MEDI E PERSIANI

Persepoli


L'IRAN - I MEDI E I PERSIANI - USI E COSTUMI - LA RELIGIONE E LA MORALE
STORIA - CIRO - DARIO - LINGUA E LETTERATURA - L'ARTE

L'IRAN.
(nome dato nel 1935 dallo scià Riza Khan
(fondatore della dinastia Pahlavi)
in sostituzione di quello di Persia
(Iran significa "terra degli Arii"
- Vedi questo recente periodo )

Il vasto altopiano dell' Iran si stende dalla valle del Tigri a quella dell'Indo, ed è limitato a nord dalla depressione che racchiude il mar Caspio e il bassopiano turanico, e a sud dal golfo Persico e dall'Oceano Indiano. Questo territorio di più d'un milione e mezzo di chilometri quadrati - attualmente diviso - fu la sede della potenza dei Medi e dei Persiani (o Persi), popoli d'origine ariana, ossia della razza dei popoli d'Europa, che dovevano sottomettere tutte le nazioni d'Oriente e riunirle in un vasto impero bene organizzato.

L'Iran è naturalmente distinto in una regione di pianure a oriente e di montagne a occidente.
La regione delle pianure, ossia gran parte della Persia antica, è arida, formata da deserti sabbiosi, da paludi pestilenziali, divorata dai calori di un sole ardente. Un tempo, grazie agli sforzi umani, il suo aspetto per diversità di condizioni geologiche fu, forse, non così desolato come oggi appare, ma certo non potè mai nutrire una densa popolazione. Il regno dei Medi si estese invece sulle regioni montuose: fertilissime le valli, e i pendii irrigati da un'infinità di piccoli corsi d'acqua. Foreste di pini, di platani, di querce, verdeggiano in cima ai monti; peschi, ciliegi, peri, meli cotogni, olivi, messi copiose e campi di rose, degradando, fanno belle e ricche la montagna e la valle. Miniere di rame, di ferro, di piombo, cave di marmi forniscono un ottimo materiale da costruzione.

I MEDI E I PERSIANI.
- L'avvento dei Medi e dei Persiani nella storia del mondo segna in questa un'èra nuova: ai primi turanici, ai semiti dominatori, succedono gli Arii, che daranno nuova vita alla civiltà elaborando il materiale da quelli accumulato, sviluppando le sementi cadute d'ogni parte. Nelle grandi pianure attraversate dallo laxartes e dall'Oxus, dalla Sogdiana, dalla Battriana, dove erravano numerosi i padri Arii, poichè al nord si stendevano terre desolate dalle quali a torme fuggivano gli stessi occupatori turanici, e al sud si opponeva, insuperabile, la barriera dell'Himalaia, e altri monti all'est, si precipitarono verso l'Occidente attraverso quell' istmo - d'una larghezza di circa 1700 chilometri - e passando dalla regione lungo il mar Caspio e il golfo Persico fino nel continente asiatico. Gli Iranici sono appunto gli Arii che contesero, passo a passo, ai Mongoli le valli fertili dell'Asia centrale. A nord i Medi, e nel sud, sulle rive del Persico deserte e indisputate, elessero la loro sede i Persiani.
Forse vi fu mescolanza degli Iranici del nord con gli intelligenti Mongoli, gli Akkad; un altra ragioni questa per cui i Medi assursero prima alla storia che non i loro fratelli Persiani, ai quali li tennero sempre uniti i vincoli della religione, dell'antico soggiorno nella terra madre (Battria, la capitale della regione chiusa tra il Paropamiso e l'Oxus, il cui nome significa appunto «madre delle città ») e della lingua comune.
I Persiani, rudi e assuefatti alle fatiche, divennero soldati eccellenti e furono conquistatori appena ebbero un capo.

USI E COSTUMI.
- La saggezza dimostrata dagli Achemenidi nello stabilire l'organismo politico dell'immenso impero persiano, lasciando ad ogni paese costumi, religione, lingua, magistrati e, in certi limiti, l'autonomia, fu solo pareggiata dai Romani e oggi dagli Inglesi, che seppero con mezzi analoghi stabilire dominazioni altrettanto salde ed estese. I re chiesero alle regioni sottoposte solo danaro e soldati.
Si calcola che i redditi annui dei re persiani ascendessero a miliardi e miliardi di nostra moneta, pagati in verghe d'oro o in monete battute dai sovrani soggetti: tributi in natura più consueti, aggiunti alle imposte regolari, erano di frumento e di cavalli per la Media, di pesce secco per l'Egitto e di avori e di gioielli, di tappeti, di bronzi, d'eunuchi giovani per Babilonia, di mussoline per l'India, di vadi e di statuette per l'Asia Minore.

