PARTE SECONDA

CAPITOLO I
L
e opinioni e le credenze delle folle - I fattori lontani

Fattori preparatorii delle credenze delle folle. - Il fiorire delle credenze delle folle è la conseguenza di un'elaborazione anteriore. - Studio dei diversi fattori di queste credenze. - 1.° La razza. - Preponderante influenza esercitata dalla razza. - Essa rappresenta la suggestione degli antenati. - 2.° Le tradizioni. - Esse sono la sintesi dell'anima della razza. - Importanza sociale delle tradizioni. Come, dopo esser state necessarie, diventano dannose. - Le folle sono le conservatrici più tenaci delle idee tradizionali - 3.° Il tempo. - Esso prepara successivamente la formazione delle credenze, poi la loro distruzione. -- In grazia sua l'ordine può uscire dal caos. - 4.° Le istituzioni politiche e sociali. Idee errate sulla loro funzione. - La loro influenza é debolissima, - Sono effetti, e non cause. I popoli non saprebbero scegliere le istituzioni che a loro sembrano migliori. - Le istituzioni sono etichette che, sotto uno stesso titolo, nascondono le cose più dissimili. Come possono nascere le costituzioni. - Necessità per certi popoli di alcune costituzioni teoricamente cattive, come la centralizzazione. - 5.° L'istruzione e l'educazione. - Errore delle idee attuali sulla influenza dell'istruzione sulle folle. - Statistiche. Funzione demoralizzatrice dell'educazione latina. - Influenza che l'educazione potrebbe esercitare. Esempi che ci forniscono diversi popoli.

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Abbiamo studiato la costituzione mentale delle folle. Conosciamo la loro maniera di sentire, di pensare, di ragionare. Esaminiamo ora come nascano e prendano piede le loro opinioni e le loro credenze. I fattori che determinano le opinioni e le credenze sono di due specie: fattori lontani e fattori immediati.

I fattori lontani rendono le folle capaci di accettare certe convinzioni e incapaci di lasciarsi penetrare da altre. Essi preparano il terreno dove, improvvisamente, germinano idee nuove, la cui forza e il cui risultato ci sorprendono, ma che di spontaneo non hanno che l'apparenza. L'esplosione e la messa in opera di certe idee nelle folle presentano, qualche volta, una rapidità straordinaria. Questo non é che effetto superficiale, dietro cui si deve cercare - il più delle volte - un lungo lavorio anteriore.

I fattori immediati sono quelli che, sovrapposti a questo lungo lavorio - senza i quali non potrebbero agire - provocano la persuasione attiva nelle folle, vale a dire fanno prendere forma all'idea, la fanno mettere in atto con tutte le conseguenze. Dietro la spinta di questi fattori immediati nascono le risoluzioni che sollevano improvvisamente le collettività; sono questi fattori che fanno scoppiare una sommossa o decidono uno sciopero; sono essi che fanno portare da una gran maggioranza un uomo al potere, o fanno cadere un governo.

In tutti i grandi avvenimenti storici, si può constatare l'azione successiva di queste due specie di fattori. La Rivoluzione francese - per prendere l'esempio più tipico - ebbe tra i fattori lontani le critiche degli scrittori, le concussioni dell'antico regime. L'anima delle folle, così preparata, fu, in seguito, facilmente sollevata dai fattori immediati, come i discorsi degli oratori e la resistenza della corte alle proposte di insignificanti riforme.

Tra i fattori lontani, ce ne sono di generali, che si ritrovano in fondo a tutte le credenze e le opinioni delle folle; e sono: la razza, le tradizioni, il tempo, le istituzioni, l'educazione. Studieremo la rispettiva funzione di tutti questi fattori.

1.° - La razza.

Questo fattore deve essere messo in prima fila, poiché é più importante di tutti gli altri insieme. L'abbiamo studiato profondamente in un precedente volume, quindi sarebbe inutile dilungarsi anche qui. Colà abbiamo dimostrato cos'é una razza storica, e come, dacché i suoi caratteri sono formati, le sue credenze, le istituzioni, le arti, insomma tutti gli elementi della sua civiltà, diventino l'espressione esteriore della sua anima. Il potere della razza é tale che nessun elemento potrebbe passare da un popolo ad un altro senza subire profonde modificazioni (*).
(*) Questa asserzione é ancora nuova, e siccome la storia non é comprensibile senza di essa, io ho consacrato parecchi capitoli della mia opera ("Le leggi psicologiche dell'evoluzione dei popoli") alla sua dimostrazione. Il lettore vedrà che nonostante le apparenze ingannevoli, né la lingua, né la religione, né le arti, in una parola, nessun elemento di civiltà, può passare intatto da un popolo a un altro.

