ITALIA - ITALY


Non è la moda francese dell'800, ma la moda dell'anno 800 a.C. (Museo di Taranto)

 15 - BASILICATA 

Kmq 9.994,38 - Abitanti 604.000 - Capoluogo POTENZA (66.000) - Città: MATERA (56.000)
La storia antica di questa regione si confonde un po' con quella della Puglia e della Calabria. Anche nella Basilicata i primi insediamenti sono contemporanei a quelli delle Puglia con una popolazione detta Bruzzii, ma anche da un'altra che però si è forse più distinta: furono i greci a indicare la regione Lucania dal nome degli abitanti che l'abitavano, nome che rimase  fino all'XI secolo. Poi scomparve, tornò a chiamarsi così  fino al  1932, poi fu denominata Basilicata. Come nella vicina Puglia anche in questa regione la presenza greca nel VII secolo a.C. si fece sentire forte, spesso anche nel modo più burrascoso, perchè la Lucania  molto contesa provocò una lunga serie di guerre, e tra una e l'altra  ci furono  periodi di instabili equilibri per i vari mutamenti politici che ne seguirono. Sulle sue coste furono fondate delle importanti città della Magna Grecia; Pesto, Melfi, Metaponto, Sibari, Eraclea. Elea. 

Le dispute e le lotte non  terminarono nemmeno durante il periodo romano, quando la conquistarono nel 282 a. C., Pesto nel 284 la vollero ad ogni costo per una ragione molto sentimentale, coltivava le rose più belle che romano avesse mai visto. Poi nella partizione avvenuta nel  25 a.C. la regione riuscì a salvare  una certa autonomia pur entrando a far parte della terza regione dopo l'ordinamento voluto da Augusto. Dopo la caduta dell'impero romano, la dominazione bizantina fu quasi ininfluente, solo in qualche punto della costa, ma col il nome con la quale i bizantini designavano l'amministratore basilikos, il toponimo rimase fino al 1932, poi dal fascismo si ritornò ad usare Lucania, ma nel 1945 fu ripristinato l'antico nome. 
Le ostilità sull'intera regione invece dopo il periodo bizantino, ripresero tra i locali, i greci accampati da secoli sulle coste, con i  Goti di Odoacre prima e con i Longobardi  poi. Finchè fu unificata da questi ultimi al Ducato di Benevento. Si affermò prima la loro supremazia e poi tramiti accordi, compromessi, ambigue alleanze, l'autorità della Chiesa, consolidata poi con la dominazione franca, puramente virtuale di Carlo Magno, sempre in vena di regalare territori al papa.
Seguì poi nel XI secolo, il dominio dei Normanni, e anche la Basilicata finalmente conobbe il suo breve periodo di splendore. Melfi divenne la capitale normanna, e perfino sede dei concili ecumenici del 1059  e del 1089. Quando avvenne il trasferimento della sede regale a Salerno la regione iniziò la sua decadenza. Che peggiorò quando la regione seguì la medesima sorte delle regioni vicine, con la dominazione Angioina, Spagnola, Borbonica del Regno delle Due Sicilie. Poi quella dell'Unità d'Italia e infine con la nuova Repubblica Italiana, che riesumò il vecchio nome, e si limitò a fare solo questo; lasciando costantemente all'ultimo posto della classifica la Basilicata. 
Un vero peccato, perchè la Basilicata non ha solo montagne con alcune zone stupende come la zona del Volture con i suoi laghi craterici, ma si affaccia anche su due mari, lo Ionio e il Tirreno, ed ha alcune perle della nostra Italia,  come Metaponto, Maratea,  e uno dei più stupendi golfi: quello di Policastro che  più che una perla è un grosso  smeraldo incastonato nella Basilicata.

