia a manifestarsi sotto forma di bisogno, di necessità, di angoscioso desiderio, di quanto è indispensabile alla vita materiale. Se, a costo di sforzi penosi, si riesca ad allontanare il dolore da questo lato, eccolo che si trasforma, ed assume mille diverse figure a seconda dell'età e delle circostanze: ora è l'istinto sessuale, ora è la passione amorosa, o la gelosia, l'invidia, l'odio, l'ambizione, la paura, l'avarizia, le malattie, e chi più ne ha più ne metta. Se poi non trova proprio altra via aperta, prenderà il greve e tetro mantello della noia e della sazietà, per debellare le quali occorrerà fucinar nuove armi. E quando pure si riesca, non senza lotta, a vincere, il dolore ritornerà alle sue metamorfosi antiche, e la musica riprenderà su egual tono.

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La necessità di assicurarsi l'esistenza è la gran molla che spinge ogni vivente all'azione, e che ne mantiene desta l'operosità. Ma dopo quello, non si sa più che fare. E allora l'uomo rivolge ogni suo sforzo ad alleggerire il peso della vita, a renderlo sempre meno opprimente, ad ammazzare il tempo, che è quanto dire a sfuggire alla noia. Ed eccolo, fuori della preoccupazione delle immediate esigenze fisiche o morali, liberate le spalle da ogni altro fardello, riuscir di peso
a sè stesso e reputare gran ventura ogni ora trascorsa, per quanto in fondo sia sempre un'ora sottratta a quell'esistenza, a prolungare la quale ci si affanna con tanto zelo. La noia non è già piccolo malanno: qual senso di disperazione riesce a dipingere sul viso!
Essa induce gli uomini, che pure così poco amore si portano, a ricercarsi con tanto desiderio: essa è la scaturigene prima dell'istinto di sociabilità.
Lo Stato, considerandola come una calamità pubblica, con saggia prudenza si adopera per tenerla lontana. Ed infatti è tale flagello che, non meno della fame suo estremo opposto, saprebbe trascinare gli uomini a qualunque eccesso: il popolo vuole panem et circenses.
Il crudele sistema penitenziario di Filadelfia, basato sulla segregazione e l'inoperosità, fa della noia tale supplizio che molti condannati preferiscono sottrarvisi col suicidio. Come la miseria è il perpetuo pungolo per le classi umili, la noia lo è per quelle elevate. Nella vita dei popoli civili, il dì festivo rappresenta la noia, gli altri giorni della settimana la miseria.

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La vita umana oscilla come un pendolo tra il dolore e la noia, che ne costituiscono in verità i due estremi elementi. Ed è strano come gli uomini si son trovati costretti a riconoscere questo fatto: poichè avendo immaginato l'inferno come il luogo di ogni dolore e tormento, di che potevan fare il paradiso? di noia, per l'appunto.

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Fra gli esseri della creazione, l'uomo è il più sprovveduto: non è che un assoluto volere, un desiderare insaziato, un complicato e continuo abbisognare. Ed ecco in che modo è lasciato vivere sulla terra, abbandonato alle sue poche risorse, incerto d'ogni cosa fuor che della sua miseria e della necessità che l'opprime.
Ed in mezzo a tanti impellenti bisogni, ogni giorno riapparenti, la smania di vivere occupa tutta la sua esistenza. Insieme è angustiato da un altro tormento: dall'istinto di perpetuare la specie. Per sopravvivere agli infiniti pericoli che da ogni parte e sempre lo minacciano, gli è d'uopo della massima prudenza, e di una sempre vigile attenzione. Egli segue il suo cammino con passo incerto, guardandosi attorno con sguardi paurosi, per timore d'ignoti pericoli e di ostilità senza numero. Andava così un tempo, attraverso le solitudini selvagge, così prosegue oggi fra tanto progresso di civiltà; nessuna sicurezza per lui:
Qualibus in tenebris vitae; quantisque periclis Degitur hoc aevi, quodcumque est! (Lucrezio, II, 15).
La vita è un mare seminato di scogli e di vortici, dai quali l'uomo si può salvare solo per virtù di circospezione somma, e a prezzo di molti affanni, sebbene non gli sia ignoto che, quando pure i suoi abili sforzi abbian saputo sfuggire al pericolo di quei passi, egli non potrà mai sottrarsi al terribile, completo, inevitabile, irrimediabile naufragio: la morte, che sembra precorrere la sua prora.
Verso tanto disastro tende questa faticosa navigazione, e riesce per lui ben più spaventevole di tutti gli scogli che ha potuto evitare.