L'ambiente, le circostanze, gli avvenimenti rappresentano le suggestioni sociali del momento. Possono esercitare un'azione importante ma sempre mo
mentanea se è contraria alle suggestioni della razza, vale a dire di tutti gli antenati.
In parecchi capitoli di quest'opera avremo ancora occasione di riparlare dell'influenza della razza, e di mostrare che questa influenza é così grande che domina i caratteri propri dell'anima delle folle. Per questo le moltitudini dei diversi paesi hanno nelle loro credenze e nella loro condotta delle differenze molto accentuate e non possono essere influenzate nello stesso modo.

2.° - Le tradizioni.

Le tradizioni rappresentano le idee, i bisogni, i sentimenti del passato. Esse sono la sintesi della razza e gravano su di noi con tutto il loro peso.
Le scienze biologiche sono state trasformate da che l'embriologia ha mostrato l'influenza immensa del passato nell'evoluzione degli esseri, e anche le scienze storiche si trasformeranno egualmente quando questa nozione sarà più conosciuta. Non lo é ancora abbastanza, e molti uomini di Stato sono rimasti alle idee dei teorici dell'ultimo secolo, credendo che la società possa staccarsi dal passato ed essere rifatta completamente, guidata dalla luce della ragione.

Un popolo é un organismo creato dal passato. E come tutti gli organismi, non può modificarsi che per lente accumulazioni ereditarie.
La vera guida dei popoli sono le sue tradizioni; e, come ho ripetuto tante volte, non ne cambiano facilmente che le forme esteriori. Senza tradizione, vale a dire senza anima nazionale, non é possibile nessuna civiltà.

Inoltre le due grandi occupazioni dell'uomo da che egli esiste, sono state quelle di crearsi un insieme di tradizioni e poi di distruggerle allorché i loro benefici effetti si erano esauriti. Senza stabili tradizioni non vi é civiltà; ma senza la lenta eliminazione di queste tradizioni, non vi é progresso. La difficoltà é quella di trovare un giusto equilibrio fra la stabilità e la variabilità. Tale difficoltà é immensa.

Quando un popolo lascia i propri costumi fissarsi troppo solidamente per numerose generazioni, non può più evolversi e diventa, come la Cina, incapace di perfezionamento. Le stesse rivoluzioni violente diventano impotenti, perché in tal caso avviene che i pezzi infranti della catena si risaldino, e allora il passato riprende senza cambiamenti il suo dominio, o che i frammenti dispersi generino l'anarchia e ben presto la decadenza.

Compito fondamentale di un popolo deve essere anche quello di custodire le istituzioni del passato, modificandole a poco a poco. Compito difficile: i Romani, nell'antichità, e gli Inglesi, oggi, sono quasi gli unici ad averlo realizzato.

I conservatori più tenaci delle idee tradizionali, e che più ostinatamente si appongono al loro cambiamento, sono precisamente le folle, e soprattutto le categorie delle folle che costituiscono le caste. Io ho già insistito su questo spirito conservatore e dimostrato che molte delle rivolte non conducono se non a cambiamenti di parole. Alla fine del secolo scorso, vedendo le chiese distrutte, i preti espulsi o ghigliottinati, la universale persecuzione del culto cattolico, si poteva credere che le vecchie idee religiose avessero perduto ogni potere; e tuttavia, dopo qualche anno, l'universale volontà condusse al ristabilimento del culto abolito (*).

