LA RUSSIA E IL CRISTIANESIMO ORTODOSSO

dalla CHIESA DI  BISANZIO alla  RUSSIA FEUDALE ORTODOSSA

Dopo quanto avvenuto in quel periodo che abbiamo anticipato nella
 FONDAZIONE DI BISANZIO...FINO AI TURCHI

...con la formazione degli Stati feudali in Europa, la politica marciò di pari passo con la necessità di modificare la sovrastruttura ideologica (compresa quindi la religione) sulla base dei nuovi rapporti sociali. Le mancanze di prospettive del paganesimo, già chiaramente evidenti nei paesi euroccidentali e nell’area bizantina, lo erano anche nei paesi centroeuropei e nei Balcani. Benché dei predicatori musulmani avessero cercato di fare dei seguaci in Bulgaria, non si poneva neppure il problema di una scelta fra cristianesimo e islam. Anzi, proprio il cristianesimo poteva permettere alla Bulgaria di assimilare l’esperienza sociale dei paesi vicini più evoluti e, in definitiva, di "rompere", in maniera radicale, con l’universo concettuale geneticamente legato al sistema pre-feudale in declino, del tutto incompatibile con i fondamenti d’uno Stato feudale unificato in fieri.

Inoltre l’introduzione della nuova religione permetteva di stabilire relazioni d’uguaglianza reciprocamente vantaggiose con le potenze cristiane. Da questo punto di vista il problema non era quello di scegliere uno dei due principali centri della cristianità: Roma e Costantinopoli. Peraltro, di vera possibilità di "scelta" si può parlare in riferimento sia alla nobiltà croata e serba che, soprattutto, agli ambienti governativi della Bulgaria e dei principati magiari, non certo in riferimento alla Carinzia, alla Boemia o alla Polonia, che adottarono il cristianesimo latino perché pressate dall’impero carolingio, prima, e dal sacro romano impero, dopo.

La nobiltà serbo-croata e i governanti della Bulgaria sapevano che la sottomissione della chiesa allo Stato era spesso un mezzo di espansione politica di quest’ultimo. Boris I, assiduo rivale di Bisanzio nei Balcani, comprendeva perfettamente che la chiesa ortodossa offriva maggiori garanzie di affidabilità politica rispetto alla chiesa romana, la quale, con il principio del "primato papale", non riconosceva allo Stato una vera e propria sovranità.

Forse solo nel caso dei sovrani russi si può parlare di possibilità di scelta "ideologica" fra le due religioni allora più importanti, la cristiana e l’islamica. Le esitazioni permasero sino alla fine del X sec. L’islam venne rifiutato non tanto perché i suoi usi e costumi parevano troppo estranei al principe Vladimir, quanto perché le posizioni politiche dei paesi musulmani (specie del califfato arabo) erano allora seriamente compromesse a livello internazionale. Non solo, ma si può aggiungere che quelle del cristianesimo erano a quel tempo già consolidate nella Russia kieviana.

Ciò naturalmente non significa che la scelta fra Roma e Costantinopoli fosse per la Russia cosa facile. Olga, la sovrana di questo Stato, pur già battezzata a Bisanzio, mandò nel 959 degli ambasciatori in Germania, chiedendo a Ottone I di inviarle un vescovo e dei preti. La decisione di accordare la preferenza a Bisanzio non dipese dal fallimento di questa missione, anche se essa senza dubbio vi contribuì, ma dal fatto che la Russia aveva già ottime relazioni culturali e commerciali con l’area bizantina e con gli Stati cristiani balcanici, oltre al fatto che i cristiani russi avevano ricevuto il battesimo dalla chiesa orientale (si veda l’opera missionaria di Cirillo e Metodio).

La decisione di adottare il cristianesimo rifletteva gli interessi della classe dominante (in primo luogo i boiardi). Lo dimostra il fatto che scoppiarono non poche rivolte popolari contro l’imposizione di questa nuova religione. In Boemia, ad es., reagirono immediatamente al battesimo del principe Borivoj. Rivolte analoghe scoppiarono in Carinzia e i principi magiari Gèza e suo figlio Stefano I combatterono il loro popolo, appoggiato da alcuni principi pagani, per imporre il cristianesimo.

