RELAZIONE DELL'AMMIRAGLIO ERNEST J. KING
Comandante in Capo della Flotta degli Stati Uniti e Capo delle Operazioni Navali



LA GUERRA NAVALE NEL PACIFICO

La guerra nel Pacifico può essere suddivisa in quattro fasi distinte:

a) la fase puramente difensiva, durante la quale eravamo impegnati quasi esclusivamente a proteggere le nostre coste e le nostre linee di comunicazione contro possibili infiltrazioni nemiche;

b) la fase difensiva-offensiva, durante la quale, pur essendo le nostre operazioni di carattere essenzialmente difensivo, riuscimmo tuttavia a prendere determinate misure di offesa;

c) la fase offensiva-difensiva, cioè il periodo che seguì immediatamente il nostro passaggio all'offensiva, durante il quale tuttavia dovevamo ancora impiegare gran parte delle truppe a difendere posizioni recentemente conquistate;

d) la fase puramente offensiva, che ebbe inizio quando le nostre basi non erano più seriamente minacciate e quando cominciammo a poter attaccare il nemico dovunque ci piacesse.

a) LA FASE PURAMENTE DIFENSIVA

Dopo l'attacco a Pearl Harbor, i Giapponesi si ritirarono dal Pacifico Centrale e per il momento, eccezione fatta per la conquista delle isole di Guam e di Wake, limitarono i loro principali attacchi alle Filippine ed alle Indie Orientali Olandesi. Le nostre operazioni dovevano quindi necessariamente limitarsi a quella linea avanzata nemica. Guam cadde facilmente. Le nostre truppe a Wake, invece, dopo un'eroica resistenza, che costò gravi perdite alle forze nemiche, grandemente superiori di numero, furono sopraffatte alla fine di dicembre 1941.

Prescindendo dalle truppe nelle Filippine, al comando del generale MacArthur, le nostre forze nella regione del Pacifico occidentale consistevano soprattutto della nostra flotta asiatica, di alcuni reparti d'aviazione e delle già ricordate guarnigioni di fanteria di marina a Guam ed a Wake. La piccola flotta asiatica, al comando dell'ammiraglio Thomas C. Hart, comprendeva l'incrociatore pesante Houston, l'incrociatore leggero Marblehead, 13 vecchi cacciatorpediniere, circa 29 sottomarini, due squadriglie di apparecchi Catalina ed alcune cannoniere e navi ausiliarie, su cui non si poteva contare per servizio di combattimento. Con questa esigua forza (più l'incrociatore leggero Boise, che si trovava per caso in acque asiatiche quando scoppiò la guerra) ci trovammo a dover arrestare l'avanzata nemica, in attesa dell'epoca in cui potessimo opporre una vera e propria resistenza con forze adeguate. Ci rendevamo conto fin dall'inizio che sarebbe stato impossibile arrestare completamente l'avanzata giapponese; tuttavia, la nostra campagna contribuì non poco a rallentarla, mentre la forza di resistenza e l'eroismo dimostrati dagli ufficiali e dai soldati in quella occasione costituiscono una pagina gloriosa nella storia della guerra navale.

Verso la fine di novembre ('41), quando la situazione creatasi in seguito alle avanzate giapponesi lungo le coste dell'Indocina indicava l'imminenza di una crisi, l'ammiraglio Hart aveva mandato il Marblehead e otto caccia torpediniere a Borneo; similmente, lo Houston, il Boise ed il caccia torpediniere di appoggio Black Hawk erano stati inviati verso sud. Perciò la sera dell'8 dicembre 1941, dopo che i Giapponesi ebbero bombardato i nostri aerodromi e distrutto molti apparecchi del generale MacArthur, ai nostri sottomarini e motosiluranti, che si trovavano ancora nelle acque delle Filippine, fu affidato l'incarico di arrestare l'avanzata nemica. II 10 dicembre il cantiere di Cavite, che già da tempo era considerato poco sicuro, fu praticamente annientato da un attacco aereo nemico, che danneggiò anche il sottomarino Sealion ed il caccia torpediniere Peary; il Sealion fu poi colato a picco dalle nostre stesse forze, per evitare che cadesse in mano al nemico. Lo stesso giorno i Giapponesi sbarcarono nelle Filippine, cosicché tutti i nostri tentativi di trasportare una quantità sufficiente di rifornimenti per via marittima rimasero frustrati. Si noti tuttavia che il 10 dicembre c'erano ancora, nella Baia di Manilla, circa 200.000 tonnellate di naviglio alleato, quasi tutto in buone condizioni e parte di esso carico di prezioso materiale. Tutte queste navi, accetto una, riuscirono a sfuggire verso sud per il Mare di Sulu e lo Stretto di Makassar, protette, fin dove era possibile, dalle nostre unità di superficie. E questo può considerarsi una importante opera di salvataggio.