Nessun esempio dimostra meglio la potenza delle tradizioni sull'animo delle folle. I templi non custodiscono gli idoli più temibili, né i palazzi i tiranni più dispotici. Colà si distruggono facilmente. I signori invisibili che regnano sulle nostre anime sfuggono a ogni tentativo di sopprimerli e non cedono che col loro lento consumarsi nei secoli.
(*) Il rapporto dell'antico membro della Convenzione, Fourcroy, citato dal Taine, è in proposito assai preciso: «Quel che per ogni dove si vede sulla celebrazione della domenica e sulla frequenza delle chiese prova che la massa dei Francesi vuol tornare ai vecchi usi, e non è più tempo di resistere a questa inclinazione nazionale. La gran massa degli uomini ha bisogno di religione, di culto e di preti. È un, errore di qualche filosofo moderno, verso il quale io stesso sono trascinato, quello di credere alla possibilità di una coltura abbastanza diffusa per distruggere i pregiudizi religiosi; per la maggior parte degli infelici, essi sono una sorgente di consolazione... Bisogna dunque lasciare alla massa del popolo i suoi preti, i suoi altari e il suo culto ».


3.° - Il tempo.

Nei problemi sociali, come nei problemi biologici uno dei più energici fattori é il tempo. Esso rappresenta il vero creatore e il vero distruttore. E' il tempo che ha edificato le montagne coi granelli di sabbia ed elevato a dignità umana l'oscura cellula dei tempi geologici. Per trasformare un qualsiasi fenomeno, basta far intervenire i secoli. Si dice con ragione che una formica la quale avesse tempo sufficiente, potrebbe livellare il Monte Bianco. Un essere che possedesse il magico potere di disporre del tempo a suo piacimento, avrebbe la potenza che i credenti attribuiscono al loro Dio.

Ma noi non dobbiamo occuparci, qui, che dell'influenza del tempo nella genesi delle opinioni delle folle. Da questo punto di vista la sua azione é immensa. Da esso dipendono grandi forze, come la razza, che non possono formarsi senza di lui. Il tempo fa evolvere e morire tutte le credenze. Per mezzo del tempo esse acquistano e perdono il loro potere.

Il tempo prepara le opinioni e le credenze delle folle, vale a dire il terreno dove germogliano. Si sa che certe idee realizzabili in un'epoca, non lo sono in un'altra. Il tempo accumula i numerosi residui delle credenze e dei pensieri, sui quali nascono le idee di un'epoca. Queste non nascono a caso. Le loro radici si abbarbicano lontano nel passato. Il tempo prepara il loro fiorire; per capirne la genesi bisogna sempre risalire indietro nel tempo. Le idee sono figlie del passato e madri dell'avvenire, e sempre schiave del tempo.

Dunque, quest'ultimo é il nostro vero padrone e basterebbe lasciarlo agire per vedere tutte le cose trasformarsi. Oggi ci preoccupiamo assai delle aspirazioni minacciose delle folle, delle distruzioni e degli sconvolgimenti che esse presagiscono. Il tempo soltanto si incaricherà di ristabilire l'equilibrio. « Nessun regime, scrisse molto giustamente Lavisse, si formò in un giorno. Le organizzazioni politiche e sociali sono opere che richiedono dei secoli; il feudalismo, fu per qualche secolo un regime, informe e caotico, prima di trovare le sue regole; anche la monarchia assoluta visse parecchi secoli prima di trovare il miglior mezzo di governo, e in quei periodi d'attesa vi furono molti turbamenti ».


4.° - Le istituzioni politiche e sociali.

E' ancora diffusa l'idea che le istituzioni possano rimediare i difetti della società, che il progresso dei popoli sia il risultato delle costituzioni e dei governi e che i cambiamenti sociali si possano operare a furia di decreti. La Rivoluzione francese ebbe questa idea per punto di partenza e le teorie sociali di oggi vi prendono il punto di appoggio.

Le continue esperienze non sono riuscite a far cadere questa temibile chimera. Invano filosofi e storici hanno cercato di dimostrarne l'assurdità. Tuttavia non é loro stato difficile provare che le istituzioni sono figlie delle idee, dei sentimenti e dei costumi; e che non si può rifare idee, sentimenti, costumi, rifacendo i codici. Un popolo non sceglie le istituzioni che gli aggradano, come non sceglie il colore dei suoi occhi o dei suoi capelli. Le istituzioni e i governi rappresentano il prodotto della razza.
Ben lontani dall'essere i creatori di un'epoca, sono le sue creature. I popoli non sono governati secondo il loro capriccio d'un momento, bensì come richiede il loro carattere. A volte ci vogliono dei secoli per formare un regime politico e dei secoli per mutarlo.
Le istituzioni non hanno nessuna virtù intrinseca, in se stesse non sono né buone, né cattive. Possono essere buone in un certo momento per un dato popolo, e detestabili per un altro.