I sovrani battezzati erano ricorsi all’aiuto di forze esterne (i boemi alla Grande Moravia, i carinzi e i magiari alla Baviera) perché ancora non avevano l’autorità sufficiente per pretendere l’assoluta obbedienza del popolo al potere centrale. L’adozione del cristianesimo veniva proprio a coincidere con il processo di formazione dello Stato feudale. In Bulgaria, addirittura, le insurrezioni anticristiane caratterizzarono non solo le masse popolari ma anche vasti settori della nobiltà, benché il livello di sviluppo di tale paese fosse maggiore degli altri già citati. Questa nobiltà temeva di perdere i suoi privilegi, il ruolo di comando che aveva nello Stato pre-feudale, frammentato in comunità più o meno isolate.

Viceversa, negli Stati feudali già formati, come la Polonia, la Russia antica e la Grande Moravia, la popolazione non oppose quasi alcuna resistenza. Qui semmai si verificarono, molti decenni dopo il battesimo della nazione, alcune sommosse popolari contro il clero cristiano, ritenuto corrotto e servo del potere costituito. Ecco perché, al momento dell’adozione del cristianesimo, i maggiori problemi, per questi paesi, furono di altro genere (ad es. il rischio di essere fagocitati dalla politica estera dei due centri cristiani dominanti a livello europeo). La difesa della sovranità politica, nazionale e territoriale si esprimeva nella necessità di avere una propria chiesa indipendente: ciò che, in effetti, sin dai secoli X e XI riuscirono ad ottenere gli Stati politicamente più forti, come Bulgaria, Polonia e Ungheria.

Per quanto riguarda la Russia antica, occorre dire che l’istituzione subitanea di una metropoli a Kiev permise a questo Stato di disporre di un’organizzazione ecclesiastica relativamente autonoma, in grado di ordinare propri vescovi. Soltanto il metropolita veniva ordinato dal patriarca di Costantinopoli e scelto fra candidati greci soggetti all’imperatore. Ma non per questo Bisanzio riusciva a influenzare in modo decisivo la politica della Rus’.

Tale situazione, che grosso modo rimarrà immutata fino al XIII sec., dipendeva da una serie di fattori. Anzitutto le nomine ai principali posti della gerarchia clericale russa avvenivano secondo la volontà del sovrano; in secondo luogo gli edifici del culto venivano costruiti su richiesta e a spese del potere laico; in terzo luogo la proprietà fondiaria della chiesa allora era appena in gestazione, e quindi la vita materiale del clero era sostanzialmente assicurata da una parte dei redditi del principe; in quarto luogo il potere laico fruiva di ampi diritti di controllo sui redditi del clero; in quinto luogo, la chiesa non riconosceva il diritto di asilo e per molte questioni giuridiche e civili sottostava ai tribunali laici.

Come noto, la dipendenza della chiesa ortodossa nei confronti dello Stato diventerà, in seguito, più forte di quella del clero latino, ma agli inizi questa differenza era meno marcata: sia nei paesi balcanici che nell’Europa centrale la neonata chiesa aveva un gran bisogno della tutela del potere laico. Proprio questo potere, nel mentre costringeva i neofiti a partecipare al culto e a rispettare norme e riti, permetteva alla chiesa di funzionare attivamente. Questo appunto accadeva sia in Russia che in tutti i paesi dell’Europa centrale. Non a caso i forti movimenti popolari dell ‘XI sec. in Polonia e Ungheria contro le autorità politiche e il fardello fiscale, erano accompagnati dalle distruzioni delle chiese cristiane e da violenze anticlericali. In Ungheria ci fu addirittura un ritorno in massa al paganesimo, mentre in Bulgaria il movimento bogomila si volse non verso il paganesimo, ma verso una corrente eretica (dualista) dello stesso cristianesimo: la cosiddetta "dottrina pauliciana", che costituiva a Bisanzio la base ideologica degli oppressi contro Chiesa e Stato. D’altro canto, nella stessa Bulgaria, una buona parte della popolazione era rimasta fedele al rito funerario pagano.