Gli eserciti persiani erano moltitudini immense, variopinte e di vario valore: l'armata di Serse fu da Erodoto detta di un milione e settecentomila uomini, e v'erano i medi dalle tuniche scarlatte; adorne d'oro, gli arabi dai lunghi camici di lana, gli assiri dall'elmo scintillante e dalle corazze di lino imbottite, gli etiopi, coperti di ferine pelli e armati di clava, i colchi dal casco di legno, i traci dal berrettone di pelo di volpe. Talvolta bisognava condurre queste torme sul campo a forza di scudisciate, per vederle poi disperdersi seminando il disordine fra le milizie agguerrite, al primo impeto. La parte più eletta, il nerbo dell'esercito era costituito dai Persiani. I fanti, con il petto difeso da corazze, le gambe e i piedi dai calzoni di cuoio, combattevano con uno scudo di vimini, un corto giavellotto, un arco con frecce, un pugnale sospeso alla cintura, dimostrando grande coraggio e abilità.
Ma soprattutto eccellevano come cavalieri: fulminei e agili nella cavalleria leggera, urtavano in masse compatte e grevi quando erano ordinati nella cavalleria pesante, dai cavalli coperti di piastre o cotte di maglia in metallo. Narra Erodoto che queste tre cose s'insegnavano ai Persiani fino da fanciulli: dire la verità, tirare d'arco e stare a cavallo.

Le armate persiane mancavano di materiale di assedio: pare che abbiano fatto poco uso delle torri e degli arieti. Il re, adorno di lunghe e magnifiche vesti, per la kidaris - tiara allargata in alto e circondata da una fascia azzurra e bianca - si distinguevano esteriormente da ogni altro principe, ed esercitava il suo potere per mezzo di un primo ministro, facendosi coadiuvare nell'amministrazione dello Stato da un consiglio di sette altissimi personaggi. Nessuno poteva presentarsi al suo cospetto, foss'anche di sangue regio, senza esservi invitato, pena la morte, se il re non lo salvava stendendo il suo scettro verso lui. Ogni atto che portasse l'impronta del sigillo reale era legge.

Sobri e morigerati erano i Persiani; quando vennero a contatto con le civiltà corrotte dell'Asia anteriore, perdettero le buone abitudini: si diffuse la poligamia e i vizi più deplorevoli penetrarono negli harem. Ogni specie di gioielli divenne comune agli uomini e alla donne; i cosmetici, i belletti, i profumi, i capelli falsi acquistarono grande diffusione. I ricchi vestivano con amplissime vesti di ricca stoffa, portavano calzari e in testa bende
e corte tiare di feltro.
Furono i raffinati Persiani i primi a usare le calze, le mutande e persino i guanti.
Ai piaceri della caccia subentraro ben presto quelli del gioco e del vino: ci si racconta che « una volta all'anno, alla festa di Mitra, il re era obbligato ad essere ubriaco » e che si giuocavano ai dadi la propria persona e quella dei figli.

Singolare la loro consuetudine funeraria. Secondo l'Avesta, « gli elementi - l'aria, l'acqua, la terra, il fuoco, - devono essere preservati da ogni immonda influenza » : i cadaveri non potevano nè essere consunti per inumazione, chè si sarebbe contaminata la terra; nè col rogo, chè la fiamma ne sarebbe divenuta impura; nè affidandoli alle acque, chè si sarebbero corrotte; nè lasciandoli a dissolversi in balia del soffio sacro del vento. Perciò i Persiani avevano adottato la consuetudine di farli divorare da corvi e da sparvieri, esponendoli in grandi torri rotonde, di cui "la torre del silenzio" presso Bombay - il cimitero dei Parsi dell'India - è un tipico esempio. In età posteriore, quando la religione s'inquinò e l'ambizione crebbe, si ricorse ad un mezzo termine: si innalzarono tombe sontuose e vi si collocarono i morti, evitando il contatto col suolo circostante mediante una densa spalmatura di cera fatta al cadavere.

L'agricoltura era in grande onore. E' detto nell'Avesta che l'azione più pura del mazdeano "è quella di far germogliare sulla terra robuste e floride messi. Colui che semina il grano e lo fa con purezza adempie in tutta la sua estensione la legge dei Mazdeani e chi pratica questa legge agisce come se avesse dato vita a cento creature, a mille opere, o recitato mille preghiere".
Il commercio era invece disprezzato, come le persone che l'esercitassero, poichè i Persiani pensavano, al dire d'Erodoto, che non potesse riuscire il traffico se non per via di una certa astuzia, di certi inganni contrari a quel sentimento di venerazione per la verità che invece dominava nella loro mente.


LA RELIGIONE E LA MORALE.
- Dei diversi stadi attraverso i quali passò la religione dei Persiani prima d'assumere le forme precise del libro sacro, questo solo possiamo asserire: che la semplicità assoluta delle concezioni e dei riti ariani ben presto dovette cedere il posto a una complicazione di credenze. Quando da nomadi gli Arii divennero stabili agricoltori e sentirono della terra ribelle la durezza e la fatica del lavoro, e quando le messi abbondanti e prospere per il sole - il fecondatore - perivano, e si seccava l'erba e così gli alberi, e la grandine bruciava il suolo fiorente, nelle forze della natura sentirono confusamente l'antagonismo del bene e del male.
E allorchè si avvicinarono alla Mesopotamia, dovette venir ad essi, dall'antica culla del pensiero umano, qualche raggio che rischiarò la concezione dualistica del mondo. Fu appunto nella Battriana che gli Arii raggrupparono le loro credenze e diedero forma a quella religione che è il mazdeismo; da Ahura-Mazda, dio supremo.
Zarathustra ("splendore dell'oro") sarebbe stato il suo profeta; Mazda gli apparve e gli consegnò l'Avesta, il libro della conoscenza, della saggezza, del pensiero divino, con l'incarico di predicarlo a tutta l'umanità.
Se sia esistito e quale possa essere stata la sua vita, gli storici non si sono ancora messi d'accordo; pare ad ogni modo probabile che, se visse non debba essere stato posteriore all'VIII secolo a. Cr.
Siccome ci riesce impossibile seguire passo passo le differenti fasi che attraversò il mazdeismo nella sua evoluzione ( magismo medo (dai Magi, casta ieratica), elementi turanici e scitici, ) diremo solo della religione di Zoroastro quale fiorì nei tempi di maggior splendore dell'impero persiano, sotto Ciro e gli Achemenidi più illustri.

