GLI ANTICHI FILOSOFI (i savi)

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SCUOLA D'ATENE (Raffaello)

I SETTE SAVI (Sec. IV a.C.): 
BIANTE, CHILONE, CLEOBULO, PITTACO, SOLONE
( scritti inediti - riportati  da antichi testi stampati nel 1548-1700 )

BIANTE

BIANTE - Uno dei sette Savi della Grecia, nacque a Priene, città della Caria, e fiorì nel 566 avanti l'Era Volgare. La sua reputazione fu assai grande e come ottimo cittadino e come profondo filosofo; fu stimato il più eloquente oratore del suo tempo, e tutti i suoi talenti furono impiegati nel difendere  i poveri e gli afflitti. Sopra queste due classi ancora egli profuse  le sue ricchezze, poichè in quanto a se si contentò sempre del solo necessario. Non intraprese mai una causa che egli non avesse già riconosciuta per giusta; per cui era nato il proverbio "é una causa che si addosserebbe Biante" quando voleva caratterizzarsi per giusta ed eccellente.
Egli si dilettò molto della poesia; i suoi precetti di morale, e le sue istruzioni politiche  e guerriere furono scritte in versi, i quali secondo alcuni autori, furono oltre i duemila; eccone alcune di queste massime.
Procurate di piacere a tutti: se voi vi riuscirete, troverete grandi soddisfazioni nel corso della vita. Il fasto ed il disprezzo che si mostra per gli altri non ha mai nulla prodotto di buono. Amate i vostri amici con discrezione; pensate che possono diventare vostri nemici. Odiate i vostri nemici con moderazione; imperocche' può darsi che un giorno divengano vostri amici. Sciegliete con precauzione quelle persone che voi volete eleggere per vostri amici; abbiate per essi un'eguale affetto, ma distinguete il loro merito. Imitate coloro la cui scelta vi fa onore, e siate persuasi che la virtù dei vostri amici contribuirà non poco alla vostra reputazione. Non siate solleciti a parlare, poichè dareste segni di pazzia. Procurate, mentre siete giovani, di acquistare della sapienza; sarà questa l'unica vostra consolazione nella vecchiaia: voi non potete fare un migliore acquisto e questa l'unica cosa il cui possedimento sia certo, e che nessuno potrà rapirvi.

La collera e la precipitazione sono due cose molto opposte alla prudenza. Gli uomini probi sono assai rari, i cattivi e i pazzi sono infiniti. Non mancate mai di adempiere quanto avete promesso. Parlate degli Dei in modo convenevole alla loro grandezza, e rendete loro grazie di tutte le buone azioni che farete. Non siate importuno; é meglio che siate obbligato di ricevere, che obbligare gli altri a darvi. Non intraprendete nulla inconsideratamente; ma quando avrete determinato di fare qualcosa, eseguitela con calore. Vivete sempre come se fosse all'ultimo istante dei vostri giorni, e come se dovesse rimanere lungo tempo in vita. La buona salute é un dono della natura; le ricchezze ordinariamente sono effetto della sorte; ma la sapienza é la sole che possa rendere un uomo utile.
La saviezza di Biante fu sempre conosciuta nel suo discorso, nei suoi scritti e nelle sue determinazioni. Egli era solito dire che amava meglio di giudicare una questione fra due suoi nemici, piuttosto che fra due suoi amici; ed eccone la ragione: nel primo caso, diceva egli, posso riconciliarmi con quello dei due miei nemici al quale la decisione sarà stata favorevole; nel secondo caso, posso perdere l'amicizia di quel mio amico al quale ho dovuto dar torto.
A questo proposito vien riferito, che un giorno si trovò obbligato di giudicare uno dei suoi amici al delitto del quale la legge infliggeva la pena di morte. Prima di proferire la sentenza si mise a piangere avanti a tutto il Senato: perchè piangete voi? gli disse qualcheduno; non dipende forse da voi il condannare e di assolvere il colpevole? Piango, replicò Biante, perché la natura mi obbliga ad avere compassione degl'infelici; e piango perchè la legge mi obbliga a non aver riguardo ai moti della natura.
Le ricchezze, da Biante non erano annoverate nel numero dei veri beni; egli le reputava come superflue, e di cui si poteva fare senza. Si trovò in Priene, luogo, come già abbiamo osservato, della sua nascita, nel tempo che questa disgraziata città fu presa e saccheggiata; tutti i cittadini portavan via tutto ciò che potevano, e fuggivano nei luoghi creduti più sicuri. Il solo Biante sta immobile, e sembrava riguardare con occhio d'indifferenza il disastro che in quel momento soffriva la sua diletta patria. Qualche suo concittadino si permise di domandargli perché ancor egli non pensava a salvare qualche cosa, come facevano gli altri. Ancor io faccio lo stesso, rispose Biante, poiché tutto quello che ho io porto meco, "omnia mecum porto.
L'azione che determinò i giorni di Biante non é meno illustre del rimanente della sua vita. Si era egli fatto portare nel Senato ove, con molto zelo, difendeva l'interesse di uno dei suoi amici; il calore della disputa aggiunse stanchezza all'età sua già veneranda per cui egli appoggiò la testa sul petto di un figlio della sua figlia che ivi lo aveva accompagnato. Quando l'oratore del suo avversario ebbe terminato il perorare, i giudici pronunziarono in favore di Biante che spirò tosto tra le braccia di suo nipote. Tutto la città gli fece dei magnifici funerali, e dimostrò un straordinario rammarico per la sua morte: gli fu eretta una decorosa tomba sul quale furono scolpite le seguenti parole: "Priene é stata la patria di Biante, che fu altre volte l'ornamento di tutta la Jonia, e che ha avuto dei pensieri più elevati di tutti gli altri filosofi."
La sua memoria fu in si gran venerazione, che gli fu dedicato un tempio nel quale i Priannesi gli rendevano onori straordinari.