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Noi avvertiamo il dolore, ma non l'assenza di dolore; l'inquietudine, ma non la mancanza d'inquietudine; il timore, ma non la sicurezza. Proviamo desiderio e brama come fame e sete; ma tutto finisce colla soddisfazione, così come più non esiste per la nostra sensibilità il boccone inghiottito. Salute, giovinezza e libertà, questi tre sommi beni della vita, non li riconosciamo per tali fino a che li possediamo: li apprezziamo perduti, giacchè essi pure sono beni negativi. Similmente non ci accorgiamo d'aver vissuti giorni felici se non allora che ad essi ne siano susseguiti altri di dolore.... Quanto più le soddisfazioni si accrescono, tanto più ci facciamo insensibili: il piacere abituale non è più piacere. All'opposto è questo un motivo per cui si affina la nostra sensibilità della sofferenza, in quanto ogni abitudine soppressa si tramuta in una causa di pena. Le ore volano più rapide per quanto più piacevoli; d'altrettanto appaiono eterne quelle piene di tristezza, perchè non il piacere è positivo, ma il dolore; ed è la presenza del dolore che noi avvertiamo. La nozione del tempo è la noia che ce la offre, la distrazione ce la toglie. Questo prova che la nostra esistenza è tanto più felice quanto meno si fa sentire, donde consegue che meglio varrebbe esserne liberati. Non è possibile pensare ad una gioia estrema se non come conseguenza di un'estrema sofferenza; perch� in nessuna cosa si può trovare un godimento sereno e continuato, e solo si riuscirà a trarne qualche distrazione o la soddisfazione di una piccola vanità. Di modo che i poeti si trovano costretti ad ingolfare i loro eroi in avventure travagliate ed emozionanti, per poterli poi tirar fuori a salvamento: epopea e dramma ci raffigurano infinite tribolazioni di uomini in lotta, e la trama di ogni romanzo, da sua parte, è intessuta degli spasimi è delle torture del misero cuore umano. Lo stesso Voltaire, il felice Voltaire, che pure sortì da natura tanti privilegi, non dissente da me quando scrive: « La felicità non è che un sogno, mentre il dolore è realtà » ed aggiunge: « Da ottant'anni oramai ne faccio esperienza; e non ho trovato di meglio che chinare il capo rassegnato, considerando che le mosche sono state fatte per essere mangiate dai ragni, e gli uomini per essere consumati dalle disavventure ».

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La vita di ogni uomo, considerata da lontano e dall'alto, nel suo complesso e nei suoi aspetti più notevoli, ci appare sempre come uno spettacolo tragico; ma se si scende ai particolari, assume il carattere di una commedia.
Il vivere quotidiano con le interminabili sue piccole angustie, la sempre pronta lusinga del momento, i desideri e le preoccupazioni della settimana, le contrarietà di ciascun'ora provocate dal caso che gode nel farsi beffe di noi, costituiscono altrettante scene della commedia umana.
Ma le aspirazioni ognora deluse, i tentativi riusciti vani, le speranze che l'avverso destino calpesta senza pietà, gli errori che funestano l'intera esistenza, aggiuntovi un cumulo di sofferenze, e la morte come epilogo: ecco la eterna tragedia. Si direbbe che il fato abbia voluto aggiungere lo scherno alla disperazione della vita, quando l'ha intessuta di tanti elementi tragici, mentre poi ci è negato di poter sostenere almeno la dignità di personaggi da tragedia. Per contro nella vita noi rappresentiamo inevitabilmente la miseranda parte del guitto.