In Russia, all’inizio del XII sec., talune istituzioni clericali possedevano già vasti domini fondiari (donati dai principi) e disponevano di varie immunità fiscali e giudiziarie. Le decime venivano tratte dai tributi e dalle tasse giudiziarie e commerciali imposte dai principi. La chiesa stava cominciando ad acquisire proprie fonti di sussistenza, pur continuando a dipendere, specie sul piano gius-politico, dal potere laico. Qui addirittura le misure coercitive, legate all’introduzione del cristianesimo, vennero estese dal principe Vladimir anche all’élite sociale, ai figli della nobiltà, che dovevano studiare la letteratura cristiana.

Una differenza però c’era. Contrariamente ai sovrani di Boemia e di Ungheria, che incaricavano le autorità laiche a far rispettare le norme cristiane, i principi russi si affidavano volentieri alla stessa chiesa. che comminava penitenze d’ogni tipo. La Russia non ha conosciuto dei movimenti anticristiani così potenti come quelli polacchi e ungheresi dell’XI sec.: l’unico di un certo rilievo fu quello dei volkhvy, una sorta di sacerdoti pagani dediti alla magia. La loro rivolta venne repressa da un boiardo di Kiev. Gli studi hanno dimostrato che questa e altre rivolte pagane erano più vicine ai movimenti popolari dell’Europa centrale che non a quelli dei Balcani: a motivo del fatto che gli interessi dei laici e dell’élite ecclesiastica erano più strettamente intrecciati (i primi santi cristiani, patroni del paese e del popolo, appartenevano tutti alla dinastia principesca).

Nelle prime tappe della cristianizzazione, ovvero durante i primi decenni che seguirono il battesimo, l’attività della chiesa si estendeva soprattutto alle città e ai centri amministrativi dello Stato, quasi senza toccare le campagne, ove il rituale funerario, tanto per fare un es., restava rigorosamente pagano (ad eccezione della cremazione, abolita quasi subito dal cristianesimo). Le maggiori difficoltà che il clero doveva affrontare erano dovute all’atteggiamento della nobiltà locale, la quale, pur avendo accettato il battesimo, restava indifferente alla nuova religione e non mutava il proprio stile di vita. Questo comportava forti attriti, specie nei paesi soggetti all’influenza culturale e politica dell’occidente latino. In oriente i rapporti fra clero e nobiltà erano generalmente migliori, ma la dipendenza completa della chiesa dallo Stato non facilitava affatto i mutamenti nel costume di vita della nobiltà.

Nella seconda tappa il cristianesimo cominciò a espandersi anche verso la campagna. Apparvero i primi atti legislativi miranti a stabilire norme di vita cristiana per tutta la nazione. Si generalizzava la pratica di seppellire i morti presso la chiesa. Si formavano le prime organizzazioni parrocchiali. Si consolidavano l’autonomia e il prestigio sociale della chiesa, anche perché principi e feudatari continuavano a offrire vaste porzioni di territorio al clero, il quale praticamente era diventato una sorta di trait d’union fra la società locale e il mondo colto europeo. Rimarchevoli tracce pagane sopravvivevano nei secoli XI e XII presso tribù finnico-ugriche e alcune tribù slave orientali.

Probabilmente in Russia fu la politica flessibile del clero, che cercava di far convivere pacificamente pagani e cristiani, ad evitare quegli aspri conflitti fra chiesa e nobiltà scoppiati in taluni paesi centroeuropei nei secoli IX e X (ad es. nella Polonia dell’XI sec. le autorità facevano ancora rompere i denti a chi rifiutava i digiuni ecclesiastici). E’ vero, anche in Russia, come già nella Grande Moravia e più tardi in Boemia, si usava il penitenziale di origine greca, ma non sempre veniva applicato. Dati archeologici hanno confermato che in questo paese diversi centri di culto pagano funzionavano ancora in alcune regioni rurali nei secoli XI e XII (taluni riti funebri scomparvero, nelle regioni più a nord, solo verso la fine del XIII sec.). Questo d’altra parte ha permesso che il cristianesimo in Russia si diffondesse in profondità, cioè in maniera non superficiale (cosa che ad es. non è avvenuta in Polonia, dove il cristianesimo non ha mai raggiunto livelli significativi di spiritualità).

