HOME PAGE
CRONOLOGIA
DA 20 MILIARDI
ALL' 1 A.C.
DALL'1 D.C. AL 2000
ANNO X ANNO
PERIODI STORICI
E TEMATICI
PERSONAGGI
E PAESI

110 d - ESPANSIONE VERSO IL WEST - I CONFLITTI REGIONALI

La guerra contro gli inglesi del 1812 rappresentò, sotto un certo punto di vista, una seconda Guerra di Indipendenza, dato che fino ad allora non era stata riconosciuta agli Stati Uniti una posizione di parità nella famiglia delle nazioni. Fu (pur non cedendo nelle rispettive richieste) dopo la conclusione del Trattato di Ghent, nel febbraio del 1815, che ad essi non fu più rifiutato il trattamento dovuto ad una nazione indipendente. La maggior parte delle gravi difficoltà che avevano travagliato la giovane repubblica dopo la Rivoluzione erano ora lontane dall'orizzonte.
L'Unità della nazione era stata raggiunta, l'equilibrio tra libertà ed ordine assicurato, il debito pubblico non era preoccupante ed il vergine conti
nente non attendeva che di essere dissodato: si delineava dunque una serena prospettiva di pace, di prosperità e di progresso sociale.

Sotto il punto di vista politico si viveva in « un'era di buoni sentimenti », corne la definivano i contemporanei, e uno spirito di unità informava tutti i provvedimenti ricostruttivi presi dopo la conclusione della pace. Il commercio rappresentava un elemento di coesione tra la popolazione americana. Le privazioni sopportate nel periodo della guerra avevano dimostrato l'importanza delle misure protettive per le industrie nazionali fin quando queste non fossero in grado di affrontare da sole la concorrenza straniera.
Si insisteva nell'affermare che l'indipendenza economica era di importanza essenziale quanto quella politica; e in verità questa sarebbe stata illusoria senza un'economia autosufficiente. La guerra della Rivoluzione era stata combattuta per conquistare la prima, e ci si proponeva ora di ottenere anche la seconda.

Henry Clay e John C. Calhoun, parlamentari molto importanti in quel periodo, avevano fede in un sistema protettivo, nell'emanazione cioè di leggi tariffarie che proteggessero lo sviluppo dell'industria americana.
Il momento era propizio ad un inasprimento dei dazi doganali. Gli allevatori di ovini nel Vermont e nell'Ohio desideravano essere protetti dalla concorrenza della lana inglese; nel Kentucky era sorta una nuova industria di filatura della canapa che veniva tessuta in tela da sacchi, la quale si vedeva minacciata dall'industria sacchiera scozzese.
Pittsburgh, già assurta a importante centro siderurgico, era ansiosa di fornire quella clientela che si era finora rivolta all'industrìa britannica e svedese. Le tariffe, approvate nel 1816, stabilivano tabelle abbastanza alte, e gli industriali si sentivano realmente protetti nel loro lavoro. Si invocava e caldeggiava frattanto la creazione di una rete nazionale di strade e canali che, a detta dei promotori, avrebbero più strettamente collegato la parte occidentale a quella orientale.

Le decisioni della Corte Suprema avevano nel frattempo molto rafforzato la posizione del Governo federale. Presidente della Corte era stato nominato nel 1801 John Marshall, nato nella Virginia, federalista convinto, il quale, nel lungo periodo della carica coperta fino alla morte, avvenuta nel 1835, aveva saputo trasformare la Corte Suprema, organo assai debole quando egli ne era stato nominato capo, in un tribunale importante, la cui posizione uguagliava quella del Congresso e del Presidente. Nella lunga serie delle sue storiche decisioni Marshall non si discostò mai da un principio cardinale: quello della sovranità del governo federale.

Grande magistrato, Marshall fu anche un grande giurista e uomo di stato. Alla fine della sua lunga carriera egli aveva stilato circa cinquanta sentenze in casi che implicavano senza alcun dubbio questioni di carattere costituzionale. La Costituzione, che i tribunali applicarono da allora in poi in tutto il paese, fu in massima parte la Costituzione nella forma interpretata da Marshall.
Tra le più famose delle decisioni da lui pronunciate è quella del 1803, nella causa Marbury contro Madison, in cui egli stabilì definitivamente il diritto della Corte Suprema a decidere della costituzionalità delle leggi emanate sia dal Congresso che dai corpi legislativi degli Stati.
Nella causa McCulloch-Maryland, nel 1819, egli decise l'annosa questione dei poteri governativi impliciti nella Costituzione, difendendo coraggiosamente la teoria di Hamilton secondo cui nel testo della Costituzione sono impliciti anche altri poteri governativi oltre quelli specificatamente elencati. L'opera di Marshall come giurista contribuì anche essa quanto quella di altri capi a trasformare il governo centrale in una forza vitale e in continua espansione.

Il sorgere in questo periodo di una letteratura realmente americana dimostrò come la coscienza nazionale si venisse formando anche in un campo così particolare. Washington Irving e James Fenimore Cooper vanno ricordati come i più importanti scrittori di questa nuova scuola americana. La divertente «History of New York by Diedrich Krickerbocker», opera pubblicata da Irving nel 1809, traeva la sua ispirazione interamente dalla vita americana. Altri tra i migliori lavori di Irving, come la novella di Rip Van Winkle hanno come scenario la vallata dello Hudson, e rivelano l'America sotto i suoi aspetti di paese leggendario e romantico. Anche Cooper si servì di materiale locale per dare espressione al suo talento di scrittore. Dopo un romanzo che tentava di ricalcare le orme della tradizione novellistica inglese, egli diede alle stampe «The Spy» (La spia), racconto della rivoluzione, che riscosse immediatamente enorme popolarità. Seguì « The Pioneers » (I pionieri), la cui vivida prosa descrive la semplice vita sulla frontiera americana.
In una serie di racconti pubblicati tra il 1823 e il 1841 e intitolati «Leatherstocking Tales» (I racconti delle uose), Cooper rese immortali nella letteratura mondiale le figure di Natty Bumppo, il pioniere, e di Uncas, il capo indiano dal passo silenzioso. Anche i racconti di mare che Cooper scrisse sono di netta ispirazione americana.
La fondazione della rivista « The North American Review » rappresentò un altro avvenimento assai importante nel mondo letterario. Sorta nel 1815, sotto la guida di un capace direttore, Jared Sparks, essa stabilì subito un alto livello culturale ed accogliendo la collaborazione e l'appoggio dei giovani intellettuali della Nuova Inghilterra si conquistò ben presto un posto definitivo nella cultura nazionale in fase di crescente sviluppo.
La frontiera costituì un altro dei fattori che contribuirono a forgiare la vita americana e ne fu forse il più decisivo. Le condizioni di vita lungo le coste dell'Atlantico erano un incentivo per l'emigrazione verso regioni più nuove: il terreno collinoso della Nuova Inghilterra mal si prestava ad una coltivazione intensiva di cereali in concorrenza con le poco costose e fertili terre dell'ovest.