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Non è credibile come stupida e vuota d'interesse si presenti la vita di quasi tutti gli uomini a guardarla negli altri; e come, a viverla, si dimostri insensibile e tetra. Essa è soltanto tortura, aspirazioni impotenti, barcollamento di sonnambulo attraverso le quattro età dell'esistenza fino al limite della morte; con una gran corte di pensieri banali. Gli uomini si possono paragonare ad orologi caricati che camminano senza coscienza dei loro moto; ad ogni vita che si schiuda è una carica che si rinnova acciò abbia a ripetere il suo vecchio e frusto ritornello di organetto eterno, frase per frase, battuta per battuta, con qualche lieve variazione appena avvertita.
Ogni essere, ogni viso, ogni vita umana è un nuovo sogno, un effimero sogno dell'infinito spirito della natura, dell'insaziata e perpetua smania di vita; è una fuggitiva imagine di più ch'essa disegna a capriccio sulla eterna pagina dello spazio e del tempo, lasciandole un lampo d'esistenza e tosto cancellandola per far posto ad altri capricci. Non per tanto, ed è questo uno degli aspetti della vita che più dà materia di pensare e di riflettere, è d'uopo che la volontà di vivere, violenta e impetuosa, paghi ognuna di queste evanescenti immagini, ognuna di queste vane fantasie, a prezzo di atroci ed infiniti dolori e di una amarissima morte, per tanto tempo temuta e sopraggiunta alla fine. Questa è la ragione per cui alla vista di un cadavere ci facciamo improvvisamente pensosi.

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Dove mai avrebbe potuto Dante trovare il modello e la materia al suo inferno se non nel nostro mondo reale'? Eppure, gli è proprio un inferno quello ch'egli ci ha scolpito. Al contrario, quando ha voluto descrivere le beatitudini celesti s'è trovato di fronte a difficoltà insormontabili, appunto perchè nel nostro inondo non c'è niente di consimile. Invece dei gaudi del Paradiso, egli è stato costretto a scodellarci un cumulo di belle cognizioni che avrebbe imparate lassù dai suoi antenati, dalla sua Beatrice, e dai suoi santi. Vedete bene che razza di mondaccio è questo !

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L'inferno del mondo è più tristo dell'inferno di Dante, almeno in questo che quaggiù ognuno è costretto ad essere demonio al proprio vicino: sopra di tutti vi ha un arcidiavolo, il conquistatore, che allinea centinaia di migliaia d'uomini gli uni di fronte agli altri e lor grida: « Il vostro destino è quello di soffrire, è quello di morire: suvvia ! fucilatevi ! cannoneggiatevi! » ed essi lo fanno!

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Se ogni uomo potesse considerare gli indicibili dolori e tormenti che affliggono di continuo la sua vita, se ne ritrarrebbe sgomentato. Se poi si conducesse il più convinto tra gli ottimisti attraverso gli ospedali, i lazzaretti, i teatri anatomici, dentro le prigioni, i luoghi di pena, i tuguri degli schiavi, sui campi di battaglia e nelle Corti d'Assise, se gli si aprissero tutti i bugigattoli, entro cui si rintana la miseria per sottrarsi ad impietose curiosità, se gli si lasciasse spingere lo sguardo dentro la muda dove Ugolino muore di fame - oh! allora per certo anche egli finirebbe a riconoscere che gioiello sia questo migliore dei mondi possibili.
Questo mondo, campo di carneficina, dove individui tormentati da mille ansietà non resistono in vita che divorandosi gli uni gli altri, dove ogni bestia di rapina diventa il vivo sepolcro di mille altri esseri, e non resiste in vita se non a costo di un lungo seguito di martiri, dove la sensibilità alle sofferenze aumenta coll'affinarsi della psiche, e tocca di conseguenza il più eccelso grado nell'uomo, questo è il mondo che gli ottimisti hanno voluto adattare al loro sistema, e gabellarcelo a priori come il migliore dei mondi possibili. L'assurdità è stridente.
Mi dicono: Ma guardate attorno a voi la sovrana bellezza dell' universo rifulgente nel sole; ammirate queste montagne, queste valli, questi torrenti, queste piante, questi animali, e che so io! Ma dunque il mondo è una lanterna magica? Indubbiamente è un bello spettacolo da vedere, ma prendervi parte è tutt'altro affare!
Dietro l'ottimista, ecco l'uomo delle cause finali; e questi mi fa l'apologia del sapiente ordinamento d'ogni cosa che impedisce agli astri di darsi di cozzo durante la loro corsa, che vieta alla terra di confondersi con il mare in una immensa poltiglia ed ha la cura di tenerli ben distinti, che provvede a che il mondo non rimanga tutto rappreso in un eterno ghiaccio, o non vada disgregato per il troppo calore, che grazie all'inclinazione dell'eclittica non consente una primavera eterna e dà modo ai frutti di poter maturare, e via dicendo....
Ma tutte queste cose non sono clic semplici conmditioncs sine quibus non. Perchè se un mondo deve esistere, se i suoi pianeti debbono durare, non foss'altro che il tempo necessario a che il raggio di una remota stella fissa possa giungere fino ad essi, e se essi non debbono sparire, come i figli di Lessing, immediatamente dopo la nascita, era ben necessario che le cose non fossero così mal fabbricate da minacciare una sùbita rovina delle armature fondamentali. Del resto, andiamo pure in fondo a quest'opera tanto lodata, consideriamo gli attori che recitano su questa scena così solidamente impiantata: vedremo apparire il dolore insieme alla sensibilità e farsi tanto maggiore quanto più l'intelligenza si svolge; vedremo desiderio e sofferenza andar di pari passo, complicarsi senza limite, fino a clic si giunge alla vita umana, la quale non offre che argomento di tragedia o di commedia. Siamo sinceri: dopo tutto questo si rimane poco disposti ad intonare l'Alleluia degli ottimisti.

