ALTO MEDIOEVO  

LE COMPAGNIE DI VENTURA
e i Capitani di ventura

COLLEONI
 
MEDEGHINO  
DAL VERME
I VISCONTI
  CARMAGNOLA 
GATTAMELATA
EZZELINO DA ROMANO
SAGA DEI FORTEBRACCI

ALBERICO DA BARBIANO
 
GIOVANNI DALLE BANDE NERE
CESARE BORGIA "IL VALENTINO"

Già operanti in Europa subito dopo l'anno Mille, in Italia verso il 1340, compaiono le prime Compagnie di Ventura guidate da capitani stranieri come Giovanni di Montreal, detto Fra Moriale, Werner di Urslinger, chiamato Guarnieri, Corrado di Landau, Anichino di Boumgarten e l'inglese John Hawkwook, detto Giovanni Acuto.

 Queste Compagnie sono in realtà delle bande che aggregano liberamente uomini d'arme pronti a concedere i propri servigi al migliore offerente. In pratica sono formate da tutti quegli individui che non trovando un ruolo stabile nella società ricadono ben presto nell'illegalità, qualunque sia la loro origine. 
 Infatti, mentre i ranghi più bassi provengono dagli emarginati delle campagne e delle città e dagli esclusi dalle varie attività, compresa la Chiesa, i capi vengono dall'alto.

 Sono signori che si sentono attratti da una vita avventurosa, fatta di guadagni procurati con la spada e spesso sono cavalieri che la stessa Compagnia ha sconfitto e che preferiscono unirsi ai mercenari, piuttosto che tentare di ricostruire una terra ormai distrutta.
 L'organizzazione e la disciplina delle Compagnie le rende più utili come truppe da combattimento di quanto non lo siano i cavalieri che aspirano alla gloria, ignorando le regole e le tattiche della guerra.

 Quando, però, non sono al soldo di nobili e re praticano il brigantaggio, imponendo taglie ai villaggi prosperosi e dando alle fiamme quelli poveri.

 Rapinano abbazie e monasteri di provviste ed oggetti preziosi; saccheggiano i granai dei contadini; uccidono e torturano coloro che tentano di nascondere i propri beni, senza risparmiare nè religiosi nè anziani.
 Violentano vergini, suore e madri e rapiscono le donne portandole al seguito della brigata e gli uomini per renderli loro servitori.

 Quelle più efficienti e crudeli diventano famose, attraendo un numero sempre maggiore di compagni, tanto che qualcuna riuscirà a raggiungere il numero di 2000 componenti, tutti perfettamente equipaggiati sia a cavallo che a piedi.

 Uno dei capitani più famosi, Fra Moriale, così chiamato perché è un ex priore dei Cavalieri di S. Giovanni, ha al seguito della Compagnia un consiglio, segretari, contabili, giudici e persino una forca, pronta all'uso per eseguire le sentenze di morte.
 Si potrà permettere di chiedere la considerevole somma di 150.000 fiorini d'oro a Venezia per muovere guerra a Milano.
 Diventerà molto ricco e famoso e si sentirà talmente sicuro di sè da recarsi a Roma senza scorta, su invito di Cola di Rienzo che lo farà catturare e condannare a morte.

 Le Compagnie di Ventura dilagheranno in Italia attraverso la Francia, la Savoia, la Lombardia e gli Stati Pontifici e diventeranno un fenomeno di grande rilievo nella realtà europea di questo secolo, anzi saranno un elemento stabile che si trasformerà in un modo di vivere, in una parte integrante della società. 
 Gli stessi governanti se ne serviranno e combatteranno con loro, ma dopo cercheranno con difficoltà di liberarsene. 

