L'industria  e l' Agricoltura italiana 
nel 1876

L'industria  dopo l'unit�



L'industria in Italia, dopo l'unit�,  era arretrata e sfavorita. Il nuovo regno aveva una manodopera numerosa, ma era assai povero di minerali metallici e praticamente sprovvisto di combustibile fossile. Il mercato interno si presentava ristretto e poco stimolante essendo la societ� italiana fondamentalmente agricola e per di pi� con una agricoltura arretrata. Poich� la ricchezza veniva tradizionalmente dirottata verso l’acquisto delle terre, mancavano capitali disponibili per lo sviluppo industriale; fu pertanto inevitabile la dipendenza dagli investimenti stranieri e dalle importazioni.

L’arretratezza � confermata dalla graduatoria dei settori industriali che si sono sviluppati nei decenni preunitari nei vari stati. L’industria tessile � al primo posto sia per il numero di salariati che per il valore prodotto: eredit� di un’antica tradizione, che risale alle citt� del Medioevo, essa ruota, in gran parte, attorno all’intermediazione del mercante-imprenditore, ed � esercitata come attivit� complementare a domicilio, dai contadini. All’interno di questo settore in testa � la lavorazione della seta, specialit� dell’alta Italia, organizzata in una miriade di piccole unit� produttive, di piccole aziende.

La lavorazione del cotone e della lana � il solo settore dell’industria tessile che si caratterizza per una evoluzione verso la modernizzazione e la concentrazione. La siderurgia � estremamente debole. A parte qualche complesso in Liguria e in Toscana, essa � frantumata in una moltitudine di fucine sparse che vanno a legna: la ghisa italiana ha un prezzo elevato e solo un ventesimo della modesta produzione viene trasformata in acciaio. Questo metallo comparir� solo nel 1881 nelle statistiche economiche ufficiali del regno con la scarsa quantit� di 3630 tonnellate di produzione annua. La stessa sostanziale situazione esiste nel settore dell’industria meccanica.

Nel 1876 la struttura produttiva � fragile, largamente dominata dal settore tessile, in particolare dal comparto della seta, il pi� legato al modo rurale. Su una popolazione di 28 milioni il numero dei lavoratori industriali ammonta a 382.131, appena l'1,36% (gli operai maschi adulti sono 103.562, le donne 188.486 e i bambini 90.083). La produzione della seta occupa da sola 200.393 addetti, di cui solo 15.692 maschi adulti. L'industria tessile impiega manodopera in gran parte femminile e minorile di scarsa qualificazione, ricorre abbondantemente al lavoro a domicilio, fa ancora scarso impiego di macchine, dipende da fonti di energia idrauliche e perci� disloca gli stabilimenti allo sbocco delle valli, in prossimit� di corsi d'acqua. La nascita di alcuni grandi impianti di produzione metallurgica, cantieristica, meccanica e chimica non muta il quadro di fondo.

Le imprese sono in generale propriet� di persone e famiglie pi� che di societ� anonime. Buona parte della produzione manifatturiera � ancora assicurata da piccole aziende artigiane, preponderanti nei settori tradizionali del vestiario, del legno, delle calzature e dei prodotti alimentari. Dalla forte stagionalit� del lavoro derivano, inoltre, la precariet� e la saltuariet� dell'occupazione industriale. La manodopera mantiene molteplici legami con l'occupazione agricola, anch'essa stagionale.

Tra il 1870 e il 1874 emerge con forza l'inclinazione protezionistica dei pi� influenti ambienti industriali. Gli imprenditori espongono le loro condizioni ritenendo, non a torto in verit�, di essere svantaggiati nei confronti delle industrie straniere meglio attrezzate: in particolare, essi sostenevano, sui prodotti industriali nazionali gravavano il maggior costo dei combustibili che non possono essere adeguatamente sostituiti dalla forza idraulica, il maggior costo del denaro e la spesa pi� elevata per il macchinario, calcolato maggiore di un terzo rispetto alla Gran Bretagna, anche a causa della debolezza dell'industria meccanica italiana. La richiesta di dazi doganali a difesa della produzione nazionale si fa tanto pi� viva di fronte ai vincoli protezionistici introdotti proprio nel 1874, all'aprirsi della crisi internazionale, da Stati Uniti e Germania. Inoltre, grazie allo sviluppo della rete ferroviaria italiana (passata da 2500 km nel 1861 a 8422 km nel 1877), si erano ormai realizzate le premesse fondamentali per la creazione di un mercato nazionale che gli industriali volevano tutelato dalla concorrenza straniera.

Con la prima tariffa protezionistica del 1878, seguita alla "rivoluzione parlamentare" che porta la sinistra alla guida del governo, si introducono dazi specifici della pi� elevata protezione, con tariffe che vanno dal 6% al 15%, con punte fino al 30% sul valore delle merci. In conseguenza di questi provvedimenti si riduce il deficit della bilancia e si ha una certa espansione delle industrie tessili, metallurgiche e chimiche.

L'agricoltura dopo l'unit�

Analogamente all'industria, l'incremento produttivo dell'agricoltura, ottenuto pi� con l'impiego di manodopera abbondante e a buon mercato che con l'introduzione di nuove tecniche e macchinari, non � consistente e neppure esaltante. Tuttavia, il settore agricolo risente meno degli altri della caduta internazionale dei prezzi, e grazie all'estensione della rete ferroviaria, pu� potenziare la commercializzazione dei prodotti e incrementare l'esportazione di quelli pregiati.

Il quadro generale � di arretratezza, anche se alcune isole di sviluppo in Val Padana si consolidano in seguito alle grandi opere di bonifica iniziate nel 1872 in Emilia Romagna: si estendono le aziende capitalistiche, cresce la produttivit� dei braccianti, che trovano occasioni di lavoro nelle bonifiche stesse. Al polo opposto si situa il latifondo meridionale che mantiene rapporti semifeudali tra proprietari e contadini: anche dove compaiono grandi affittuari di carattere capitalistico la terra continua a essere generalmente coltivata con tecniche rudimentali e a coltura cerealicola estensiva da contadini poverissimi, che lavorano a loro rischio versando una rendita e non diventando salariati.

Pur tra mille difficolt�, anche in alcune zone meridionali, campane e pugliesi, si sviluppa un settore di colture specializzate ( ortaggi, frutta, e in particolare agrumi e vigneti ) che mostra buone potenzialit� di esportazione; purtroppo dovette incontrare gravi difficolt� a causa delle guerre commerciali conseguenti alla politica protezionistica. Stazionaria resta la situazione agricola nell'Italia centrale, dove in vaste zone prevale il tradizionale rapporto di mezzadria, in base al quale il raccolto viene suddiviso secondo proporzioni prestabilite tra proprietario e mezzadro, che ha spesso l'obbligo di prestazioni di vario genere. Qui la maggior presenza di colture miste, comunque, concede ai contadini migliori condizioni alimentari. In tutte le regioni � infine diffusa la piccola propriet�, che produce in gran parte per l'autoconsumo e resta ai margini dei circuiti monetari e commerciali. Una gran parte di contadini vive cos� in un accentuato isolamento, che in alcune zone � persino aggravato dall'unificazione per il venir meno delle funzioni amministrative e politico-culturali in precedenza svolte dai centri urbani minori. E' il ceto contadino, quello al quale lo Stato si presentava esclusivamente sotto la veste dell'esattore e del carabiniere.

vedi - ECONOMIA - LINEE GENERALI  1871

Scheda degli ALLIEVI ISTITUTO 
    "JACOPO RICCATI" - di TREVISO


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