Il racconto iranico della creazione s'avvicina molto a quello della Genesi.
Dice Ahura-Mazda Ormudzl a Zarathustra "Io ho pronunciato questa parola che contiene il verbo e il suo effetto per ottenere la creazione del cielo, prima della creazione dell'acqua, della terra, dell'albero, della vacca quadrupede e prima della nascita dell'uomo veridico a due piedi".
Appare in questo brano una differenza essenziale tra la concezione panteistica degli Arii dell'India e quella degli Iranici; questi infatti rappresentano la divinità come indipendente dall'Universo, che trae tutto dal nulla con un semplice atto della sua volontà; Ahura-Mazda, « il Signore, l'onniscente», è anche infinitamente buono: la conservazione e la prosperità di tutti gli esseri, la saggezza, la fortuna degli Stati e degli uomini, la feracità della terra sono opera sua. E il male? Fratello d'Ahura-Mazda, come lui eterno, come lui potente, il genio iranico creò Ahura-Mainyu (Arimane), che scatena le malattie, le deformità, le miserie, la follia, la menzogna, le sventure e la morte sugli uomini, sui popoli, e distende la landa deserta sulla Terra.

In lotta perenne sono i due dei, seguiti da schiere innumerevoli di geni, di cui gli uni si accaniscono a distruggere quello che gli altri creano.
Gli Ameshaspenta sono le sei grandi divinità che seguono immediatamente Ahura-Mazda e impersonano l'idea della bontà, della purezza, della felicità, della saggezza, della salute, della immortalità; seguono ad esse, in ordine gerarchico ben definito - chi non ricorda le categorie angeliche? - migliaia e migliaia di Yazata, spiriti buoni, dei quali sono precipui Mithra, il Sole, e Vayu, il vento. Ahura-Mainyu anch'egli ha i suoi sei protodemoni maligni, e le migliaia di Deva malefici sono opposti agli Yazata. Ogni uomo aveva inoltre una specie di doppio, il suo fravashi, come un angelo custode che lo seguiva per tutta la vita, lo proteggeva, per lui intercedeva presso Dio.

La lotta tra i due principi sul campo dell'Universo avrebbe dovuto cessare; Ahura-Mainyu doveva essere sterminato, vinto, e tre grandi profeti avrebbero annunciato il trionfo dei principi d'Ahura-Mazda e stabilito il mazdeismo nel mondo intero.
Questo l'insegnamento di Zoroastro, che in età posteriore fu modificato da una forma di conciliazione monoteistica, secondo la quale Ahura-Mazda e Ahura-Mainyu sono emanazione di un dio unico, dell'essere primordiale Zervatakarana, "il tempo senza limiti" : oggi infatti il mazdeismo non si conserva press'a poco sotto la sua forma primitiva che fra i Parsi dell'India, nei pressi di Bombay.
La morale predicata nell'Avesta era elevatissima: esigeva giustizia e verità d'opere non solo, ma di parole e di pensiero; proclamava l'utilità del pentimento, la necessità delle penitenze, l'immortalità dell'anima e l'intercessione per i defunti.

Non templi, non statue agli dei, non riti complessi: altari su pietre accumulate in cima a un colle; il fuoco sacro s'innalzava agli dèi fra le preghiere e i canti dei fedeli. I sacrifici cruenti furono introdotti da magi, intermediari in età tarda tra gli dei e gli uomini, che sconvolsero e turbarono con l'astrologia, gli incantesimi, la divinazione, la semplicità della religione persiana, della quale nessuna fra le antiche religioni fu più morale, più spoglia di formalismi rituali, di superstizioni. Purtroppo andò poi complicandosi sempre più di forme idolatre, finchè venne il giorno in cui i musulmani la schiacciarono completamente.

STORIA.
- Verso il principio del secolo VIII a. Cr. la Media appare come nazione: un Dayakku figura nel novero dei tributari dell'Assiria. È questi il Deioce che la narrazione erodotea dice fondatore del regno medo e della forte Ecbatana, esagerandone le gesta e la potenza - forse già esaltate dalle leggende locali? - vantandolo saggio e giusto monarca. Ma di questo racconto dello storico greco e dell'altro riferentesi a Pirruvarti (Fraorte) che avrebbe allargato il suo dominio sulla Persia e sull'Armenia e avrebbe perfino tentato di prendere Ninive, sotto le mura della quale fu ucciso, la verità e troppo dubbia perché si possa da qui far cominciare la storia meda, che invece comincia a parer chiara sotto Khvahsshatra (Ciassare) figlio di Pirruvarti.