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 16 - CALABRIA 

Kmq 15.080,32 - Abitanti 2.043.000 - Capoluogo CATANZARO (97.000) - Città: REGGIO CALABRIA (178.000) - COSENZA (77.000) - CROTONE (59.600) - VIBO (34.800)
"I primi abitatori di questa regione sono di antichissima data molto vicina a quella delle Puglie. Nel 9000 a.C. tracce di insediamenti, e verso il 3000. a.C. già si sviluppa una tipo di società, in tre zone e in tre gruppi distinti: gli Italici di cui abbiamo già accennato, gli Enotri, i Coni e in seguito i Bruzi. Con le correnti migratorie greche o anatoliche, ben presto queste popolazioni, in particolare quelle che abitavano sulle coste, persero la loro cultura originaria per inserirsi nel più ampio contesto di quella civiltà che va sotto il nome di Magna Grecia che inizia nell'800-700 a.C. A questa data risalgono la fondazione delle prime città, quali Sibari, Crotone, Reggio Calabria, Locri e altre minori come Lao, Scido, Caulonia, Vibo Valentia, Cirò, Squillace, Taureana. Un fiorire di civiltà e di benessere economico, con una particolare organizzazione sociale e politica e una legislazione che già nel 700 a.C. proprio a LOCRI , risulta scritta, ed è forse la più antica d'Europa. Questo sviluppo si arrestò verso il 400 a.C., quando da sud i Siracusani dalla Sicilia iniziarono una politica espansionistica, e dal nord dell'attuale Calabria i Bruzi iniziarono a contrastare efficacemente l'espandersi delle città costiere. Furono questi a stabilire il loro centro a Cosenza (il cui nome, si pensa, derivi o dal latino "Consentio", cioè alleanza delle tribù Bruzie per contrastare il nemico comune o dal greco "oikos xenos", cioè luogo abitato da stranieri). Con gli uomini delle armate di Pirro e di Annibale (216 a.C.) la regione fu stravolta demograficamente ed etnicamente. Un'altra assimilazione avvenne quando intervennero le dominazioni Romane. Le città esistenti furono trasformate in colonie di Roma e persero la loro autonomia locale; alcune rimasero nella storia con il loro antico nome ma altre scomparvero dalla memoria e dalle carte. Dopo la caduta di Roma, La Calabria come le altre regione subì le invasioni dei Visigoti di Alarico, nel 535-553 le guerre tra Goti e Bizantini ed infine quelle dei Saraceni, fino all'apparire dei Longobardi che divisero (a. 591 - 847) il territorio in due con una parte annessa al ducato di Benevento, l'altra creando il principato di Salerno. ...... "

Salvo un brevissimo ritorno dei Bizantini, sopraggiunse poi, come nelle Puglie, il periodo Normanno-Svevi (1050-1266)  riportando nella martoriata Calabria, pace, benessere, cultura. Ma la sua sorte -come nelle altre regioni dell'intero Sud- viene segnata con la scomparsa  di Federico II.  Cosicchè anche questa regione conosce una umiliante dominazione  Angioina,  Aragonese, Spagnola.   Nel 1734 furono i Borboni a prendere le redini del Paese, ma non sanarono i problemi che si erano venuti a creare; la sede del Re era Napoli e la Calabria  già prostrata economicamente e socialmente, anche dai Borboni fu quasi dimenticata. La breve dominazione napoleonica, come del resto in ogni parte d'Italia, aveva seminato aneliti di rinnovamento, e dopo la Restaurazione sia in Campania sia nella Calabria, a Salerno scoppiarono i primi moti liberali, repressi duramente nel sangue (Pepe e C. a. 1820). Superata questa fase critica, l'esito del Risorgimento non procurò alla regione con l'Unità d'Italia  sostanziali cambiamenti. L'annessione non riuscì a sanare le condizioni economiche e sociali; anzi si aggravarono con le frequenti rivolte e le insurrezioni della popolazione o dei singoli gruppi, ma per non "vedere"  furono etichettate subito come "brigantaggio" e nel sangue represse, anche se qualcuno si chiedeva che se per tenere a bada una popolazione bisognava ricorrere a centinaia di migliaia di soldati, indubbiamente c'era qualcosa che non andava nella politica adottata dai sabaudi.
Ad aggravare la situazione già disperata, ci si mise anche il Terremoto del 1905 e 1908. Reggio fu quasi completamente distrutta. Con la gemella dello Stretto che gli sta di fronte, Messina, perirono 150.000 persone. Superata anche la crisi delle due guerre mondiali, fu ancora una volta penalizzata dalla politica economica dei piani di sviluppo che incentivava solo le grandi imprese del Nord Italia causando,  prima la fame, e con rivolte  l' occupazioni di terre;  poi con le massicce migrazioni al nord  lo stesso patrimonio agricolo sia effettivo che potenziale (quest'ultimo del tutto ignorato) subì un ulteriore immiserimento;  di risorse economiche  -necessarie a migliorare con la meccanizzazione le colture e le infrastrutture- e di  risorse umane - necessarie al trapasso di una società agricola in una società moderna.
Solo negli ultimi anni, ormai in crisi la civiltà industriale nel Nord, non più concentrata ma decentralizzata, il flusso di calabresi che aveva abbandonato la propria terra si è arrestato, e le nuove generazioni (per le ripercussione demografiche avvenute a causa delle emigrazione dagli anni '50 ai '70', ora  più giovani del resto d'Italia) lentamente si avviano a trasformare il territorio e a renderlo progredito e a breve termine anche competitivo sui mercati nazionali e internazionali. Inoltre le bellissime e numerosissime MARINE  sulla costa iniziano ad essere scoperte -con molto ritardo- dagli amanti della natura.

