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CRONOLOGIA

DA 20 MILIARDI
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PERIODI STORICI
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PERSONAGGI
E PAESI

ANNO 730 d.C.

(Vedi QUI i singoli periodi in
"RIASSUNTI DELLA STORIA D'ITALIA")

*** L' ITALIA E COSTANTINOPOLI REAGISCONO ALL'ICONOCLASTIA

Leone III, l'imperatore di Costantinopoli non riesce a far osservare l'editto promulgato sull’iconoclastia neppure nella sua capitale, di conseguenza, ostinandosi a farlo rispettare ordina al suo esercito di intervenire con la forza per distruggere tutte le immagini sacre di culto a Costantinopoli e in altre città ribelli. Depone il patriarca Germano disubbidiente e nomina un altro prelato, che piuttosto zelante, inizia la demolizione di ogni immagine sacra esistenti nelle chiese e nei monasteri pubblici.
Viene distrutto in questo modo tutto il patrimonio artistico pittorico, scultoreo e mosaico delle piu famose chiese di Costantinopoli.

Nei riguardi di Roma, per boicottare l' Italia che non dava ascolto al suo editto, Leone III, dispone che Sicilia e Calabria rientrino sotto la giurisdizione del patriarca di Costantinopoli, invece di quella che fino allora era stata del Papa di Roma. E’ un atto che crea la prima spaccatura tra i due mondi: quello orientale e quello occidentale. Una spaccatura che fra poco diventerà abissale, quando la Sicilia sarà invase dagli Arabi chiamati da alcuni dissidenti che volevano sbarazzarsi una volta per sempre dell’autorità bizantina -estremamente vessatoria- sull’Isola.

I siciliani pur sempre sotto il dominio dei bizantini e quindi sotto gli esosi funzionari delle imposte, avevano pur sempre una grossa identità con l'Italia.
Da secoli, gli abitanti dell’isola erano stati gli avamposti di un impero, le guardie di Roma, le sentinelle di ogni sbarco; avevano respinto in mare fin dai tempi di Siracusa gli avventurieri greci quando l'isola ambiva alla sua indipendenza; aveva poi respinto i cartaginesi, fermati i vandali di Genserico; e aveva sempre conservato l’orgoglio di aver ributtato in mare anche gli stessi greci quando questi volevano estendere la loro supremazia in tutta l'Italia meridionale; ed avevano inoltre i siciliani già respinti i primi arabi a caccia di città da depredare, e questi sull’isola non erano più tornati.


Insomma si sentivano parte integrante della penisola, quasi la progenitrice non solo dell'Italia ma di tutta l'Europa, ponte culturale ellenico, dell'arte, della filosofia, dei primi regimi democratici con Gerone nel 466 avanti Cristo. La democrazia come stato indipendente nel 212 avanti Cristo, aveva fatto da ponte culturale oriente-occidente ai romani. Il suo centro culturale con lo sviluppo di due grandi scuole filosofiche, quella di Pitagora e quella di Parmenide, aveva dato nomi come Eschilo, Pindaro, Archimede, Zenone, Melisso, Senofane.
La Magna Grecia non era una invenzione, né qualcosa di astratto. C'erano le vestigia; i palazzi, i teatri, le sue basiliche che in bellezza avevano rivaleggiato con Atene negli ultimi secoli avanti Cristo, quando nel resto dell' Italia centrale si viveva ancora nelle grotte, e nel nord sulle palafitte o in misere capanne di fango.

Nella pianura Padana alla stessa data c'erano foreste con le fiere, mentre nel tavoliere delle Puglie e in Sicilia c'erano sterminati campi di dorato grano coltivato da genti venuta dall'Ubea, da Sparta, dalla Licia, da tutto il peloponneso.
Sibari cinque secoli prima di Cristo contava gia 100.000 abitanti, Siracusa 200.000, Crotone 150.000; Agrigento non conosceva solo la casa in muratura, cosa anche questa sconosciuta ancora in tutto il resto d'Italia, ma aveva le slanciate architettura dei palazzi, i colonnati nelle sue immense basiliche, le colture agricole come giardini, acquedotti, strade lastricate, porti; fabbriche di laterizi, di stoviglie, di tessuti, di metallurgia e un’altissima oreficeria.