Si capiva che la caduta di Bataan e di Corregidor era simplicemente questione di tempo: perciò il contrammiraglio F. W. Rockwell, che comandava le difese navali locali, si trasferì il 26 dicembre a Corregidor.

L'ammiraglio Hart stabilì il suo Quartiere Generale nelle Indie Orientali Olandesi. Poco dopo arrivò il generale Sir Archibald P. Wavell, dell'esercito britannico, ed assunse il comando di quella zona, mentre l'ammiraglio Hart divenne Comandante delle forze navali alleate. Fino all'arrivo dell'ammiraglio Hart a Giava, il contrammiraglio (ora vice-ammiraglio) William A. Glassford comandava le navi di superficie nelle acque meridionali, assistito dal contrammiraglio William R. Purnell e da altri membri dello Stato Maggiore della Marina. Fino a quell'epoca (per ciò che concerne la flotta Asiatica) la campagna fu condotta in base ai piani elaborati dal Ministero della Marina prima dello scoppio delle ostilità.

Il metodo adottato dai Giapponesi nell'effettuare la loro avanzata su per le Filippine e le Indie Orientali Olandesi era tutto basato sulla loro forza aerea. Dopo aver accumulato le loro forze in una data base, essi sopraffacevano la forza aerea alleata, sempre inferiore alla loro, sul loro primo obiettivo d'attacco, e poi spedivano forze anfibie, potentemente protette, a fare lo sbarco. Generalmente, la distanza da cui il nemico operava era troppo breve, per permettere alle nostre unità navali di attaccarlo lungo la rotta navale. Appena il nemico era riuscito ad impossessarsi di una nuova zona, riparava gli aerodromi e raccoglieva le forze per il successivo attacco. Questa tattica si confaceva perfettamente alla configurazione geografica delle Filippine e delle Indie Orientali Olandesi, data l'assenza quasi completa di vie di comunicazione terrestri nelle isole occupate.
Nel gennaio 1942 Giapponesi avevano quindi conquistato tutte le Filippine: la maggior parte delle nostre forze si trovavano nelle Indie Orientali Olandesi, che costituivano evidentemente il prossimo obiettivo nemico. I nostri sottomarini e le motosilurante erano impegnati ad ostacolare l'avanzata nemica, per farci guadagnare tempo e permetterci di organizzare le azioni di superficie progettate nel Mare di Giava.

LA CAMPAGNA NEL MARE DI GIAVA

Nella situazione in cui ci trovavamo, l'ammiraglio Hart doveva progettare tutte le nostre operazioni senza appoggio aereo, ad eccezione di alcuni aeroplani da bombardamento dell'esercito ed alcuni caccia basati a Giava. I nostri apparecchi Tipo PBY-4 della Decima Squadriglia (Patrol Wing Ten) non erano adatti al genere di operazioni che si eseguivano; in verità, fu soltanto il comportamento meraviglioso dei nostri piloti di fronte agli attacchi dei caccia nemici, e l'assistenza prestata loro dalla mobilità delle nostre navi-appoggio, che rese possibile l'impiego di quelli apparecchi.

Alla fine di dicembre, i Giapponesi stavano attrezzando delle basi a Davao, nell'Isola Mindanao ed a Giolo nell'Arcipelago delle Sulu. Da queste basi avanzavano verso sud, attaccando Menado, sulla punta settentrionale di Celebes, Tararan, nella regione nordorientale di Borneo, e poco dopo Kema; era evidente la loro intenzione di avanzare lungo lo Stretto delle Mulocche verso Ambon, Kendari e lo Stretto di Makassar. Il 20 gennaio sembrava che fossero pronti per attaccare Balikpapan, sulla costa orientale di Borneo.