AMANTEA (Cosenza)( c. 12.000 abitanti). E' una di queste incomparabili bellezze. Ed è anche una interessante cittadina storica plurimillenaria. Luogo d'incanto posto  a 50 m. presso la costa tirrenica. E' di antica origine. La presenza di insediamenti umani nel territorio di Amantea è attestata già in età preistorica e protostorica (ritrovamenti di ceramica di Stentitello, ossidiana lavorata proveniente dalle isole Eolie, architettura rupestre funeraria, rinvenimenti di latri materiali). La recente scoperta di un santuario del sec. IV a.C. in località Imbelli e di un ricco deposito votivo che ha restituito molti interessanti reperti, testimonia dello stanziamento di coloni greci nella zona di Campora S. Giovanni in età arcaica. Nel territorio di Amantea sono state recuperate anche ceramiche campane del IV sec. a.C.  Popolazioni brettie si sono stanziate del pianoro di sommità del colle roccioso che sovrasta Amantea e nelle immediate adiacenze di esso, dando origine al piccolo abitato di Clampetia, sottomesso dai Romani nel 204 a.C., con deduzione di una colonia (ager clampetinus). Il nome di Amantea compare nel secolo VII d.C., come si deduce dalle tavole dellAnonimo Ravennate. Probabilmente, a partire da questa epoca nasce l'insediamento rupestre bizantino.
Nell'839 gli Arabi occupano la città tirrenica e ne fanno sede di un Emirato
Nell'885 l'esercito bizantino guidato da Nico Niceforo scaccia gli occupanti. Poco dopo la liberazione viene elevata a sede vescovile di rito greco figurando tra le diocesi suffraganee di Reggio Calabria.
Il 1094 per volontà del duca normanno Ruggero viene soppressa la sede vescovile di Amantea che è aggregata con il titolo di diocesi inferiore a quella di Tropea.
Nel 1229 gli abitanti di Amantea si ribellano ai nuovi invasori angioini nel nome di Corradino di Svevia e subiscono un assedio che termina con la loro sconfitta.
Nel 1495 si oppongono vittoriosamente alle truppe di Carlo VIII che aveva osato infeudare la Città demaniale a Francesco d'Alegre, Maresciallo del Regno.
Il 1571 trenta uomini sono presenti, in difesa della cristianità occidentale, alla battaglia di Lepanto, imbarcati sulla galera La luna, sotto il comando di Scipione Cavallo.
Il 1630 il principe di Belmonte Orario G. battista Ravaschieri acquista per 60.000 ducati la città con il suo casale di S. Pietro, dalla Regia Corte. Gli amanteani riusciranno a riscattarsi versando ad essa la somma pagata e rientreranno a far parte del regio demanio nel 1633.
Una indelebile pagina di storia viene scritta dai cittadini durante il decennio di occupazione delle truppe francesi di Giuseppe Bonaparte, nel 1806-1807, allorchè, alternando episodi di indomito coraggio ad altri di incredibili sacrifici, riescono a sostenere un lungo assedio sotto la guida del valoroso comandante borbonico Rodolfo Mirabelli.
Nel corso dell'Ottocento si formerà il nuovo insediamento urbano della marina sulla vasta piana litoranea creata dai depositi alluvionali (By: Enzo Fera)

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UN PAESE DI PIETRA -  FUSCALDO >>

 

