SCUOLA e ISTRUZIONE
anni 1859 e seg.

Lavoro minorile, povertà delle famiglie lavoratrici e scolarizzazione sono stati storicamente fenomeni in stridente contrasto: infatti più si diffondeva la politica di far lavorare i fanciulli, più rapidamente cresceva il numero di coloro che non potevano frequentare la scuola. Inoltre se si esclude il Lombardo-Veneto austriaco, in tutti gli stati italiani per tutta la prima metà dell'Ottocento vi era un profondo disinteresse, quasi un'avversione per l'istruzione, in quanto la si riteneva inutile se non dannosa per la stabilità sociale. Ciò senza dubbio sta alla base del fatto che in tutta la penisola fino a tempi recenti i livelli di analfabetismo raggiungessero punte elevatissime (dal 50% al 90%).

Lombardo-Veneto. Solo l'amministrazione austriaca si fece carico dell'istruzione pubblica nei propri territori, rendendo obbligatoria in ogni parrocchia la presenza di una scuola minore (le prime due classi delle elementari). La frequenza era inoltre gratuita ed obbligatoria per i ragazzi di entrambi i sessi dai 6 ai 12 anni. Questo sforzo diede i suoi risultati: se nel 1832 le scuole minori erano 2600, nel giro dei vent'anni successivi raggiunsero il numero di 4023 con una frequenza che nello stesso periodo di tempo si raddoppiò, passando da 107.000 a 216.000 alunni.

Il Mezzogiorno. Basta confrontare queste poche cifre con quelle relative all'istruzione nel Mezzogiorno per rendersi conto della distanza che separava il Nord dal Sud: nel 1859 nel Regno delle Due Sicilie vi erano solo 66000 scolari, mentre solo un terzo dei comuni era provvisto di una scuola primaria.

Nel Salernitano, su una popolazione complessiva di 450.000 abitanti solo 5000 ragazzi frequentavano, irregolarmente, la scuola. (Per afferrare la gravità del dato si deve considerare che se qui il rapporto tra alunni e popolazione era di 1 a 90, nel Veneto diventava di 1 a 24 e in Lombardia addirittura di uno a 14).

Anche dove la situazione era migliore, i problemi non mancavano; infatti, le famiglie, spinte dal bisogno, tendevano a sottovalutare l'importanza dell'istruzione per i propri figli. Soprattutto nelle campagne, quando maggiormente fervevano i lavori (semina, mietitura, ecc.), tutta la famiglia si trovava impegnata nel lavoro, compresi i bambini che erano costretti ad abbandonare la scuola. Inoltre nelle zone dove più rade erano le abitazioni rurali e più scarsi i centri abitati, la frequenza era resa difficoltosa dalla distanza e dall'assenza totale dei mezzi di trasporto.

Organizzazione della scuola. Per lungo tempo l'istruzione fu riservata ai figli dell'aristocrazia e dell'alta borghesia, ed effettuata nei collegi o da precettori privati. Solo alla fine del Settecento e nel corso dell'Ottocento, sotto la spinta dell'opinione pubblica democratica, l'istruzione dei cittadini divenne un compito dello Stato. Anche in Italia nacquero le prime scuole pubbliche elementari.

Nelle scuole ottocentesche i regolamenti raccomandavano una grande severità. Spesso i maestri ricorrevano a maniere forti come l'uso della verga, almeno nei primi anni del secolo. Neppure la situazione dei maestri era felice, costretti come erano ad insegnare a classi numerosissime, con più di cento allievi, tutti con livelli di preparazione diversa. Inoltre la loro retribuzione era così modesta da costringerli ad occupare il poco tempo libero in altri umili lavori come il sagrestano, il campanaro, ecc. Non restava certo molto tempo alla preparazione delle lezioni.

Spesso per la carenza di maestri si ricorreva all'aiuto degli studenti più bravi (detti monitori) che con l'ausilio di tabelloni murali insegnavano a loro volta ai coetanei quel che avevano appreso.

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