CHILONE

CHILONE - Molti uomini dotti della Grecia crederono, e con ragione, che il viaggiare potesse contribuire all'acquisto delle cognizioni, e loro stessi si uniformarono al loro sentimento. Chilone uno dei sette Savi, pensò diversamente, poichè secondo lui il tempo peggio impiegato era appunto quello speso nei viaggi. D'altronde fu ammirato per il genere ritiratissimo di vita che osservava, per la sua moderazione, e particolarmente per il silenzio dal quale rare volte si dispensava.
Egli è l'autore di quella massima "che in ogni cosa bisogna correre lentamente" e su questa egli regolava la sua vita. Per consenso degli antichi scrittori la sua vita era un modello di virtù, fra le quali però non mancò di prender luogo anche la superstizione. Egli, per esempio stimava che l'arte di indovinare non era impossibile all'uomo, il di cui spirito, secondo la filosofia, poteva conoscere molte cose future. Vien detto che una volta dopo aver esattamente esaminata la qualità del terreno e la situazione dell'isola di Cittera, esclamò alla presenza di tutti: "Ah! Piacesse agli Dei che quest'isola non fosse mai esistita, o che il mare l'avesse sommersa sino da quando comparve; perciocchè io prevedo che ella sarà la ruina del popolo di Lacedemone". Non s'inganno; quell'isola fu presa qualche tempo dopo dagli Ateniesi, che se ne servirono per desolare il paese di Sparta.

Ecco alcune delle sue massime che inculcava perchè fossero osservate. Tre sono le cose difficili; custodire il segreto, soffrire le ingiurie, ed impiegare bene il tempo. Non bisogna mai minacciar chicchessia, perchè è una debolezza da donna. La maggior sapienza é di saper frenare la lingua nei banchetti. Non si deve mai sparlare di nessuno; altrimenti siamo esposti a farsi dei nemici ed ad ascoltare cose spiacevoli. Conviene visitare gli amici più nel tempo in cui si trovano in disgrazia, che quando sono nella felicità. E' meglio perdere che fare un guadagno ingiusto. E' cosa disdicevole il lusingare le persone che sono nell'avversità.
Un uomo coraggioso deve sempre dimostrarsi affabile, e farsi piuttosto rispettare che temere. Colla pietra di paragone si prova l'oro e l'argento; e coll'oro e l'argento si prova il cuore degli uomini. Bisogna usare ogni cosa con moderazione, perchè poi la privazione non ci riesca troppo sensibile. L'amore e l'odio non durano eternamente. Non bisogna desiderare le cose che sono troppo al disopra di noi; colui che garantisce un altro perderà sempre. Quest'ultima sentenza sembrò a Chilone di tale importanza che la fece scolpire a lettere d'oro nel tempio di Apollo a Delfo.