 17 - SICILIA  

Kmq 25.703,02 - Abitanti 5.076.000 - Capoluogo PALERMO (687.800) - Città: AGRIGENTO (55.800) - CALTANISETTA (62.900) - CATANIA (341.500) - ENNA (28.400) - MESSINA (262.200) - RAGUSA (69.300) - SIRACUSA (127.200) - TRAPANI (69.600).
La storia della Sicilia, inizia con la storia dell'Europa, nel Paleolitico superiore (20.000- 10.000 a.C.) popolata da genti appartenenti al tipo umano moderno. Sia come insediamenti e inizio di una civiltà, cui seguirono sempre nuove altre civiltà, come quella fenicia, quella greca, poi  quella araba.  La più antica cultura Sicula a noi nota è quella aurignaziana (10.000 a.C. - incisioni rupestri di Monte Pellegrino) cui seguì quella gravettiana, progredì nel Mesolitico (Sciacca), e nel.'Eneolitico  età del rame (3500- 3000 a.C.) l'isola subì in misura sempre maggiore l'influenza della civiltà  orientali e mediterranee. Conosce tre distinti periodi, il Primo, il Secondo e il Terzo Siculo. Nel secondo compare la civiltà Thapsos, nel terzo quella Pantalica. Nel  1300 a.C. le coste furono abbandonate e le genti si ritirarono e si raccolsero all'interno dell'isola.
La Sicilia aveva anche un altro nome prima dell'attuale che prendeva nome dai Sicani, gli antropologi affermano che non hanno nulla a che vedere con i Siculi successivi. I primi erano di origine libica, e i geologi affermano che effettivamente possono essere giunti nella parte occidentale dell'Isola quando una lingua di terra emersa nel periodo delle glaciazioni collegava l'Africa alla Sicilia, quindi popolazione di origine Camitica. Verso il 1000 a.C. questo popolo fu sterminato dai Cartaginesi.
Nello stesso periodo o prima o dopo la scomparsa dei Sicani,  dalla parte orientale, esisteva un gruppo di Elimi, e iniziarono ad approdare i Siculi, una tribù Pelasgica, di origine indoeuropea, quindi Semitica. Prima dell'arrivo di altre ondate migratorie di Fenici e poi Greci, le popolazioni locali si erano ormai fuse e rimase loro solo più il nome di Siculi.
Tra la fine del IX e l'inizio del sec. VIII (con i grandi sovvertimenti politici in Asia Minore, e nella stessa nascente Ellade, ricominciò la frequentazione greca delle coste, prima forse con qualche viaggio di perlustrazione, poi seconda la data tradizionale nel 734 i corinzi fondarono Siracusa e subito dopo  nel 728 a.C. i Megaresi diedero vita a Megara Iblea. Nel 688 rodioti e cretesi fondarono Gela, mentre i Calcidesi fondarono Messina, Reggio, Nasso, Taormina, Lentini, Catania., nel 580 a. C. quelli di Gela misero la prima pietra ad Agrigento e Selinunte. Nell'arco di una secolo i greci mutarono tutto il volto della Sicilia, nel sistema politico, culturale, sociale. Vi approdarono anche altri Fenici ma solo per fare alcuni scali commerciali. I Puni ebbero poi  importanza solo in seguito.
I rapporti con le popolazioni locali furono buoni, e queste relazioni pacifiche favorì il processo di ellenizzazione del territorio, anche perché cultura e sistema politico erano apprezzate, perchè procuravano innanzitutto benessere e  inoltre provenivano da bimillenarie civiltà orientali, e la cultura se l'erano portata dietro, così le nuove tecnologie che già iniziarono a far cambiare aspetto all'isola.
Solo i Siculi si Siracusa si ribellarono all'egemonia greca, ed infatti fu proprio questa città sempre più potente, ad estendere nell'isola la propria supremazia, ed ostacolando le mire cartaginesi favorì lo sviluppo economico, culturale e politico dell'isola, che durò circa oltre quattro secoli. Le bellezze di questo periodo oltre che vederle all'esterno, si possono ammirare al Museo Archeologico di Siracusa. Uno dei più ricchi del mondo.

Vani furono però i tentativi dei siracusani per sottrarsi alla egemonia romana il cui inizio è del 241 a.C.: l'isola poi  fu assoggettata nel 212 a.C. - Oltre che lottare con i locali di ogni razza, i romani dal 38 al 36 a.C. lottarono anche tra di loro (Pompeo e Ottaviano). La dominazione cessò nel 476 quando i romani non solo non erano più capace di conquistare più nulla ma non riuscirono nemmeno a difendersi in casa propria, nella Stessa Roma. Fu un tramonto inglorioso. La causa è che si trasformarono come dicono a Roma, tutti in "mollaccioni". 
Dopo la caduta dell'Impero Romano, ci fu l'invasione degli Ostrogoti di Teodorico nel 493,  un brutto periodo di dominazione bizantina dal 535 all'827. Poi l'invasione  araba, ma da alcuni isolani questa occupazione fu richiesta per porre termine proprio alle opprimenti gabelle bizantine. Gli arabi sbarcarono a Mars-Allah (porto di Allah) la odierna Marsala, fecero qui una testa di ponte, cacciarono i bizantini e completarono poi l'occupazione dell'isola;  nell'831 entravano a Palermo, nell'859 a Enna, nel 902 a Taormina. Inserita così nell'area islamica, la Sicilia conobbe un lungo periodo di crescita economica e civile. Un vero salto di qualità nelle attività economiche dell'Isola, soprattutto in quelle agricole, con l'introduzione degli agrumeti, nuovi attrezzi agricoli e cosa preziosa per l'isola l'arte di cercare l'acqua.  Palermo divenne una delle grandi città del mondo musulmano, ma anche una delle più belle di tutto il Mediterraneo. La chiamavano l'Aziz, Il fiore del Mediterraneo. 