Nate dopo il Mille dal disfacimento feudale spagnolo, fiammingo e tedesco, condannate nel 1179 dal Concilio Laterano I e nel 1366 da una bolla di Papa Urbano V, queste milizie mercenarie, fecero tuttavia la fortuna di alcuni capitani quando scesero appunto anche in Italia nel XIV secolo, dove le autonomie comunali e signorili rendevano necessaria la presenza di truppe armate che non conveniva, per motivi economici e politici, reclutare e addestrare all'interno della compagnia urbana.

Oltre l'inglese Giovanni Acuto -John Hawkwook  -Essex 1320- Firenze 1394 (già ricordato all'inizio) al servizio di Pisa, Milano, di Papa Gregorio XI e infine di Firenze;  ricordiamo fra i capitani Alberico da Barbiano, e il Gattamelata (Erasmo da Narni - Narni 1370- Padova 1443) che si era posto al servizio dei Veneziani nel 1437, e combatte contro i Visconti).

(By: Silvio Galletta)

per altri Cavalieri, vedi sotto, e in altre pagine della tabella le singole biografie


I CAPITANI DI VENTURA
(Di Mario Veronesi)

Le origini, le prime bande, i condottieri signori, la fine di  un'epoca. 

Tra la fine del duecento e i primi del trecento, nascono le prime (masnade)  mercenarie, non sono più i liberi cittadini dei comuni, che in armi fanno  quadrato attorno al carroccio, ma non sono ancora i professionisti della  guerra, che vedremo in seguito. Sono cavalieri senza terra, esuli, vagabondi, contadini, servi o schiavi  fuggiaschi, disposti ad uccidere per campare. Molti appartengono a quelle truppe mercenarie, calate in Italia al seguito  dei vari re e imperatori, la loro terra d'origine è la Germania e il  Brabante, perciò molti sono chiamati (brabanzoni) ovvero l'Aragona e  la Castiglia. Il loro abbigliamento è variegato, un breve saio, un berretto di cuoio, lo  zaino sulle spalle con il cibo, al fianco una spada corta e acuta, e una  lancia. Non conoscono la disciplina, non avevano uno stipendio e vivevano di rapine  e di saccheggi. Scorrazzavano per la penisola, a volte si prestavano al soldo di qualche  capitano del popolo, che li chiamava a combattere per questo o per quel  comune.

 Occorrerebbe una disciplina, Pisa ci prova stendendo un codice di  comportamento, ma per questi masnadieri la legge scritta è inutile, vivono  alla giornata, non vogliono imposizioni drastiche, un rapido ingaggio, e al  termine liberi come il vento. Alcuni mercenari venuti in Italia al seguito di Giovanni di Boemia nel 1333,  si raccolgono in gruppo nel piacentino alla Badia della Colomba, sotto il  nome di (Cavalieri della Colomba), vivono di rapina, Perugia li chiama vuole  liberarsi dal giogo d'Arezzo. Firenze offre loro un nuovo ingaggio, sono i nuovi mercenari, ma mancano di  un capo, di uno stendardo, e non hanno ancora la coscienza professionale. I capitani stranieri: le cose cambiano quando in Italia arrivano veri e propri capi carismatici,  come il duca Werner von Urslinger (chiamato Guarnieri) o il conte Konrad von Landau, arrivano nel  1339 per unirsi con le loro brigate, a tutta quella massa di quasi anonimi venturieri  tedeschi, che spadroneggiavano in Italia da un ventennio. 

Si deve a Lodrisio Visconti la prima compagnia di ventura, per la prima volta  le masnade sono inquadrate in una compagnia (La compagnia di S. Giorgio), fu  un'esperienza sfortunata, travolta e distrutta da un altro italiano,  Ettore da Panigo (vedi i Visconti). Werner combatte al soldo d'altri signori, in Lombardia e in Toscana,  finchà decise di proseguire l'idea di Lodrisio, fondando una sua  compagnia, così nacque la "Grande Compagnia" del temutissimo "duca Guarnieri",  come fu chiamato in Italia l'Urslinger, così Konrad von Landau divenne  il "conte Lando", Konrad Wolf "Corrado Lupo", Montreal d'Albarno "Frà  Moriale", Hanneken von Baumgarten "Anichino Bongarden".