Il regno di Ciassare fu turbato dalle invasioni di orde discese dal Caucaso: i Gimirri (Cimmerii) dapprima e i Saci o Sciti più tardi, che per diciotto anni tennero sottosopra tutta l'Asia occidentale, travolgendo il regno di Frigia (Mida, per sottrarsi all'onta della sconfitta, s'avvelenò) sconfiggendo Gige, re dei Lidi a Sardi, rovinando l'Urarti (l'Armenia) desolando la Siria, la Fenicia, la Palestina, Babilonia. Ciassare ebbe la freddezza di liberare il proprio paese dalle calamità con un tradimento: invitati tutti i capi invasori in un banchetto per celebrare la pace, quando furono ben bene ubriachi, li fece sgozzare tutti. Scongiurato il pericolo barbarico, riprese le ostilità iniziate contro l'Assiria, infiacchita dalle devastazioni e dal mal governo. Ashsharedililani gli mandò, nel 626, l'abile generale Nabublalussur che si proclamò re indipendente di Babilonia e strinse alleanza con Ciassare, una figlia del quale fu data in sposa al figlio suo Nabucodonosor. Per vent'anni l'Assiria resistette ai due forti eserciti, ma nel 606 Ninive cadde: Ashshurakdeiddin lI diede fuoco al suo palazzo per non farlo cadere in potere del nemico e si lasciò bruciare pure lui.

L'Assiria scompare così dal novero delle nazioni, sulle sue rovine rinasce la potenza babilonese, si rinsalda la meda. Ciassare continuò la sua opera di conquista sottomettendo le popolazioni della regione montuosa dell'alto Tigri e dell'Armenia, annientando le ultime schiere cimmerie.
L'avanzata nell'Asia Minore gli fu impedita dalla resistenza vigorosa della insorta Lidia, gelosa della sua indipendenza. Dopo sei anni di lotta un'eclisse di sole sopraggiunta al momento d'impegnare la battaglia definitiva fece concludere la pace tra i due popoli (il 28 maggio 585, seconda i calcoli astronomici dell'Airy), fissando il fiume Hays, che scorre dal centro dell'Asia Minore al Mar Nero, per termine occidentale tra la Lidia e i Medi.
L'anno seguente Ciassare moriva e gli succedeva il figlio Ishtuvegu - Astiage - pacifico ma crudele e superstizioso, dedito solo alla caccia e ai piaceri, privo dell'energia necessaria a consolidare un così tanto grande e recente impero, e mancante di criteri utile per dominare. Debole perfino con un piccolo capo tribù

CIRO.
- Questo capo di una piccola tribù (dei Parshua - da qui Persia) dipendente dalla Media, un territorio limitato dalla foce dell'Oraatis e dallo sbocco dello stretto d'Ormuz nell'Oceano Indiano, privò Ishtuvegu del regno avito. Questo capo era Kuru, figlio di Kambuziya (Ciro figlio di Cambise). Il racconto romanzesco del primo libro di Erodoto che fino alla fine dell'Ottocento era la fonte più autorevole di quegli avvenimenti, ormai dalle iscrizioni cuneiformi e stato spesso smentito perchè si debba ancora prestarvi fede. Ad ogni modo, sia che si voglia ammettere che la rivoluzione avvenne d'un tratto o che fu lunga la guerra, nel 546 la monarchia meda era stata sostituita dalla persiana. Persi e Medi erano affini di razza, sicchè il mutamento interiore dovette avvenire senza grandi scosse, ma la ripercussione all'esterno fu immensa. Il re di Lidia, Creso, temendo la conquista persiana e desideroso d'altronde, di vendicare il cognato lshtuvegu, risolse d'andare a battere il nemico nel suo stesso paese, forte dell'alleanza con l'Egitto, con Babilonia, con Sparta. Passò risolutamente la frontiera dello Halys, fino allora rispettata, invase la Cappadocia e si impadronì di Pteria. I Persiani accorsero subito e, fallito un tentativo di insurrezione che volevano provocare alle spalle di Creso, vennero a battaglia: la fortuna non si dichiarò per nessuna delle due parti. Ciro, poichè non si sentiva troppo sicuro, aveva iniziato un movimento di ritirata, quando seppe che il re di Lidia, essendo prossimo l'inverno, si era ritirato pure lui, aveva dimesso i mercenari e gli alleati, calcolando di raccoglierli nella successiva primavera. Allora con una serie di marce brillantissime, dal confine persiano corse indisturbato fino a Sardi - a 400 miglia dall'Halys - dove la cavalleria dei Lidi, che sola era rimasta a Creso, valorosissima, dopo aspra battaglia, per uno stratagemma del re persiano, fu disfatta. Creso battuto si chiuse in Sardi, sollecitando il soccorso degli alleati - che però non venne. - Per un sentiero indifeso i nemici entrarono nella città e dopo pochi giorni lo fecero prigioniero. Ciro non solo gli risparmiò la vita , ma lo trattò da amico e da uguale. La fine del potente monarca della Lidia è incerta: la leggenda erodotea l'ha cinto di un'aureola di pietà che ha reso quel nome indimenticabile.

L'opera di conquista persiana doveva andar ben oltre. Assoggettate la lonia e le colonie greche dell'Egeo, Ciro avanzò nelle regioni semiselvagge della Battriana, della Marziana, della Sogdiana, dell'Ariavarta, dove edificò città, mise colonie e presidi (545-539). Ma un'impresa più grande rimaneva da compiere, perchè egli fosse il signore dell'Asia: la conquista dell'impero babilonese.