Sarebbe tuttavia assurdo sostenere che la chiesa ortodossa fosse completamente assoggettata allo Stato. Essa in realtà ha sempre cercato di giocare un ruolo autonomo, perseguendo e a volte raggiungendo obiettivi non del tutto coincidenti con quelli della nobiltà laica. E questo mediante il solo insegnamento sui castighi dell’aldilà, oppure con i racconti agiografici e le descrizioni dei miracoli postumi, che incarnavano gli ideali da essa propagandati. I santi erano proclamati difensori dei poveri, dei malati, dei sofferenti (la liberazione miracolosa dei prigionieri dalle catene delle autorità è un motivo ricorrente). I racconti di Boris e Gleb sono solo un piccolo esempio. E’ impossibile trovare una così vasta documentazione sull’attività ideologica delle chiese anche nei paesi centroeuropei dei secoli XI e XII.

La chiesa russa imponeva penitenze a quanti malmenavano orfani innocenti o rifiutavano loro un lavoro, condannava le forme estreme della vendita degli schiavi (come ad es. la tratta dei bambini) ed esigeva un esplicito pentimento da parte degli usurai. Inoltre tendeva a presentarsi come protettrice degli strati sociali più poveri, contro le forme più vergognose di oppressione e sfruttamento. Stigmatizzava altresì la ricchezza acquisita con la violenza, il furto, il brigantaggio, la corruzione, la frode: essa diceva che fino a quando non la si fosse restituita e distribuita ai poveri, il perdono dei peccati non poteva essere concesso.

L’attività della chiesa in Russia andava oltre il mero rapporto "prete-fedeli", in quanto ambiva a criticare le ingiustizie compiute dai principi: prassi, questa, senza precedenti nella regione centroeuropea. Il Trattato contro i bogomili del prete Cosmas criticava sì l’oppressione e l’arbitrio, ma avendo di mira i funzionari della chiesa (secolari e regolari), non certo il principe.

Tuttavia la chiesa russa non chiedeva di modificare sostanzialmente i rapporti feudali esistenti. Tanto è vero che predicava al popolo l’obbedienza come norma fondamentale della dottrina cristiana. E di fronte a quanti cercavano di contestare il sistema si comportava, né più e né meno, come il governo in carica. Essa voleva sì la pace sociale, ma a vantaggio soprattutto della classe dominante, cui apparteneva anche il clero medio-alto. Poteva rimproverare il principe sul piano morale, senza subire particolari ritorsioni, ma continuava a frenare sul piano politico le rivendicazioni popolari.

Diversamente dalla chiesa cattolica, la chiesa ortodossa era meno lontana dalle masse popolari, meno legata alla gerarchia ecclesiastica straniera (la chiesa latina, infatti, con l’idea del papato, pretendeva una totale sottomissione a Roma da parte di tutte le chiese cattoliche del mondo). A conferma di ciò, basta osservare il diverso modo di considerare le lingue nazionali. Nei paesi cristiani orientali gli uffici venivano celebrati nella lingua dei fedeli; in quelli cattolici invece era d’obbligo il latino ( che per il popolo era come leggere gli eratici geroglifici dell'antica casta sacerdotale d'Egitto)

Come noto, la scrittura slava venne creata verso la metà del IX sec. proprio per diffondere il cristianesimo. In certi paesi (ad es. la Carinzia) la scrittura slava era del tutto sconosciuta al momento della cristianizzazione. Nell’occidente latino la scrittura in lingua locale veniva ammessa solo per un numero assai ristretto di testi sacri. La scrittura in lingua magiara era praticamente inesistente. In Polonia si conosceva l’alfabeto slavo ma il suo uso era minimo. Nella Grande Moravia e più tardi in Boemia la sua importanza fu grande all’inizio, ma poi divenne oggetto di persecuzioni. Così pure in Croazia. Dopo lo scisma del 1054 la situazione invece di migliorare peggiorò: la chiesa latina cominciò a considerare la scrittura slava come un segno di appartenenza alla confessione ortodossa. Di tutti i paesi cristianizzati a partire dal IX sec. la Bulgaria (e parzialmente i principati serbi) fu la sola in cui questa scrittura si sviluppò liberamente. Naturalmente i contatti culturali erano più intensi fra quei paesi che utilizzavano una medesima scrittura.

(approfondiremo il seguito in una prossima puntata)

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