Radunando le poche navi disponibili (fino ai primi di febbraio tutte le navi di superficie britanniche ed olandesi erano state impiegate per scortare convogli di truppa nella Penisola Malese), l'ammiraglio Hart decise di effettuare un attacco notturno con siluri. L'attacco ebbe luogo nelle acque di Balikpapan nelle prime ore del 24 gennaio e l'azione prese poi ufficialmente il nome di Battaglia dello Stretto di Makassar; vi parteciparono i cacciatorpediniere John D. Ford, Parrot, Paul Jones e Pope, al comando del comandante (ora capitano) P. H. Talbot. Prescindendo dalle perdite inflitte al nemico, l'attacco (che fu uno dei quattro tentativi effettuati dai nostri incrociatori e cacciatorpediniere per obbligare il nemico ad accettare battaglia) fu brillantemente eseguito e riuscì a ritardare per un certo tempo l'attacco a Balikpapan. Tuttavia, altre forze anfibie nemiche continuarono ad avanzare verso est, riuscendo a sbarcare a Rabaul nella Nuova Bretagna ed a Bougainville, nelle Salomone. Il nemico si impadronì anche di nuove posizioni sulla costa di Borneo, ed ai primi di febbraio conquistò Ambon, cominciando subito a bombardare Surabaya e varie altre posizioni giavanesi.

Sempre nell'intento di ritardare l'avanzata nemica, fu organizzata una squadra di quattro incrociatori e sette cacciatorpediniere ( parte olandesi e parte americani) agli ordini del contrammiraglio olandese Doorman, con il compito di eseguire azioni di attacco. Poichè si sapeva che un grosso convoglio giapponese si era radunato a Balikpapan, l'ammiraglio Doorman si propose di avanzare su per lo Stretto di Madoera fino al Mare di Giava e di attaccare il nemico; ma le nostre forze navali furono avvistate da aeroplani nemici e sottoposte ad un prolungato bombardamento, che impedì l'esecuzione del piano stabilito. Durante l'attacco lo Houstonn fu colpito in pieno e fu distrutta la torretta numero 3, mentre il Marblehead fu costretto a rifugiarsi sulla costa meridionale di Giava, per effettuare riparazioni provvisorie.

Continuando la loro avanzata, i Giapponesi attaccarono Palembang nella regione sud-orientale di Sumatra e penetrarono nello Stretto di Banka. Le forze al comando dell'ammiraglio Doorman, in un secondo tentativo di opporsi al nemico furono nuovamente costrette a ritirarsi in seguito a bombardamento di apparecchi giapponesi. Il 14 febbraio i Giapponesi di base a Borneo ed a Celebes erano in grado di avanzare su Bali e sulla regione orientale di Giava, mentre le forze nemiche di base a Sumatra minacciavano anch'esse l'isola di Giava.

A questo punto della campagna, in seguito ad accordi precedenti, in base ai quali era stato deciso che il comando di essa sarebbe stato affidato agli Olandesi, l'ammiraglio Hart lasciò il comando delle operazioni navali alleate, che passò invece al vice-ammiraglio olandese Helfrich; pochi giorni dopo, anche il generale Wavell lasciò il comando e si allontanò da quella zona.

Il nostro Quartier Generale, dopo essere stato soggetto a quotidiani bombardamenti a Surabaja, fu trasferito da lì a Tjilatjap, sulla costa meridionale di Giava. Il 19 febbraio Darwin, sulla costa settentrionale dell'Australia ebbe a subire un fortissimo bombardamento aereo, che distrusse l'aeroporto, i magazzini, le darsene e quasi tutte le navi ancorate in porto, tra cui il nostro cacciatorpediniere Peary. Tuttavia, la maggior parte delle forze di base a Darwin erano state trasferite a Tjilatjap, perchè la base di Darwin, già poco buona inizialmente, non era più difendibile.

Essendo le forze giapponesi sbarcate nella costa sud-orientale di Bali ed essendosi impadronite dell'aerodromo, l'ammiraglio Doorman, con le sue forze americane ed olandesi attaccò le navi nemiche nello Stretto di Bandoeng la notte del 19-20 febbraio. Durante quell'azione fu colato a picco il cacciatorpediniere olandese Piet Hein, mentre furono danneggiati gl'incrociatori olandesi Java e Tromp ed il nostro Stewart. Non è possibile calcolare i danni inflitti al nemico, ma essi furono probabilmente considerevoli.
L'azione nello Stretto di Bandoeng, pur potendo essere considerata come incoraggiante, non fu molto efficace nell'arrestare i Giapponesi, che ormai controllavano tutti gli accessi settentrionali delle Indie Olandesi e sembravano pronti per l'attacco a Giava. Allo scopo di assistere le nostre forze con apparecchi da caccia, la Langley, che portava a bordo aeroplani e relativi equipaggi, e la Searvitch, con un numero di apparecchi anche maggiore, furono inviate a Giava. Ma il 26 febbraio la Langley fu affondata da bombardieri nemici; la petroliera Pecos fu colata a picco nella stessa regione circa alla stessa epoca: la Seawitch arrivò sana e salva a Tjulatjap, ma ormai troppo tardi.

