QUARANTUNESIMO CAPITOLO

CAPITOLO QUARANTUNESIMO
PREPARATIVI PER MARSALA
Il partito d'azione. - La bandiera neutra. - Garibaldi mantiene il suo programma Italia e Vittorio Emanuele. - Nizza e Savoja. - Cavour inebriato del successo perde ogni forza di iniziativa e di resistenza. - Rosalino Pilo parte per la Sicilia d'accordo con Mazzini e con Garibaldi. - Interessantissima corrispondenza fra Garibaldi e Rosalino Pilo. - Impresa di Rosalino Pilo. - Preparativi di Garibaldi per la spedizione di Marsala.

Attivissimi furono Crispi e Fabrizi, Rosalino Pilo e gli altri membri del partito d'azione che fecero capo a Mazzini. Rosalino Pilo (liberato appena dalle prigioni di Bologna, ove, con Alberto Mario ed altri patrioti, fu rinchiuso dallo sbirro napoleonico, Cipriani), si fece intermediario fra Mazzini, i siciliani e Garibaldi, sperando indurre questo ad adottare almeno la neutralità.
Ma Garibaldi rimase fermo, additando, a chi voleva e a chi non voleva saperne, l'Italia e Vittorio Emanuele come unico programma.

La corrispondenza fra Rosalino Pilo e Garibaldi dimostra che tanto questi quanto Mazzini con cui agivano erano perfettamente consapevoli del programma e della bandiera.

Intanto cominciava ad accendersi nell'animo di Garibaldi lo sdegno contro Cavour per i persistenti rumori intorno alla progettata cessione di Nizza ("proprio la mia città!!!") e la Savoia.

Come abbiamo visto dal proclama firmato al Mincio, Napoleone aveva rinunciato a queste province promessegli a Plombiéres, ma compiute le (ulteriori) "annessioni" dell'Italia centrale egli da vero Sbylock tornava a domandare il pattuito compenso, né in Cavour trovava la forza, che costringendolo al patto purché mantenuto in tutta la sua interezza rimandava il malvagio usuraio col danno e con le beffe.

Avrebbe forse potuto salvare ambedue le province con la resistenza passiva, dicendo: - io nulla vi do, fateci la guerra se volete. - E di certo avrebbe potuto cavarsela con la sola cessione della Savoia.
Ma, ottenuta l'insperata annessione delle province centrali, sembrava che Cavour avesse perduta ogni forza di iniziativa e di resistenza. Ben gli cuoceva cedere la culla della casa di Savoia, a lui carissima, né si nascondeva lo sdegno fiero che la perdita della sua città nativa avrebbe eccitato l'anima del mozzo Nizzardo, ma non seppe opporre resistenza, nemmeno quella di insistere che il popolo fosse lasciato libero nella decisione del proprio destino.

Intanto Rosalino Pilo, impaziente di indugi, decideva di partire per la Sicilia, essendosi inteso perfettamente con Garibaldi, come si vede dai documenti che seguono.

"Genova, 24 febbraio 1860.
Generale stimatissimo,
Per mezzo dell' ottimo amico Bertani vi feci conoscere che vi era già qualche cosa di concreto in Sicilia; la mattina dopo dell'ultima vostra partenza da Genova mi giunse una lettera di tale importanza che ha convinto me e gli amici da voi conosciuti e non facili ad illudersi, come per esempio Nicola Fabrizi, della ferma decisione dei buoni di Palermo di farla finita col dispotismo borbonico che li opprime e li tiene divisi dal resto degli Italiani.

"Dal detto punto é fatto conoscere dove si debbono trasportare i mezzi che necessitano per riuscire non ad un moto scomposto, ma ad un'azione seria. Alcuni mezzi sono stati introdotti, altri sono pronti sul luogo, che credo Bertani vi abbia indicato, mezzi preparati e messi insieme da Mazzini che non fa questione di repubblica.

"Da Palermo i richiedenti hanno dato facoltà a Nicola Fabrizi di trarre per ulteriori spese a farsi; il che sempre più ci conferma la determinazione di venire all'azione.
Stando così le cose, se voi, Generale, bramate che l'affare si compia con maggior probabilità di buon successo, dovreste il più prontamente possibile mettere a disposizione di persone di vostra fiducia, come Medici, Bixio, Bertani, rivoltelle e una somma per fare acquisto immediato, qui, di una partita di fucili con corrispondenti munizioni, e per noleggio di bastimento. Approntato questo io ed altri amici miei e con Medici e Bixio, se a me vorranno unirsi, andremo al punto già designatoci per iniziare con quelli del paese mio nativo un fatto serio nel Mezzogiorno, dove voi a nostro avviso telegrafico dovreste farci la grazia di recarvi per capitanarci, e salvare così la causa italiana, purtroppo in pericolo in questo momento.