Ed egli la compì. In che modo non è ben chiaro: la tradizione greca e la biblica fanno entrare l'esercito persiano senza combattimento in Babilonia, mentre la città era immersa in conviti, nei tripudi, nelle danze, sprezzando il re di Persia e il suo esercito. Tutti i paesi tributari di Babilonia si piegarono ossequenti a Ciro, la Siria, la Palestina, la Fenicia. I popoli vinti egli li legò a sè con legami più saldi, favorendo i Fenici, l'armata dei quali serviva ai suoi scopi; concedendo agli Ebrei di riedificare il tempio di Gerusalemme, e restituendo i sacri vasi d'oro e d'argento che come trofei erano stati portati in Babilonia quando quel tempio era stato distrutto; mostrando una grande tolleranza per le opinioni religiose di tutti i popoli.

Come per i primi fatti della sua vita, così per l'ultima sua impresa e per la sua morte, avvenuta nel 529, la leggenda ha alterato in tal modo la verità che è difficile separarla dal vero: Senofonte lo fa morire tranquillo e sereno, nella reggia; Erodoto in una lotta feroce contro Tomiri, regina dei Massageti; Ctesia in una guerra nella Battriana. Quel che è certo è che il suo corpo fu riportato in Persia e sepolto in Pasagarda - vicino a Persepoli, la capitale dei Parshua antichissimi. Si sono trovati i resti del mausoleo e delle grosse colonne portanti l'iscrizione : «Io sono Ciro l'Achemenide» (*)

(*) La tradizione persiana dice un re Akhamanis (Achemene) avere unito sotto di sè diversi clan del Farsistan : Ciro ne sarebbe - quantunque dai monumenti ne appaiono tre soli - il settimo discendente. Si suole col nome di Achemenidi denominare la dinastia persiana che durò fino ad Alessandro per distinguerla dalla posteriore, sorta nel 218 d. C. da Bebesan, che è detta Sassanide.

Cambise II volle proseguire le imprese paterne e osò quello che Ciro non aveva tentato, la conquista dell'Egitto. Fatto morire segretamente il fratello Bardiya (lo Smerdi dei Greci), si impadronì della parte dello Stato che Ciro aveva a quello lasciato in eredità, s'alleò con gli Arabi per assicurarsi la via del deserto; accrebbe la flotta fenicia e delle città dell'Asia Minore e, apprestato un grande esercito, navigò arditamente verso il delta nilotico. Nel IV anno del suo regno, 525 a. Cr., il faraone Psamitik III subiva una prima sconfitta a Pelusium. Assediato a Menfi, dovette piegare il capo dinanzi al vincitore. Avendo tentato, qualche anno dopo, di riacquistare il trono, fu messo a morte e l'Egitto diventò una satrapia persiana.

Cambise tentò di guadagnarsi il favore dei sacerdoti egizi proteggendone i riti e facendosi iniziare ai misteri Isidici, e vi riuscì. Ma ciò non bastò alla sua sete di dominio; forse la pazzia aveva iniziata la sua opera. L'Achemenide epilettico tendeva alla conquista di tutto il mondo antico; egli voleva soggette la Lidia, l'Etiopia, Cartagine, i paesi delle ricchezze prodigiose. Un esercito di 50.000 uomini, distaccato da Tebe, attraverso il deserto mosse ad assalire Cartagine - poichè i Fenici non vollero prestare la flotta per distruggere la più fiorente delle loro colonie - e fu sepolto dal simun tra l'oasi d'Ammone e la Grande Oasi. L'esercito immenso che il re stesso guidava lungo il Nilo alla conquista dell'Etiopia, avendo stoltamente abbandonato il fiume ferace per seguire una via carovaniera più diretta, fu dalla fame ridotto a tale disperazione che molti soldati, dicesi, uccisero i compagni per cibarsi delle loro carni e per succhiarne il sangue.
Il conquistatore, vinto dal deserto, dovette tornare di nuovo in Egitto. La sua mente, già squilibrata dai due immani disastri della campagna etiopica, parve in preda a manifesta follia allorquando a Tebe, avendo visto la popolazione intenta a celebrare feste in onore di una nuova incarnazione del dio Ani, volle i magistrati della città condannati a morte, battuti a sangue i sacerdoti, massacrati dai mercenari gli adoratori pietosi e infine egli stesso osò con la spada trafiggere l'innocente torello.