Emigranti, uomini e donne, partivano in un flusso continuo dai villaggi e dalle fattorie della costa per conquistare anch'essi la loro parte delle ricche distese esistenti nelle regioni più interne. Anche nel sud tutto favoriva l'emigrazione: coloro che abitavano nella parte interna delle Caroline e della Virginia risentivano della mancanza di strade e canali che li collegassero ai mercati della costa e subivano, nel campo politico, il dominio degli agrari della zona atlantica. Anch'essi quindi erano tentati a spostarsi, lentamente ma incessantemente, verso le montagne Rocciose. Questo movimento migratorio ebbe profonde ripercussioni sul carattere degli abitanti
: esso incoraggiava lo spirito di iniziativa individuale, favoriva lo sviluppo di una democrazia politica ed economica, rendeva il modo di fare più brusco e più deciso e stroncava lo spirito conservatore, sostituendogli un senso vivo di autodecisione cui si affiancava il rispetto per l'autorità della nazione.

La corrente migratoria non conosceva soste, abbandonava la prima frontiera costituita dalla striscia costiera, oltrepassava le sorgenti dei fiumi, attraversava gli Appalachiani; già verso il 1800 i bacini del Mississippi e dell'Ohio stavano tramutandosi in una vasta regione di frontiera. «Hi-o, away we go, floating down the river on the Ohio » (Hi-o, noi ce ne andiamo, galleggiando sul corso dell'Ohio) era diventato il ritornello popolare degli emigranti.

 

Questo enorme spostamento di masse nei primi anni del XIX secolo portò con incredibile rapidità alla suddivisione dei vecchi territori, e allo stabilimento di nuove frontiere. Man mano che i nuovi Stati venivano ammessi, la carta politica della zona ad est del Mississippì veniva assumendo la sua fisionomia definitiva. In sei anni circa sei nuovi Stati vennero creati: l'Indiana (1816), il Mississippi (1817), l'Illinois (1818), l'Alabama (1819), il Maine (1820) e il Missouri (1821).

 

La prima frontiera americana aveva avuto legami assai stretti con l'Europa, la seconda con i centri della costa: la vallata del Mississippi era invece indipendente, ed i suoi abitanti più interessati all'ovest che alla parte orientale.
La popolazione di frontiera era formata da uno strano miscuglio di persone. All'avanguardia delle correnti migratorie marciavano i cacciatori armati di fucili e di trappole che Fordham, un viaggiatore inglese di quei tempi, descriveva quali «una razza di uomini audaci e solidi che vivono in misere capanne di tronchi... Sono rozzi ma ospitali, gentili verso il forestiero, onesti e degni di fiducia. Coltivano una varietà indiana di frumento, zucche, allevano maiali e possiedono talvolta una vacca o due... Il fucile rappresenta per loro il più importante mezzo di sussistenza».

Questi uomini erano abili nel maneggiare l'ascia, nel posare trappole, nel servirsi della lenza; essi aprivano i sentieri, costruivano le prime capanne di tronchi, e tenevano indietro gli indiani.
Man mano che avanzava verso le zone selvagge, il colono si tramutava da cacciatore in agricoltore: invece di una capanna costruiva una casa spaziosa di tronchi d'albero con finestre munite di vetri, un camino e stanze separate; invece di abbeverarsi alle sorgenti, scavava un pozzo. Se attivo disboscava rapidamente il pezzo di terreno prescelto per sistemarsi, bruciando la legna per ottenerne dalla cenere la potassa e lasciando che le ceppaie marcissero onde estrarle più facilmente; coltivava dei cereali, della frutta, delle verdure; perlustrava i boschi in cerca di caccia, di tacchini selvatici e di miele; pescava nei ruscelli vicini; badava alle sue mandrie e ai suoi maiali.

Coloro che avevano uno spirito più nomade comperavano vaste estensioni di terreno a buon mercato e non appena queste aumentavano di valore le rivendevano ai nuovi venuti per spingersi ancora più a ovest.
Ben presto ai coloni seguirono medici, avvocati, negozianti, giornalisti, predicatori, tecnici e politicanti, categorie destinate a formare la struttura essenziale di una società vigorosa. Gli agricoltori rappresentavano l'elemento più importante decisi a radicarsi dove si erano fermati, e animati dalla speranza che anche i loro figlioli sarebbero rimasti sul posto, costruivano stalle ancora più grandi di quelle dei loro predecessori e solide case in mattoni o in legno e muratura. Portavano con loro bestiame già selezionato; coltivavano la terra con maggiore perizia, seminavano prodotti scelti. Alcuni di essi costruivano mulini, segherie e distillerie Aprivano comode strade, innalzavano chiese e scuole. Il ritmo di sviluppo in queste zone fu così rapido che trasformazioni quasi inverosimili si verificarono nello spazio di pochi anni.

Nel 1830, ad esempio, Chicago non era che un piccolo centro commerciale scarso di promesse, protetto da un forte. Prima ancora che i suoi primi abitanti fossero scomparsi esso si era trasformato in una delle città più vaste e più ricche dei mondo.
Molte razze differenti si mescolavano nelle nuove terre dell'Ovest. Predominavano gli agricoltori provenienti dagli altopiani meridionali: ad essi apparteneva Abraham Lincoln nato in una capanna di tronchi nel Kentucky.
Non mancavano scozzesi-irlandesi, tedeschi provenienti dalla Pennsylvania, abitanti della Nuova Inghilterra, e individui di altra origine. Verso il 1830, più del cinquanta per cento di coloro che vivevano in America era cresciuto in un ambiente in cui tradizioni e abitudini del vecchio mondo erano ormai scomparse o assai remote.

Nell'Occidente gli uomini venivano valutati non in base alle tradizioni di famiglia, al patrimonio ereditato, alla cultura, ma per quello che essi erano in realtà e per quello che erano in grado di fare. I terreni erano alla portata di chiunque fosse appena ingegnoso: i terreni governativi potevano essere acquistati per un prezzo che si aggirava sui tre dollari l'ettaro, e, dopo il 1862, bastava dichiarare che si aveva intenzione di stabilirsi sul luogo.
Era facile anche procurarsi gli arnesi necessari per il lavoro. Era l'epoca in cui, come scriveva il giornalista Hurace Greeley, «i giovani potevano andarsene verso occidente e prosperare con il paese».