Il 27 febbraio, le unità al comando dell'ammiraglio Doorman, e precisamente due incrociatori santi e tre leggeri, più nove cacciatorpediniere attaccarono una formazione nemica nel Mare di Giava, non lontano da Surabaja. Dopo la manovra iniziale per mettersi in posizione di battaglia e dopo essere entrata in azione, la nostra formazione, per varie ragioni, subì una serie di perdite: fu affondato il cacciatorpediniere britannico Electra e l'olandese Kortenaer; fu anche danneggiato l'incrociatore britannico Exeter. Più tardi, quella notte stessa, i due incrociatori olandesi DeRuyter e Java furono colati a picco in seguito a lancio di siluri e tiri d'artiglieria nemici. Rimanevano così solamente lo Houston ed il Perth, giacchè i cacciatorpediniere americani avevano esaurito i siluri ed erano rientrati in porto per rifornirsi di combustibile. Lo Houston ed il Perth ripararono quindi a Tandjong Prock. I Giapponesi, pur avendo subito qualche perdita, riuscirono così ad impedire che la nostra formazione raggiungesse i convogli. Il problema più urgente per noi era quello di districare le nostre navi superstiti dal Mare di Giava, i cui accessi erano in mano del nemico.

II 28 febbraio l'Exeter, il Pope, e l'Encounter si diressero alla volta dello Stretto di Sonda, e non se ne ebbe mai più notizia. Il 1° marzo, lo Houston ed il Perth, accompagnati dal cacciatorpediniere olandese Eversten si diressero dalla stessa parte e, tranne qualche vaga notizia circa una battaglia nello Stretto di Sonda, anche di questi non si seppe più nulla. Di tutta la formazione alleata, soltanto i quattro cacciatorpediniere americani riuscirono a raggiungere l'Australia, dopo una scaramuccia con dei caccia giapponesi che facevano servizio di pattuglia nello Stretto di Bali.

Il 28 febbraio i Giapponesi sbarcarono sulla costa settentrionale di Giava. Poiché ormai nessun porto di Giava poteva servire di base alle nostre unità di superficie, il Comando Navale Alleato fu sciolto e le navi che rimanevano a Tjilatjap ebbero l'ordine di salpare per l'Australia. Dei quattro cacciatorpediniere che presero il Mare, l'Edsall ed il Pillsbury furono affondati prima di giungere a destinazione; le altre navi riuscirono a sfuggire, eccetto la cannoniera Asheville. Così ebbe termine l'eroica campagna del Mare di Giava, in cui ufficiali e soldati, trovandosi a dover affrontare preponderanti forze nemiche, fecero tutto quello che era umanamente possibile con gli scarsi mezzi che avevano a disposizione.

ATTACCHI ALLE POSIZIONE GIAPPONESI

Mentre la situazione in Estremo Oriente stava aggravandosi di ora in ora ed i Giapponesi riuscivano a mantenere dappertutto l'iniziativa, la nostra flotta del Pacifico, al comando dell'ammiraglio Nimitz, eseguì la prima azione offensiva della guerra contro le isole Marshall e Gilbert.
Allo scopo di compiere delle incursioni contro queste isole, fu messa agli ordini del vice-ammiraglio, ora ammiraglio William F. Halsey, Jr., una squadra navale composta delle porta-aerei Enterprise e Yorktown, degli incrociatori pesanti Chester, Louisville. Northampton e Salt Lake City, dell'incrociatore leggero St. Louis, e di dieci cacciatorpediniere. A cominciare dal 31 gennaio 1942
tale squadra indisse danni, talvolta gravissimi alle isole Wotje, Malcolap, Kwajalein, Roe, Jaluit, Makin, Taroa, Loc e Gugegwe, sottoponendole a bombardamenti aerei ed a tiri d'artiglieria. E molto probabile che, dopo il riuscito attacco a Pearl Harbor, i Giapponesi avessero ritirato, prima dei nostri attacchi, gran parte delle forze aeree originariamente di base nelle Marshall. Eccetto il Chester, che fu colpito da una bomba, e l'Entreprise, che fu lievemente danneggiata da spezzoni di proiettili, nessuna delle nostre unità fu danneggiata durante tutta l'operazione, e le nostre perdite umane furono anch'esse lievi.

