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109 bis. 6. ( LA CONTESA )

Il Meridione d'Italia conteso

da Savoia, Asburgo e Borbone,
a margine delle guerre dinastiche europee

di Franco Savelli

Sommario
- La scelta di Filippo V del ramo Borbone francese alla successione sul trono di Spagna e dei domini Italiani (regno di Napoli, regno di Sicilia, Sardegna) provoca la guerra di successione spagnola .
- Costituzione di una Grande Alleanza e Trattato di Utrecht e Rastadt : l’Austria Asburgica (Carlo VI) acquisisce il Regno di Napoli (1713-1734) e la Sardegna (1713-1718); Vittorio Amedeo II acquisisce il Regno di Sicilia (1713-1718).
- Filippo V tenta di recuperare Sardegna e Sicilia, reazione della Grande Alleanza e pace dell’Aia: L’Austria Asburgica (Carlo VI) acquisisce la Sicilia (1720-1734); Vittorio Amedeo II diventa re di Sardegna (dal 1720).
- Guerra di successione polacca combattuta anche sul fronte italiano e la pace di Vienna attribuisce a Carlo di Borbone, duca di Parma il regno di Napoli ed il Regno di Sicilia (1734-1759).
- Guerra di successione austriaca e definizione degli assetti di potere in Italia tra Savoia, Austria e Spagna.
- Il Regno di Sicilia fra il 1700 ed il 1759 : Filippo V, Vittorio Amedeo II, Carlo VI d’Asburgo e Carlo di Borbone.
- Il Regno di Napoli fra il 1700 ed il 1759 : l’alternarsi degli Asburgo con i Borbone.
- La Sardegna governata dai Savoia.: Vittorio Amedeo II, Carlo Emanuele III e Vittorio Amedeo III.


Le guerre e gli assetti della prima metà del ‘700

1. Guerra di successione Spagnola

La guerra dei trent’anni (1618-1648) aveva causato una grave crisi finanziaria non solo in Spagna ma anche in Francia in Inghilterra ed in Austria e le premesse della pace di Vestfalia che l’aveva conclusa diedero avvio ad una serie di silenziosi intrighi della diplomazia miranti, fra l’altro, a contenere la potenza politica di Francia e Spagna. La Francia nella seconda metà del XVII sec. praticò una politica di espansione contrastata da Inghilterra ed Austria che rimasero vigili nell’attesa della morte di Carlo II di Spagna del ramo Asburgo (1665-1700) che, sopravvissuto più di quanto lasciassero prevedere le sue precarie condizioni fisiche (*, nota 1) e privo di eredi, avrebbe lasciato un immenso bottino da spartire. In tale prospettiva sia il re di Francia Luigi XIV (Re Sole, ramo Borbone; 1638-1715) che aveva sposato la sorella di Carlo, Maria Teresa, sia gli Asburgo d’Austria per continuità dinastica e di sangue (2) nutrivano sostanziali attese. Tuttavia le diplomazie iniziarono per tempo i contatti per trovare un accordo per la spartizione dell’impero, accordo che, dopo uno iniziale divenuto inapplicabile per la scomparsa di uno dei beneficiari, (3) fu raggiunto prevedendo l’assegnazione a Carlo, figlio secondogenito di Leopoldo I d’Asburgo (1658-1705) imperatore SRI, i regni di Spagna, Belgio ed impero coloniale spagnolo mentre i regni di Napoli, di Sicilia, ducato di Milano e Presidi toscani sarebbero andati a Carlo d’Angiò, nipote del re di Francia.