La parità di possibilità economiche favoriva il sorgere di un sentimento di uguaglianza sociale e politica ed offriva, a coloro che erano particolarmente dotati di qualita direttive, la possibilità di emergere rapidamente. Spirito di iniziativa, coraggio, forza fisica e serietà erano indispensabili per un buon pioniere.
I coloni della Nuova Inghilterra emigrando nella parte occidentale portavano con sé il bagaglio di ideali e di principi caratteristici della zona da cui provenivano. Lo stesso accadeva per gli emigranti provenienti dalle zone meridionali e, in un certo senso, l'intero processo di colonizzazione dell'ovest si tramutò in una competizione tra le due correnti di influenza.

Il problema della schiavitù che fino ad allora aveva avuto scarso rilievo nell'opinione pubblica, acquistò d'improvviso enorme importanza, «come un suono di campane che nella notte annunzia un incendio», scriveva a tale proposito Jefferson.
Nei primi anni di vita della repubblica, quando gli stati settentrionali stavano prendendo provvedimenti per un'emancipazione graduale e immediata degli schiavi, molti dei capi politici avevano ritenuto che la schiavitù sarebbe definitivamente scomparsa in tutta la nazione. Washington scriveva nel 1786, di desiderare ardentemente che venisse approvato un progetto "in base al quale si potesse abolire la schiavitù gradatamente, per fasi precise e inavvertibili". Jefferson, Madison, Monroe ed altri eminenti uomini di stato del meridione si erano espressi nello stesso senso. Fino al 1808, data in cui fu abolito il commercio degli schiavi, molti meridionali ritenevano che la schiavitù non sarebbe stata che un male passeggero.

Con la generazione successiva, invece, il sud venne trasformandosi in una regione che traeva la sua unità in massima parte dall'istituto della schiavitù. Varie erano le cause che avevano contribuito a questo mutamento: lo spirito di liberalismo filosofico che aveva brillato di pura fiamma durante il periodo rivoluzionario si era venuto spegnendo con il passare del tempo, mentre si faceva sempre più manifesto un antagonismo di carattere generale tra la Nuova Inghilterra puritana e gli schiavisti del sud. Nuovi fattori economici, soprattutto, avevano reso la schiavitù assai più redditizia di quel che non lo fosse prima del 1790.

Uno degli elementi che aveva determinato questo mutamento economico era stato il sorgere di una vasta coltivazione a tipo industriale del cotone, alla quale avevano contribuito molti fattori. Erano state prodotte nuove varietà di cotone e fibre più resistenti. L'invenzione che segnava veramente una nuova epoca, effettuata nel 1793 da Eli Whitney, della macchina sgranatrice del cotone, aveva accelerato enormemente il processo di produzione, e la domanda di materia prima era stata, al tempo stesso, assai incrementata dalla rivoluzione industriale che aveva fatto assurgere l'industria tessile a programmi di vasta portata. L'aprirsi di nuovi territori nell'ovest aveva inoltre, dopo il 1812, enormemente aumentato la superficie disponibile per la coltivazione del cotone.
Questa aveva avanzato rapidamente verso ovest risalendo dagli stati costieri ed espandendosi per buona parte nel corso inferiore del Mississippi e fino al Texas.

Anche la coltivazione della canna da zucchero costituiva un altro fattore che poneva il problema della schiavitù sotto un nuovo aspetto: le fertili e calde terre della Louisiana sud-orientale rappresentavano un terreno ideale per questa redditizia coltivazione verso la fine del XVIII secolo e, verso il 1830, questo stato forniva alla nazione circa la metà del suo fabbisogno di zucchero. La necessaria mano d'opera degli schiavi veniva importata dalle coste orientali.

Terza tra queste importanti coltivazioni, anche quella del tabacco si era andata diffondendo verso ovest trascinando dietro di se una mano d'opera formata da schiavi: questi quindi venivano man mano richiamati dai territori dell'alto sud a lavorare nei centri più meridionali e nell'ovest.

Man mano che la società liberista del Nord e quella schiavista del Sud andavano diffondendosi nei territori occidentali sembrò politicamente consigliabile mantenere tra gli Stati da poco istituiti un certo equlibrio per quanto riguardava la questione degli schiavi. Quando nel 1818, l'Illinois venne ammesso all'Unione, gli Stati dove la schiavitù era permessa erano dieci, contro undici nei quali essa era proibita: quando anche l'Alabama entrò nel novero degli Stati l'equilibrio venne a ristabilirsi. Molti rappresentanti del Nord si unirono immediatamente per ostacolare l'ammissione del Missouri se non a condizione di stato liberista ed il Paese fu pervaso da un'ondata di protesta.

Il Congresso si trovava bloccato, ma sotto la pacifica guida di Henry Clay si poté giungere ad un compromesso: il Missouri veniva ammesso come Stato in cui era permessa la schiavitù, ma al tempo stesso il Maine sarebbe entrato nell'Unione quale Stato liberista. Il Congresso decretò inoltre che la schiavitù dovesse essere bandita per sempre dal territorio a nord del confine meridionale del Missouri, ammesso con l'acquisto della Louisiana.
Questa soluzione doveva avere durata assai breve. Jefferson sentiva che la campana che annunziava nella notte un incendio taceva solo temporaneamente. «Non si tratta che di una sosta», egli scriveva «e non di una decisione definitiva. Una linea geografica legata ad un principio morale e politico, ben definita, una volta concepita ed additata alle irate passioni dell'uomo, non potrà mai essere cancellata ed ogni nuova fonte di rancore non farà che approfondirla maggiormente».

L'avanzare verso ovest della frontiera agricola, ad eccezione di un movimento emigratorio verso il Texas oltre il confine degli Stati Uniti, non oltrepassò il Missouri fino a dopo il 1840. Il lontano ovest - il FAR WEST - come veniva chiamato, era divenuto nel frattempo un campo di grande attività per il commercio delle pellicce, attività il cui significato avrebbe superato di molto nella storia il valore delle pelli raccolte. Come era avvenuto nei primi tempi, quando i francesi esploravano il bacino del Mississippi o quando inglesi ed olandesi avanzavano verso ovest, allontanandosi per la prima volta dalla costa atlantica, il mercante era colui che apriva il passo ai coloni: i famosi «trappers», i cacciatori che si servivano di tagliole per catturare la loro preda, in genere francesi o scozzesi, irlandesi, esploravano i grandi fiumi, i loro tributari e scoprirono così i passi sulle Montagne Rocciose e sulle Sierre.
La loro conoscenza degli aspetti geografici delle regioni occidentali permise le migrazioni avvenute negli anni dopo il 1840, e la successiva occupazione delle regioni interne.

Gli Stati Uniti avevano inoltre, nel 1819, ottenuto dalla Spagna, in corrispettivo di pretese avanzate da cittadini americani ed ammontanti a 5 milioni di dollari, la cessione dei diritti che la Florida e la Spagna avanzavano sulla regione dell'Oregon, nel lontano Ovest.