L'incursione sulle Isole Marshall e Gilbert fu coronata da tanto successo, che nelle settimane successive eseguimmo altre operazioni dello stesso tipo. Il 20 febbraio una squadra navale raggruppata attorno alla nave porta-aerei Lexington, e comandata dal vice ammiraglio Wilson Brown, tentò un attacco combinato aereo e navale contro Rabaul, in Nuova Bretagna. Ma, mentre la formazione si avvicinava all'obiettivo, la Lexington fu avvistata da apparecchi bimotori da bombardamento nemici: 16 di essi furono distrutti dai nostri caccia, con cinque abbattuti da un solo pilota. Tuttavia, essendo stato ormai frustrato l'elemento della sorpresa ed essendosi consumato molto combustibile nelle manovre ad alta velocità eseguite per sfuggire all'attacco, l'operazione contro Rabaul fu sospesa.

Il 24 febbraio l'ammiraglio Halsey con la Enterprise, due incrociatori e sette cacciatorpediniere bombardò dal mare e dall'aria l'isola di Wake, che era caduta in mano del nemico fin dal 22 dicembre. I danni inflitti al nemico furono considerevoli; le nostre perdite si ridussero ad un solo apparecchio. Otto giorni dopo, gli aeroplani dell'Enterprise bombardarono l'Isola di Marcus, con risultati abbastanza soddisfacenti; anche in questa operazione uno solo dei nostri apparecchi andò distrutto.

Il 10 marzo il vice ammiraglio Brown, con le navi porta-aerei Lexington e Yorktown, più alcune navi di appoggio, bombardò i porti nemici di Salamaua e Lae in Nuova Guinea, dove truppe giapponesi erano sbarcate tre giorni prima. Un certo numero di navi da guerra e da carico nemiche furono affondate o danneggiate e l'attacco fu coronato da successo, pur non riuscendo a ritardare sensibilmente l'avanzata nemica verso l'Australia. Le nostre perdite furono lievi.

Il 18 aprile, fu bombardata Tokio da apparecchi dell'esercito, partiti della nave porta-aerei Hornet, mentre quelli dell'Enterprise fornirono apparecchi da ricognizione e da caccia per la stessa operazione. Questa incursione fu un'azione di navi porta-aerei, unica della storia della guerra navale, perchè per la prima volta dei bombardieri medi terrestri furono trasportati al di là degli oceani e fatti decollare in prossimità del territorio nemico. Prescindendo dai danni inflitti da questo bombardamento, esso ebbe certamente l'effetto di rialzare il morale alleato, che a quell'epoca, in seguito Ala resa di Bataan e di fronte a tutta la situazione in Estremo Oriente, era estremamente basso.

IL MARE DEI CORALLI

Alla metà di aprile, i Giapponesi avevano già stabilito delle basi in tutta la zona Nuova Guinea, Nuova Bretagna, Salomone; essi avevano quindi la possibilità di minacciare tutta la Melanesia e l'Australia stessa, ed infatti stavano preparando le loro forze in tutte le isole avute in mandato, allo scopo di estendere la loro offensiva verso sud-est. Le forze che noi avevamo allora a disposizione erano pronte e desiderose d'impegnare il nemico, ma non erano abbastanza forti da potersi efficacemente opporre ad un grosso concentramento di forze nemiche, e meno che mai da poter eseguire un'offensiva su vasta scala.

Si noti a questo punto che durante i primi cinque mesi di guerra, in quasi tutti gli scontri col nemico era apparsa l'importanza della forza aerea nella guerra moderna. Le nostre perdite iniziali a Pearl Harbor e nelle Filippine furono dovute ad attacchi aerei, e la superiorità aerea nemica era stata anche una delle cause principali delle nostre sconfitte in Estremo Oriente. Similmente, le nostre incursioni sulle isole del Pacifico controllate dai Giapponesi, pur non essendo riuscite ad arrestare l'avanzata nemica, furono eseguite in gran parte da aeroplani basati su navi porta-aerei, con ottimi risultati e con lievi perdite per noi. Tuttavia, non c'era ancora stato alcuno scontro tra gli aeroplani basati su navi porta-aerei nostri e quelli nemici, e, benchè, avessimo ogni ragione di ritenere che i nostri aeroplani della marina fossero ben disegnati e che avrebbero dato ottima prova, non avevamo ancora una base di paragone sicura.