Ma le disposizioni testamentarie di Carlo II di Spagna che rispecchiavano quelle della fazione nazionalista contraria la spartizione dei domini, con la limitazione che le corone di Spagna e Francia non dovessero mai essere unificate, designavano alla successione Filippo d’Angiò, nipote del potente re di Francia Luigi XIV ed imparentato con Carlo II (4). La notizia, anziché destare entusiasmo alla corte di Parigi, fece nascere qualche perplessità nella consapevolezza che se, per un verso, l’accettazione avrebbe presumibilmente suscitato la reazione delle grandi nazioni europee, per l’altro verso, il rifiuto della designazione sarebbe apparso un segno di debolezza. Luigi XIV, pertanto, non volendo scalfire il suo prestigio, si vide costretto a respingere la spartizione precedentemente concordata ed a dar seguito alle disposizioni testamentarie con l’insediamento del nipote che assunse il nome di Filippo V (1700-1713) e fu riconosciuto re di Spagna e dei domini, tra cui regno di Napoli, regno di Sicilia, Sardegna da tutti i sovrani europei, a parte l’imperatore SRI Leopoldo I d’Asburgo che ambiva quella corona per il figlio Carlo. Però alcune iniziative francesi (5), suscitarono il timore di una unione strisciante tra gli imperi spagnolo e francese che ne avrebbero costituito uno paragonabile a quello di Carlo V (*, nota 1), con la Sicilia avamposto strategico nel mediterraneo. Tale prospettiva allarmò l’Inghilterra e l’Olanda che, attente al mantenimento degli equilibri ed intendendo impedire l’attuazione delle volontà testamentarie di Carlo II, costituirono con l’Austria la Grande Alleanza dell’Aia (1701) contro Spagna e Francia (6) con cui si erano collegati Portogallo ed il duca di Savoia e principe del Piemonte Vittorio Amedeo II (v. seguito). Questi ultimi però dopo breve tempo cambiarono campo mettendo in difficoltà la Francia. Il Portogallo perché invogliato da un accordo commerciale con l’Inghilterra (7) e Vittorio Amedeo, benché al momento fosse suocero di Filippo V (nota 12) e trattava segretamente con l’una e l’altra parte, perché intravide la possibilità di maggiori compensi territoriali.

La Francia subì diverse sconfitte sia nel 1705, ad opera del duca John Churchill, comandante delle truppe inglesi che nel 1706, ad opera di Vittorio Amedeo II e del cugino Principe Eugenio di Savoia (8), comandante delle truppe imperiali che respinsero le truppe francesi dall’assedio di Torino (9).
L’esercito anglo-imperiale arrivò fino a Madrid per insediare sul trono di Spagna Carlo d’Asburgo, la qualcosa risultò non gradita agli spagnoli che pur non si erano entusiasmati per l’insediamento di Filippo d’Angiò e pose Luigi XIV in una situazione di difficoltà. Difficoltà che accrebbe a causa di una carestia (1709) e che lo indusse ad esaminare una proposta di pace, rigettata a causa delle pesanti condizioni.

La guerra riprese su più fronti, in Italia le truppe austriache, guidate dal conte Daun giunsero fino al Garigliano, inducendo alla ritirata l’esiguo contingente napoletano ed alla resa Capua ed Aversa, quindi si indirizzarono al recupero del Presidi Toscani. Nel regno di Napoli, l’Abruzzo, con la caduta della fortezza di Pescara, si arrese al generale Vetzeel e, mentre il viceré spagnolo Ascalona riparava a Gaeta, i rappresentanti della città di Napoli, desiderosi di cambiare regime, andavano incontro al conte austriaco Martiniz per consegnargli le chiavi della città. In Europa, nel periodo 1710-12 si registrarono successi delle truppe franco-spagnole che, guidate dal generale Vendome avevano riposto sul trono di Spagna Filippo d’Angiò. Ma la svolta arrivò con la nomina di Carlo d’Asburgo ad imperatore col nome di Carlo VI d’Asburgo (1711-1740) (10).