" Sì, Generale stimatissimo, é tempo che voi non veniate meno all'Italia; dai vostri ultimi scritti indirizzati agli italiani ho visto che voi siete convinto che non resta se non l'armarsi, e l'audacia e la fermezza di proposito agli italiani per liberarsi dagli stranieri, che tuttavia baldanzosi stanno nella penisola.
Generale, voi potete, aiutando coi mezzi che sono raccolti col vostro nome, fare che l'Italia non rimanga dalla volpina diplomazia sacrificata e smembrata per lunghi anni ancora. Dateci, vi prego, quanto sopra ho richiesto in nome dei buoni di Sicilia, e siate certo che riusciremo a mettere in fiamme tutto il mezzogiorno d'Italia al grido dell'unità e libertà.
Voi, Generale, capitanerete militarmente il paese e così avrete garanzia che non si potrà straripare dal convenuto programma, che solo può riunire tutti gli elementi d'azione, e così solamente l'Italia, sarà.

" Vi prego ritenere la presente come confidenziale, e nella speranza di ricevere un vostro riscontro, stringendovi la mano con ogni riguardo e stima, passo a segnarmi Vostro obbligatissimo servo ed amico
ROSALINO PILO.
(Illustriss. Generale Giuseppe Garibaldi. Caprera).

 

A cui Garibaldi rispose...

"Caprera, 15 marzo 1860.
"Carissimo Rosalino,
Con questa mia intendetevi con Bertani e con la Direzione di Milano per avere tutte a le armi e i mezzi possibili. In caso d'azione sovvenitevi che il programma é ITALIA E VITTORIO EMANUELE.
Io non mi arretro da qualunque impresa per arrischiata che essa sia, ove si tratti di combattere i nemici del nostro paese. Però nel tempo presente non credo opportuno un moto rivoluzionario in nessuna parte d'Italia; a meno che non avvenga con non poca probabilità di successo.
Oggi la causa del paese è nelle mani dei faccendieri politici che tutto vogliono sciogliere con trattative diplomatiche; bisogna aspettare che il popolo italiano conosca l'inutilità delle mene di questi dottrinari. Allora verrà il momento d'agire.
Oggi saremmo biasimati dalla gran maggioranza.
Fate conoscere questa mia opinione ai nostri concittadini, raccomandando che per ora che essi lavorino a prepararsi alla prova suprema.
Io spero che il momento favorevole non tarderà a comparire.
Vi saluto di cuore, vostro
GIUSEPPE GARIBALDI

Ricevuta questa, Rosalino riscrisse:

"Generale stimatissimo,
Ho la vostra del 15 cadente.
Fin dal giugno scorso la Sicilia avrebbe potuto insorgere, se alcuni faccendieri, che rovinarono la rivoluzione del 1848, non vi si fossero posti in mezzo. Il paese è nelle stesse condizioni in cui era in dicembre 1847.
Un amico mio, Francesco Crispi, già segretario al Comitato insurrezionale di Palermo nelle giornate di gennaio e poi deputato, ebbe a vederlo con i suoi propri occhi e a convincersene.
Ad ogni modo io penso di partire per la mia isola natìa, ad assicurarmi io stesso dello stato delle cose e a prepararvi tutto ciò che manca al fine di venire all'azione, di sventare le male arti e di mettere da parte i temporeggiatori.
Essendo in conseguenza deciso a codesto viaggio e contando sui soccorsi che mi promettete, lascio in Piemonte il detto signor Crispi amico anche del vostro Bertani, per sostituirmi in quanto concerne gli accordi da prendersi con la direzione di Milano e l'invio dei convenuti mezzi. Una lettera mi indicherà definitivamente il luogo e il modo per l'invio.
L'insurrezione di Sicilia, rifletteteci bene, trarrà con sè quella di tutto il sud della penisola. Essa é più che necessaria in questi momenti, se è vero che si vuol fare l'Italia.
Il differirla importerebbe favorire i disegni della diplomazia, e dar tempo all'Austria di rinforzarsi e di trovar le alleanze che oggi le mancano.
D'altra parte l'indugio è quello che desidera Napoleone, il quale vorrebbe mettere a Napoli un membro della sua famiglia. Rompendo gl'indugi, noi ci troveremo in grado di impedire il brutto mercato di Nizza e di affrancare la povera Venezia.
Sovvenitevi che nel sud abbiamo una marina ed un esercito necessari alla conquista della nostra indipendenza e che non potremo farli nostri senza gli sforzi del popolo.
Non altro, Generale, che salutarvi di cuore e augurarvi nuove glorie in Sicilia a compimento della redenzione della patria.
ROSALINO PILO.