Un popolo, dunque, non ha il potere di cambiare realmente le sue istituzioni. Può certamente, a costo di violente rivoluzioni, modificarne il nome, ma il fondo non si modifica. I nomi sono le vane etichette di cui la storia, che deve badare al valore reale delle cose, non deve tener conto. Così il paese più democratico del mondo è l'Inghilterra (*), governata tuttavia da un regime monarchico, mentre le repubbliche ispano-americane, rette da costituzioni repubblicane subiscono il dispotismo più gravoso. Il destino dei popoli è determinato dai loro caratteri e non dai loro governi. Ho tentato di dimostrare questa verità in un precedente volume, portando esempi inconfutabili.
(*) Lo riconoscono, anche negli Stati Uniti, i repubblicani più spinti. Il giornale americano Forum esprimeva questa opinione categorica con queste parole, secondo la Review of Reviews del dicembre 1894: «Non si deve mai dimenticare, anche dai più ferventi uomini dell'aristocrazia, che l'Inghilterra é, oggi, il paese più democratico del mondo, quello in cui i diritti dell'individuo sono più rispettati e in cui gli individui hanno più libertà ».

E' , una fatica puerile, un inutile esercizio di retore il perdere il tempo a fabbricare costituzioni. La necessità e il tempo si incaricano di elaborarle, quando si lasciano agire questi due fattori. Il grande storico Macaulay, in alcuni periodi che i politicanti di tutti i paesi latini dovrebbero imparare a memoria, dimostra che gli Anglo-Sassoni si sono regolati così. Dopo avere spiegato i benefici delle leggi, che dal punto di vista della ragione pura, sembrano un caos di assurdità e di contraddizioni, lo storico paragona le dozzine di costituzioni morte negli sconvolgimenti dei popoli latini d'Europa e d'America con quella dell'Inghilterra, e fa vedere che quest'ultima é stata cambiata molto lentamente, in parte, sotto l'influenza delle necessità immediate e mai da ragionamenti speculativi.
«Non bisogna preoccuparsi della simmetria, ma molto dell'utilità; non togliere un'anomalia solo perché tale; non fare delle innovazioni se non quando si fa sentire qualche disagio e in questo caso fare delle innovazioni che bastino soltanto a togliere quel disagio; non fare mai una proposta più grande del caso particolare a cui si vuol rimediare; queste sono le regole che, dal tempo di Giovanni sino a quello di Vittoria, hanno quasi sempre guidato le deliberazioni dei nostri 250 parlamenti ».

Bisognerebbe prendere ad una ad una le leggi, le istituzioni di tutti i popoli per far vedere a che punto esse sono l'espressione dei bisogni della loro razza, e come non potrebbero essere improvvisamente trasformate. Si possono fare dissertazioni filosofiche, ad esempio, sui vantaggi e gli inconvenienti della centralizzazione; ma quando vediamo un popolo, composto di razze diverse, consacrare mille anni di sforzi per arrivare progressivamente a questa centralizzazione, quando constatiamo che una grande rivoluzione avente per scopo di distruggere tutte le istituzioni dei passato, fu obbligata, non soltanto a rispettare questa centralizzazione, ma perfino ad esagerarla, possiamo concludere che essa é figlia di imperiose necessità, condizione della stessa esistenza, e possiamo compiangere il poco acume degli uomini politici che la vogliono distruggere. Se per caso le loro opinioni trionfassero, questa vittoria sarebbe il segnale di una sconvolgente anarchia (*) che, d'altra parte, porterebbe a una nuova centralizzazione più gravosa dell'antica.
(*) Se si confrontano i profondi dissensi religiosi e politici che separano le diverse parti della Francia - e sono soprattutto questioni di razza, di tendenze separatiste, manifestatesi all'epoca della Rivoluzione e delineatesi nuovamente verso la fine della guerra franco-tedesca - si vede che le razze diverse esistenti sulla nostra terra, sono ancora ben lontane dall'essere fuse insieme La centralizzazione energica della Rivoluzione e la creazione dei dipartimenti artificiali destinati a mescolare le antiche province fu certamente la sua opera più utile, Se la decentralizzazione, di cui oggi parlano spiriti imprevidenti, potesse essere attuata, finirebbe con le più sanguinose discordie. Non riconoscere ciò, vuol dire dimenticare completamente la nostra storia.