Questo evento fece decadere l’interesse austriaco alla guerra dinastica, inducendo l’Inghilterra, fedele alla linea dell’equilibrio fra le potenze (balance of powers) a condurre le trattative di pace di Utrecht (1713), perfezionati con la presenza di Carlo VI a Rastadt (1714). Il trattato, a parte i Paesi Bassi assegnati a Carlo VI e quanto riguardava l’Inghilterra che acquisiva, fra l’altro, Gibilterra e Minorca installandosi a controllo del Mediterraneo, sanciva:
- Filippo d’Angiò, del ramo Borbone di Francia, venne riconosciuto, col nome di Filippo V (1700-1746), legittimo re di Spagna, mantenendo le colonie ma perdendo i domini italiani (ducato di Milano, regni di Napoli e di Sicilia, Sardegna e lo Stato dei Presidi Toscani);
- L’Austria degli Asburgo diventa la nazione dominante in Italia acquisendo : ducato di Milano e di Mantova, regno di Napoli, la Sardegna e lo Stato dei Presidi Toscani che Carlo VI d’Asburgo governerà (1713-1734) attraverso governatori o viceré;
- Il duca di Savoia e principe di Piemonte, Vittorio Amedeo II, acquisiva, col titolo di Re per se e per i suoi discendenti, il regno di Sicilia ed accorpava al Piemonte il Monferrato, la Valtellina e la Valsesia . (11)


2. Filippo V tenta la riconquista dei domini italiani

La guerra di successione spagnola ebbe un’appendice allorché, Filippo V, (12) sollecitato dalla seconda moglie Elisabetta Farnese e dal suo ministro cardinale Alberoni (13) ed approfittando del fatto che l’imperatore era impegnato in una guerra contro i Turchi, aveva in mente di ristabilire il possesso spagnolo dei domini Italiani.
L’Alberoni, prevedendo una reazione dell’Austria sorretta dalla grande Alleanza, cercò di sollevare dissidi fra gli alleati e di indurre Vittorio Amedeo II a cedere la Sicilia alla Spagna in cambio dell’aiuto a conquistare il Ducato di Milano. Intanto era in atto un diverso approccio fra Vittorio Amedeo, stanco dello spirito irrequieto dei siciliani, e l’imperatore Carlo VI inteso allo scambio dei rispettivi domini in Italia (14). Non essendo andate a buon fine le trame dell’Alberoni, nel 1717, Filippo V inviò una poderosa armata di circa ventimila soldati, comandata dal generale spagnolo di origine fiamminga marchese Leede ad invadere la Sardegna che in breve fu conquistata, con il favore della popolazione che mal sopportava il governo asburgico affidato al viceré marchese Rubbi. La stessa armata, nel giugno 1718, invase la Sicilia contando sulla solidarietà della nobiltà isolana.

Le corporazioni artigiane di Palermo, intravedendo nella situazione di vuoto di potere che si prospettava la possibilità di ricavarne vantaggi fiscali, promossero una sollevazione di popolo che costrinse il viceré savoia Maffei a lasciare Palermo e, con le poche truppe di cui disponeva, ritirarsi a Siracusa. Il generale spagnolo marchese Leede entrava a Palermo e, nel ricevere il benvenuto delle autorità, promise di mantenere i privilegi acquisiti e di non fare alloggiare i soldati nelle abitazioni, (15) quindi proseguì per espugnare Termini e Messina, poi Trapani e Milazzo.


Contro questo tentativo revisionista del trattato di Utrecht, Vittorio Amedeo, timoroso di perdere il titolo di re, rivolse un appello che attivò di nuovo le nazioni della Grande Alleanza a cui si aggiunse nel 1719 anche la Francia (16) che invase il territorio spagnolo (paesi baschi e Catalogna). Frattanto la flotta inglese che dominava nel mediterraneo oltre a sconfiggere quella spagnola (Capo Passero, 1718), impedendo l’arrivo di rinforzi, trasportava in Sicilia una armata austriaca in contrapposizione a quella spagnola. I due eserciti inseguendosi e contrapponendosi, dopo aver devastato la Sicilia per circa un anno (17) si scontrarono infine, nel 1719, a Francavilla (18) dove gli invasori spagnoli furono sconfitti in una battaglia, forse la più imponente e cruenta dai tempi romani. Le truppe spagnole continuarono a razziare il territorio finché, con una azione a sorpresa degli austriaci costrinsero il generale spagnolo Leede alla resa.