Mentre Roma era ancora un villaggio di capanne, a Siracusa c'erano palazzi di quattro piani rivestiti di marmo, sculture, mosaici nei pavimenti, pitture parietali, teatri, scuole, piazze brulicanti di gente. Nel Veneto c'erano le capanne di fango, ad Agrigento o a Naxos (Catania), c’erano già gli stupefacenti templi e i teatri. Ed infine gli oggetti quotidiani che dimostravano il benessere di queste contrade.
Basterebbe visitare un museo archeologico del nord e poi entrare in uno del sud, per vedere il divario culturale che doveva essere allora abissale. Entrate nell'Archeologico di Monselice o Este dove ci sono le più vecchie testimonianze del passato dell’Italia settentrionale, guardate quegli oggetti archeologici e comparateli con quelli del Museo Archeologico di Taranto o di Siracusa. Là quattro tazze di argilla, deformi arcaiche, qui i vasi di Eufronio. Là una informe figurina di metallo fuso, grezzo, qui a Taranto quell'orecchino d' oro costituito di un disco con pendagli e una testina femminile che ne fa l'oggetto e il gioiello più bello che sia mai stato da vedere.

Dicevamo, conservavano ancora queste due province, questa culla che aveva svezzato tutta la penisola, un cordone ombelicale legato alla penisola, prima decisamente materno, poi paterno visto che aveva sfamato con la sua operosità e i suoi granai per oltre quattro secoli tutta Roma.
Si sentivano siculi, calabri e pugliesi, nonostante quel potere inesistente bizantino dove era più presente il rancore che inviavano a Bisanzio che non i benefici che ricevevano; erano ancora legati a quella romanità del passato, poi sostituita dalla romanità cristiana.
Anche se erano ormai quasi tre secoli che la separazione amministrativa aveva diviso queste province dall'Italia latina, la Sicilia aveva ribadito sempre la sua dissociazione da Costantinopoli, non assumendone nessuna cultura, né mutando le tradizioni.
Ed era un vanto quasi interiore, quella di rimanere legata a Roma. Non esisteva più un collante politico ma c'era in sostituzione il collante religioso; che era rappresentato dal vescovo di Roma. Mancava l'unione politica certo, in sostituzione però c'era un’unione spirituale, e si era mantenuta tale in questi ultimi tre secoli. Insomma il papa e Roma rappresentava pur sempre il futuro, forse era solo un sogno, ma il fatto che Roma seguitava ad esistere era pur sempre una garanzia; e la Sicilia poteva sperare, doveva solo aspettare gli eventi; è chiaro che da sola poteva far poco.

Vedersi però ora togliere anche questo ultimo legame, vedersi anche non in solo quello politico ma anche in quello religioso dipendenti da Costantinopoli, più che la distanza che li teneva lontani, più che il rancore e l'odio che nutrivano, fu la presa di coscienza che era caduta anche l'ultima speranza, che la perdita di identità era adesso solo una questione di pochi anni.


L'influenza bizantina anche nel religioso era la disfatta completa, lo scollamento definitivo; vedere poi che Roma non reagiva, la Sicilia si sentì profondamente tradita, abbandonata, dimenticata. Abbassò la testa, covò il rancore, e quando sbarcarono gli Arabi (in effetti li chiamarono loro) in breve liquidarono definitivamente Costantinopoli, accogliendo i nuovi venuti come salvatori, e per duecento anni lo furono veramente, e vi lasciarono in due secoli pure l’impronta.
Poi ci furono altre conquiste, poi altre ancora, sempre invasioni, e sempre con la scollatura da Roma, che non finì più. Anche perché nel decidere il loro destino i siciliani non furono mai interpellati, dovettero sempre e comunque subire il sovrano di turno. E un'isola non può far molto da sola, normalmente è Isolata! E mai fu isolata dal resto d’Europa come in questi anni dove tutti si stavano giocando la propria identità.

 

Le ragioni di questa abbandono, la non reazione di Roma, non era dovuta a una non chiara visione della situazione, ma c'era l'impossibilità di intervenire, non si era pronti, c'era non solo il pericolo dello scollamento di una o due province; se si faceva un passo falso, c'era in ballo la vera e propria estinzione di Roma, e forse della stessa chiesa.

L'incantesimo del potere temporale se fino a ieri era stato solo un sogno coltivato da qualche papa ambizioso con qualche progetto poi riposto nel cassetto, o perché morto, gli eventi successivi dimostrarono che si era giunti ad una necessità improrogabile; per la Chiesa fu vitale.