Per la disgregazione del mondo islamico ci fu poi il crollo del dominio arabo anche in Sicilia, subito sostituito dall'occupazione, non proprio traumatica, dei Normanni negli anni 1061-1091 che governarono fino al 1266 con gli Svevi (imparentati per via femminile con gli Altavilla). Con i Normanni ma soprattutto con Federico II, l'isola visse un altro periodo d'oro. Palermo, anche se lo era già, divenne un importante centro di cultura, con una varietà d'interesi: letterari, filosofici, giuridici, scientifici, artistici; ma anche il centro della vita spirituale italiana del sec. XIII. Tutta l'isola conobbe un periodo di notevole prosperità. Fra le tante conoscenze depositate nella grande biblioteca di corte arricchita da Federico II al ritorno della crociata (ma già formata da Ruggero II d'Altavilla nel 1200)  le opere dell'arabo IBN EDRISI, un medico astronomo,  che aveva inciso su una lastra d'argento, dopo suoi viaggi indubbiamente in Africa del Sud, la prima rappresentazione del mondo australe in un mappamondo. In questa singolare lastra comparve per la prima volta, la sfericita' della terra,, perfino  i due poli, e una nota: che nel Sud il sole sorgeva a Nord e che al posto della Stella Polare c'erano invece 4 stelle, dette la "Croce Del Sud". Molti anni dopo, nel 1300, Dante che conosceva molto bene tutta la letteratura siciliana (fu lui a dire " tutto quello che si è prodotto prima di noi viene dalla "scuola siciliana"")  indubbiamente lesse queste note, infatti cita in un opera il Polo australe, ma per tre secoli pochi furono quelli che  prestarono (!?) molta attenzione alle  tre "bizzarre" righe. A corredo dell'incisione EDRISI riportava alcune osservazioni  di Eratostene del 230 a.C. con la misura quasi esatta (1% di errore) della circonferenza della Terra. - Più attenzione, dato l'argomento, l'ebbe l'altra sua opera: la Divina Commedia.. Ma a Palermo c'era oltre che l'Avesta, anche il Vilaf  , un poema religioso parsista (400-500 a.C.)  che indubbiamente  ispirò  Dante perchè è molto simile: é il viaggio di un poeta nell'oltretomba, con visite nei vari gironi dell'Inferno e una visita nel Paradiso dei beati. 
La fine della dinastia normanna nel 1266, consegnò la Sicilia al dominio degli  Angioini di Napoli, le cui severe misure fiscali sull'isola fecero rimpiangere quelle bizantine di due secoli prima. Provocarono nel 1282 il furore popolare (Vespri Siciliani). Pur intervenendo gli  Aragona  le cose non migliorarono, anzi favorirono la nascita di un "Partito Separatista  che diede anche vita nel 1302 a un breve regno autonomo della Sicilia. (questo "partito spunterà fuori molte volte nel corso dei secoli, compreso quello del 1943-45).
L'isola con queste lotte feudali e le ottusità dei sovrani, andò incontro a una lenta decadenza economica e sociale. Si ricostituì nel 1392 un forte potere centrale con gli Aragona, ma nel 1409 la Sicilia  fu associata al regno Spagnolo riducendo l'isola al rango di viceregno, dove prendere e mai dare. Nel 1416 salì al potere Alfonso, detto poi il Magnanimo; sensibilmente migliorò la situazione, ma trasferì la capitale a Napoli, così per oltre due secoli il sovrano in Sicilia era rappresentato da un Vicerè fra l'altro sempre straniero. La Nobiltà locale si amalgamò presto con la corte spagnola e questa riuscì a incidere molto sulla società siciliana, nel costume, nella mentalità, ma anche nell' economia visto che per Madrid l'isola era un semplice dominio periferico dove prendere uomini e denari per le sue numerose guerre, che gli Aragona dissanguando le casse statali alla fine persero; l'ultima, quella che li cancellò dall'Europa, la persero contro gli austriaci (a.1720-1734). La loro sovranità durò pochissimo, dal 1720  fino al 1734, quando l'isola cadde nelle mani dei Borboni che riunirono la Sicilia al