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NELL�ITALIA CONTEMPORANEA     

di LUCA MOLINARI

FAMIGLIA, ELITES 
E PATRIMONI 
NELLE FAMIGLIE NAPOLETANE  DEL XIX SECOLO


Per molti secoli si è ritenuto che il XIX secolo fosse stato un�epoca di grande e lineare trasformazione verso una società più giusta ed in direzione di una sempre maggiore emancipazione dei soggetti fino ad allora sottomessi.
Solo pochi contestavano questa visione che con il passare dei decenni era diventato un dogma quasi intoccabile sinonimo esso stesso di verità, forse il solo Leopardi aveva osato criticare �le magnifiche sorti e progressive� tanto esaltate dal Romanticismo e dal Positivismo.
La storiografia più recente, invece, ha evidenziato come le grandi fratture siano state più lente di quanto fino ad oggi creduto e sostenuto e come la transizione verso la modernità sia avvenuto in maniera più graduale, spesso anche a seguito di grandi contrasti con le istituzioni tradizionali radicate nel profondo del tessuto sociale.
La famiglia fu uno di quegli ambienti in cui l�istituzione tradizionale resistette più a lungo in quanto molti valori e molti vincoli resistettero nei secoli in maniera quasi immutata.
Le seguenti poche, ma concise pagine vogliono ricostruire alcuni aspetti della 
storia e della vita delle elites urbana napoletana
costretta, in un�epoca di grandi trasformazioni come fu il 1800, a ripensare se stessa, la propria condizione, le proprie prerogative ed i propri privilegi.

IL MOMENTO EREDITARIO

Uno dei principali aspetti di tali famiglie fu la più totale e completa ineguaglianza tra uomo e donna, tra marito e moglie.
La supremazia dell�uomo fu presente ed evidente in tutti gli aspetti della vita comune. Ciò è apparso chiaro a tutti gli studiosi che si sono occupati del problema fin dai primi documenti analizzati.
L�antico codice borbonico, ma non da meno quello napoletano di orientamento illuministico-napoleonico, prevedeva una sostanziale visione inegualitaria della vita di coppia e della gestione dei patrimoni di una famiglia.
Importante per analizzare tali eventi e per giungere alle conclusioni precedentemente espresse, è stata l�analisi dei testamenti da cui si vede come, in origine, la linea ereditaria fosse più legata al �legame del sangue� piuttosto che al livello di parentela coniugale.
L�abitudine di mettere per iscritto le proprie volontà serviva per poter gestire i beni mobili ed immobili posseduti e cominciò ad affermarsi nel momento in cui buona parte delle eredità consisteva in denaro liquido.

Con il testamento il genitore possessore di un bene poteva imporre ai figli delle clausole da rispettare per poter effettivamente entrare in possesso di tale patrimonio. 
Il testamento, così, non era solo un atto notarile legato al mondo degli affari e dei beni terreni, ma diventava anche uno strumento per controllare e modellare la famiglia erede anche nei suoi comportamenti futuri.
Non si stabilivano solo presupposti e paletti di carattere economico, ma si tentava di imporre anche la continuazione di un tradizionale modello di vita: l�eredità non era solo costituita da ricchezze mobili ed immobili, ma anche da norme, precetti, usi, costumi e tradizioni.
Solamente molto tempo dopo, come si vede dai documenti analizzati, il principale beneficiario dei testamenti diventerà il coniuge sopravvissuto passando, così, da un modello ereditario parentale verticale, ad uno coniugale (ed affettivo) che poteva essere sia verticale, sia orizzontale.
Nel primo modello ereditario i figli maschi, e tra questi i primogeniti, erano i principali beneficiari dei testamenti: le femmine venivano lasciate ai margini del filone ereditario.

Solo i maschi, cioè coloro che portavano e che sempre avrebbero portato il cognome del padre, avevano il ruolo e la posizione di essere eredi del patrimonio e delle ricchezze della famiglia. Tra i figli è sempre il primogenito ad essere favorito volendo così sottolineare la volontà di evitare la frantumazione del lotto patrimoniale ereditario.
Questa volontà di mantenere  l�unità del patrimonio e le ricchezze è una delle principali caratteristiche del modello di famiglia aristocratica napoletana da noi considerata e presa in considerazione nel nostro discorso.