La delicata situazione creatasi per la Spagna indusse Filippo V ad esonerare l’Alberoni (nota 13), ritenuto responsabile dell’insuccesso, e ad accettare le clausole della pace dell’Aia (1720) che confermava sostanzialmente il trattato di Utrecht con una variazione:
- Il Regno di Sicilia passava all’Austria asburgica di Carlo IV (già titolare degli altri domini italiani) che, in cambio cedeva la Sardegna (19) ed il titolo regio a Vittorio Amedeo II di Savoia che si vide costretto ad accettare, benché ambisse ad altro.
- Filippo V rinunciava alle sue pretese in Italia in cambio della promessa austriaca di riconoscere ai figli suoi e di Elisabetta Farnese il diritto alla successione nel ducato di Parma e nel granducato di Toscana le cui dinastie erano prossime ad esaurirsi.
Nel 1732 con la scomparsa senza eredi di Francesco II Farnese, si realizzarono le condizioni per cui Carlo di Borbone (don Carlos) divenisse duca di Parma e Piacenza (1732-35).


3. Guerra di Successione Polacca

Dopo sedici anni di dipendenza Austriaca dei domini Italiani, si verificò un contenzioso fra le grandi potenze d’Europa che portò ad un nuovo scontro per la successione sul trono di Polonia.
Dopo la morte del re di Polonia, Augusto II (1733), i candidati alla successione erano Augusto di Sassonia, nipote dell’imperatore Carlo VI d’Asburgo ed il suocero del re di Francia Luigi XV (1715-1774), Stanislao Leszczynski su cui cadde la scelta della Dieta polacca, condizionata in qualche modo dalla Francia. La scelta non risultò gradita all’Austria che vedeva installarsi l’influenza francese in una zona che riteneva di sua competenza. Le truppe austriache, affiancate da quelle russe entrarono quindi in Polonia ed imposero il loro protetto come re Augusto III. Contro l’Austria scese in campo, accanto ai regni Borbone di Francia e di Spagna anche Carlo Emanuele III di Savoia (20), che ambiva al possesso della Lombardia. Francia e Spagna, nella prospettiva di limitare il potere austriaco in Italia, avevano superato il precedente dissidio (nota 16) per perseguire interessi diversi da quelli della sorte del trono di Polonia, in una guerra che, dalle armate franco-piemontese e spagnola sarà combattuta sia in Germania che in Italia. Questa continuava ad apparire prigioniera degli interessi delle grandi monarchie europee.

Il numeroso contingente franco-piemontese guidato da Carlo Emanuele dopo aver conquistato diversi centri lombardi entrò in Milano, abbandonata dal governatore Daun che non aveva forze sufficienti a difenderla (21). Le truppe franco-sarde si predisposero quindi a sbarrare le vie per Milano e Parma all’esercito austriaco in arrivo. Nei pressi di Parma ed a Guastalla si verificarono (estate 1734) due sanguinose battaglie che registrarono la prevalenza delle truppe alleate le quali, per l’impraticabilità del terreno paludoso e malarico e per il disinteresse verso quei territori, non insistettero nell’offensiva, dando la possibilità agli austriaci di fortificarsi a Luzzara.