 La "Grande Compagnia", forte di tremila barbute costituite ognuna da un  cavaliere e da un sergente, anche lui a cavallo, ebbe subito un gran lavoro  in Toscana e nell'Umbria lasciando alle sue spalle una scia di sangue  e di morte. Saccheggiò per due anni i territori della penisola, finche pur di  toglierselo di torno, i signori dell'Italia settentrionale nel 1343,  gli versarono una grossa somma di denaro, come titolo di liquidazione e lui  si ritirò nel Friuli. Riprese la ventura nel 1347, al seguito del re d'Ungheria Luigi I,  deciso ad eliminare Giovanna regina di Napoli, che aveva ucciso il fratello  Andrea. In seguito la "Grande Compagnia" combatte in Romagna contro il legato  pontificio, quindi contro Pepoli signore di Bologna, si sciolse quando il  suo capo si ritirò nella natia Svezia nel 1351, dove morì tre anni dopo. 

La "Grande Compagnia" non finì con lui, si ricompose, e continuò le imprese  agli ordini di Frà Moriale, che la guidò ora contro il legato  pontificio cardinale Albornoz, incaricato dalla chiesa di Roma di  ricostruire il potere temporale. Gli scontri spaziarono dalla Romagna alla Campagna, che per tre anni  subirono saccheggi e distruzioni. Con lui la compagnia di ventura ebbe un'ulteriore organizzazione, dal  punto di vista amministrativo, ordinò un "camerlengo" che riceveva e pagava,  nominò consiglieri e segretari, con cui amministrava la compagnia. 
Alla sua morte avvenuta a Roma nel 1354, il conte Lando si aggregò al  comando della "Grande Compagnia", morì nel 1362 abbandonato dai suoi stessi  venturieri ungari, che si rifiutarono di combattere contro altri colleghi:  quelli della "Compagnia Bianca" d'Albert Sterz e di Giovanni Acuto.
 Fu la fine della "Grande Compagnia", lo Sterz instaurò nuovi sistemi di  combattimento, con diversi gruppi di truppe, secondo schemi che sarebbero  stati perfezionati da Giovanni Acuto. Lo Sterz fini decapitato dai Perugini nel 1366. Tra le compagnie divenute in quel periodo più famose, fu quella di Giovanni  Acuto, nato nella contea dell'Essex verso il 1320, aveva fatto le  prime esperienze militari in Francia nella guerra dei cent'anni,  arriva in Italia nel 1361 e si unisce alla "Compagnia Bianca"  dello Stern, combatte in Piemonte al comando di 1200 lance, è tristemente  ricordato per i massacri di Cesena e Faenza, si mise al servizio dei  Visconti e poi di Firenze dove trascorse il resto della sua vira, mori nel  1394 ed ebbe funerali di stato; più tardi il re d'Inghilterra richiese  le sue spoglie. Firenze non lo volle dimenticare, facendolo immortalare a cavallo da Paolo  Uccello, in un famoso affresco sulle pareti della cattedrale.

Alcune compagnie capitanate da italiani nascono con alterne fortune in quel  periodo, ricordiamo la "Compagnia della Stella" d'Astorre Manfredi,  una seconda "Compagnia di S. Giorgio" d'Ambrogio Visconti, (vedi i  Visconti) la "Compagnia del Cappelletto" di Niccolò da Montefeltro, e la  "Compagnia della Rosa" comandata da Giovanni da Buscareto, e Bartolomeo  Gonzaga. 

La compagnia che costituì una svolta, fu senza dubbio quella di "S. Giorgio"  fondata da Alberico da Barbiano dopo gli eccidi di Cesena, questa va  ricordata come la prima compagnia di soli italiani, ebbe regole e statuti  particolari, e ricevette la benedizione del pontefice. 
Una nuova era iniziava per le compagnie di ventura. I condottieri signori. Con Alberico da Barbiano, i capitani di ventura italiani subentrarono a  quelli stranieri, le nuove compagnie non sono costituite per caso, è il  capitano che sceglie i suoi uomini e non viceversa, i primi arruolati sono  gli amici, i parenti e i vecchi camerati. 