CHILONE sentendosi approssimare la morte, guardò i suoi amici radunati intorno a lui, e così a loro si espresse: miei amici, voi sapete che io ho detto e fatto assai cose durante i miei molti anni di vita; io ho ponderatamente esaminato ogni mia azione, e non trovo che abbia mai fatta cosa in cui mi possa pentire, se non é forse in quell'unico caso che ora vado ad esporvi e che io sottopongo alla vostra decisione per sapere se ho bene o male agito.
Mi sono trovato un giorno a giudicare uno dei miei buoni amici, che secondo le leggi, doveva essere punito di morte; io mi trovavo molto imbarazzato, poiché bisognava o violare la legge o far morire l'amico: Dopo avervi ben riflettuto trovai questo espediente: esposi con tanta accortezza tutte le migliori ragioni dell'accusato, che i miei colleghi non fecero alcuna difficoltà di assolverlo, ed io lo avevo condannato a morte senza a loro dir nulla. Ho soddisfatto ai doveri di giudice e di amico; nulladimeno sento qualche cosa nella mia coscienza che mi fa dubitare se il mio consiglio non era dannabile.
CHILONE finalmente pieno di reputazione ed oppresso dalla vecchiezza morì a Pisa per un eccesso di gioia fra le braccia del suo figlio che veniva allora coronato per aver vinto nei giochi olimpici, 597 anni avanti l'ora volgare.
Seguita la di lui morte, i Lacedemoni gli elevarono una statua.

CLEOBULO

CLEOBULO - La patria di Cleobulo fu Lindo, città marittima dell'isola di Rodi. La natura lo aveva dotato di un aspetto molto avvenente e di una presenza assai nobile. Fu universalmente riconosciuto come uno dei setti Savi della Grecia, ma il meno considerabile, poiché tutta la sua sapienza si limitò a dare alcune massime per ben vivere, delle quali eccone alcune.
In ogni cosa bisogna avere ordine, tempo e misura. Non vi é cosa al mondo la più comune che l'ignoranza e i parolai. Conviene nutrir sempre dei sentimenti elevati, e non essere né ingrato né infedele. Prima di uscire di casa convien pensare a ciò che si va a fare; quando si rientra bisogna esaminare tutto ciò che si é fatto. Il parlar poco e l'ascoltar molto é una buona regola. Si deve consigliare sempre ciò che la riflessione ci ha persuaso essere la più ragionevole. E' necessario di non abbandonarsi ai piaceri. La buona educazione dei figlioli é cosa indispensabile. Quando la fortuna é favorevole non conviene insuperbirsi, né lasciarsi opprimere quando ci volta le spalle. L'uomo deve scegliere una sposa della sua condizione; se é una di nascita più ricca e distinta della sua, avrà una padrona e altrettanti padroni quanti ne ha essa. Un uomo non deve mai lodare né rimproverare la sua moglie in presenza di altri: nel primo caso vi è della debolezza; nel secondo della pazzia.

CLEOBULO impiegò la sua gioventù a viaggiare nell'Egitto ove apprese la filosofia, secondo l'uso di quei tempi. Al suo ritorno si ammogliò con una fanciulla virtuosissima. Da questa unione nacque la celebre Cleobulina, che per la sua applicazione allo studio e per le eccellenti istituzioni di suo padre divenne così sapiente da imbarazzare i più abili filosofi di quei tempi, specialmente colle questioni enigmatiche. Cleobulo si acquistò gran reputazione per la facilità con la quale proponeva e scioglieva le questioni enigmatiche. Egli introdusse nella Grecia l'uso degli enigmi che aveva imparati in Egitto; é fra altri l'autore del seguente: "sono un padre che ha dodici figliuoli, ciascuno dei quali ha trenta figlie, ma di differente bellezza. Le une hanno la faccia bianca, le altre le hanno assai nera. Esse sono tutte immortali ma mi muoiono tutti i giorni". Questo enigma é l'anno.
CLEOBULO seppe usare prudentemente di ogni sorta di vantaggi in una condizione mediocre ed in una vita aliena dalle cure del mondo. Buon marito, fortunato padre, fu ancora un cittadino molto stimato. Egli morì in età di settanta anni, 564 avanti l' Era Volgare. I Lindiani, dispiacenti di averlo perduto, gli elevarono un magnifico sepolcro con un epitaffio, onde onorare la di lui memoria imperitura.