Contro gli austriaci si mosse anche l’armata spagnola sbarcata sulle coste Toscane al comando effettivo del conte Montemar ma affidata, da Filippo V, alla direzione formale del figlio diciassettenne Carlo, duca di Parma e Piacenza, cui aveva trasferito i diritti suoi e della Spagna sui regni di Napoli e di Sicilia. L’armata spagnola si diresse verso Napoli dove il viceré austriaco Giulio Visconti, non potendo contare né sul favore della popolazione né su consistenti forze, riuscì solo a fortificare i presidi di difesa.
La flotta spagnola prendeva possesso delle isole di Ischia e Procida mentre Carlo, giunto alla periferia di Napoli, avendo accuratamente evitato le fortificazioni austriache, lanciò un proclama alle popolazioni con cui esplicitava la sua intenzione di volerli liberare dal giogo austriaco e di voler governare con equità. Quindi si mostrò generoso con doni ai potenti e dal suo tesoriere fece distribuire a piene mani oro ed argento (22) alle popolazioni dei centri attraversati. Il contingente spagnolo che procedeva con prudenza temendo qualche imboscata, assalì a Mignano le difese austriache comandate dal conte Daun, il quale si rifugiò precipitosamente a Capua (marzo 1734).
Carlo poi conquistò Maddaloni ed entrò, attraverso porta Capuana, trionfalmente a Napoli (maggio 1734) che, abbandonata dal viceré austriaco, lo accolse con favore, attratta dalla novità e dalla giovane età del nuovo re. Egli confermò le intenzioni esplicitate con il proclama ed avviò uno dei periodi più felici che la storia del regno di Napoli possa registrare. Mentre Carlo si insediava, le truppe austriache si ritiravano verso Bari, consapevoli di non potere affrontare un esercito più numeroso e meglio armato, ma, su pressione dell’imperatore austriaco, si schierarono a Bitonto dove gli spagnoli guidati da Montemar ottennero una facile vittoria, inducendo tutte le città che parteggiavano per l’imperatore, eccetto Brindisi e Lecce, ad arrendersi. Montemar inviò contingenti alla conquista dell’Abruzzo e della Calabria e della fortezza di Gaeta prima di rientrare a Napoli a ricevere il titolo di duca di Bitonto.

Per completare la conquista del meridione occorreva sedare le città ostili ed acquisire la Sicilia in cui era nota l’avversione per gli austriaci. Il viceré austriaco, marchese Rubbi, disponendo di un contingente esiguo, come vide la flotta spagnola comparire nelle acque di Palermo (estate 1734), riparò a Malta lasciando le roccaforti di Messina, Trapani e Siracusa al comando del principe Labkowitz, del generale Carrera e del marchese Orsini rispettivamente. Palermo si arrese al comandante Montemar e Messina al luogotenente Marsillac. In breve gli spagnoli ebbero il controllo dell’intera isola e, nel luglio 1735, si arrese Siracusa. Don Carlos non aveva preso parte all’impresa ma, appena informato, partì, accompagnato dal Principe Rufo e dopo aver attraversato festosamente Puglia, Basilicata e Calabria, sostò per due mesi di trionfi a Messina, prima di muoversi verso Palermo dove lo attendevano in Cattedrale. Era la prima volta dalla visita del 1535 di Carlo V, che un re metteva piede in Sicilia.

Le lunghe trattative della pace di Vienna (1735-38), accanto alla conferma di Augusto III di Sassonia sul trono di Polonia, trovarono il consenso della Francia che ebbe un riconoscimento per i suoi protetti (Stanislao ed i Borbone) e sancirono un forte ridimensionamento del potere austriaco in Italia:
- Stanislao Leszczynski, avendo dovuto rinunciare alla Polonia, ricevette il ducato di Lorena, al cui duca Francesco Stefano fu assegnato, in compenso, il granducato di Toscana . (23)
- Carlo VI d’Austria mantenne il Milanese, il ducato di Mantova ed, avendo rinunciato al Regno di Napoli, acquisì il ducato di Parma e Piacenza (24), lasciato da Carlo di Borbone.
- Il regno di Sardegna di Carlo Emanuele III acquisì i distretti di Novara, Tortona e le Langhe ma dovette restituire il territorio milanese che aveva occupato.
- Carlo di Borbone (Don Carlos) acquisì il regno di Napoli e di Sicilia, chiamato Regno delle due Sicilie (1734-1759) (25) ed i Presidi toscani (*, nota 1).
Dopo circa due secoli di vicereame, i regni di Napoli e di Sicilia hanno un proprio re. Situazione che si manterrà fino alla unificazione del Regno d’Italia.