Concludiamo quindi che non bisogna cercare nelle istituzioni il mezzo per agire profondamente sull'anima delle folle. Certi paesi, come gli Stati Uniti, prosperano meravigliosamente con istituzioni democratiche e altri, come le repubbliche ispano-americane, vegetano nella più deplorevole anarchia, nonostante istituzioni simili. Queste istituzioni sono pure estranee alla grandezza degli uni e alla decadenza delle altre.
I popoli sono governati dal loro carattere, e tutte le istituzioni che non sono modellate sul carattere non sono che un abito preso a prestito, un travestimento transitorio. Certamente guerre sanguinose, rivoluzioni violente sono state fatte, e si faranno ancora per imporre istituzioni alle quali si attribuisce il potere sovrannaturale di creare la felicità. Si potrebbe dire, in un certo senso, che le istituzioni agiscono sull'anima delle folle poiché generano simili turbamenti. Ma noi sappiamo che, in realtà, siano vittoriose o vinte, non posseggono in se stesse nessuna virtù. Quindi la loro conquista non é che un'illusione.


5.° - L'istruzione e l'educazione.

In prima fila, tra le idee dominanti ai nostri tempi, si trova questa : l'istruzione ha per risultato sicuro di migliorare gli uomini e di renderli uguali. Per il solo fatto della ripetizione, questa asserzione ha finito per diventare uno dei dogmi più incrollabili della democrazia. Sarebbe altrettanto difficile sminuirli ora, quanto sarebbe stato difficile sminuire un tempo quelli della Chiesa.
Ma su questo punto come su molti altri, le idee democratiche sono in profondo disaccordo con i dati della psicologia e dell'esperienza. Molti filosofi eminenti, Erberto Spencer specialmente, faticarono poco a dimostrare che l'istruzione non rende l'uomo né più morale né più felice, che non cambia i suoi istinti e le sue passioni ereditarie e, se mal diretta, può diventare dannosa invece di utile. Le statistiche hanno confermato questa asserzione rilevandoci che la criminalità aumenta con la generalizzazione dell'istruzione, e che i peggiori nemici della società sono molto spesso dei laureati.
Un distinto magistrato, Adolfo Guillot, faceva notare che presentemente si contano 3000 criminali istruiti contro 1000 analfabeti, e che, in cinquant'anni, la criminalità é salita da 227 per 100.000 abitanti, a 552, cioè un aumento del 133 per cento. Egli ha anche notato coi suoi colleghi che la delinquenza fa progressi specialmente nei giovani per i quali la scuola gratuita e obbligatoria ha sostituito il patronato.

Nessuno, certo, ha mai sostenuto che l'istruzione ben diretta non possa dare risultati pratici molto utili, se non per elevare la moralità, almeno per sviluppare le capacità professionali. Disgraziatamente i popoli latini, specialmente da una trentina d'anni, hanno basato i loro sistemi di istruzione su principi molto difettosi, e, nonostante le osservazioni di persone eminenti, persistono nel loro deplorevole errore. Io stesso in altre opere ho dimostrato che la nostra educazione attuale trasforma in nemici della società una gran parte di quelli che l'hanno ricevuta, e recluta molti discepoli delle peggiori forme del socialismo.

Il primo pericolo di questa educazione - molto giustamente qualificata latina - é di basarsi su un errore psicologico fondamentale: credere che l'imparare a memoria dei manuali, sviluppi l'intelligenza.
Quindi si cerca d'imparare il più possibile; e dalla scuola elementare all'università, il giovanetto non fa che impinzarsi del contenuto dei libri, senza esercitare mai il suo giudizio e la sua iniziativa. L'istruzione, per lui, consiste nel recitare e obbedire. « Imparare delle lezioni, sapere a memoria una grammatica o un compendio, ripeterli bene, ecco - scriveva un vecchio ministro dell'Istruzione pubblica, Jules Simon - una piacevole educazione dove tutto lo sforzo è un atto di fede davanti all'infallibilità del maestro, e che non riesce che a sminuirci e a renderci impotenti ».