Nel 1817 James Monroe aveva sostituito il Presidente James Madison, coronando con il suo periodo di carica alla presidenza una carriera egregiamente percorsa al servizio dello Stato. Sue qualità precipue erano un acuto buon senso ed una volontà di ferro: come ebbe a scrivere il suo successore, John Quincey Adams, egli aveva «una mente salda nei suoi giudizi definitivi e decisa nelle sue conclusioni». L'enunciazione della cosiddetta Dottrina di Monroe fu l'avvenimento della sua presidenza che doveva rendere il suo nome immortale.

I tre elementi che informano questa dottrina politica erano, presi separatamente, dei principi americani ben noti. Già Washington, Jefferson e Madison si erano tutti dichiarati contrari a legare il paese in «alleanze durature o vincolanti». Jefferson aveva proclamato la teoria dell'interesse supremo degli Stati Uniti nel destino dei territori vicini quando aveva protestato che la Louisiana potesse dal possesso della Spagna essere trasferita ad altra nazione che non fosse gli Stati Uniti.
Il terzo elemento era rappresentato da quel principio di autodecisione che gli americani avevano già confermato dimostrando la loro simpatia per gli abitanti delle colonie ispano-americane che lottavano allora per l'indipendenza.

Fin da quando le colonie inglesi erano riuscite a conquistare la libertà, la speranza di un fatto consimile aveva animato i popoli dell'America Latina. Prima del 1821, l'Argentina ed il Cile si erano costituiti in Stati indipendenti e, nel 1822, sotto la guida di José de San Martin e di Simon Bolivar numerosi altri Stati dell'America Meridionale erano riusciti a conquistare l'indipendenza.
Nel 1824, le nazioni europee non possedevano ormai che piccole colonie nelle Indie occidentali o sulla costa settentrionale dell'America meridionale; a queste vanno aggiunti uno o due possedimenti britannici.

Questo tentativo, che ripeteva quanto essi stessi avevano operato e sofferto per liberarsi di un governo padrone che sedeva in Europa, suscitava negli americani un interesse naturale e profondo.

Nel 1822, il Presidente Monroe sotto la pressione di una decisa opinione pubblica fu autorizzato a riconoscere i nuovi paesi tra cui la Columbia, il Cile, il Messico ed il Brasile, e subito dopo ebbe luogo uno scambio di missioni diplomatiche. Questo passo compiuto dagli Stati Uniti ammetteva, da parte di questi, il principio che le nuove nazioni potevano mantenersi da sé, autogovernarsi ed essere del tutto indipendenti e staccate da quanto le aveva prima legate all'Europa. Esse venivano fiduciosamente accettate come nazioni sorelle, facenti parte di una America libera.

Proprio in quel periodo, una lega di potenze dell'Europa centrale, comunemente detta la Santa Alleanza, si veniva organizzando per tutelare e difendere contro la rivoluzione i «legittimi» sovrani d'Europa. Essa adottò il principio dell'intervento in quei paesi dove movimenti popolari minacciassero il trono dei reggitori, sperando così di impedire che la rivoluzione si diffondesse nei territori loro sottoposti.
Questa teoria politica costituiva la più perfetta antitesi del principio di autodecisione proclamato in America.

La decisione poi della Santa Alleanza di occuparsi della Spagna e delle sue colonie nel Nuovo Mondo procurò un grave colpo alla fiducia nutrita dagli Stati Uniti sulla solidità dei nuovi Governi nel Sud-America. Sembrò ad essi che ciò costituisse, da parte di molte nazioni europee, un tentativo di muoversi per occupare quei territori che si erano liberati dal dominio spagnolo.
Il Governo americano seguiva da anni una politica di isolamento le cui basi erano state gettate da Washington, Hamilton, Jefferson, John Adams ed altri uomini di stato, sostenendo che gli Stati Uniti non avevano interessi nelle combinazioni politiche europee, non partecipavano alle guerre di quel continenti ed intendevano perseguire una politica di sviluppo autonomo come Stato americano.

Era facile da questa teoria passare ad una dottrina complementare, secondo la quale le potenze europee non avevano il diritto di intervenire negli affari americani.
Nel 1823 sembrò giunto il momento opportuno per agire onde fronteggiare quell'invasione dell'America Latina minacciata dalle Potenze che volevano favorire la Spagna. Il 2 dicembre Monroe pronunciava al Congresso il suo messaggio annuale, di cui molti brani costituiscono l'originaria Dottrina di Monroe (v. fig. pag. 91).

I punti principali di questa dichiarazione erano:
- 1) «Avendo i continenti americani assunto e mantenuto condizione di libertà e di indipendenza, non potranno essere considerati oggetto di future colonizzazioni da parte di alcuna potenza europea»

- 2) « Il sistema politico delle potenze alleate é assolutamente differente... da quello dell'America... Noi dovremo considerare qualsiasi tentativo mirante da parte loro a introdurre il loro sistema in una qualsiasi parte di questo emisfero come pericoloso per la nostra pace e la nostra sicurezza ».

- 3) « Non siamo intervenuti e non interverremo nei riguardi delle attuali colonie o territori dipendenti da qualsiasi potenza europea ».

- 4) « Non abbiamo mai preso parte alcuna alle guerre combattute dalle potenze europee per questioni riferentisi ai loro personali interessi, né il farlo sarebbe consono con la nostra politica ».

Mentre l'enunciazione della Dottrina di Monroe chiariva le direttive americane in politica estera, l'interesse del Paese si accentrava sulla prossima campagna presidenziale. Una lotta serrata si svolgeva tra i cinque candidati tra i quali era Andrew Jackson, l'eroe della battaglia di Nuova Orleans: essa si concluse con l'elezione di John Quincey Adams, uomo di stato colto e ricco di esperienza, ma di carattere ostinato ed intrattabile: dotato di un talento superiore, di una struttura morale perfetta e, di un profondo spirito di interesse pubblico, egli aveva contro di sé la sua austerità glaciale, i suoi modi bruschi ed i suoi violenti pregiudizi.

Nuovi partiti o schieramenti politici vennero formandosi sotto la sua presidenza:
* - i seguaci di Adams si autodefinirono repubblicani nazionali per mutare più tardi il loro nome in quello di Whigs;
* - i seguaci di Jackson conferirono invece un nuovo carattere al partito democratico.

Adams seppe governare con onestà ed efficienza, ma non riuscì nonostante tutti i suoi tentativi, a creare una rete nazionale di strade e canali; il suo periodo di presidenza non fu che una lunga campagna per le successive elezioni, ma la sua mentalità di intellettuale freddo non seppe procurargli degli amici, e le elezioni del 1828 furono una specie di terremoto in cui le forze di Jackson travolsero Adams ed i suoi sostenitori.