4. Guerra di successione austriaca

La guerra di successione polacca (1740-48) ebbe un seguito col coinvolgimento di altre nazioni europee. Alla morte dell’imperatore Carlo VI (1740) molte nazioni avanzarono pretese sull’eredità austriaca, non riconoscendo l’applicazione della Prammatica Sanzione (26) che assicurava la successione alla figlia Maria Teresa, arciduchessa d’Austria. Tra queste nazioni, oltre alla Baviera, vi erano la Spagna di Filippo V che, oltre ad aver interessi sul ducato di Milano, mirava ad acquisire il ducato di Parma e Piacenza per il figlio secondogenito Filippo e la Sardegna di Carlo Emanuele III che da lungo tempo mirava ad acquisire il ducato di Milano. Seguendo la tradizionale linea antiasburgica la Francia entrò in campo ed, in contrapposizione a questa, anche l’Inghilterra alleata dell’Austria. Tuttavia a scatenare il conflitto fu Federico II di Prussia (27) che, vantando diritti sulla Slesia, senza alcuna dichiarazione di guerra la occupò mentre l’esercito austriaco era impegnato nell’eterno conflitto con i Turchi. A trarre d’impaccio Maria Teresa fu l’ingresso al suo fianco dell’Inghilterra e dell’Olanda ed un accordo con Carlo Emanuele III che fu indotto a modificare l’alleanza . (28)

In Germania, dopo due anni di vacanza durante cui l’esercito austriaco aveva occupato la Baviera, la Dieta di Francoforte elesse Carlo Alberto di Wittelsbach, nuovo imperatore, col nome di Carlo VII (1742-1745). Alla sua morte fu indicato quale imperatore il figlio Massimiliano Giuseppe con cui Maria Teresa concluse il Trattato di Fussen secondo il quale Massimiliano, in cambio della fine dell’occupazione della Baviera, si impegnava a rinunciare alla corona imperiale in favore del marito di Maria Teresa, Francesco Stefano di Lorena, che assunse il nome di Francesco I d’Asburgo Lorena (1745-65).

La guerra si svolse su più fronti e continuò fino al raggiungimento egli obiettivi di ciascun contendente. In Italia gli eserciti austro-sardi guidati dal principe Labkowitz inizialmente prevalsero sulle truppe spagnole guidate da un timido e lento Montemar e sostenute dalle truppe napoletane guidate dal duca di Castropignano. La flotta inglese comparsa nel golfo di Napoli e minacciando un bombardamento della città, impose la neutralità ed il ritiro delle truppe napoletane dal fronte. Filippo V e la moglie Elisabetta rimproverano al figlio Carlo questo atto di codardia contrapponendogli il valoroso comportamento del fratello Filippo in un altro teatro di guerra. Carlo si vide costretto a riprendere le ostilità sul Tronto accanto allo spagnolo Gages che, avendo sostituito Montemar, fu a sua volta sostituito da Las Minas. L’esercito spagnolo, che con la scomparsa di Filippo V (1746) era stato ridimensionato per la volontà del successore Ferdinando VI (1746-59) di sottrarsi al conflitto (29), e quello austriaco si fronteggiarono a Velletri in manovre tattiche e ripetuti scontri che causarono numerosi morti da ambo le parti e tali da costringere gli austriaci alla ritirata. Carlo di Borbone evitò di incalzare gli austriaci, contento di concludere un conflitto che finiva col rinsaldare la sua posizione nel regno delle due Sicilie. L’amministrazione di Carlo di Borbone iniziò allora ad essere indipendente da Madrid a tutti gli effetti, la qualcosa divenne ancor più evidente con l’ascesa al trono di Spagna del fratellastro Ferdinando VI e la emarginazione dei ministri maggiormente legati alla madre Elisabetta.