L' impero orientale all'inizio, da Costantino in poi, aveva trasformato i papi da supervisori a veri e propri governatori a tempo pieno, quindi non solo religioso, ma anche politico, e se i Papi alla fine ritennero che il politico poteva salvare il religioso, non indugiarono a impossessarsi del potere temporale, ed era necessario farlo. Soltanto più questa idea era quella vincente per far sopravvivere la latinità.

La legislazione imperiale aveva riconosciuto al papa e al suo clero ampie funzioni politiche: la nomina dei funzionari locali, la responsabilità dei lavori pubblici, la supervisione dell'amministrazione e della giustizia, la protezione dei poveri e dei deboli; che i papi queste funzioni le adempirono egregiamente e con fermezza ce lo dimostrano tutti i documenti dell'epoca.
Erano dei buoni amministratori, decisamente impegnati a svolgere con zelo queste funzioni con una organizzazione piuttosto capillare; anche perché avevano mutuato molto dal diritto romano. Erano così diventati anche dei buoni politici, e la successione in questi anni di alcuni papi, con sempre idee molto affini nelle strategie politiche, ci dimostra che il livello di conoscenza dei problemi di uno Stato, negli ecclesiastici era diventato notevole. Gli interventi dei papi in questi ultimi anni furono sempre tipicamente politici (In Italia, come in Francia, in Germania e in Inghilterra)

Tutti i papi avevano capito che se solo un longobardo avesse preso Roma, tutto il progetto concepito dal possente papa Gregorio Magno sarebbe crollato spazzando via perfino la base. E nessuno lo capì meglio come in questo periodo; i longobardi si erano sì tutti convertiti, ma non per questo dovevano arrivare a Roma, sarebbe stato il crollo definitivo della latinità in Italia.

Anche se ognuno di questi papi meditava di rompere con l'impero bizantino, sapevano che la fine di questo avrebbe provocato un mutamento di equilibri. Lo volevano debole ma pur sempre presente. I longobardi che ormai avevano gran parte della penisola da duecento anni, era ormai palese che avevano l'intenzione di annettersela tutta; e prima o poi sarebbe spuntato fuori un ambizioso condottiero per trasformarla tutta in un suo regno. Erano adesso tutti cattolici, avevano, ubbidienti abbandonato ogni eresia, avevano persino prestato aiuto allo stesso papa, professavano per lui anche il rispetto più profondo, e non c'era - vista la loro tolleranza dimostrata nella pianura padana - il pericolo che avrebbero, una volta insediatisi a Roma ostacolato o ristretto il potere spirituale del papa.


In fin dei conti, negli ultimi tempi, avevano dimostrato di gestire con una certa armonia una buona parte dell'Italia, senza traumi, più nessuna guerra aveva turbato l'economia delle regioni, avevano dimostrato anche una buona coesistenza pacifica con i vicini di confine. Insomma se da una parte tutto questo era positivo, dall'altro proprio per questo c’era il pericolo che sarebbe stato minato il precario equilibrio.
Bastava che salisse sul trono un re un po’ troppo ambizioso e il disastro era compiuto. La casistica storica è piena di folli e megalomani, e chi meglio di un papa conosce le ambizioni degli uomini e la Storia?

E se un longobardo avesse conquistato Roma, c'era da temere che ne avrebbe fatto la propria capitale; e benché credente e deferente, non lo sarebbe stato sempre. I papi avevano queste esperienze dalla Storia. Il passo da deferente a quello di dittatore era sempre stato breve. Era quindi meglio in ogni caso avere questo deferente lontano fin che era possibile. Meglio a Costantinopoli, in Francia o in Germania.
Fra i due mali si poteva scegliere anche il peggiore, purché distante. La lontananza di un sovrano e la non ingerenza nell’amministrazione dell’Italia, permetteva di formare quel mosaico che la Chiesa aveva iniziato dai tempi di Gregorio Magno. E come abbiamo visto e vedremo, ogni papa aggiunse un piccolo pezzo a questo grande progetto del potere temporale del Papa. Alle volte con metodi evangelici, altre con iniziative impavide, altre volte cercando aiuti varcando perfino le montagne.
Il tempo era favorevole, anche perché sul cielo di Costantinopoli stavano addensandosi nuvole che promettevano tempesta. Una tempesta – quella araba- che poteva trasformare la ben protetta fortezza bizantina in un'isola solitaria dentro un mare tutto islamico.

 

CONTINUA ANNO 731 > >