Inizia un reclutamento mirato, selezionato, l'addestramento alle armi  dipendono dal capitano, che arma gli uomini e li paga, trattando  direttamente con i signori, che richiedono una prestazione mercenaria,  stabilendo un preciso contratto, "la condotta". E il capitano diviene: "condottiero". La condotta è appunto il contratto che si stipula tra le due parti, il  signore e il condottiero, specificava la durata, le condizioni  dell'ingaggio, il numero degli uomini e delle armi, le prime condotte  regolari di cui si ha notizia risalgono alla seconda metà del trecento. 
Firenze fu tra le prime città stato, ad organizzarsi in tal senso, con la  creazione di speciali magistrati chiamati "officiali di condotta", che  controllavano la disciplina, e l'armamento. Numerosissimi furono i contratti, molto diversificati tra loro, sia per il  tempo della condotta, sia per gli uomini impegnati ecc. Possiamo però distinguere due tipi di condotta: 
1) La condotta "a soldo disteso" quando il  condottiero-capitano, era disposto a militare con un determinato numero di  fanti e di cavalieri, agli ordini di un capitano generale, di una città, o  di una signoria. 
2) La condotta "a mezzo soldo" quando il condottiero-capitano,  combatteva in posizione sussidiaria rispetto al capitano generale, e in  luoghi da questi stabiliti, non percepiva paga piena, ma correva rischi  inferiori. Il condottiero una volta firmato il contratto, e dopo aver ricevuto un  acconto in denaro, doveva far "mostra" dei suoi uomini d'arme ai  "consegnatari" che registravano, stimavano uomini e cavalli, rifiutando  quelli non ritenuti idonei. 

Gli uomini erano divisi in squadre comandate da un caposquadra, per ogni 10  uomini vi era un caporale, un superiore era addetto alla distribuzione degli  alloggi, e delle schiere, un "camerlengo" amministrava le sostanze, un  notaio presiedeva alle scritture, "gli ufficiali di condotta" avevano  autorità sulle milizie. La durata del contratto era chiamata "ferma", di solito era seguita da un  periodo d'aspettativa, durante il quale il condottiero, rimaneva  vincolato alla controparte, che aveva il diritto di prelazione per un altro  contratto, di solito sei mesi, chiamata "aspetto". Terminata la condotta, il condottiero era comunque libero di andare con chi  voleva, pur vigendo la clausola che passando ad un nemico, non poteva  combattere contro il precedente "datore di lavoro" per due anni.

Un particolare tipo di condotta, fu quella stipulata per i mercenari del  mare, si chiamava "contratto d'assento" l'ingaggio di forze  navali, e "assentisti" furono chiamati i capitani che lo sottoscrivevano. Genova cominciò ad impiegarli già dagli inizi del quattrocento, e lo stato  della chiesa non fu da meno, mentre Venezia non volle mai ricorrere a questo  tipo di condotta. Varie erano le forme di questo contratto, a volte il capitano era anche  proprietario delle navi, a volte si limitava ad equipaggiare le navi, di  proprietà della città-stato, il compenso era forfettario, con assunzione a  proprio carico di danni e perdite, la sua fonte di guadagno era la terza  parte di tutto il bottino, frutto d'arrembaggi e di saccheggi. 