La guerra si concluse, per esaurimento delle parti coinvolte (30), con la pace di Aquisgrana (1748) promossa dagli inglesi. Le trattative oltre al riconoscimento della corona imperiale al marito di Maria Teresa, ripristinarono lo status quo ante, a parte piccole correzioni che consistettero:
- nell’assegnazione a Carlo Emanuele III dei distretti di Vigevano, Voghera e dell’alto Novarese (sottratto alla Lombardia austriaca);
- nell’assegnazione a Filippo di Borbone (Don Filippo), figlio di Filippo V ed Elisabetta Farnese e fratello di Carlo re delle due Sicilie, del ducato di Parma e Piacenza e Guastalla (1748-1765), sottratto agli Asburgo d’Austria (ha così inizio la casata dei Borbone di Parma).
- Gli Asburgo mantenevano Milano (ma dovevano rinunciare a Genova; nota 28) e ricevevano la definitiva assegnazione del Granducato di Toscana a Francesco Augusto di Lorena, marito di Maria Teresa, da poco eletto imperatore, con la clausola che lo avrebbe tenuto separato dalla corona austriaca (ha inizio la casata del Lorena di Toscana).
Gli accordi della Pace di Vienna, ritoccati con quelli della pace di Aquisgrana, aveva creato in Italia una geografia di poteri a tre (Savoia, Austria, Borbone) che sarebbe rimasta immutata per più di un secolo, fino alla costituzione del Regno d’Italia . (31)

Il Regno di Sicilia tra il 1700 ed il 1759

In questo periodo si succedettero al governo dell’isola per tredici anni i Borbone franco-spagnoli con Filippo V a cui subentrò, per cinque anni, nel 1713, il re Vittorio Amedeo II di Savoia e quindi (1718) l’imperatore Carlo VI, della dinastia Asburgo d’Austria che governerà per diciassette anni, fino al 1735. Nello stesso anno si insedierà Carlo di Borbone che, nel 1759, succedendo al fratello Ferdinando VI sul trono di Spagna (1759), lascerà il titolo al figlio terzogenito Ferdinando . (32)

- La Sicilia di Filippo V di Borbone

La Sicilia, che era stata per anni coinvolta dagli Asburgo di Spagna nella logorante guerra dei trent’anni contro i Borbone di Francia, si trovava ora ad essere utilizzata dalla parte contro cui aveva combattuto. La qualcosa, con l’assunzione di potere da parte di Filippo V, aveva comportato qualche cambiamento coll’istituirsi di un rapporto privilegiato con Messina, da tempo alleata francese (33), con la confisca di beni a famiglie che avevano sostenuto il precedente governo austriaco e coll’imposizione anche ai baroni del servizio militare.
Allorché le truppe austriache si preparavano dalla Calabria ad invadere la Sicilia (1707) sguarnita di truppe, varie ragioni (34) concorsero ad una sollevazione antispagnola che fu occasione di vendette, di saccheggi, del ritrovamento di tanti beni sottratti alla comunità che indussero alla costituzione di una amministrazione provvisoria. La quale per l’inesperienza e la improvvisazione si espose alla corruzione che fece venir meno la solidarietà popolare, consentendo al viceré di riprendere il controllo della situazione, ordinando esecuzioni e torture e trasferendosi nella più sicura Messina. Intanto la flotta inglese aveva bombardato Mazara le truppe austriache della grande alleanza incalzavano quelle austriache avviando l’epilogo che ha portato agli accordi della pace di Utrecht.