regno di Napoli. Un discreto sviluppo economico dei Borboni, favorì anche quello demografico. Nel 1700 sull'isola si contavano 1.000.000 di abitanti,  erano circa 1.650.000 nel 1800. Anni questi di una  singolare svolta  durante il periodo napoleonico. Con Napoli occupata dai Francesi,  i Borboni si rifugiarono  in Sicilia,  ma a governare furono gli inglesi che avevano occupata l'isola (1806-1810). Nei 6 anni che seguirono ci fu un brevissimo sogno già accarezzato come abbiamo letto sopra nel 1302: stava per nascere dall'aristocrazia, dal ceto dirigente, ma anche  largamente appoggiato dalla popolazione, un nuovo stato moderno, liberale,  all'Inglese; nel 1812 fu scritta perfino la Costituzione di un governo simile a quello britannico, con una bicamerale. Il rovescio di Napoleone e la Restaurazione del 1816 riportarono i Borboni sul trono, e l'autonomia di una  Sicilia Costituzionale rimase un sogno. Tentarono allora di creare almeno un regno autonomo, invece  i Borboni risposero commettendo un grosso errore, formando invece il Regno delle Due Sicilie. Solo quando fu cacciato accordo la Costituzione che i siciliani si erano data, ma era troppo tardi, ci rimisero entrambi; lui fu cacciato e i siciliani si trovarono invischiati in un Risorgimento che non aveva nulla a che vedere con quello che stava invece accadendo nelle regioni a Nord, ed anche queste non senza amarezze di come si concluse la tanto sospirata autonomia, finirono tutti sudditi di un piemontese. Ma torniamo indietro al 1821.
L'opposizione al regime borbonico si creò subito dopo la Restaurazione  in entrambe le due regioni; creando poi grossi problemi a Napoli con i moti del 1820-21, ma i Borboni stroncarono quelli locali e risposero con la forza a quelli di Palermo dove le ribellioni si erano già subito estese. La forza delle armi c'era, ma la debolezza politica che seguì, non riuscì nè a sanare i bilanci nè ad accontentare i contadini, gli ex feudatari, i gabellotti e i notabili. La rivoluzione del 1848, poi le vicende che seguirono prima e dopo l'Unità d'Italia crearono di nuovo forti  tensioni sull'isola. Garibaldi in un proclama del 6 maggio del 1860 aveva espresso l'intenzione di sostenere l'insurrezione per realizzare l'unità d'Italia, il 6 giugno dopo essere sbarcato sull'isola  aveva sancito a Palermo con i nemici e amici, la fine del dominio Borbonico, e i siciliani già credevano in una nuova costituzione (a quella del 1812-di tipo inglese) quando lo stesso giorno fu inviato Farina un incaricato di Cavour  per:  a) Preparare l'annessione al Regno piemontese.  b) Mettere in vigore la Costituzione Sabauda, c) Convocare il nuovo Parlamento a settembre.  Sui presenti calo' il gelo, negli ambienti liberali salì invece l'ira. Lo stesso Garibaldi fece arrestare Farina accusandolo di cospirare contro il legittimo  "governo siciliano". Nascerà in questa circostanza il duro conflitto fra Garibaldi, i Savoia e Cavour,  mai sanato. "Non la intendevo io una Italia così" dirà in seguito Garibaldi. I fatti gli diedero ragione.
L'annessione forzata poi avvenne, ma l'ottusa politica di accentramento burocratico, l'estensione all'isola dell'organizzazione statale sabauda, la legislazione economica in vigore in Piemonte applicata integralmente in Sicilia, suscitarono un forte malcontento ma in alcuni anche ostilità. Un popolo che non conosceva nulla dell'altro, con le distanze a quei tempi geografiche e caratteriali enormi, con due linguaggi ad entrambi totalmente incomprensibili (perfino il Re parlava in  stretto dialetto piemontese) con costumi e tradizioni completamente diverse, si oppose ad accettare leggi e istituzioni in una forma così ambigua ma nello stesso tempo imposta senza conoscere le realtà locali. Lo stesso Cavour non conosceva nulla del sud. Oltre Firenze non era mai stato. 