L�esclusione delle figlie femmine è una costante: si arriva ad una sorta di paradosso secondo cui in caso di morte del primogenito, l�eredità passa direttamente ai figli maschi di questo, saltando le eventuali sorelle del defunto: i nipoti (ovviamente quelli di sesso maschile!) superano le figlie nella linea dinastica.
Tale modello ereditario non egualitario rimarrà in vigore fino alle soglie del XX secolo e, in maniera stupefacente e paradossale, sarà giustificato e difeso dalle stesse donne: l�importante era il raggiungimento dell�obiettivo primario, ossia della difesa dell�integrità del lotto patrimoniale ereditario.
Ovviamente non è che gli esclusi, o meglio le escluse, dall�eredità principale rimanessero del tutto esclusi dalla linea ereditaria: venivano lautamente ricompensati e liquidati con rendite e con vitalizi che permettevano loro di continuare a vivere in maniera dignitosa e soddisfacente.

Ci sembra giusto poter affermare che per tutto l�Ottocento la pratica di concentrare il patrimonio nelle mani del primogenito rispondesse non solo ad una logica ereditaria maschilista, ma tendeva anche e soprattutto ad assicurare l�unitarietà delle ricchezze legandole al proprio cognome credendo di assicurare loro un lungo e dignitoso futuro in virtù del prestigio da tale cognome e dal suo valore storico.
Sono del tutto lampante, giunti ormai a questo punto, lo stretto legame ed il notevole concatenamento esistente tra il patrimonio ed il cognome.
L�importanza di tale fenomeno ed il suo forte radicamento portano ad estendere il legame sanguigno anche ai rami cadetti delle famiglie: nel caso in cui la linea ereditaria diretta non assicuri stabilità e sicurezza per l�avvenire i rami cadetti ed i fratelli del marito sono i favoriti ed i prescelti per proseguire l�onore e la fama della famiglia.

Le donne possono gestire la loro piccola parte di patrimonio in maniera abbastanza autonoma dal marito.
Questa autonomia è di carattere �personale�, ma non culturale, infatti le modalità utilizzate dalle donne per trasmettere la propria eredità sono i medesimi di quelli a cui si rifanno gli uomini: si preferiscono i figli maschi primogeniti ed in mancanza di questi i rami collaterali cadetti, ma è da sottolineare come in tali casi le sorelle e non i fratelli sono le preferite in qualità di eredi.
La dote è uno degli aspetti principali della nobiltà: le donne che si sposano portano doti soprattutto in denaro e ciò ha una spiegazione di tipo economico.
Infatti le eredità che si trasmettono in linea diretta, verticale e maschile sono spesso beni immobili e molti di questi necessitano di investimenti e ristrutturazioni che si possono effettuare solo grazie alla liquidità proveniente dalle doti matrimoniali delle moglie.
Le doti (e di conseguenza la donne) diventano, quindi, forti strumenti ed elementi per contrattazioni ed alleanze economiche e di potere tra le differenti e diverse famiglie aristocratiche.

Un ruolo importante nella linea ereditaria veniva ricoperto da quei membri di una famiglia che, per voto o per scelta, non potevano non avere figli e, quindi eredi diretti.
Queste figure fungevano da vere e proprie �aree di parcheggio� delle eredità: venivano date loro ricchezze del ramo principale della famiglia quando questo era in difficoltà in quanto non gli era assicurato un futuro stabile e certo nella consapevolezza che, non appena appianati i problemi, esse sarebbero tornate agli eredi di tale ramo principale. Era un modo per impedire l�entrata di estranei e/o rami cadetti nella linea ereditaria verticale principale.
Le modalità che questi personaggi seguivano nel compilare i loro testamenti erano del tutto simili a quelli delle altre categorie: erano parenti maschi gli eredi preferiti.
Il testamento prevedeva anche disposizioni relative al funerale ed ad altre forme di culto e di commemorazione (messa in memoria, candele in Chiesa, ecc. �) in modo che il documento di lascito testamentario diventava un viatico di trasmissione non solo di beni materiali e di ricchezze, ma anche un canale attraverso cui tramandare valori e tradizione.