Quando i Giapponesi, il 3 maggio, iniziarono l'occupazione dell'Isola di Florida, nelle Salomone, il contrammiraglio (ora viceammiraglio) Frank J. Fletcher, che stava incrociando nel Mare dei Coralli con una squadra navale composta della nave portaaerei Yorktown, dei tre incrociatori Astoria, Chester e Portland, e di sei cacciatorpediniere, si diresse verso settentrione, per troncare l'operazione nemica. La mattina del 4 maggio, a circa 160 km, a sud-ovest di Guadalcanal, alcuni aeroplani della Yorktown colarono a picco e danneggiarono un certo numero di navi nemiche a Tulagi, con la perdita di un solo aeroplano, mentre un altro gruppo di apparecchi sferrava un ulteriore attacco, con la perdita di due aeroplani da caccia.

Il 5 maggio le navi agli ordini del contrammiraglio Fletcher si erano, congiunte ad altre forze alleate, una delle quali era una formazione composta degli incrociatori pesanti Minneapolis, New Orleans, Astoria, Chester e Portland e di cinque cacciatorpediniere, in questa formazione c'erano i due contrammiragli Thomas C. Kinkaid (ora vice-ammiraglio) e William W. Smith. L'altra formazione, composta dell'incrociatore pesante australiano Australia, dell'incrociatore leggero australiano Hobart, più l'incrociatore pesante americano Chicago e due cacciatorpediniere, era al comando del contrammiraglio J. G. Grace della marina britannica, ed operava con le navi porta-aerei Lexington e Yorktown e quattro cacciatorpediniere al comando del contrammiraglio (ora vice ammiraglio) Aubrey W. Fitch.

Nel pomeriggio del 6 maggio le forze nemiche si erano sufficientemente consolidate nelle zone Arcipelago di Bismarck, Nuova Guinea, tanto da far temere delle operazioni anfibie sulla costa sud-orientale della Nuova Guinea, forse contro Port Moresby. Poichè le forze nemiche avrebbero dovuto doppiare la punta sudorientale della Nuova Guinea, il contrammiraglio Fletcher appostò un gruppo di attacco a portata di tiro della probabile rotta nemica, mentre il resto delle sue forze si portavano più a nord, per tentare di scoprire le unità di copertura nipponiche.

La mattina dei 7 maggio, le nostre forze presero contatto con la nave porta-aerei giapponese Shoho, che fu subito attaccata ed affondata da apparecchi della Lexington e della Yorktown. Noi perdemmo un solo apparecchio di picchiata, ma quella stessa mattina i Giapponesi colarono a picco la nostra nave cisterna Neosho ed il cacciatorpediniere Sims.

La mattina seguente, prendemmo contatto con due navi portaaerei nemiche, quattro incrociatori pesanti e parecchi cacciatorpediniere: una delle navi porta-aerei giapponesi fu attaccata e gravemente danneggiata dai nostri velivoli, ma, come si prevedeva, l'aviazione nemica contrattaccò circa un'ora dopo. Durante il contrattacco, la Yorktown e la Lexington furono entrambe danneggiate, quest'ultima piuttosto gravemente. Le due porta-aerei ed i loro apparecchi abbatterono un numero considerevole di aeroplani nemici, mentre in paragone le nostre perdite furono lievi; ma nelle prime ore del pomeriggio un'esplosione a bordo della Lexington fece perdere il controllo della nave: essa fu quindi abbandonata ed affondata da uno dei nostri cacciatorpediniere: l'equipaggio fu quasi tutto salvo.

Così ebbe termine il primo importante scontro nella storia navale durante il quale le rispettive navi di superficie non avevano sparato neppure un colpo di cannone; e questa era una novità nella storia della guerra navale. Benchè l'affondamento della Lexington rappresentasse una grave perdita, la battaglia del Mare dei Coralli servì ad arrestare l'avanzata giapponese verso sud. Le nostre perdite, consistenti in una nave porta-aerei una nave-cisterna, un cacciatorpediniere e 66 apparecchi furono molto minori delle perdite probabilmente inflitte al nemico. II numero delle vittime fu di 543 uomini.

continua

FADE DIFENSIVA -OFFENSIVA


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