Le ribellioni nelle masse popolari che seguirono furono domate con dure repressioni, le insurrezioni bollate subito come brigantaggio e stroncate con l'invio dell'esercito, e crearono non solo la "questione siciliana" ma anche nel resto d'Italia una distorta informazione all'opinione pubblica. Furono inutili la nascita  nel 1894 dei Fasci dei lavoratori, Crispi rispose con lo stato d'assedio sull'isola, che voleva dire piegatevi o spariamo a vista. E anche durante il periodo giolittiano la situazione e le condizioni economiche non migliorarono, tra  il 1900 e il 1914  un milione e mezzo di siciliani furono costretti a emigrare all'estero. Fu il primo esodo biblico, ma non l'ultimo.
Poi venne la Grande Guerra, e ci si ricordò che anche in Sicilia c'erano uomini da impiegare sul fronte. Questi pagarono anche  loro il tributo di sangue e di sacrifici e al ritorno sappiamo come furono accolti anche quelli del Nord Italia, non per nulla nacque il fascismo sul malcontento dei reduci. Poi nel dopoguerra, la Sicilia fu scossa da un altro movimento contadino per l'occupazione delle terre incolte o assaltando i forni del pane. Ma anche il ventennio fascista che seguì non risolse la "questione". Poche furono le iniziative, ma tanta invece  l'inerzia nel seguitare a non prenderle; ad arrendersi.
Dopo la seconda guerra mondiale, fin da 1943, sull'isola già libera, risorse come nel 1860, un altro movimento separatista, cogliendo quell'attimo fuggente,  che di fatto in quei mesi (8 settembre 1943)  aveva già spaccato  in due l'Italia, e con una parte, quella a nord,  nella più totale confusione, e incertezza di come sarebbe andata a finire
Finita la guerra, i fondatori del movimento indipendentista (MIS) in ottobre furono arrestati. Nel 1946 alla Sicilia fu concesso uno statuto autonomistico, ma non risolse la "questione" sull'isola, e non beneficiò del disordinato boom economico degli anni 1950-60. Come all'inizio del secolo, l'unica cosa che si mise in movimento  fu una nuova massiccia emigrazione verso il nord Italia e all'estero. 
Una emigrazione che solo negli ultimi dieci anni di questo secolo si è arrestata, e sta iniziando con le nuove generazioni una nuova epoca, utilizzando al meglio le  proprie risorse umane e ambientali. Con un ricco mercato potenziale che gli sta di fronte, quello del basso Mediterraneo che presto, quanto a  popolazione, sarà pari all'intero mercato del continente, e con un reddito in continua ascesa. Un immenso mercato "davanti alla porta".
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LA FAVORITA DI PALERMO :
Diamo a Cesare quel che è di Cesare; riconosciamo i meriti acquisiti dagli ambientalisti palermitani nella loro impegnativa crociata contro i violentatori delle bellezze regalateci da madre natura. Tenaci ed ardenti propugnatori della rivalutazione del Parco della Favorita, hanno combattuto cento battaglie per sottrarre ad una lenta e inesorabile morte un inestimabile tesoro lasciato, dai Borboni, in eredità alla città di Palermo. Ce l' hanno fatta! O, almeno sono andati oltre alla metà dell'opra: sono scomparse le baracche abusive che pullulavano nel Parco; sono scomparse le carcasse d'auto; sono stati sfrattati i depositi abusivi di laterizi, di legname e di (udite, udite, oh cittadini!) anche di merce sottratta ai legittimi proprietari con rocambolesche e magistrali rapine. Non insensibili al "grido di dolore" degli ambientalisti, hanno messo del loro - eccome! - l'Azienda regionale delle Foreste e il Governo della città: l'una e l'altro hanno fatto concretamente la loro determinante parte rimuovendo quasi tutte le anomalie denunciate. Il sottobosco è tornato ad essere compatto, odoroso, ricco di essenze; la generosa natura, riconoscente, ringrazia offrendo anemoni, fresie, margherite, vermigli fiori di San Giuseppe, more e mirtilli. Si respira aria impregnata di odori diversi: ginepro, rosmarino, gelsomino. Non più miasmi che si sprigionavano da discariche a cielo aperto; non pi- lecci deturpati; non più piante rare divelte e commerciate. Anche le scuderie e gli altri rustici fatti edificare dai Borboni, prima, e dai Savoia, dopo, hanno fatto toilette. Ottimamente restaurati, si ergono dal terreno per offrirsi alla vista di tutti senza più quell'aria tetra e umida che hanno le case isolate e non