I colonizzatori delle zone di frontiera che avevano creato i territori ad ovest dei monti Allegheny, abituati a contare su loro stessi, avevano trasfuso nelle loro costituzioni quelli che erano i concetti democratici della frontiera.
Verso il 1828, l'influenza esercitata dal loro modo di pensare aveva fatto sì che le masse avessero ricevuto il diritto di voto nella maggior parte degli Stati più antichi.

Fin dalla guerra del 1812, l'ovest aveva mantenuto l'equilibrio dei poteri dell'Unione: ora il centro di gravità politico e quello demografico, si erano definitivamente spostati dalla costa, man mano che la giovane democrazia occidentale raggiungeva la maggiore età. Jackson, che personificava lo spirito di frontiera, saliva alla carica di Capo Supremo del potere esecutivo con l'aiuto dei voti degli elettori aderenti dell'est.

Lo spettacolo offerto dalla città di Washington il giorno in cui Jackson venne insediato al suo posto dimostrava clamorosamente come il popolo fosse convinto di essere entrato davvero in possesso del Governo. Diecimila visitatori affluirono da tutte le parti del Paese per assistere all'avvenimento. Jackson, dalla sottile ed alta persona vestita di nero, con il profilo di falco sormontato da uno splendido ciuffo di folti capelli bianchi, si incamminò attraverso la folla sulla fangosa Pennsylvania Avenue, scortato solo da un piccolo gruppo di amici.
Sulla sommità della grande scala di pietra che conduce al porticato orientale del Campidoglio, egli prestò giuramento e lesse il suo discorso di insediamento; ciò fatto avanzò a stento tra la folla, che lo salutava a gran voce ed era ansiosa di stringergli la mano. Salito a cavallo, s'incamminò verso la Casa Bianca alla testa di una disordinata colonna di carri, carretti agricoli e di gente di tutte le età e condizioni sociali.

Jackson apparteneva, per cuore e per sentimenti, al ceto più umile della popolazione. Nato nella più squallida povertà, aveva perduto subito il padre; in seguito aveva conosciuto ogni sorta di traversie, e ciò aveva sviluppato in lui un senso di comprensione ed una sensibilità verso gli oppressi che lo avrebbero accompagnato fino alla morte. Ancora ragazzo aveva combattuto per la rivoluzione ed aveva visto morire i suoi due fratelli; a quattordici anni era rimasto solo al mondo.
Avvocato abituato ad esercitare la sua professione nei tribunali di frontiera, agricoltore e mercante, aveva a poco a poco concepito un profondo disprezzo per le organizzazioni finanziarie dell'est, che esercitavano una forte influenza su buona parte del commercio occidentale. Inoltre egli riteneva fermamente che l'uomo comune fosse capace di risultati straordinari: il suo credo era assai semplice, poiché egli era sostenitore dell'uguaglianza sia nel campo politico come in quello delle possibilità economiche; odiava quindi profondamente quanto rappresentava monopolio o privilegio.

Salito al potere nel 1829 (presidenza 1829-1833; 1833-1837), Jackson cercò energicamente di applicare queste teorie; trattò con molta severità la questione sollevata dalla Carolina del Sud a proposito delle tariffe protettive del 1828, in base alle quali tutti i benefici risultanti dal sistema protettivo ricadevano sugli industriali del nord, mentre gli agricoltori meridionali dovevano sopportare il peso di prezzi più elevati. Man mano che le tabelle tariffarie andavano aumentando in base a successive leggi del Congresso, il Paese nel suo complesso cresceva in ricchezza, ma la Carolina del Sud vedeva declinare la sua prosperità.
Gli abitanti di questa regione avevano sperato che Jackson si sarebbe servito dei suoi poteri di presidente per modificare quella legge sulle tariffe cui essi si opponevano da lungo tempo, ma la loro aspettativa fu vana, poiché egli non riteneva giusto il punto di vista di coloro che consideravano incostituzionale il principio protezionista. Quando il Congresso approvò una nuova legge tariffaria, nel 1832, Jackson la firmò senza esitazione.

La popolazione della Carolina del Sud organizzò allora il «Partito dei Diritti dello Stato», che rappresentava i sostenitori del principio del potere di annullamento - cioè a dire, del principio secondo, il quale una convenzione delegata da uno Stato poteva dichiarare ingiustificata ai sensi della Costituzione, un'azione del Congresso, provocandone l'annullamento e l'inefficacia in seno allo Stato.

I nuovi legislatori dello Stato, eletti da un partito che favoriva il principio del potere di annullamento, adottarono una «Ordinanza di Annullamento» (Ordinance of nullification) a maggioranza assoluta di voti. Tale misura dichiarava incostituzionali e nulle in seno allo Stato le leggi sulle tariffe del 1828 e del 1832, e imponeva ai funzionari dello Stato di prestare giuramento di obbedienza all'Ordinanza stessa. Essa minacciava inoltre la secessione dello Stato dall'Unione, qualora il Congresso avesse dovuto emanare una qualsiasi legge per l'impiego della forza contro la Carolina del Sud.

Nel novembre 1832, Jackson inviò sette piccole navi ed una corazzata a Charleston, con ordini di tenersi pronte per un'azione immediata. Il 10 dicembre egli pubblicò un risonante proclama contro i sostenitori del principio di annullamento. La Carolina dei Sud, dichiarava il Presidente, si trova «sul precipizio dell'insurrezione e del tradimento» ed invitava la popolazione dello Stato a riaffermare la propria fedeltà a quella Unione per la quale i suoi antenati avevano combattuto.

Al pari di Daniel Webster, uno degli uomini politici di primo piano di allora, egli affermava che gli Stati Uniti non costituivano «un patto fra Stati sovrani, ma un governo in cui le popolazioni di tutti gli stati, collettivamente, sono rappresentati».

Nel frattempo la questione delle tabelle tariffarie era di nuovo all'esame del Congresso, e fu ben presto evidente che uno solo era l'individuo capace di condurre in porto un provvedimento di compromesso: era questi il senatore Henry Clay, patrocinatore efficace del principio protezionista ed autore del progetto di compromesso che venne poi approvato nel 1833.

Con il nuovo provvedimento, tutti i dazi doganali che superavano il 20% del valore delle merci importate avrebbero dovuto essere gradualmente ridotti, in modo da tornare, nel 1842, al livello delle eque tariffe applicate nel 1816.
I sostenitori del principio del potere di annullamento avevano contato sull'appoggio degli altri Stati meridionali, ma questi, senza eccezione alcuna, si pronunciarono contro l'azione della Carolina del Sud, dichiarandola avventata e contraria alla Costituzione.