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Se un dio ha creato il mondo, io non vorrei essere quel dio; la miseria del mondo mi strazierebbe il cuore.

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Quand'anche volessimo pensare ad un creatore diabolico, avremmo pur sempre il diritto di rinfacciargli, additandogli l'opera sua: « Come mai osasti interrompere la tranquillità sacra del nulla per far nascere un tale ammasso di sciagure e d'affanni? »

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Considerando la vita nel suo valore obiettivo, è lecito il dubbio ch'essa sia da preferirsi al nulla; anzi io sono del parere che se l'esperienza e la riflessione potessero dire la propria su l'argomento, deciderebbero senz'altro in favore del nulla. Se si provasse a bussare alle pietre sepolcrali per chiedere ai morti se amassero venir risuscitati, essi scuoterebbero la testa.
Anche Socrate manifesta l'identico pensiero nell'Apologia di Platome, e perfino l'amabile e gaio Voltaire è arrivato a dire: « Si ama la vita, ma il nulla ha pur esso il suo buono », e altrove: « Io non potrei dire quello che sia vita eterna, ma questa è una gran brutta canzonatura!".

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Volere è soprattutto soffrire, e poichè vivere è volere, la vita intera è per sè stessa dolore. E tanto più l'essere soffre quanto è più alto nella scala animale.... La vita umana, poi, è una lotta incessante per l'esistenza, combattuta colla certezza di rimanerne sopraffatto. O anche, è una continua caccia, nella quale, ora cacciatori, ora selvaggina, gli esseri accendono disputa accanita fin sull'estreme reliquie dei caduti; una storia naturale del dolore che si potrebbe così riassumere: desiderare insaziato, continuato patire, lottare senza riposo; poi la morte; e così sempre nei secoli dei secoli, fino a che questo nostro pianeta non si sfasci in frantumi.

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FRAMMENTI

“Chiunque noi siamo, e qualunque cosa possediamo il dolore ch’è essenza della vita non si lascia rimuovere”

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“L’infelicità è per il nostro animo il calore che lo mantiene tenero”

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“L’amore autentico è sempre compassione; e ogni amore che non sia compassione è egoismo”

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"L’uomo è l’unico animale che provoca sofferenza agli altri senza altro scopo che la sofferenza come tale”

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“Il giudizio universale è il mondo stesso”

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“La vita umana è un continuo oscillare fra il dolore e la noia”

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"Ogni giubilo eccessivo nasce sempre dall’illusione di aver trovato nella vita qualcosa che è impossibile trovarvi, e cioè la pacificazione definitiva del tormento”

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“Nella monogamia l’uomo ha troppo sul momento e troppo poco nel tempo; per al donna è il contrario”

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“Il perpetuarsi dell’esistenza dell’uomo non è che una prova della sua lussuria”

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“Ogni innamoramento, per quanto etereo voglia apparire, affonda sempre le sue radici nell’istinto sessuale. [...] Se la passione del Petrarca fosse stata appagata, il suo canto sarebbe ammutolito”

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“La malinconia attira, il tedio respinge”

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“La vera vita del pensiero dura soltanto fino al confine delle parole: oltre il pensiero muore”