Chiunque potesse mettere in pericolo l�integrità del patrimoni, quindi della famiglia, veniva sottoposto ad un processo da parte di veri e propri �tribunali di famiglia� che ne decretavano la fuoriuscita e l�esclusione dalla linea dinastica. Tutto ciò che poteva mettere in pericolo il patrimonio ed incrinare l�onore di una famiglia veniva condannato e combattuto: alla luce di tutto questo ci sembra di poter affermare con sicurezza che la base della famiglia aristocratica era costituita dal binomio onore/patrimonio in un reciproco, virtuoso e continuo circolo di autolegittimazione.

LA CASA

La casa è l�ambiente ideale per iniziare un�analisi degli aspetti fondamentali della struttura della famiglia aristocratica partenopea.
L�esterno delle abitazioni non era molto curato e raffinato e la poca cura di tali elementi lascia trasparire una visione ed una considerazione della vita familiare come interna alla famiglia stessa e che doveva svolgersi all�interno di questa.
La crisi economica che aveva colpito molte famiglie si poteva notare e poteva risultare chiara guardando l�aspetto esterno delle abitazioni la cui ristrutturazione non era stata possibile nemmeno grazie alle ricchezze monetarie liquide portate in dota dalle mogli.

L�interno delle abitazioni, invece, era chiaramente indice di uno degli aspetti fondamentali della cultura dell�aristocrazia napoletana: l�orrore e la paura del vuoto, giusti e degni eredi della Spagna barocca, avevano spinto i nobili partenopei a riempire le proprie case di numerosi oggetti molti dei quali apparentemente inutili, ma il cui principale compito era quello di rendere altamente confortevole l�ambiente.
Questa forte distinzione tra interno ed esterno simboleggiavano come la vita familiare, pur essendo per molti aspetti un evento pubblico, avveniva essenzialmente all�interno delle mura domestiche private.

Netta era la distinzione tra ambienti privati ed ambienti pubblici: nei primi, spesso più spogli e meno adorni dei secondi, potevano accedere solo i padroni di casa, invece nei secondi trovavano sistemazione molti oggetti di valore e spesso avvenivano quegli incontri culturali, alcuni dei quali anche a carattere cosmopolita, che legavano la famiglia all�ambiente della comunità cittadina ed alle altre elitès, sia locali, sia internazionali.
Questo era il momento in cui la famiglia si apriva all�esterno pur mantenendo la propria autorità poiché lo faceva all�interno di casa propria, quindi in un ambiente di proprio possesso.
La borghesia, invece, riteneva di dover compiere la propria azione socializzante in ambienti esterni alle proprie unità abitative: come nella migliore tradizione illuministica si recavano nei Caffè volendo indicare un superamento della tradizionale visione dei rapporti interpersonali.

Gli oggetti presenti in una casa nobile o in una borghese spesso erano simbolo delle diverse condizioni di vita dei padroni di casa ed erano strettamente legati alla storia ed alla tradizione della famiglia stessa.
Spesso il gusto e gli oggetti tipici della nobiltà e dell�alta borghesia vengono imitati ed acquistati anche da ceti meno abbienti, quindi non era impossibile trovare oggetti simili nelle abitazioni di entrambe le realtà sociali.
Uno degli oggetti maggiormente diffusi in tutte le case di ogni livello sociale sono gli orologi, di ogni forma e foggia. Gli orologi da un lato sono un�ulteriore conferma dell�origine spagnola e barocca della nobiltà napoletana (il 1600 spagnolo fu il �secolo dell�orologio�, N. d. A.), dall�altro rappresentano il tentativo di creare un legame con il pensiero positivista dominante (orologio come simbolo della scienza, della tecnica e della meccanica): erano dei ponti tra il passato ed il presente su cui la nobiltà stava faticosamente transitando mentre non poteva non vedere i segni del proprio inesorabile tramonto.

Un�opposizione a tale inarrestabile declino la si trovava nel tentativo di mantenere vivo il �prestigio� della famiglia anche a costo di grandi ed ingenti spese.
Ogni membro aveva una determinata disponibilità finanziaria di spesa legata alla propria posizione per mantenere forte ed aumentare tale prestigio: gli uomini avevano a disposizioni maggiori risorse per poter fare ciò.  La struttura sostanzialmente maschile (e maschilista!) della famiglia aristocratica partenopea trovava ancora una volta una chiara ed inequivocabile conferma empirica.