abitate. Restituite allo stile originario, sono tornate ad armonizzarsi con l'atmosfera suggestiva e solare che è proprio di questi luoghi. Soddisfatti, gli ambientalisti esultano ritmando i versi di una composizione poetica di Alberto Toni: "Abbiamo fatto il conto e ci accorgiamo/che possiamo ripartire di nuovo/con le ali ai piedi. "Ripartire di nuovo" è certo l'annuncio di una nuova crociata contro i restanti mali che ancora affliggono la Favorita: il degrado delle stradelle e dei viottoli in sedime di tufo; le aggressioni subite da incauti visitatori che si avventurano nel bosco; gli amori mercenari consumati sotto gli occhi di tutti; gli scippi e le percosse. C'è di mezzo il prestigio della Favorita, che caspita! Il suo atto di nascita fu stilato, per così dire, sul finire del Settecento per volontà di Ferdinando IV di Borbone e della regale consorte, l'altera Maria Carolina d'Austria, che erano alla ricerca di alcuni siti di campagna "onde servissero di loro delizia". E qual sito migliore, per i regali esuli, di quello della piana dei Colli che più di ogni altro si adattava alla realizzazione di un Parco che ricordasse loro l'altro di San Leuco della Reggia (perduta) di Caserta? V'erano in quel sito terre estese per circa centodieci salme. Appartenevano ai principi di Malvagna, al marchese Vannucci, al principe di Niscemi, al duchino di Pietratagliata e al marchese Airoldi "i quali tutti si mostrarono pronti e con somma, cordiale attenzione di volerle dare senza interesse e gratuitamente". Con un editto reale, nel dicembre del 1799, Ferdinando IV dava mandato al suo aiutante don Giuseppe Reggio, principe di Aci, di "formare un feniato" ovvero un parco chiuso da muri. Da uno scettro reale all'altro: nel1862 "il sito dei Colli" venne compreso tra gli stabili assegnati alla dotazione della Corona d'Italia; nel 1877, ha inizio per la "Favorita" la serie degli affidamenti passando da un titolare all'altro: dalla Real Casa al Demanio dello Stato (1877), da questo alla Pubblica istruzione (1920) e infine, nel 1935 - dopo una fugace apparizione del Ministero dell'Aeronautica, giusto il tempo per farvi un campo d'atterraggio per dirigibili - il Soprintendente dell'Arte medioevale e moderna, Francesco Valenti, in rappresentanza del Ministero dell'Educazione Nazionale, affida per l'uso al Comune di Palermo, rappresentato dal Podestà Noto Sardegna, il Casino della Real Favorita (la Palazzina cinese), le ville e i giardini con ogni altra pertinenza e dipendenza. Peccato che le idee a Palazzo di Città, in materia di parchi, in quegli anni e negli anni a venire, fossero piuttosto confuse tantocchè il parco della Favorita cominciò a vivacchiare. Rimase povero di investimenti e di competenze e giunse debole e impreparato agli anni del boom economico italiano, delle utilitarie e delle scampagnate fuori porta. Fatale il distacco dei palermitani dal loro verde gioiello. Del bel Parco, com'era un tempo, restavano soltanto ben poche, povere cose. Com'era un tempo! Ciò che desideravo ardentemente era avventurarmi nel gran parco della Favorita. E' facile immaginare l'attrazione irresistibile che questo immenso spazio, con i suoi boschetti, viali e padiglioni, esercitasse su di me. Luoghi pieni di affascinanti misteri. Viali di querce e siepi di bosso, platani e cipressi e certi boschetti di lillà che, in aprile, si annunziavano con il loro profumo prima che si scorgessero. La fontana con Ercole appollaiato in cima a un'alta colonna dorica e quella di Diana, cui mancava la testa. Nostalgie e ricordi degli anni del primo novecento vissuti, ancora fanciullo, scorazzando per il gran parco di Piana dei Colli che si proietta verso il mare in un gioco continuo di strade e viottoli che si rincorrono tra giardini all'inglese e aiuole all'italiana, fra statue e fontane. Fulco della Verdura, i ricordi di quegli anni se li era portati dentro nel suo lungo permanere prima a New York e poi a Londra per riversarli infine, nella sua lingua di adozione, sulle pagine di un volume nella Capitale inglese nel 1976 con il titolo : A Sicilian hildhood - The Happy Summer Days (Una infanzia in Sicilia - Estati felici) Questo libro varrebbe la pena di leggerlo. E' stato tradotto in lingua italiana. E' una delizia! ( Lillo Marino )

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