RELAZIONE DELL'AMMIRAGLIO ERNEST J. KING
Comandante in Capo della Flotta degli Stati Uniti e Capo delle Operazioni Navali


parte IV - COLLABORAZIONE e parte V - CONCLUSIONE

IV: COLLABORAZIONE

COLLABORAZIONE TRA I VARI RAMI DELLA MARINA

E fuori dubbio che la guerra navale moderna è assai complessa, giacchè essa è il portato di intense ricerche scientifiche, nonchè dello sviluppo dei vari metodi seguiti nelle battaglie navali da centinaia d'anni. La storia insegna che ogni nuovo metodo di guerra, con o senza nuove armi, ha immancabilmente dato luogo a nuove misure, che generalmente riescono a ridurne l'efficacia. È probabile che questo stato di cose continui; ma, per ciò che riguarda i nuovi metodi e le nuove armi, noi siamo certamente in grado di segnare la strada.

La marina, forse più che qualsiasi altro ramo della forze armate, deve basarsi su un alto livello di abilità e di esperienza tecnica. Tutte le nostre navi ed i nostri apparecchi, i cantieri che li progettano e li fabbricano, l'equipaggiamento che li mette in grado di funzionare e ne fa delle armi potenti, non potrebbero esistere senza gl'ingegneri ed i tecnici specializzati. Noi siamo fortunati di avere negli Stati Uniti, più che in qualunque altro paese, ingegneri capaci, illimitate possibilità di istruzione, e conoscenze tecniche di prim'ordine.
Ogni tecnico a bordo deve sapere non soltanto come far funzionare quella parte speciale del macchinario a cui egli è addetto, ma deve farlo funzionare in modo da contribuire quanto più è possibile all'efficienza della nave nel suo complesso. Non v'è esempio migliore dell'assoluta necessità di lavori d'insieme che quello che si svolge a bordo di una moderna nave da guerra. In un sottomarino, ad esempio, ogni marinaio ed ogni ufficiale ha un compito strettamente legato l funzionamento della nave, alla sua potenza di offesa, all sua stessa esistenza: la salvezza di ogni individuo dipende da quello che fanno gli altri, purchè lo facciano bene ed a tempo opportuno.
Quando ogni unità ha imparato ad operare perfettamente per conto suo, il secondo problema è quello di addestrarla ad operare con altre navi ed aeroplani, perchè tutte le varie unità funzionino come un meccanismo potente, e perfettamente ingranato. Ogni unità deve imparare ad assumere la sua posizione in seno ad un gruppo, e questo a sua volta deve essere equipaggiato, addestrato ed allenato a combattere ed a vincere in tutte le parti del mondo.

La mobilità è una delle prime necessità militari. Le unità di superficie, i sottomarini, e l'aviazione navale posseggono tutti un alto grado il mobilità. Con la rapidità sempre crescente delle nostre operazioni, è quindi importantissimo, dal punto di vista sia strategico che tattico, che le azioni siano esattamente coordinate nel tempo. Questa è la base della nostra capacità combattiva, e, come è stata adoperata con successo per il passato, abbiamo fiducia che essa ci servirà altrettanto bene in altre operazioni anche più riuscite.

LA COLLABORAZIONE TRA L'ESERCITO E LA MARINA

Nel febbraio 1942 il Presidente istituì un ufficio conosciuto sotto il nome di Ufficio dei Capi di Stato Maggiore degli Stati Uniti ("U. S. Chiefs of Staff" o " Joint Chiefs of Staff") che ha il compito della direzione strategica delle nostre forze armate in tempo di guerra. Fanno parte di detto ufficio il Capo di Stato Maggiore del Comandante in Capo dell'Esercito e della Marina degli Stati Uniti; il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito; il Comandante in Capo della Flotta e Capo delle Operazioni Navali ed il Comandante Generale delle Forze Aeree.
Grazie all'ottimo coordinamento dei piani strategici ed all'esecuzione di essi, l'Ufficio dei Capi di Stato Maggiore ha fatto agire l'esercito e la marina come un'unica forza armata nazionale. Oltre a ciò, grazie al continuo scambio di informazioni di tutti i generi, comprese quelle riguardanti la tecnica delle operazioni belliche, le nuove armi, i problemi tattici e strategici, l'esercito e la marina non solo si sono prestati la massima reciproca assistenza, ma hanno utilizzato anche tutte le altre organizzazioni comunque collegate con la condotta della guerra.
In base alla stessa unità di azione praticata dai Capi di Stato Maggiore, l'ufficio ha elaborato e messo in pratica determinati principi concernenti l'unità di comando in operazioni collettive. Seguendo tali principi, e considerando le particolari capacità dei singoli ufficiali e il tipo di operazione predominante in un dato teatro di guerra, il comandante supremo di ogni zona ed i suoi principali collaboratori possono appartenere indifferentemente all'una od all'altra forza armata. Ad esempio, era stato stabilito che, in determinate circostanze, il comando generale nelle nostre frontiere marittime (che corrispondono generalmente ai comandi di difesa militari (Army Defense Commands) sarebbe stato affidato agli ufficiali di marina; in altre circostanze invece il comando generale sarebbe stato affidato agli ufficiali dell'esercito. Un secondo esempio è quello dei comando supremo esercitato dal generale Eisenhower nelle operazioni dell'Africa settentrionale; un altro ancora la posizione di comando dell'ammiraglio Nimitz nel Pacifico.