LA GESTIONE DEI PATRIMONI

L�unificazione della penisola sotto i Savoia ed il mancato sviluppo di una borghesia industriale ed imprenditoriale è stata una delle più costanti e più gravi problematiche dell�Italia meridionale.
Tutte queste tematiche sono state bene analizzate e studiate negli scritti dei grandi meridionalisti democratici, da Giustino Fortunato ad Antonio Gramsci, passando per don Luigi Sturzo, Gaetano Salvemini ed Ugo La Malfa.
Contemporaneamente a questa cronica e strutturale necessità di sviluppo e di progresso per il Mezzogiorno d�Italia, si manifestarono altre due nefaste patologie: l�estensione delle leggi sabaude a tutto il territorio della neonata nazione senza tenere conto delle peculiarità regionali e la fine del protezionismo doganale che fino ad allora aveva protetto i prodotti dell�agricoltura meridionale che, così, entrò in una grave crisi.
Soprattutto la seconda condizione gettò l�economia agricola in una grave crisi che si propagò anche nel campo finanziario e colpì il tradizionale modello di famiglia nobiliare creando, tra l�altro, conflitti interni alle famiglie stesse.
Qualora il capofamiglia fosse deceduto o non in grado di gestire il patrimonio di famiglia interveniva, soprattutto nei momenti di crisi, la reggenza e la guida dei rami cadetti collaterali e dei parenti maschi con funzione di tutori. Spesso le tensioni esistenti tra i vari gruppi famigliari da cui provenivano i tutori conducevano a scontri tra i gruppi parentali che si scontravano in una dura lotta parentale ed intestina.
Obiettivo comune a tutti era il mantenimento dei valori tradizionali che avevano sempre segnato e caratterizzato le famiglie.

Per l�ennesima volta il binomio onore/patrimonio riaffiora e ribadisce la propria importanza e la propria centralità.

Il modello di famiglia aristocratica, ma anche borghese monocratica precedentemente espressa si evidenzia anche attraverso la tendenza di rendere ereditari negozi e professioni.
Chi non riesce ad entrare in tale linea ereditaria, come ad esempio i figli cadetti, non può non far altro che imboccare la via della carriera militare o di quella ecclesiastica. I giovani cadetti erano spinti a fare tali scelte sia da motivazioni strettamente collegate alla propria particolare condizione sia da motivazioni sociologiche più ampie.

Si forma, quindi, una triade cognome-patrimonio-professione che diviene ereditaria per via verticale e primogenita maschile che conferma la nostra secondo cui una delle principali e più importanti funzioni della famiglia aristocratica era quella di conservare e difendere i valori tradizionali e di trasmetterli attraverso le generazioni. 

L�amministrazione dei patrimoni fondiari negli ultimi decenni del XIX secolo viene affidata soprattutto ai notai ed agli avvocati che assumono così il ruolo di elementi di unione tra il mercato e la famiglia.

BREVE NOTA CONCLUSIVA

Il XX secolo segna la crisi dei modelli di famiglia precedentemente descritto a vantaggio di famiglie tendenzialmente più snelle, ma per tutto l�Ottocento gli elementi di conservazione e di freno a tale processo furono sempre presenti. 
Ci piace concludere questo nostro elaborato con le parole di Paolo Macry:

�L�Ottocento è il secolo della lenta riluttante transizione dal cognome al nome, dalla cultura del sangue alla famiglia patriarcale e alla famiglia affettiva. Il cognome resiste a lungo. E con esso tutto un modo d�intendere i comportamenti � sul doppio versante della vita privata e della vita pubblica � , che spesso sembra ridurre ad una strategia di gruppo (familiare) le opzioni dei singoli. Se la modernizzazione � questa categoria opinabile ma efficacemente evocativa � si esprime nell�individualismo e nel nuclearismo dell�imminente società di massa, il cognome e la cultura della famiglia ne sono tra gli ostacoli più tenaci .� 

di LUCA MOLINARI

BIBLIOGRAFIA
M. Barbagli, Sotto lo stesso tetto, il Mulino, Bologna 1984
P. Macry, Ottocento. Famiglie, elites e patrimoni a Napoli, Einaudi Paperbacks, Torino 1988
E. Hinrichs, Alle origini dell�età moderna, Laterza, Roma-Bari 1984
H. Kamen, La Società Europea 1500-1700, Laterza, Bari 1987
M. Barbagli, Provando e riprovando, il Mulino/Contemporanea 35, Bologna 1990

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