Se questa educazione fosse soltanto inutile, ci si potrebbe limitare a compiangere disgraziati fanciulli ai quali si preferisce insegnare, invece di tante cose necessarie, la genealogia dei figli di Clotario, le lotte della Néustria e dell'Austrasia, o delle classificazioni zoologiche; ma essa presenta il pericolo assai più serio di ispirare in colui che l'ha ricevuta, un disgusto violento della condizione in cui é nato, e l'intenso desiderio di uscirne. L'operaio non vuol più rimanere operaio, il contadino non vuole essere più contadino, e l'ultimo fra i borghesi più non vede per suo figlio altra carriera possibile che quella di funzionario di Stato. Invece di preparare degli uomini per la vita, la scuola non li prepara che a funzioni pubbliche in cui la riuscita non esige alcuno spirito d'iniziativa. In basso alla scala sociale, essa crea quei militi del proletariato scontenti del loro destino e sempre pronti alla rivolta, in alto, la borghesia frivola, scettica e credula ad un tempo, tutta piena di fiducia verso lo Stato provvidente e che tuttavia essa biasima continuamente, incolpando sempre il governo delle proprie colpe e incapace di intraprendere qualsiasi cosa senza l'intervento dell'autorità.

Lo Stato, che fabbrica a furia di manuali tutti i suoi diplomati, non può utilizzarne che un piccolo numero, ed è costretto a lasciare gli altri senza impiego. E perciò necessario rassegnarsi a nutrire i primi e ad avere come nemici i secondi. Dall'alto al basso della piramide sociale la massa formidabile dei diplomati assedia oggigiorno gli impieghi. Un negoziante può assai difficilmente trovare un agente per andare a rappresentarlo nelle colonie, ma i più modesti impieghi ufficiali sono sollecitati da migliaia di aspiranti. Il dipartimento della Senna conta da solo 20.000 maestri e maestre senza impiego, e che, dispregiando i campi e l'officina, si rivolgono allo Stato per vivere. Essendo limitato il numero dei prescelti, quello degli scontenti é necessariamente immenso.

Questi ultimi sono disposti a tutte le ribellioni, qualunque siano i capi e gli scopi perseguiti. L'acquisizione di conoscenze inutilizzabili é un sicuro mezzo per trasformare l'uomo in ribelle (*).
(*) Questo non é, del resto, un fenomeno particolare ai popoli latini; lo si riscontra anche in Cina, paese retto da una solida gerarchia di mandarini, e in cui il mandarinato si ottiene per concorsi la cui prova è unicamente la recitazione imperturbabile di voluminosi manuali.
L'esercito dei letterati senza impiego è considerato, oggi, in Cina come una vera calamità nazionale.. E anche nell'India, ove, da che gli Inglesi hanno aperto le scuole, non come in Inghilterra, per educare, ma semplicemente per istruire gli indigeni, si é formata una classe di letterati, i Babù, i quali, quando non possono conquistarsi una posizione, diventano nemici irriconciliabili della potenza inglese. In tutti i Babù, muniti di un impiego, il primo effetto dell'istruzione é stato di abbassare immensamente il livello della moralità. Io ho a lungo insistito su questo punto nel mio libro "Le Civiltà dell'India". Tutti gli autori che hanno visitato la grande penisola l'hanno ugualmente constatato.



Evidentemente è troppo tardi per risalire una tale corrente. Soltanto l'esperienza, unica educatrice dei popoli, si incaricherà di disvelarci il nostro errore.

Soltanto essa saprà provarci la necessità di sostituire i nostri odiosi manuali, i nostri meschini concorsi per un'istruzione professionale capace di ricondurre la giovinezza verso i campi, le officine, le imprese coloniali, oggi abbandonate.
Quest'istruzione professionale, ora reclamata da tutti gli spiriti illuminati, fu quella che ricevettero un tempo i nostri padri, e che i popoli attualmente dominatori del mondo hanno saputo conservare con la loro volontà, la loro iniziativa, il loro spirito intraprendente. In pagine notevoli, delle quali riprodurrò più innanzi qualche passo essenziale, Taine ha nettamente dimostrato che la nostra educazione d'un tempo era press'a poco quel che é oggi l'educazione inglese o americana, e in un importante raffronto tra il sistema latino e il sistema anglo-sassone, egli ha fatto vedere le conseguenze dei due metodi.