PITTACO

PITTACO - Nacque a Mitilene, città dell'isola di Lesbo, e fu anche lui acclamato come uno dei sette Savi della Grecia. Nella sua gioventù fu molto coraggioso, bravo soldato, gran capitano e sempre buon cittadino. Riteneva per massima che bisognava adattarsi ai tempi e approfittare delle occasioni. La sua prima impresa fu di far lega con il fratello di Alceo contro il tiranno Melancro che avendo usurpato il sovrano potere dell'isola di Lesbo, fu da Pittaco sconfitto. Questo successo gli diede grande reputazione d'intrepidità.
C'era da molto tempo, una crudele guerra tra gli abitanti di Mitilene e gli Ateniesi per il possedimento di un territorio Achillitide. I Mitilenesi scelsero Pittaco per comandare le loro truppe. Quando le due armate furono in presenza e pronte a dar battaglia, Pittaco propose di terminare le ostlità con un combattimento particolare; chiamò a duello Trinone, generale degli Ateniesi che era sempre sortito vittorioso da ogni sorta di combattimento e che era stato più volte coronato ai giochi olimpici. Trinone accettò la sfida. Si decise che il vincitore rimarrebbe senza contrasti, e unico conquistatore del territorio in questione. Questi due generali si avanzarono soli in mezzo alle due armate; Pittaco aveva nascosto sotto il suo scudo una rete e si valse tanto destramente dell'occasione che inviluppò Trinone nel momento in cui non si dubitava più di nulla, e gridò "non ho preso un uomo, è un pesce."

PITTACO lo uccise alla presenza delle due armate e restò così padrone del territorio.
L'età poi cominciò a moderare gradatamente l'ardore straordinario di Pittaco, e iniziò quindi a gustare la dolcezza della filosofia. I Mitilenesi, che nutrivano per lui un rispetto particolare, gli diedero il principato della loro città. Una lunga e faticosa esperienza gli fece riguardare con intrepida fermezza i diversi aspetti della fortuna. Dopo aver stabilito il miglior ordine nella Repubblica, rinunciò volontariamente al principato che da dieci anni teneva, e abbandonò gli affari pubblici per ritirarsi a vita privata.

PITTACO dimostrò gran disprezzo per i beni di fortuna, dopo averli un tempo desiderati. I Mitilenesi, per compensare i gran servigi che a loro aveva resi, gli offrirono un luogo ameno, circondati di boschi e di vigne ed intersecato da diversi ruscelli, oltre ai molti poderi le di cui rendite avrebbero bastato per farlo vivere splendidamente nel suo ritiro. Visitò dunque il lugo prescelto per il dono e gli parve eccessivo e anche troppo impegnativo. Egli quindi prese il suo dardo e lanciandolo a tutta forza, disse che si contentava dello spazio inquadrato a cui era giunto il suo dardo. I magistrati meravigliati della sua moderazione lo pregarono che ne dicesse il motivo; la risposta fu "Essere questa parte, più vantaggiosa del tutto". Quella grande avrebbe solo angosciato i suoi giorni.