Il principio dell'unità di comando, in seguito ad un accordo coi Capi di Stato Maggiore britannici, si applica anche, nello stesso modo come si applica alle forze armate americane, quando le forze di due o più paesi siano impegnate nelle stessa operazione. Le azioni belliche nel Mediterraneo servono ad illustrare questo metodo, che ha dato ottima prova.

LA COLLABORAZIONE TRA GLI ALLEATI

I Capi di Stato Maggiore britannici od i loro rappresentanti che collaborano a Washington coi Capi di Stato Maggiore americani vengono generalmente designati col nome di "Combined Chiefs of Staff" (Stati Maggiori Riuniti Anglo-Americani).
Il Quartier Generale degli Stati Maggiori Riuniti Anglo-Americani, che comprende i Capi di Stato Maggiore americani ed i rappresentanti dei Capi di Stato Maggiore britannici, ha sede a Washington, e nel loro ufficio vengono quotidianamente considerati e vagliati i vari problemi della guerra via via che si presentano. Rappresentanti delle altre nazioni alleate e dei "Dominions" inglesi partecipano di tanto in tanto alle riunioni di Washington.
I Capi di Stato Maggiore Anglo-Americani, insieme coi capi dei loro rispettivi governi, si sono incontrati a varie riprese per discutere e decidere le questioni riguardanti la condotta generale della guerra. Nelle conferenze di Casablanca, Washington, Quebec, Cairo, e Teheran, tutte del 1943, sono state prese decisioni di importanza grandissima ed a lunga scadenza. I rappresentanti delle Russia intervennero alla Conferenza di Teheran ed i rappresentanti cinesi a quella del Cairo.

Queste conferenze internazionali, che hanno sempre una durata sufficiente da permettere una esauriente discussione di tutti i problemi di reciproco interesse, offrono la possibilità di prendere decisioni immediate non solo per ciò che concerne la strategia e le gerarchie di comando nei casi di operazioni collettive, ma anche per ciò che riguarda gl'impegni delle singole nazioni.

In aggiunta a quanto sopra, la discussione di tutti i problemi riguardanti le operazioni nel Pacifico ha luogo in seno al Consiglio di Guerra per il Pacifico (Pacific War Council): esso è presieduto dal Presidente degli Stati Uniti e comprende i rappresentanti degli Stati Uniti, dell'Australia, del Canadà, della Cina, dell'Olanda, della Nuova Zelanda, delle Filippine, e dell'Inghilterra. Il Consiglio non si riunisce regolarmente, ma esso fu istituito per offrire la possibilità di scambi di vedute e di informazioni tra i vari capi.

V: CONCLUSIONE

Al momento di terminare questa relazione, possiamo compiacerci di come si è svolta la guerra fino ad oggi ed essere giustamente orgogliosi della arte avuta dagli Stati Uniti nelle operazioni belliche.

Nel teatro di guerra europeo, le nostre forze hanno contribuito a cacciare il nemico dall'Africa, hanno preso parte all'occupazione della Sicilia ed all'invasione della penisola italiana, che hanno portato come conseguenza alla capitolazione dell'Italia.

L'esercito russo, lanciando contro i Tedeschi una poderosissima offensiva, è riuscito a ricacciare i nemici fino alle frontiere della Polonia e della Romania. Per la Francia sono sorte nuove speranze. La Gran Bretagna, invece di essere il quotidiano obiettivo delle forze aeree tedesche, è diventata la base di un'offensiva aerea che mira al cuore stesso del territorio dell'Asse e che supera di gran lunga anche i più potenti attacchi tedeschi sferrati durante questa guerra. Il pericolo dei sottomarini tedeschi, dallo stato di minaccia, è ridotto a quello di semplice problema da affrontare. L'accerchiamento delle Germania è rientrato ormai nell'orbita delle probabilità.