Si potrebbero forse accettare tutti gli inconvenienti della nostra educazione classica, quand'anche non creasse che spostati e scontenti, se l'acquisizione superficiale di tante conoscenze, la perfetta recitazione di tanti manuali elevassero il livello dell'intelligenza.

Ma raggiunge essa realmente questo risultato? Ohimé, no ! Il giudizio, l'esperienza, l'iniziativa, il carattere sono le condizioni di successo nella vita; e tutte questo non lo si apprende sui libri. I libri sono i dizionari utili da consultarsi, ma dei quali è perfettamente inutile immagazzinare nella testa lunghi frammenti.
Come può l'istruzione professionale sviluppare l'intelligenza in una misura che sfugge completamente all'istruzione classica ? Taine lo ha dimostrato assai bene nel passo seguente
« Le idee non si formano che nell'ambiente naturale e normale; ciò che alimenta il loro germe sono le innumerevoli impressioni sensibili che il giovane tutti i giorni riceve all'officina, nella miniera, al tribunale, allo studio, sul cantiere, all'ospedale, dinanzi allo spettacolo degli strumenti, dei materiali e delle operazioni, in presenza dei clienti, degli operai, dei lavoro, dell'opera particolare dell'occhio, dell'orecchio, delle mani e dello stesso odorato, che, involontariamente raccolte o sordamente elaborate si organizzano in lui per suggerirgli presto o tardi combinazioni nuove, semplificazione, economia, perfezionamento o invenzione. Di tutti questi contatti preziosi, di tutti questi elementi assimilati ed indispensabili è privato il giovane alunno, e proprio nell'età feconda: per sette od otto anni egli è sequestrato in una scuola, lontano dall'esperienza diretta e personale che gli avrebbe dato la nozione esatta e viva delle cose, degli uomini e dei diversi modi di dominarli.
... Almeno nove su dieci hanno perduto tempo e fatica; parecchi anni della loro vita, anni efficaci, importanti e anche decisivi. Calcolate intanto la metà o i due terzi di quelli che si presentano all'esame, voglio dire i rifiutati; poi, tra gli ammessi, graduati, brevettati e diplomati, ancora la metà o i due terzi, voglio dire gli affaticati. Si é loro domandato troppo esigendo che in un tal giorno, su una sedia o dinanzi a un tavolo, fossero per due ore e per un gruppo di scienze, viventi repertori di tutta l'umana conoscenza. Difatti lo sono stati, o quasi, quel giorno, per due ore; ma un mese dopo, non lo sono più. Essi non potrebbero subire di nuovo l'esame; le loro acquisizioni, troppo numerose e troppo pesanti, sfuggono incessantemente fuori del loro spirito, e non ne acquistano di nuove. Il loro vigore mentale ha ceduto; la linfa feconda si é disseccata, l'uomo fatto compare, invece spesso é già finito. Collocato a posto, ammogliato, rassegnato a girare a tondo e indefinitamente nello stesso cerchio, si rifugia nel suo piccolo ufficio; lo assolve correttamente, e non vede più nulla all'infuori di quello. Tale é il rendimento medio; certamente la ricetta non compensa la spesa. In Inghilterra e in America, o, come un tempo in Francia, prima del 1789, si impiega il processo inverso, e il rendimento ottenuto è uguale o superiore ».


L'illustre storico ci mostra poi la differenza del nostro sistema con quello degli Anglo-Sassoni. Presso di loro l'insegnamento non proviene dal libro, ma dalla cosa stessa. L'ingegnere, ad esempio, formandosi in un'officina e mai in una scuola, ne deriva che ognuno può arrivare esattamente al grado che la sua intelligenza comporta: operaio o ispettore se egli è incapace di andare più lontano : ingegnere, se le sue attitudini lo permettono. E' un processo democratico e utile per la società, assai diverso da quello che fa dipendere tutta la carriera di un individuo da un esame di qualche ora, subìto a diciotto o vent'anni.