PITTACO era di figura molto deforme: aveva sempre male agli occhi, era grasso, molto trascurato nella persona e camminava male per le infermità che aveva ai piedi. La sua consorte era figlia del legislatore Dracone; questa donna era di un'alterigia e di un'insolenza insopportabile, oltre il disprezzo che aveva del proprio marito a cagione delle sue deformità, e dell'opinione il cui ella si vantava, cioè di essere di nascita distinta. Un giorno Pittaco aveva invitato a pranzo molti filosofi suoi amici; quando tutto fu pronto, sua moglie che era sempre di cattivo umore, andò a rovesciare la tavola e tutti i cibi che vi erano sopra. Pittaco, senza alterarsi, si contentò di dire ai convitati "é una pazza, bisogna scusare la sua debolezza". Questa gran disunione che aveva sempre regnato tra lui e sua moglie, gli aveva fatto concepire molta avversione per i matrimoni male assortiti.
Un dì gli fu domandato da un uomo, quale delle due donne che erano a sua scelta dovesse prendere per moglie, osservando che una di esse era di condizione quasi uguale alla sua, e l'altra assai superiore sia per le ricchezze che per la nascita. Pittaco, alzando il bastone al quale era appoggiato gli accennò diversi fanciulli i quali si disponevano a giocare, e gli disse "va' da loro e segui il consiglio che ti daranno". Il giovane ubbidì, e fatta attenzione a ciò che dicevano i ragazzi, intese che questi nel fare alcuni giochi, prima di iniziarli, nell'assortirsi per non essere nè troppo deboli ne troppo forti, reciprocamente ripetevano "scegli il tuo eguale". Ciò lo determinò a non pensar più alla donna ricca e nobile, sposando invece quella quasi a lui uguale in condizione.
Pittaco fu assai sobrio, egli beveva quasi sempre dell'acqua, quantunque Mitilene di vini eccellenti.
I titoli delle sue opere sono state conservati da Laerzio, fra le quali vengono indicati alcuni versi elegiaci, diverse leggi in prosa scritte per i suoi concittadini, delle Epistole e dei precetti morali; sono conosciuti col nome di adomena.
Egli morì all'età di 82 anni nel 570 circa avanti l'era volgare.

SOLONE

SOLONE - Quanto é stato detto in più luoghi nella storia intorno a Solone non è sufficiente per dare ai nostri lettori un articolo epilogato di tutto ciò che ad esso é relativo, e che ci hanno tramandato i più accreditati antichi scrittori. Questo illustre sapiente della Grecia e benemerito Legislatore della sua patria é ben degno di esser conosciuto particolarmente.
SOLONE é celebrato soprattutto come il fondatore della democrazia attica. Proibi la schiavitù per debiti (cosa molto comune) abolendo perfino i contratti prima della sua riforma. Fu lui a istituire a fianco dell'Aeropago il consiglio popolare formato da quattrocento membri.
Solone nacque in Salamina e fu educato in Atene, e per assersione di Filocle egli fu figlio di Euforione, contro l'opinione di quanti altri scrivono su Solone.

Molti asseriscono anche che egli fu figliuolo di Esecestide, il quale essendo la sua origine Codro, fu più di ogni altro nella sua città indicato come il più nobilissimo e riverito cittadino.
La madre di Solone fu cugina di quella di Pisistrato, e per questo Solone amò costui come un fratello.
Avendo il padre per essere stato troppo generoso consumato tutto il patrimonio, fu Solone forzato a diventare mercante, benché lo facesse solo per fare esperienza di molte cose nella vita, più che per arricchire; ed essendosi dato poi alla filosofia, soleva dire nella sua età avanzata che egli invecchiava imparando sempre cose nuove.

SOLONE dopo aver compiuti i suoi studi filosofici e politici, viaggiò per la Grecia e specialmente in Egitto, divenuto in quel tempo il luogo più visitato di tutti i sapienti. Col suo studio, con le sue meditazioni e con la sua esperienza egli divenne eccellente oratore, poeta, legislatore ed anche buon guerriero. Come Talete, non si pose mai sotto alcun maestro. Egli é autore di quella bella e assai conosciuta massima: "Bisogna stare sul mediocre in ogni cosa".
Un giorno Solone si trovava a Mileto, ove la gran reputazione di Talete lo aveva obbligato invitandolo a fare un viaggio. Dopo essersi trattenuto per qualche tempo con questo filosofo, gli disse: Io mi meraviglio, o Talete, che voi non abbiate mai voluto ammogliarvi; voi avreste dei fanciulli che prendereste piacere ad educare. Talete non diede alcuna risposta sul momento.
Alcuni giorni dopo incaricò un uomo a fingere di essere straniero e di venire a trovarli. Quest'uomo disse che veniva da Atene in quell'istante. Ebbene, gli disse Solone, che cosa c'é di nuovo colà? Nulla, che io sappia, rispose lo straniero, ma è andato alla tomba un giovane ateniese, la cui pompa funebre era accompagnata da tutta la città a motivo della sua nascita distinta e della reputazione di cui gode presso il popolo il padre di lui: quest'uomo, soggiunse il forestiero, é già da qualche tempo assente da Atene; i suoi amici hanno intenzione di dirigersi con circospezione nel dargliene la notizia per timore che il dolore non lo faccia morire.