E per rivendicare a ciascuno la sua parte nella gloriosa spedizione di Marsala, ricordando come La Farina dichiarò suo tutto il merito di essa e come altri dopo la morte di Rosolino ripeterono su per giù lo stesso vanto, precisiamo l'"unicuique suum".

Lo Farina scrisse al signor Sbarbaro
(V. Epistolario di GIUSEPPE LA FARINA. 2 volumi. Milano, Treves, 1869 )

"Ella vedrà che il concetto (della spedizione) fu mio; che Garibaldi esitava, e ne ho i documenti; che da ultimo si decise a partire quando vide che i Siciliani sarebbero partiti senza di lui. Le armi, le munizioni, furono somministrate a Garibaldi da me; egli non aveva nulla.
Nessuno meglio di lor
o (Medici e Bixio) sa che la spedizione si fece per me" (pag. 502, torno II.).

E altrove (pag. 432) : "Non un fucile, non una cartuccia che non sia stata data da noi. Senza di noi la spedizione non si sarebbe fatta."

Ciò é semplicemente falso. La Farina dal momento che si era distaccato da Mazzini, non ebbe più relazioni con i rivoluzionari in Sicilia e nemmeno i mezzi sicuri di corrispondenza conl' isola, come egli stesso confessa a Daniele Morchio, a cui scrive:
"Mi é mancato il mezzo di corrispondere con la Sicilia che avevo da parecchi anni. Potrebbero i vostri amici di Genova trovarmene uno sicuro per mandare una volta la settimana un pacco al console sardo di Messina ?"

Chi ebbe il vero merito dell'iniziativa era troppo modesto per farsene bello quand'anche la morte non gliel'avesse impedito.
Ma Bertani sempre generoso verso gli amici, come giusto verso i nemici, per fortuna gli sopravviveva e di lui scrisse così:
( Ire politiche d'oltre tomba, raccolte da AGOSTINO BERTANI.)

"E in quei mesi appunto sino al marzo del 1860, Rosalino Pilo, liberato dalle carceri di Bologna, dove l'avevano rinchiuso i tementi la seria sollevazione, stava nascosto in Genova, perché minacciato di nuovo arresto, in una povera stanza in via della Casana n. 9, e manteneva vivissima corrispondenza con l'isola sua, giovandosi del personale di servizio di ogni vapore che vi dovesse approdare e dei passeggeri che si trasbordavano a Napoli, e spesso rischiando, con tutto suo dispendio, appositi messaggi. Egli così preparava di lunga mano quella iniziativa di movimento che con la persona seppe poi valorosamente sostenere, finché fu possibile commettere a Garibaldi il comando di una spedizione per la quale, io devo dirlo, forse il solo Rosalino Pilo allora pregava e stimolava il Generale quasi negletto a Caprera."

Intanto Rosalino col poco denaro che Mazzini poté fornirgli a Lugano, ritornò a Genova, qui noleggiando una vecchia barcaccia con un solo compagno, Corrao, caricandovi le poche armi faticosamente raccolte, partì in compagnia di Corrao sulla Paranza dal ponte dei salumi.
L'equipaggio si componeva dei fratelli Silvestro e del loro cognato Giuseppe Rossani, del mozzo Antonio Barsella, di Raffaele Moto, pilota; approdarono a Portiglione nel golfo di Follonica, ove per disgrazia, scambiarono le carte di bordo con quelle di un brick schooner dell'isola, d'Elba. Per tre giorni ebbero vento in poppa, ma poi una tremenda tempesta lasciava poca speranza che la vecchia barca potesse resistere. Allora il pilota ebbe la felice ispirazione di rifugiarsi nel canale tra Procida e capo Miseno, udito per altro dapprima il parere dei passeggeri. Essi semivivi per il mal di mare e per fame non perciò avevano l'animo abbattuto. Rosalino sorridendo disse: "tant'é finir a lesso come arrosto; evitiamo il presente pericolo e sarà quel che sarà".