In attesa che il Congresso decidesse in proposito, l'applicazione dell'Ordinanza che avrebbe dovuto andare in vigore nel febbraio venne sospesa, su decisione presa in un pubblico convegno dai dirigenti del partito dei Diritti degli Stati. Nel marzo seguente il Congresso della Carolina abrogava ufficialmente il documento.
Dalle due parti si cantò vittoria: i governanti al potere avevano impegnato incondizionatamente il governo federale al principio della supremazia dell'Unione, mentre la Carolina del Sud, da parte sua, dimostrando di essere pronta a resistere, aveva ottenuto buona parte di quanto chiedeva ed aveva provato che uno Stato poteva da solo imporre al Congresso la sua volontà. Questo tentativo di annullare leggi varate dal Congresso ebbe profonde ripercussioni sugli sviluppi che la teoria dei diritti degli Stati doveva avere più tardi. Visto che il potere di annullamento non poteva essere in pratica applicato, i dirigenti politici del meridione, nei trenta anni che seguirono, cercarono di fare leva sul diritto che uno Stato insoddisfatto aveva di separarsi dall'Unione.

Mentre non era ancora sopita e sistemata là questione dei potere di annullamento, si era scatenata là lotta per il rinnovo dell'autorizzazione alla Seconda Banca degli Stati Uniti, avvenimento questo che doveva portare una grave colpo al prestigio di Jackson.

Nel 1791 era stata costituita, sotto l'egida di Hamilton, la prima Banca degli Stati Uniti, la cui durata era stata fissata, nel documento costitutivo, in venti anni. Pur essendo il governo possessore di parte del capitale azionario, non si trattava di una banca governativa, ma di una società privata i cui utili venivano ripartiti fra gli azionisti. Per quanto creata allo scopo di stabilizzare la moneta e dare impulso al commercio, essa incontrò l'ostilità di coloro i quali ritenevano che il governo volesse favorire un gruppo esiguo di uomini potenti; pertanto allo scadere del termine fissato, nel 1811, il governo non rinnovò l'autorizzazione.

Per qualche anno, allora, gli affari bancari rimasero nelle mani di banche autorizzate dagli Stati, le quali mettevano in circolazione più di quanto potessero garantire, creando così una situazione economica assai confusa.. Nel 1816, essendo apparso evidente che queste banche degli Stati non erano in grado di fornire al Paese una moneta stabile ed uniforme, venne istituita una seconda Banca degli Stati Uniti analoga alla prima, la cui durata, nel documento di autorizzazione, fu fissata in venti anni.

Nei territori nuovi del paese e presso i ceti meno abbienti della popolazione la seconda Banca fu poco popolare fin dalla sua costituzione: si sosteneva che essa possedesse virtualmente il monopolio del credito e del denaro della nazione, e che le sue operazioni riflettessero soltanto gli interessi di un piccolo gruppo di individui finanziariamente assai forti. Era ben amministrata e nel complesso rese eccellenti servizi al paese, ma Jackson, che l'opinione pubblica aveva scelto come paladino degli interessi popolari, appose con molta severità il suo veto al progetto di legge che approvava il rinnovo dell'autorizzazione, mettendone in dubbio e là costituzionalità e là necessità di mantenerla in piedi.

Se Jackson dimostrò con il suo veto quanto poco noti gli fossero i principi della banca e delle finanza, egli riaffermò tuttavia in modo inequivocabile agli «agricoltori, tecnici ed operai» che era inflessibilmente contrario a leggi miranti a rendere «ancora più potenti coloro che già lo erano».
Il veto dà lui apposto provocò profonda impressione. Il Washington Globe affermò che esso liberava il paese da un monopolio che traeva le sue basi dalla ricchezza, ma uomini di stato ed esperti della finanza si dichiararono nettamente contrari alla situazione che si era venuta creando. Ancora una volta tuttavia là volontà popolare doveva orientarsi, per le vicine elezioni, indipendentemente dal fatto che il Congresso e il Presidente avessero visto giusto o meno.

Argomento principale della campagna fu appunto la questione bancaria, che trovava l'opinione pubblica nettamente divisa: da una parte si schieravano i commercianti, gli industriali e i finanzieri, che temevano questo nuovo rialzarsi delle azioni del partito democratico; dall'altra la classe operaia e agricola, che intendeva dare a Jackson il suo incondizionato ed entusiastico appoggio.
Il risultato rappresentò il trionfo dei sostenitori delle teorie di Jackson.
Il Presidente ritenne che, eleggendolo per la seconda volta, il popolo gli avesse conferito il mandato di distruggere la banca, al punto di precluderle ogni speranza di ripresa.
Il documento stesso di autorizzazione gli forniva l'arma adatta, in quanto esso autorizzava il ritiro dei fondi pubblici.

Verso la fine del settembre 1833 venne emanato l'ordine che i fondi del governo non dovessero più essere depositati presso la Banca degli Stati Uniti e che il denaro ad essa affidato dovesse essere man mano ritirato onde sopperire alle ordinarie spese amministrative. I depositi vennero invece affidati alle banche statali più forti, dopo che si era proceduto ad un'accurata selezione di esse, nonché all'applicazione nei loro confronti di regolamenti assai restrittivi.

Anche in politica estera Jackson seppe applicare quella energia e prontezza che aveva dimostrato nella direzione degli affari interni. Quando la Francia sospese taluni pagamenti di natura contrattuale dovuti agli Stati Uniti, egli propose che venissero sequestrate le proprietà francesi in America, e seppe così costringere tale nazione a mantenere i suoi impegni.
Quando il Texas si rivoltò contro il Messico, e chiese agli Stati Uniti di essere ammesso al territorio dell'Unione, il Presidente seppe assumere un saggio atteggiamento di attesa. Tutto ciò fece sì che alla fine del suo secondo periodo di presidenza egli avesse conservato una vasta popolarità.

Le fazioni politiche che avversavano Jackson non avevano speranza alcuna di successo, finché continuavano a rimanere divise e a battersi per scopi spesso contraddittori. Si tentò quindi di riunire tutti gli elementi dissenzienti sotto una comune etichetta di partito, quella dei Whigs; ma quantunque si organizzasse subito la campagna per le elezioni del 1832, dovevano passare più di dieci anni prima che essi potessero conciliare le loro contrastanti opinioni e formulare un programma.
Il partito dei Whigs aveva in Henry Clay e Daniel Webster due tra i più capaci ed abili uomini di Stato del paese, e fu proprio quel magnetismo che si sprigionava dalle loro potenti personalità l'elemento di coesione del partito. In esso militavano tutti coloro che detenevano una posizione finanziaria o politica di una certa importanza.