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“Ciò che ha valore non viene stimato, e ciò che è stimato non ha alcun valore”

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“Dei mali della vita ci si consola con al morte, e della morte con i mali della vita. Una gradevole situazione”

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“Si può essere saggio solo alla condizione di vivere in un mondo di stolti”

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“...alla fine tutti quanti siamo e restiamo soli”

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“Io non ho scritto per gli imbecilli. Per questo il mio pubblico è ristretto”

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“È la cattiveria il collante che tiene insieme gli uomini. Chi non ne ha abbastanza si distacca”

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“Il filosofo non deve mai dimenticare che la sua è un’arte e non una scienza”

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“Gli uomini completamente privi di genio sono incapaci di sopportare la solitudine”

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“Se noi potessimo mai non essere, già adesso non saremmo”

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“Alla natura sta a cuore solo la nostra esistenza, non il nostro benessere”

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“Più si invecchia, meno quel che si vede, si fa e si vive lascia traccia nello spirito: non fa più alcuna impressione, siamo ormai insensibili”

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“Più ristretto è il nostro campo di azione, di visuale e di relazioni, e più siamo felici”

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"Veniamo adescati alla vita dall’illusorio istinto del piacere: e veniamo mantenuti in vita dall’altrettanto illusoria paura della morte”

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“Ogni sera siamo più poveri di un giorno”

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“Dal punto di vista della giovinezza la vita è infinita; dal punto di vista della vecchiaia è un brevissimo passato”

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“Si può dire quello che si vuole! Il momento più felice di chi è felice è quando si addormenta, come il momento più infelice di chi è infelice è quando si risveglia”

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“A parte poche eccezioni, al mondo tutti, uomini e animali, lavorano con tutte le forze, con ogni sforzo, dal mattino alla sera solo per continuare ad esistere: e non vale assolutamente la pena di continuare ad esistere; inoltre dopo un certo tempo tutti finiscono. È un affare che non copre le spese”

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“Per non diventare molto infelici il mezzo più sicuro è di non pretendere di essere molto felici”

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“Tutti gli uomini vogliono vivere, ma nessuno sa perch� vive”

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“L’amicizia, l’amore e l’affetto degli uomini li si ottiene solo dimostrando loro amicizia, amore e affetto. [...] Per sapere quanta felicità può ricevere una persona nella sua vita, basta sapere quanta ne può dare”

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“La solitudine rende oggettivi; la compagnia rende sempre soggettivi”

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“Il giustificato sprezzo degli uomini ci porta a rifugiarci nella solitudine. Ma il deserto di questa a lungo andare dà angoscia al cuore. Per sfuggire al suo peso, dunque, bisogna portarsela in società. Bisogna cioè imparare ad essere soli anche in compagnia, a non comunicare agli altri tutto ciò che si pensa, (a non) prendere alla lettera quello che dicono, al contrario, ad aspettarsi molto poco da loro, sia moralmente che intellettualmente”

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“La malvagità, si dice, la si sconta nell’altro mondo; ma la stupidità in questo”

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“Ciò che rende gli uomini socievoli è la loro incapacità di sopportare la solitudine e se stessi. [...] Tutti i pezzenti sono socievoli, da far pietà”

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“Il denaro è la felicità umana in abstracto; perciò chi non è più capace di goderla in concreto si attacca al denaro con tutto il suo cuore”

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“Dopo che ogni sofferenza fu bandita nell’Inferno, per il Paradiso non restò altro che la noia: ciò dimostra che la nostra vita non ha altre componenti che la sofferenza e la noia”

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“Se è stato un Dio a creare questo mondo, non vorrei essere lui: la sofferenza nel mondo mi spezzerebbe il cuore”

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“Chi ama la Verità odia gli dèi, al singolare come al plurale”

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“Il grande dolore che ci provoca la morte di un buon conoscente e amico deriva dalla consapevolezza che in ogni individuo c’è qualcosa che è solo suo, che va perduto per sempre”

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“Chiunque ami un altro essere quasi come se stesso, sia il figlio, la moglie o un amico, se questo essere gli sopravvive muore solo a metà: chi invece non ha amato altri che se stesso vuota il calice della morte fino in fondo”

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“Noi ci consoliamo delle sofferenze della vita pensando alla morte, e della morte pensando alle sofferenze della vita”

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