Oh sventurato padre! Esclamò Solone. E come chiamasi egli? L'ho ben inteso nominare, rispose lo straniero ma non me ne ricordo; ma so che dicevano essere egli un uomo di una profonda sapienza. Solone, la di cui inquitudine aumentava ad ogni istante parve turbato; non potè trattenersi dal domandare se mai fosse costui Solone. Lo straniero rispose subito: si, é proprio questo il suo nome. Solone fu mosso da un risentimento sì vivo, che cominciò a lacerarsi gli abiti, a strapparsi i capelli e a percuotersi il capo; finalmente si abbandonò a quanto sogliono fare e dire le persone che sono oppresse da un eccessivo dolore. Perchè piangere ed inquietarsi tanto, gli disse Talete, per una perdita che non può essere riparata da tutte le lacrime del mondo? Ahimé! rispose Solone, questo per l'appunto é quello che mi fa piangere; piango un male che non ha rimedio. Alla fine Talete si mise a ridere dei diversi atteggiamenti che faceva Solone: O Solone, mio amico, gli disse egli, ecco ciò che mi ha fatto temere il matrimonio; ne temevo il giogo, e conosco dal dolore del più saggio degli uomini, che il cuore, anche il più fermo non può sostenere le afflizioni che nascono dall'amore e dalla cura dei fanciulli. Non ti inquietar; tutto ciò che é stato detto non é che una favola inventata da noi.

Vi era stata per molto tempo tra Ateniesi e quelli di Megara una accesa disputa per contendersi l'Isola di Salamina. Finalmente dopo molte stragi da ambe le parti, gli Ateniesi che erano stati i perdenti dell'ultimo scontro, stanchi ormai di sparger sangue, ordinarono una punizione di morte contro il primo che osasse proporre la guerra per riconquistare Salamina, caduta in possesso dei Megaresi. Solone, non potendo sopportare una tale infamia, e vedendo che molti giovani ardevano di zelo guerriero per una tale impresa, ma che non ardivano dichiararlo per timore della legge, si finse privo di senno, e per la città già si era propagata la notizia che egli fosse impazzito.
Intanto, avendo egli stesso segretamente composti ed imparati a memoria dei versi elegiaci, si presentò nella pubblica piazza vestito di un abito lacero, con la corda al collo e con una berretta sudicia ed usata sulla testa, poi montato sulla pietra del banditore, recitò, cantando i detti versi al popolo che era accorso in gran folla. Piacesse agli Dei, esclamò egli, che Atene non fosse mai stata mia patria; ah! io vorrei essere nato a Toleganda o a Sicina od in qualunque altro luogo più orribile, più barbaro e infame di questo; almeno non avrei il dolore di vedermi sulla strada mostrare a dito, dicendo: ecco un ateniese che si é vergognosamente salvato a Salamina. Vendichiamo tosto il ricevuto affronto, e riprendiamoci quello che tanto ingiustamente i nostri nemici ci hanno preso.
Queste parole fecero sì forte impressione sull'animo degli Ateniesi, che revocarono l'editto che avevano fatto; ripresero le armi, mossero guerra ai Megaresi, e l'isola di Salamina fu riconquistata e poi nuovamente perduta per le discordie cagionate ad Atene dagli opposti partiti di Cilone e Megacle, di cui seppero approfittare i Megaresi.
Il senno di Silone seppe anche portare rimedio ai mali da cui era afflitta la patria per tali divisioni, e li ricondusse alla calma, con l'aver fatto esiliare da Atene il partito di Megacle, un disturbatore della quiete pubblica.