Il lunedì dopo Pasqua distavano poche miglia dalla Sicilia e il 9 di aprile alle ore 12 Rosalino e Corrao con le sciarpe tricolori al collo, le rivoltelle impugnate, scesero a terra in un luogo detto le Grotte, e pregando l'equipaggio di aspettare qualche giorno, si avviarono alla volta di Messina.
In barca lasciarono le poche armi che si erano procurate, e il pilota non conoscendo gli approdi, dovette starsene al largo. Due giorni dopo Rosalino con una lancia venne a prendere le armi, e consegnò al pilota parecchie lettere di cui citiamo le seguenti.

« Messina, 12 aprile 1860.
"Caro Bertani,
Leggi l'acclusa lettera e consegnala presto, pensa che contiamo sugli aiuti promessi. La sorte d'Italia si decide nel mezzogiorno della penisola. Qui già siamo al fuoco; nel momento che ti scrivo si tirano fucilate e cannonate sulla città di Palermo: si é disposti a non prendere l'offensiva; ma fra un'ora sarò in cammino per piombare con forti masse su Catania; il resto lo conoscerai dalla lettera che ho scritto a Garibaldi.
Addio ! salutami tutti quelli che mi ricordano e di' a Bixio e Medici, che qui si fanno fatti e non ciarle e che avrei da loro dovuto esser creduto quando li ragguagliai sulle condizioni dell' isola. Addio di nuovo ! Salutami Cattaneo. Tuo
ROSALINO PILO.
(Signor dott. Agostino Bertani, deputato al Parlamento, Torino).

Allegato


"Messina, 12 aprile 1860.
Miei carissimi amici e fratelli,
"Eccomi finalmente a terra, i primi pericoli mi é riuscito superarli. Quindici giorni di navigazione non mi fecero giungere in tempo all'inizio della rivoluzione di Palermo, avvenuta il 3 corrente. Se fossi giunto in tempo qui o a Catania, sarebbero queste due città pure in mano del popolo, ma tardi si giunse, e queste due città si trovan in stato di assedio. Il Comitato qui é di uomini pusillanimi, il popolo diviso, la gioventù fremente, ma il satanico governo borbonico ha prese tutte le misure per incendiare il paese.
Ho proposto oggi di radunare una buona parte di gioventù e marciare verso Catania e Palermo, vedrò se sarà dal pusillanime Comitato accettato il mio progetto; se no, oggi stesso partirò a cavallo per raggiungere i 30mila che combattono in Palermo contro le truppe regie, infamissime, che combattono contro i loro fratelli, e per sostegno del più brutto e nefando governo.

"Il grido dei nostri é "unità" e "libertà d' Italia". Ieri sera giunse notizia che alle truppe borboniche toccarono una grande disfatta, che una grande parte fu respinta in mare. Questa notizia è pervenuta ad un Console, e mi fu data da un componente il Comitato di qui che mi è riuscito vedere sopra un "barco estero", essendo tutti i componenti il Comitato sottoposti a rigorosa sorveglianza.

"In punto ore 12 meridiane. - Viene un altro componente il Comitato, precisamente quello che stava con me in corrispondenza e che mi scrisse l'ultima lettera che vi comunicai prima della mia partenza, ad avvertirmi che fu accettato il mio progetto. Questa sera con Corrao partiamo per la Scaletta per metterci alla testa d'un corpo di giovani: porteremo tutte le granate pronte e le munizioni e marceremo per attaccare i regii in Catania od altrove. Più paesi della provincia di Messina già sono in insurrezione, Milazzo è insorta, la piccola guarnigione si é chiusa in castello e sarà attaccata.

" Barcellona é insorta, vi è il marchese Mauro con 400 già in armi, e tutti i paesi del vicinato di Barcellona e di Patti hanno inalberato il "puro vessillo tricolore"; la Sicilia sente più di ogni altro paese che si deve far questione d'essere italiani. Io ritengo che la vittoria sarà per noi e che l'ora é vicina della distruzione del dispotismo; però fa d'uopo che si pensi ad aiutarci, a spingere col mezzo della stampa codesto governo; é venuto il tempo d'essere audaci; ma d'essere audaci non come il vigliacco La Farina che se ne sta in Torino a fare il buffone. Questa lettera ve la scrivo in fretta, quindi non badate alle scorrettezze, fate tesoro di quanto vi scrivo e comunicate tutto al nostro giornale l'Unità d'Italia perché pubblichi quanto gli converrà metter a conoscenza di codesta parte d'Italia. Io sono felice di poter dare tutto il mio sangue all'Italia nostra. Voglia il cielo esserci propizio una volta !