« All'ospedale, nella miniera, nella manifattura, dall'architetto, dall'uomo di legge, l'allievo, ammesso giovanissimo, fa il suo tirocinio e press'a poco come da noi uno scrivano nel suo ufficio o un allievo pittore nel suo studio. Anzitutto, prima di entrare, egli ha potuto seguire qualche corso generale e sommario, allo scopo d'avere un quadro belle e pronto in cui collocare le sue osservazioni. Tuttavia, c'è spesso, qualche corso tecnico che egli potrà seguire nelle ore libere, allo scopo di coordinare di mano in mano le sue esperienze quotidiane. Sotto un simile regime, la capacità pratica cresce e si sviluppa di per sé stessa, proprio sino al grado che le facoltà dell'allievo permettono, e nella direzione richiesta dalla sua futura necessità per l'opera particolare alla quale sin da principio vuole adattarsi. In tal modo, in Inghilterra e negli Stati Uniti, il giovane riesce presto a trarre da se medesimo tutto ciò di cui è capace. Da venticinque anni, e anche assai prima, se la sostanza e il fondamento non gli mancano, egli é non solo un esecutore utile, ma anche un uomo di spontanea intraprendenza; non solo un meccanismo, ma anche un motore. In Francia, dove il processo inverso ha prevalso, e ogni generazione diventa sempre più cinesizzata, il totale delle forze perdute è enorme ».

E il grande filosofo arriva alla seguente conclusione sulla sproporzione crescente della nostra educazione latina e della vita.
"Nei tre gradi dell'istruzione - per l'infanzia, l'adolescenza e la gioventù - la preparazione teorica e scolastica sui banchi, per mezzo dei libri, s'é prolungata e aggravata, in vista dell'esame o del grado o del diploma o del brevetto, e coi mezzi peggiori: con l'applicazione di un regime antinaturale e antisociale, col convitto, coll'eccessivo ritardo del tirocinio pratico, con l'allenamento artificiale e il riempimento meccanico, con lo strapazzo, senza considerazione del tempo in cui il ragazzo sarà adulto e delle funzioni virili che l'uomo fatto dovrà compiere, non tenendo conto del mondo reale dove il giovane dovrà vivere, della società a cui bisogna adattarlo o farlo piegare, del conflitto umano dove per difendersi e tenersi in piedi, egli dovrà essere, anzitutto, equipaggiato, armato, esercitato e pieno di forza.
« Questo necessario equipaggiamento, questi requisiti più importanti di tutti gli altri, questa solidità del buon senso, della volontà e dei nervi, le nostre scuole non glieli procurano; al contrario, ben lontane dal qualificarlo, lo squalificano per la sua condizione prossima e definitiva. La sua entrata nel mondo e i suoi primi passi nel campo dell'azione pratica, spesse volte, non sono che una serie di cadute dolorose; egli ne resta ferito, ne porta le tracce a lungo, e qualche volta per sempre. È una dura e pericolosa prova; l'equilibrio morale e mentale si altera, e corre rischio di non ristabilirsi più; la delusione è stata troppo improvvisa e completa; i disinganni sono stati troppo grandi e il disgusto troppo forte » (*).

(*) Taine. Il regime moderno, v. II, 1894. - Queste pagine sono quasi le ultime che Taine scrisse. Riassumono molto bene il risultato delle sue lunghe esperienze. L'educazione é il nostro solo mezzo per agire un poco sull'anima del popolo:. E molto triste che quasi nessuno in Francia arrivi a comprendere che spaventoso elemento di decadenza costituisca il nostro insegnamento attuale. Invece di educare la gioventù, la abbassa e la pervertisce".

Ci siamo allontanati dalla psicologia delle folle ? No di certo. Per comprendere le idee, le credenze che oggi germinano nelle folle, per fiorire domani, bisogna sapere come è stato preparato il terreno. L'insegnamento dato alla gioventù d'un paese, permette di prevedere un po' il destino di quel paese. L'educazione della generazione d'oggi giustifica le più tristi previsioni. L'anima delle folle, in parte, si migliora o si altera con l'istruzione. Era dunque necessario far vedere come l'ha foggiata, e come la massa degli indifferenti e dei neutrali é diventata progressivamente un immenso esercito di malcontenti, pronto a seguire tutte le suggestioni degli utopisti e dei retori. La scuola, oggi, forma dei malcontenti e degli, anarchici e prepara, per i popoli latini, dei periodi di decadenza.

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