SOLONE divise i cittadini in quattro diverse classi censitarie, secondo i beni che ciascuno in particolare allora possedeva. Permise che tutto il popolo potesse prender parte negli affari pubblici, eccettuati i soli artigiani che non vivevano con la stessa intensità il doloroso travaglio, impegnati com'erano solo a guadagnare. Questi erano esclusi quindi dalle cariche e non godevano i medesimi privilegi degli altri del diritto elettorale.
Ordinò poi che i principali magistrati sarebbero sempre scelti fra i cittadini del primo ordine; che in una sedizione, colui che non avesse preso alcun partito fosse macchiato di infamia (desiderava la partecipazione attiva di tutti, per il buon governo); che se un uomo avesse sposata una donna di distinzione senza averne ottenuta prole, ella potesse separarsi dal consorzio del matrimonio; che le mogli portassero in dote ai loro consorti almeno tre vesti e alcuni necessari mobili anche di poco valore; che si poteva uccidere impunemente un adultero quando veniva sorpreso sul fatto: moderò il lusso delle donne ed abolì molte cerimonie che esse solevano osservare; proibì di dir male dei morti; permise a coloro che non avevano figli di istituire gli eredi che volevano loro, purchè non fossero fuori di senno al momento del testamento; ed infine fece altri regolamenti di simile natura, che furono riconosciuti tutti ottimi per il buon governo della patria, e così validi che furono incise su delle tavole.

La fama di Solone si era sparsa dappertutto. Creso re di Lidia lo chiamò a sè, ed egli ubbidì. Traversando la Lidia incontrava una gran quantità di gran signori con la loro lunga corte che spesso li prendeva ad ogni momento per il re medesimo. Finalmente si presentò a Creso che lo aspettava assiso sul suo trono, e che si era espressamente ornato di quanto aveva di più prezioso. Solone non parve meravigliato di tanta magnificenza. Creso gli disse: mio ospite, conosco la tua sapienza per fama: so che tu hai viaggiato molto; dimmi, vedesti tu mai persona più magnificamente vestita di me? Si, rispose Solone, i fagiani, i galli e i pavoni hanno qualcosa di più magnifico, poichè quanto hanno di splendido loro viene dalla natura, senza che si diano alcuna cura per adornarsi.
Una risposta così inaspettata sorprese Creso ma non l'avillì; comandò ai suoi subalterni di mostrare a Solone tutti i suoi tesori, le sue preziose supellettili, ed infine tutti gli oggetti della sua già rinomata magnificenza e ricchezza: poi fatto venire nuovamente Solone avanti di sè, gli disse: avete voi mai veduto un uomo più felice di me? Si, gli rispose Solone, ho veduto Tello, cittadino di Atene, che visse da uomo dabbene, lasciò due figli molto stimati, con una sostanza proporzionata alla loro sussistenza, ed infine ebbe la felicità di morire con le armi in mano, riportando una vittoria per la sua patria. Gli Ateniesi gli hanno eretto una tomba nel luogo medesimo ove perdette la vita, e gli hanno reso dei grandi onori più che a un re.

Dopo dieci anni di assenza, Solone ritornò in Atene ove con gran dolore trovò i suoi concittadini agitati da discordie intestine, e la più gran parte delle sue leggi messe fuori d'uso. Con uguale amarezza osservò l'usurpazione che aveva fatto Pisistrato del supremo potere nella sua patria; perciò non potendo egli rimanere più a lungo spettatore di tanti disastri, si ritirò nell'isola di Cipro ove morì in età di 80 anni, nel 558 avanti l'era volgare. Solone non fu nemico dei piaceri durante la sua vita. Amava i lauti conviti, la musica, e quanto può rendere la vita voluttuosa. Solamente aveva in odio quelle rappresentazioni teatrali nelle quali si annunziavano delle cose inventate a piacere; parlando di Tespi, che organizzava tali cose, si espresse in questo modo, con i suoi concittadini per dissuaderli di assistere alle rappresentazioni di questo autore del tragico così tanto riverito: "Se noi onoriamo e applaudiamo negli spettacoli la menzogna, la troveremo ancora nelle nostre promesse più sacre".
Fu osservato che nel suo codice non aveva parlato di parricidio; interrogato perchè lo avesse omesso, egli rispose " perchè non ho creduto potervi essere delle persone tanto scellerate per uccidere il loro padre e la loro madre".
Fra le sue massime ricordiamo la seguente: "Un uomo di 70 anni non deve temere più la morte, nè deve più lagnarsi delle sciagure della vita".

 

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