Quanto guadagnava un condottiero? Le cifre variano secondo il carisma del  capitano, e delle forze impiegate, Micheletto Attendolo cugino di Muzio Sforza, ad esempio nel 1432 riceveva da  Firenze, mille fiorini il mese, più altri novecento per la sua compagnia,  Guglielmo di Monferrato nel 1448 percepiva da Francesco Sforza 6.600 fiorini  il mese, paga comprensiva per settecento lance e cinquecento fanti.  Francesco Gonzaga nel 1505 riceveva da Firenze 33.000 scudi annui per una  compagnia di duecentocinquanta soldati, mentre Francesco Maria della Rovere  n'ebbe 100.000 annui dalla stessa città per soli duecento uomini. 

Cifre sempre molto ragguardevoli, così tranne pochi casi, i condottieri  furono sempre ricchi e annoverati tra i clienti più ricercati dalle banche  di Venezia e di Firenze. Da segnalare, la notevole crescita di questi uomini sul piano politico, nel  quattrocento ha causa delle difficoltà finanziarie in cui si dibattevano i  signori, pensarono di risolvere il pagamento delle condotte, assegnando ai  condottieri una parte del territorio, una vera e propria "rifeudalizzazione"  della penisola.

Le grandi armate.
 La decadenza inizia con le nuove invasioni straniere alla fine del  quattrocento, con Carlo VIII in poi cambia l'organizzazione militare,  gli ultimi condottieri hanno sempre più un ruolo marginale. I sovrani stranieri non si appoggiavano soltanto alle compagnie di ventura,  ma reclutavano milizie tra i propri sudditi, è il primo nucleo di  un'armata nazionale, mentre in Italia le innumerevoli signorie  continuavano a valersi dei capitani di ventura. 

Con l'invenzione della polvere da sparo, e l'introduzione delle  artiglierie, si formano le armate di Carlo VII, Luigi XII, Francesco I,  Massimiliano I, e Carlo V, fino allora la forza dell'esercito erano  nella sua cavalleria pesante, cavalieri e cavalli coperti di ferro, lenti  nella manovra, ma irruenti nella carica. Altri componenti importanti erano i balestrieri, ma l'invenzione della  polvere da sparo provoca una vera rivoluzione, tattica e organizzativa. Al centro della battaglia non si trova più l'individuo, il  combattimento a corpo a corpo, ma l'azione, la manovra collettiva, è la rivincita storica del soldato a piedi. 
Arrivano le prime colubrine che sparano, sessanta colpi il giorno, e una  gittata di due chilometri, il falconetto, da ottanta colpi il giorno, il  falcone dal lancio più breve, ma che spara centoventi colpi il giorno,  l'archibugio, il moschetto, un fucile a miccia assai più pratica. Contro queste nuove armi, anche la corazza più robusta serve a ben poco, si  rinuncia a proteggere il cavallo, conservando solamente il frontale per  difendere la testa, quindi s'inizia ad alleggerire il cavaliere, e si  finisce lasciandogli l'elmo e la corazza, ma usati in fondo più per  parate che in battaglia. 

Non tutti gli stati italiani sono in grado d'affrontare le cospicue  spese per il mantenimento dei nuovi eserciti, si pensi agli arsenali per la  costruzione, e la manutenzione delle artiglierie, che sparavano pietre,  mentre quelle straniere più maneggevoli, sparavano leggere e distruttive  palle di ferro. I venturieri italiani, cedono il passo al mercenario straniero, le bande di  Lanzichenecchi metteranno a ferro e a fuoco il territorio della penisola, è il definitivo tramonto dell'esercito di ventura. I condottieri italiani continueranno il loro mestiere, ma senza una loro  compagnia alle spalle, diventeranno famosi come generali nei vari eserciti  stranieri, come il Medeghino, Raimondo Montecuccoli, Ottavio Piccolomini, e  altri. Precursore di questa nuova era, fu certamente Gian Giacomo Trivulzio. 


Mario Veronesi
Bibliografia
*
Claudio Rendina I capitani di ventura Newton Compton Editori Paolo Giudici
* Storia d'Italia Vol 2, Il Medioevo - Editore Nerbini Firenze 1930
* Storia di Cambridge - Mondo Medioevale, ed. Garzanti

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