Alle elezioni del 1836, i Whigs rappresentavano ancora un gruppo troppo eterogeneo per poter designare un nome che riunisse i desideri di tutti o presentare un programma comune. La vittoria toccò a Martin Van Buren, il candidato di Jackson, ma il suo periodo di Presidenza fu caratterizzato da una grave depressione economica. I suoi meriti erano inoltre completamente offuscati dalla poderosa personalità del suo predecessore, e anche i suoi provvedimenti di carattere pubblico, quale la giornata di dieci ore per gli impiegati governativi, sollevarono scarso entusiasmo; mancavano a lui quelle precipue doti di comando e quel senso di profonda intuizione istintiva che aveva caratterizzato ogni azione di Jackson.

Le elezioni del 1840 trovarono il paese travagliato a causa di cattive condizioni generali e di salari troppo bassi, mentre i democratici erano sulla difensiva.
Il candidato dei Whigs alla Presidenza, William Henry Harrison, nativo dell'Ohio, si reputava, al pari di Jackson, un rappresentante genuino del democratico ovest; egli riscuoteva inoltre il favore popolare, in quanto era l'eroe della Battaglia di Tippecanoe nella guerra del 1812. Candidato alla vicepresidenza era John Tyler, le cui idee favorevoli ai diritti degli Stati ed a tariffe moderate erano molto popolari nel sud.
La campagna svolta dal partito dei Whigs fu tutta una festa sfrenata: convegni affollatissimi si susseguivano ovunque a gigantesche merende all'aperto; cortei propagandistici sfilavano nelle vie al lume delle torce. Le donne si prodigavano quasi quanto gli uomini, e l'entusiasmo generale si manifestò presto con una canzone, «Old Tippecanoe» che correva sulle labbra di tutti. I

l partito dei Whigs riportò una vittoria schiacciante, ma, se aveva saputo trovare l'unione sul nome dei candidati, restava pur sempre diviso per quanto riguardava il programma di azione, e ben presto i suoi membri dovettero scontare quel senso di opportunismo, privo di serietà di impegni, che aveva caratterizzato la loro campagna elettorale. Prima ancora che si compisse un mese dal suo insediamento, il sessantottenne Harrison moriva ed assumeva la Presidenza Tyler, le cui opinioni politiche non collimavano con quelle di Clay e di Webster, che rappresentavano ancora i personaggi politici più influenti del paese.

Queste divergenze di opinioni dovevano ben presto condurre ad un'aperta rottura, prima che scadesse il periodo di carica di Tyler; in conseguenza di che, questi si vide respinto dal partito stesso che lo aveva eletto.
Quando, nel 1829, Andrew Jackson aveva assunto la Presidenza, una vena di irrequietezza e di rivolta serpeggiava in tutto il mondo occidentale. Lo spirito di riforma prevalente allora in America, pur traendo le sue origini dall'ambiente, era in perfetta armonia con questa evoluzione mondiale; infatti il sollevarsi dei democratici nel campo della politica, manifestatosi con il movimento che aveva portato Jackson alla presidenza, non rappresentava che una delle fasi del progredire dell'uomo comune verso la conquista di più ampi diritti e possibilità.

Una fede sempre più radicata nelle capacità di miglioramento del genere umano caratterizzò quel periodo che va dal 1830 al 1850, con la conseguenza che sia la vita intellettuale e spirituale, come quella materiale, progredirono di pari passo verso una maggiore emancipazione.

Accanto al movimento politico a carattere progressista si veniva altresì affermando il principio sindacale. Verso il 1836, gruppi sindacali che annoveravano fino a trecentomila iscritti erano riusciti nelle città della costa settentrionale ad assicurare alla mano d'opera migliori condizioni di lavoro in numerosi luoghi; nel 1835, le forze del lavoro di Filadelfia avevano ottenuto la più ambita delle riforme: la giornata lavorativa di dieci ore in sostituzione della vecchia formula «dal sorgere dell'alba al calar della notte».

Questo non rappresentava che l'inizio di altre riforme che venivano via via applicate in altri Stati, come il New Hampshire, il Rhode Island, l'Ohio e la California, la quale ultima era stata ammessa all'Unione nel 1850.
L'attività sindacale e le riforme a carattere umanitario ardentemente sostenute dal movimento rappresentarono fattori indispensabili al progresso realizzato in quel tempo.
Particolare significato rivestiva la lotta da esso sostenuta in favore di un'istruzione a carattere democratico, e il diffondersi del suffragio universale portava ad un nuovo concetto dell'istruzione da impartirsi al popolo, dato che gli uomini di stato lungimiranti si rendevano conto di quali pericoli fosse foriero il suffragio universale, qualora ad esso si accompagnasse una diffusa ignoranza. (una massa numerosa ignorante con il suo maggior numero di voti avrebbe potuto eleggere anche il più ignorante degli ignoranti).

L'opera svolta da uomini come De Witt Clinton nello Stato di New York, Abraham Lincoln nello Illinois, Horace Mann nel Massachusetts, era affiancata dal movimento di agitazione incessante ed energico condotto nelle città dal lavoro organizzato.
I dirigenti sindacali chiedevano l'istituzione di scuole gratuite alle cui spese si dovesse sopperire con le tasse pagate dai contribuenti, aperte a tutti i ragazzi come un diritto e non concesse come un atto di beneficenza.
Nel 1830 gli operai di Filadelfia dicevano: «... non vi può essere libertà senza un'ampia diffusione di vera intelligenza... Finché uguali mezzi di istruzione non saranno messi a portata di tutti allo stesso modo, la libertà non sarà che una parola vuota e la uguaglianza un'ombra senza corpo ».

A poco a poco, e per gradi, provvedimenti legislativi autorizzavano nei vari Stati l'istituzione di scuole pubbliche e, tra il 1840 e il 1850, queste erano ormai in atto in tutta la parte settentrionale, mentre la battaglia continuava nelle altre zone fino al raggiungimento della vittoria.
Quell'ideologia che aveva permesso agli uomini di liberarsi da antiche pastoie fece sì che anche le donne si rendessero conto della posizione di inferiorità cui la società le costringeva.

Fin dai tempi coloniali la donna nubile godeva sotto molti aspetti degli stessi diritti degli uomini, ma era consuetudine che ella passasse a nozze in età giovanile e con il matrimonio ella perdeva agli occhi della legge la sua distinta e separata personalità.
La sua istruzione si limitava in genere a saper leggere, scrivere, fare un po' di musica, al ballo ed ai lavori di cucito; naturalmente, le era inibito il diritto di voto.

Il risveglio di un movimento femminile ebbe inizio con l'arrivo in America di Frances Wright, una scozzese di idee molto progredite, tanto che le conferenze da lei tenute in pubblico su argomenti teologici e sui diritti della donna finirono per scandalizzare l'uditorio. Il suo esempio seppe però incitare all'azione figure che più tardi divennero ben note nel movimento femminista americano, come Lucrezia Mott, una quacquera di Filadelfia, Susan B. Anthony e Elizabeth Cady Stanton, le quali tutte seppero sfidare la derisione e il disprezzo di uomini e di gran parte delle donne, dedicandosi coraggiosamente e con grande energia alla lotta contro la schiavitù, all'assistenza degli operai, ed al movimento femminista.