" Vi prego di spedire le accluse e se non riceverete mie lettere dopo questa, attribuitelo alla mancanza di mezzi di corrispondenza; però voi spedite al solito le vostre lettere e mandatele in Messina a Mariano Granati; il pacco di lettere e giornali per me spediteli al mio nome e cognome dentro il pacco di giornali.
Addio miei amatissimi fratelli, vogliatemi bene, abbracciatemi Peppinello e quanti mi ricordano, e credetemi vostro riconoscente fratello
ROSALINO PILO.
PS. Leggete l'acclusa, all'indirizzo di Mosto e consegnatela prontamente.
Addio. Corrao vi abbraccia."


Il pilota, che si era scaldato per l' impresa, sbarcò a Livorno, ove imbarcatosi sul piroscafo andò a Genova a presentarsi a Bertani con le lettere. Questi lo condusse subito a Garibaldi, che si trovava in casa Vecchi a Quarto.
Cediamo la parola al bravo pilota:

"Fui presentato al Generale che mi ricevette con benevolenza ed interesse; gli porsi la lettera che egli lesse commuovendosi, poi rivolto a me disse: "Ma se stamane ho letto in un giornale che il movimento in Sicilia è stato subito represso ?.. "
" Generale - dissi - sono passati pochi giorni da che io manco dalla Sicilia, e ritengo impossibile che il Borbone in così poco tempo abbia potuto frenare una rivolta che ogni giorno prendeva sempre più vaste proporzioni. Rosalino e Corrao sono partiti da Messina per portare la rivoluzione in Palermo, seminandola lungo la via. Messina e le sue vicinanze erano già insorte la sera stessa che entrammo nello stretto, e ora, Generale, ci vuole il vostro nome e il vostro braccio, altrimenti in Sicilia saranno tutti sacrificati.

"Incrociò le braccia sul petto, e scrollando leggermente il capo, con lo sguardo a terra, mormorò a mezza bocca.... " ma la Francia?... ma Cavour?"
Meditò un momento in cui noi tutti si restò muti; poi scuotendosi tutto risoluto si rivolse ad un giovane che stava seduto presso il tavolo, e che mi aveva condotto con Felice Casaccia ed altri a quella villa e disse:


- Venite voi altri?
- Sicuramente, Generale.
- Ebbene, su quanti posso contare?
- Tre o quattromila, risposero.
- No.... No.... Non voglio carne inutile.... Pochi e buoni.... Poco più di un migliaio
mi basta.... Vi sono abbastanza armi? ...
- Ve ne sono a Malta, ma vi è bisogno di danaro.
- Scrivete e fatelo venire per mio conto.

Poi rivolto a me
- Quanti anni ha il vostro bastimento?
- E' vecchio, Generale, ha 17 anni!
- Diciassette anni ! ! avete fatto un colpo di mano!... e ditemi quanti uomini potrebbe portare?
- Per portare uomini non è adatto, é una barca detta paranza, e al più ne potrebbe portare una trentina.
- E' piccolo davvero.... e ditemi un poco: dove sarebbe il miglior punto per operare uno sbarco in Sicilia?
- Non saprei dirvelo, caro Generale, perché conosco Messina soltanto, e questa è ben fortificata. Palermo, per quanto ho udito raccontare da Corrao durante la traversata, non sarebbe affare per la stessa ragione. Io vi consiglierei Trapani, perché anche Corrao, in proposito a questo, diceva che il miglior punto per fare uno sbarco sarebbe stato quello, essendo guardato da pochi soldati, e poco buoni, e quasi nemmeno muniti di cannoni.
- Sì, ma Trapani é troppo ingombro di secche e di banchi.
- E', vero, Generale, ma coll'attenzione e un buon piano si possono evitare.
- Eh va bene..., ma essendo inseguiti, fa d'uopo avere un luogo più spiccio per essere il più presto possibile a terra. Basta, in quanto a questo mi consiglierò con Bixio.

- La conversazione terminò con queste parole del Generale:
"Sentite, amici, che si sappia che si va, poco m'importa, ma quanti saremo e quando si partirà non vorrei che nessuno lo sapesse".

E così ci congedammo da lui, tutti contenti di questa risoluzione".

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