S'era persuaso che quei tripudi solennizzassero, in odio a lui, le recenti sconfitte. In altra occasione fece seppellire vivi, con la testa all'ingiù, dodici nobili persiani con il pretesto che l'avessero offeso; un'altra volta con una frecciata, per mostrarsi sicuro tiratore d'arco, colpì al cuore un fanciullo sotto gli occhi del padre, e pretese da questo l'elogio della sua abilità.
Odiato e iroso, trascorreva la sua vita in Egitto macchinando nuove imprese e crudeltà nuove, quando gli giunse notizia che il fratello suo Smerdi era stato, dai principi persiani, riconosciuto re (522 a. Cr.). Raccolse subito un grande esercito e si disponeva a marciare centro l'usurpatore, un falso Smerdi, quando misteriosamente morì, pare per una ferita infertasi nella coscia destra nel montare a cavallo se pure non si tratta di un racconto divulgato dai familiari allo scopo di celare il suo assassinio compiuto per mano loro, assecondando, forse, una rivoluzione religiosa suscitata dall'antagonismo tra i Parsi e i Magi.
Quel Gaumata, il falso Smerdi, che si credeva ormai saldo sul trono di Ciro, poiché Cambise era morto senza prole, durò ben poco nella sua illusione. Dovette trapelare nel popolo che il secondogenito di Ciro era stato ucciso dal fratello Cambise; che doveva essere un usurpatore indegno chi, approfittando d'una pretesa rassomiglianza, tentava d'ascendere al trono; si vociferava che costui avesse le orecchie mozze. Il fatto che il nuovo re si lasciava vedere il meno possibile accrebbe le prevenzioni contro di lui. Daryavus, figlio di Victaspa (Dario d'Istaspe), satrapo d'Ircania, della famiglia achemenide, aiutato da sei principi persiani, gli si contrappose. Nella primavera del 521 Gaumata, sorpreso nel suo palazzo, venne ucciso.

DARIO.
- Questo racconto dell'assunzione al trono, di Dario ci è confermato da una delle più famose iscrizioni tramandateci dall'antichità, incisa nella a roccia di Behistun, un colle alto 456 metri fra Bagdad e Hamadan, lungo la strada delle carovane. Sono cinque grandi colonne scolpite su una faccia verticale della roccia in caratteri cuneiformi in persiano, in assiro, in scitico, che dànno la genealogia degli Achemenidi fino a Dario, enumerano le province persiane, ricordano le vittorie di Dario fra il 521 e il 518 a. Cr. Sulla parte superiore della roccia è scolpito un gruppo di figure : Dario con un arco in mano, il piede sulla testa del falso Smerdi, mentre nove ribelli gli stanno dinanzi incatenati e due generali attendono dietro di lui gli ordini.

Riproduciamo alcuni passi dell'iscrizione
"Mentre Cambise era in Egitto, lo Stato divenne eretico, la falsità era in tutto il paese, in Media, in Persia e nelle altre province... La corona di cui Guadata spossessò Cambise era stata nella nostra famiglia dagli antichi tempi... Lo Stato ebbe paura a resistergli (a Gaumata). Non v'era alcuno abbastanza ardito per opporsi a lui, finchè venni io. lo rimasi fedele al culto di Ormuzd, e Ormuzd mi ha aiutato... nel distretto della Media chiamato Nisara, ove io lo uccisi. lo lo spogliai dell'impero... La corona che era uscita dalla nostra razza io la ricuperai... lo proibii i riti che Gaumata aveva introdotto. Io ristabilii nello Stato i sacri canti e i riti".

Le popolazioni soggette approfittarono dello scompiglio avvenuto in mezzo ai Persiani per riacquistare l'indipendenza: in Babilonia sorse un falso figlio di Nabunahid, che col nome di Nabukudurussur IlI prese titolo regio; nell'Elam, Assina, discendente dall'antica dinastia nazionale, chiamò a raccolta gli abitanti; nella Media sorse un preteso discendente di Ciassare, che con il nome di Pirrurvarti II trasse dalla sua l'Assiria, l'Armenia, l'Ircania, i Parsi; alla voce di Fradà sorse la Margiana; sotto i vessilli di Citantakhma si adunarono altre genti minori.
A Zazanu, sull' Eufrate, i Caldei furono vinti definitivamente; gli Elamiti furono domati; Pirruvarti, battuto ripetutamente dai generali di Dario, fu solo nel 520 sbaragliato del tutto dal re sopraggiunto nella Media, presso Kiunduru ; Citantakhrma finiva sulla croce dopo breve regno; Dadarshi, satrapo della Battriana, nel 519 sconfiggeva Fradà, e Dario nel luglio dello stesso anno aveva domato l'lrcania. Pari sorte subirono un secondo falso Nabukudurussur e un altro falso Smerdi : la strage orrenda accompagnò sempre l'opera di assoggettamento dei ribelli.

Prima di estenderlo con nuove conquiste, Dario attese a organizzare l'impero, seguendo una politica accorta e di larghe vedute, lasciando sussistere i costumi, le leggi, le istituzioni d'ogni popolo, ponendovi a capo, supremo moderatore civile, un satrapo, poi un generale e un segretario regio incaricato in apparenza della cancelleria.
I tre poteri si sorvegliavano reciprocamente, e il segretario soprattutto fungeva da informatore sul conto del popolo, del satrapo, dell'esercito, del generale. Ogni anno, accompagnati da grossi reparti di truppa, perchè avessero forza le loro decisioni, rappresentanti del re andavano a compiere una specie d'ispezione per le diverse satrapie, con l'incarico di ascoltare le lagnanze dei sudditi e di rendere loro giustizia quando occorresse.