Nel 1848, veniva tenuto a Seneca Falls, nello Stato di New York, il primo Convegno sui diritti femminili che la storia del mondo ricordi. Le delegate stilarono una dichiarazione nella quale si chiedeva che le donne godessero dinanzi alla legge parità di diritti con gli uomini nel campo della istruzione, in quello economico e per l'esercizio del voto.
Le dirigenti femministe non erano d'altronde prive di amichevoli appoggi, e uomini come Ralph Waldo Emerson, Lincoln e Horace Greeley si adoperavano e parlavano in loro favore. Per quanto in quel periodo la loro attività fosse caratterizzata più da un movimento di agitazione che dal conseguimento di grandi risultati, pure miglioramenti notevoli furono realizzati.

Nel 1839, lo Stato del Mississippi concedeva alla donna sposata di amministrare il suo patrimonio, e nello spazio di dieci anni analoghe leggi venivano approvate in sette altri Stati. Nel 1820 Emma Willard apriva un istituto per ragazze; nel 1837 veniva fondato Mount Holyoke, il primo istituto superiore femminile. Un passo ancora più audace venne realizzato con l'introduzione di scuole miste, iniziativa di cui furono all'avanguardia tre istituti superiori dell'Ohio: Oberlin nel 1833, Urbana nel 1850 e Antioch nel 1853.

Lo spirito di fiducia in sé stessa che infiammava la nazione doveva, come era logico attendersi, trovare espressione in una vasta produzione letteraria. Il decennio dal 1830 al 1840 fu ricco di messi rigogliose nel campo delle lettere. Henry Wadsworth Longfellow, John Greenleaf Whittier, Oliver Wendell Holmes e James Russell Lowell iniziarono appunto in quel periodo la loro attività di poeti, mentre Emerson impartiva il verbo dell'individualismo e la dottrina della nobiltà dell'uomo, in versi e in prose destinati a gloria imperitura.
Nathaniel Hawthorne e Edgar Allan Poe dimostrarono quanto versatile fosse il pensiero americano ed esprimevano in forma letteraria il carattere soprannaturale e malinconico latente nella esperienza umana.

Per quanto la fama di molti di questi uomini sia legata alla loro opera di scrittori, parecchi di essi presero parte attiva alle lotte sociali e politiche del loro tempo, come Whittier, che fu il bardo riconosciuto della crociata contro la schiavitù, e Longfellow, che nel 1842 pubblicò i suoi Poems on Slavery (Componimenti poetici sulla schiavitù). Lowell dirigeva il Pennsylvania Freeman (L'uomo libero della Pennsylvania); George Bancroft fu un ardente sostenitore della campagna contro le banche, e Bryant seppe unire, alla sua brillante attività poetica, quella non meno egregia di direttore del New York Evening Post dal 1829 al 1878.

La tendenza dell'epoca risvegliò nuovo interesse per la storia della Repubblica e segnò l'inizio di eruditi studi storici. Negli anni tra il 1830 e il 1840, Jared Sparks, che già da tempo aveva iniziato la pubblicazione della North American Review (Rivista Nord-Americana) cominciò a pubblicare documenti a carattere storico, dando alle stampe, tra l'altro, raccolte di scritti di Washington e di Franklin e corrispondenze diplomatiche dell'epoca della Rivoluzione.

Nel 1834, George Bancroft pubblicava il primo volume della Storia degli Stati Uniti, dalle prime scoperte all'entrata in vigore della Costituzione. Era questo il primo lavoro organico che tracciava la storia dell'America basandosi su un accurato e approfondito esame delle fonti. Prima che il decennio avesse termine Bancroft e William Prescott avevano saputo dimostrare come studiosi americani fossero capaci di narrare la storia in linguaggio letterario ricco di eleganza e di precisione.

Il benessere della popolazione veniva consolidandosi notevolmente ed aumentando di giorno in giorno nel periodo intercorso tra il 1825 ed il 1850. La trebbiatrice aveva sostituito, dopo il 1825, le cinghie e gli arnesi primitivi con cui il grano veniva battuto sulle aie, e poco dopo venivano ideate anche la falciatrice e la mietitrice. La ingegnosità della popolazione nel campo delle applicazioni meccaniche facilitava le comunicazioni e rendeva quindi più agevole l'impresa, di per se stessa assai complicata, di mantenere l'unità nazionale in un paese la cui espansione geografica andava rapidamente aumentando.

Le strade ferrate si sostituivano man mano alle corriere postali, tanto che nel 1850 si poteva viaggiare in ferrovia dal Maine alla Carolina del Nord, dalla costa atlantica a Buffalo sul lago Erie, e dall'estremità occidentale del Lago Erie fino a Chicago o a Cincinnati. Il telegrafo elettrico, ideato nel 1835 da S.F.B. Morse, trovava nel 1844 la sua prima applicazione pratica. Nel 1847 venne installata la prima rotativa, progettata da Richard M. Hoe e destinata a rivoluzionare la tecnica ed i processi della stampa; progresso che dette modo ai giornali di assumere quella posizione di predominanza e autorevolezza di cui godono tuttora in America.

Anche l'accrescersi della popolazione verificatosi tra il 1812 e il 1852 costituiva un altro segno del progredire del paese; essa era salita da 7.250.000 a più di 23.000.000 di abitanti, mentre, nello stesso periodo, la terra da colonizzare aveva quasi raggiunto la vastità dell'Europa, passando da 4.400.000 a circa 7.700.000 chilometri quadrati.
A fianco di un'agricoltura in pieno rigoglio, si erano venute rapidamente sviluppando numerose industrie non solo sulla costa orientale, ma anche nelle città che erano in piena fase di accrescimento in tutta la zona occidentale.

La nazione si era stabilmente affermata man mano che si erano venute consolidando le sue istituzioni e la sua economia. Restavano tuttavia da risolvere quei fondamentali problemi che traevano la loro origine nelle controversie regionali.

Gli stessi osservatori europei che sbarcavano negli Usa a studiare il "miracolo" si rendevano conto ben presto che in effetti esistevano due Americhe: quella del nord e quella del sud. Progredivano entrambe vertiginosamente, ma presentavano un latente pericolo per il mantenimento della buona armonia fra queste due parti.

Una disarmonia destinata a provocare, nel decennio successivo,
la Guerra Civile.

IL CONFLITTO REGIONALE > >

PAGINA INIZIO - PAGINA INDICE