Oggi, 1° marzo 1944, la situazione nel teatro di guerra europeo sta divenendo sempre più disperata per la Germania, e sempre più incoraggiante per noi. L'edificio di stati satelliti costruito dalla Germania si sta sfasciando: l'Italia si è arresa ed è ora un campo di battaglia, in cui 20 divisioni tedesche subiscono gravissime perdite.

La Rumania, la Bulgaria, l'Ungheria e la Finlandia si stanno indebolendo. Nei Balcani infierisce la guerriglia, ed altri paesi occupati non aspettano se non il segnale della rivolta.
L'esercito russo continua ad avanzare; una potente invasione minaccia i Tedeschi da occidente e, in aggiunta a tutto, ciò, stiamo bombardando scientificamente e senza rimorsi il territorio tedesco con una violenza sempre crescente; stiamo radendo al suolo le città tedesche, distruggendo le fabbriche e creando una situazione che non può non avere un'enorme ripercussione del momento del collasso finale.

Nel Pacifico, i Giapponesi, dopo il loro attacco a Pearl Harbor, avanzarono con incredibile velocità e con inaudita potenza attraverso le Filippine e le Indie Orientali Olandesi fino alle Isole Salomone, puntando verso la Nuova, Zelanda e l'Australia. In seguito a questa vittoriosa avanzata, effettuarono gli sbarchi nelle Isole Aleutine ed attaccarono Midway. Tuttavia, i successi giapponesi terminarono bruscamente, come bruscamente erano incominciati. Le nostre vittorie nelle Salomone, nel Pacifico centrale e settentrionale si sono ormai affermate; nel frattempo abbiamo avuto finche tempo di rafforzarci e di mettere alla prova le nostre potenzialità. Le nostre basi avanzate che, due anni fa, erano situate lungo una linea che si estendeva da Dutch Harbor nelle Aleutine a Midway, e di lì a Fiji, alla Samoa ed all'Australia, ora invece cominciano ad Attu, sulla punta delle Aleutine e si estendono a sud attraverso le Marshall fino alle Isole Bismarck ed alla Nuova Guinea.

Grazie alle acquistate esperienze, abbiamo imparato e migliorato la tecnica delle operazioni anfibie, in cui i Giapponesi riportavano tanti successi al principio della guerra. Le nostre forze dell'esercito e della marina hanno imparato a combattere come un'unità. Abbiamo appreso a sfruttare al massimo le nostre risorse, ma non abbiamo più bisogno di chiedere ai nostri comandanti di tirare avanti come possono con mezzi inadeguati.

La situazione d'inferiorità numerica, che era evidentissima nella campagna del Mare di Giava ed in azioni successive nelle Salomone, è ora rovesciata. I nostri sottomarini ed aeroplani infliggono perdite sempre più gravi l naviglio nemico, di cui i Gapponesi hanno urgente bisogno, e la nostra flotta è l'incontrastata padrona del Pacifico centrale.

La guerra contro il Giappone, negli ultimi tempi, è andata di bene in meglio. I Giapponesi, in una serie di nostre operazioni offensive, sono stati gradualmente ricacciati da quelle che erano le loro posizioni avanzate. Ma la nostra avanzata verso il Giappone, pur essendo importantissima, non definisce ancora completamente il miglioramento della nostra posizione: infatti, la capacità giapponese di condurre una guerra navale e di conservare le sue basi avanzate è andata sempre più diminuendo, in seguito alla continua perdita di navi, mentre la nostra crescente potenza nel Pacifico ci mette in condizione di minacciare le Marianne, le Caroline e le Isole Curili, che si possono chiamare le zone intermedie di difesa dell'Impero Nipponico.

Il Giappone non potrà essere soggetto ai nostri attacchi, come lo è ora la Germania, finchè la cittadella dell'Impero, cioè la zona insulare e quella continentale, non sarà direttamente minacciata o dominata da noi; ma la presente situazione nel Pacifico è tale, che deve apparire grave e minacciosa al Giappone, come appare promettente a noi.

Tanto in Europa, quanto nel Pacifico, abbiamo ancora molta strada da percorrere. Ma noi siamo ormai incamminati per quella via; forti della nostra unità d'azione, della nostra potenza ed esperienza, siamo pieni di fiducia e decisi a conquistare rapidamente la vittoria.

Fine

AMMIRAGLIO ERNEST J. KING
Comandante in Capo della Flotta degli Stati Uniti e Capo delle Operazioni Navali
1° marzo 1944


L'AVIAZIONE DEGLI STATI UNITI IN GUERRA > >
RELAZIONE DEL GENERALE HENRY A. ARNOLD
Comandante in Capo dell'Aviazione dell'Esercito degli Stati Uniti
e Capo delle Operazioni Aeree


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