Ma per l'opera d'organizzazione Dario non desiste dalle tradizioni di conquista dei re che l'avevano preceduto: egli ambiva di conquistare l'Europa, come Ciro aveva conquistato l'Asia e Cambise l'Africa. Ma trovò una tale resistenza nelle selvagge tribù intorno al Caspio, tra il Volga e l'Ural e nel clima di quelle regioni, che il suo disegno non ebbe compimento. Più fortunata fu invece la sua spedizione (512) contro i popoli abitatori della valle superiore dell'Indo, del Sapta-Sindhu, che egli in gran parte assoggettò, sottomettendone diversi come tributari. Con legname tagliato nel Cashemir costruì una flotta che, scendendo l'Indo sotto gli ordini di un greco, Skylax di Karyanda, giunse fino al mar Rosso e compì la conquista delle regioni adiacenti.
D'un tratto l'avanzata dei Persiani verso l'oriente si arrestò: le minacce degli Sciti - una mescolanza confusa di genti arie e turaniche stese dal Danubio all'Oxus, nelle attuali regioni della Russia e della Tartaria, riunite assieme in federazioni - richiamarono Dario stesso con il suo enorme esercito - da 700 a 800 mila uomini - in Europa (508).

Attraversato il Bosforo e il Danubio su grandiosi ponti di barche, egli entrò nei piani di Scizia, dove dopo un lungo inseguimento, durante il quale vide la maggior parte di quelle popolazioni ritirarsi nell'interno del paese, costrinse gli Sciti a un trattato pel quale si obbligavano a rispettare le frontiere dell'impero persiano.
Per questa spedizione la Macedonia fu annessa all'impero; per questa spedizione venne a contatto con la potente Grecia, che a Salamina disperderà l'enorme esercito di Serse, il figlio di Dario, e porterà la guerra fin nel centro delle terre persiane.
La Macedonia e la Tracia, le colonie greche dell'Asia Minore riavranno la libertà; l' Egitto con l'aiuto dei Greci tenterà di risorgere; il figlio di Dario, Artaserse I, e Serse II, e Dario Il si stremeranno in queste lotte mentre i satrapi si ribelleranno, i sudditi scuoteranno il giogo e l'anarchia dissolvente si propagherà dovunque nell'interno. Non lotteranno poi gli ultimi re di Persia, con condottieri greci nell'esercito e nella flotta, contro i satrapi e le province ribelli?
Un secolo e mezzo dopo Salamina, l'ultimo grande impero asiatico avrà in un macedone (ALESSANDRO) il suo "Shahinshah" (il "re dei re" - VEDI STORIA DELLA GRECIA ): ai Greci succederanno i Romani, ai Romani gli Arabi. Sono questi i tre periodi in cui il genio ariano nella Persia non manderà più nessun bagliore (oggi si chiama IRAN - vedi > )

LINGUA E LETTERATURA.
- La più antica lingua parlata dagli Iraniani fu chiamata Zend. Questa designazione non è esatta, e pochissimo sappiamo di questo antico linguaggio. II significato della parola zend e letteralmente: «commentario». Zend-Avesta vuol dire : « il commentario e il testo sacro».
La lingua zend potrebbe essere più propriamente chiamata: lingua battriana o battro-persica.
Lo zend, vicinissimo al sanscrito, diede origine al vecchio persiano che, a sua volta, per la sua mescolanza con i dialetti semitici della Mesopotamia, diventò il pehlvi, d'onde derivò per le mescolanze con l'arabo, il persiano moderno.

Lo zend è la lingua dei libri sacri di Zoroastro; il vecchio persiano è quella delle iscrizioni cuneiformi composte sotto gli Achemenidi, e il pehlvi fiorì poi sotto la dinastia dei Sassanidi.
Queste differenti forme d'uno stessa linguaggio appartengono alla famiglia degli idiomi indo-europei. Gli antichi dialetti della Persia si collegano al sanscrito e alle nostre lingue europee per la sintassi, per i verbi e per la forma delle loro parole.
Si è discusso intorno alla questione di sapere se vi fu un linguaggio medo, distinto da quello della Persia. Alcuni autori hanno preteso, che lo zend era parlato in Media, mentre il vecchio persiano apparteneva più propriamente alla regione meridionale. Ma è questa una ipotesi. Lo zend e la lingua degli Achemenidi uscirono certamente l'una dall'altro e non erano sicuramente dialetti affini parlati simultaneamente nella Media e nella Persia.

La grande antichità dello Zend-Avesta non è una prova che gli Arii abbiano conosciuto la scrittura in Battriana. Le tradizioni religiose poterono assai bene essere conservate oralmente fino al giorno in cui la conquista dell'Iran, ponendo gli Arii nella vicinanza della Mesopotamia, ebbe svelato loro il segreto della scrittura cuneiforme. Non conosciamo alcun sistema di scrittura propria ai Persiani.
Adottando la scrittura della Mesopotamia, gli Arii la semplificarono. I Persiani poi le fecero compiere un progresso immenso, rendendola alfabetica, e servendosi di trentasei o trentasette caratteri puramente fonetici.
I primi modelli di scrittura cuneiforme portati in Europa e decifrati dal Grotefend, erano stati tratti da Persepoli, e per conseguenza rappresentavano il persiano antico e la scrittura alfabetica adoperata sotto gli Achemenidi. I lavori degli scienziati europei si trovarono in tal modo semplificati, e poterono andare dal più facile al più difficile. Grazie alle iscrizioni in due lingue, essi poterono passare dal persiano antico, lingua indo-europea le cui radici erano conosciute, all'assiro, lingua le cui radici erano affatto sconosciute.

La lingua di Dario è oggi conosciuta come quelle di Pericle e di Augusto. Lo zend stesso non offre più che ben poco d'oscuro. I Persiani scrivevano da sinistra a destra, e si può supporre che avessero una scrittura corsiva e si servissero della pergamena.
Non ci restano come monumenti letterari dell'epoca degli Achemenidi, che le iscrizioni incise, dietro ordine di questi principi, sopra stele o sopra intere pareti di rocce nelle differenti regioni dei loro vasti Stati. Le più antiche di queste iscrizioni sono del tempo di Ciro, ma fu Dario che ci lasciò di esse il maggior numero.
Le opere della letteratura persiana antica sono: lo Zend-Avesta e lo Shahr-Nameh, o Libro dei Re.

Abbiamo già parlato dello Zend-Avesta, dal punto di vista della religione, e sappiamo che si divide in più libri. Vi si annette una composizione relativamente recente: il Boundehesch, trattato di cosmogonia che non potè essere redatte che posteriormente alla conquista dell'altipiano dell'Iran. Vi si vede la traccia evidente delle credenze caldaiche. Il racconto della creazione, della caduta e del diluvio, offre analogie evidentissime della Genesi, e così pure con gli antichi scritti rinvenuti nella biblioteca di Ninive.
Lo Zend-Avesta rimane il monumento più autentico e nel tempo stesso il più caratteristico dell'antica letteratura persiana.
Esso non dà una troppo alta idea dell'immaginazione nè del dono poetico dei primi Iraniani. Non vi si trova nulla di paragonabile all'ispirazione possente, all'abbondanza e alla varietà d'immagini o al lirismo rigurgitante del Rig-Veda. I libri dello Zend-Avesta sono aridi e monotoni come grandi pianure nude su cui cozzano i venti, mentre gli inni vedici sembrano riflettere la luce abbagliante e i paesaggi splendidi della valle dell'Indo.
L'autore o gli autori dello Zend-Avesta, ebbero sopra ogni cosa in animo di badare all'esattezza, alla chiarezza ed all'autorità tronfia e pedante. Essi affermano con una precisione fredda che esclude ogni sentimento poetico.
S'incontra tuttavia, nei libri sacri della Persia, come un'eco delle lunghe migrazioni e delle lotte penose per mezzo delle quali gli Ariani giunsero infine a stabilirsi sull'altipiano dell'Iran. I combattimenti degli Arii contro i Turanici sono pure ricordati nello Zend-Avesta. Ma non si trova alcuna commozione, nè alcun calore, nè poesia di sorta alcuna in quella grave e monotona composizione.
Si potrebbe dare un giudizio quasi identico sull'immenso poema di centoventimila versi, nel quale Firdusi riunì, verso la fine del X secolo dopo Cristo, tutte le leggende della Media e della Persia.
Fu in seguito alla domanda dei sultano Mahmud che il poeta compose quella gigantesca epopea, prendendo la storia della sua razza al principio del mondo e conducendola fino alla conquista musulmana. Lo Shah-Named (Libro dei Re), di Firdusi, vorrebbe illustrare l'antica civiltà persiana per i soggetti che tratta, ma il suo valore storico è minore ancora, se ciò può dirsi, del suo valore letterario. Questo interminabile racconto è inesatto quanto fastidioso.
Come si vede, la storia della letteratura persiana e presto fatta, e l'apprezzamento può essere del pari sommario.

L'ARTE.
- L'arte persiana fu d'imitazione e di combinazione: i resti architettonici dei grandiosi palazzi di Persepoli e di Susa, e i bassorilievi, ci mostrano che i Persiani copiarono dai Greci, dagli Egiziani, dagli Assiri non solo i procedimenti, ma fecero per lo più lavorare a loro profitto e per la loro gloria gli artisti e gli operai di quelle differenti regioni. È singolare il fatto che Erodoto e Ctesia, i quali videro le grandi capitali degli Achemenidi, non parlino di quei palazzi sontuosi di cui restarono rovine imponenti.
Non statue, non bronzi, non mobili nè di legno, nè di avorio, non stoffe, non ori, non ceramica propria ebbe la Persia: quegli stessi popoli presso i quali fiorivano le arti più squisite diedero ai re, oltre all'imposta annua in denaro, un contributo dei loro prodotti.
Semplicemente caratteristiche possono sembrarci nelle rovine che ne rimasero, le tombe dei re persiani, fra le quali la più notevole è quella di Ciro. Esse sono scavate nella roccia. L'ingresso rappresenta la porta d'un palazzo; manca però ogni traccia di scala per accedervi. È situato, questo ingresso, ad una certa altezza da terra, e la salma del re doveva esservi introdotta per mezzo di impalcature e di apparecchi speciali.

Nulla inventò il popolo di Persia; ma per alcuni secoli godette calmo e sereno di tutto quello che l'umanità da cinque a seimila anni aveva immaginato e messo al mondo, riassunse in sè il contenuto di tutte le antiche civiltà dissolventisi ed aprì per esse la via all'Europa ariana, che, tornando sui suoi passi nell'Oriente, comincerà la sua gloriosa vicenda .


Bibliografia:
D. Cinti, Storia Universale
F. Harttung, Storia Universale - Lo sviluppo dell'Umanità
Erodoto, Storie

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