- La Sicilia di Vittorio Amedeo II di Savoia

Gli Asburgo d’Austria che, col Trattato di Utrecht, avevano acquisito il regno di Napoli, avrebbero gradito anche l’assegnazione della Sicilia ma l’Inghilterra, preferendo un regno meno potente a dominare una isola così strategicamente importante, spinse per l’assegnazione a Vittorio Amedeo che, cambiando fronte, aveva sconfessato il genero Filippo V (nota 12).
Con l’assegnazione della Sicilia, Vittorio Amedeo realizzò il sogno dell’acquisizione de titolo regale che coronava gli ingenti sforzi finanziari sostenuti con la guerra. I siciliani accolsero la nuova amministrazione con fatalismo, abituati come erano alle disillusioni che i cambiamenti avevano loro riservato in passato. Vittorio Amedeo promise all’Inghilterra che lo aveva sostenuto nelle trattative di pace e la cui flotta, nel 1713, lo trasportò in Sicilia con un contingente di seimila soldati, il mantenimento degli interessi in Sicilia. Egli, senza voler urtare interessi costituiti, elaborò un serio programma di riforme tendente a migliorare l’economia, le qualità dei prodotti locali (lana e seta) ed i metodi di allevamento, far risorgere l’industria mineraria, organizzare gli interventi di manutenzione delle strutture e del sistema di irrigazione e ricercare i motivi di diverse contraddizioni sociali (35).
Questo attivismo amministrativo che faceva emergere elementi di corruzione ed incompetenza che non mancavano di essere evidenziati e che presupponeva cambiamenti radicali, non raccolse il consenso dei ricchi che furono i primi ad essere colpiti. Fu imposto loro di pagare i propri debiti all’erario e furono indotti a vendere parte delle loro terre per aumentare il numero delle fattorie di dimensioni più facilmente gestibili. E non ricevette nemmeno il favore del popolo che, abituato al fasto spagnolo, fu poco attratto da questo re che vestiva trasandato e non faceva sfoggio nelle ricorrenze.
Dopo il soggiorno di un anno, Vittorio Amedeo rientrò in Piemonte lasciando, in qualità di viceré, il conte Annibale Maffei.

Per dirigere l’amministrazione e per il controllo dei conti dissestati giunsero da Torino funzionari efficienti che, misero a rischio numerosi interessi e diedero una scossa alla tradizionale rilassatezza permessa dalla Spagna, suscitando un malcelato risentimento ed una evidente insoddisfazione che, mantenuti sotto controllo, non arrivarono a sfociare in aperta rivolta. Gli amministratori, pur consapevoli delle ingiustizie derivanti dal potere baronale, si rendevano conto di non poter assumere drastici provvedimenti ma cercarono di limitarne gli abusi più evidenti come la confisca dei villaggi fondati senza autorizzazione dai baroni.

Per restaurare le finanze vennero ridotte le spese ed indetto, a fini fiscali, un censimento per organizzare un efficiente prelievo impositivo che, rifacendosi ad un preciso tariffario dei prezzi e dei dazi, eludesse le frodi più comuni. La qualcosa, ostacolata da radicati comportamenti, finì col causare un aumento dei prezzi che suscitò crescente malumore ed indignazione. Comunque non furono solo i privilegi e le immunità annidate a tutti i livelli della società (36) ad affossare le riforme ma anche conflitti fiscali con la Chiesa ereditati dalla precedente amministrazione. Anzi, col divieto imposto al clero da parte del Papa di pagare il contributo sui donativi, essi si acuirono a tal punto da configurare una marcata contrapposizione che indusse il Papa a sollevare i credenti dall’obbligo di fedeltà, incoraggiandoli a sfidare l’autorità regia.

Dalla valutazione di questa difficile situazione Vittorio Amedeo si era convinto di quanto fosse arduo il compito di gestire la Sicilia ed aveva avviato contatti per scambiare questa con una regione del nord. E quando, nel 1718, sbarcò l’esercito spagnolo alla conquista della Sicilia, i baroni si rifiutarono di affiancare i piemontesi nel difesa del territorio mentre il popolo insorse per sfruttare il vuoto di potere che si veniva a determinare. Quando l’impotente viceré piemontese Maffei lasciò Palermo, subentrò il generale spagnolo Leede che assunse le posizioni prima descritte.

- La Sicilia governata dagli Asburgo d’Austria

Per circa un anno, nel corso della guerra conseguente all’intervento austriaco (illustrato in precedenza) in Sicilia regnò l’anarchia con zone in cui, a seconda degli interessi, veniva riconosciuta la sovranità del Savoia o di Filippo V o ancora dell’imperatore Carlo VI e che erano soggette a gravi devastazioni da parte della fazione avversa. Allorché, nel febbraio del 1720, Filippo V si riconobbe sconfitto, l’esercito austriaco tentò di imporre un governo forte con la confisca delle armi ed impedendo alle corporazioni (*, nota 1) di presidiare le fortificazioni di Palermo.
Gli austriaci che pure, con il viceré duca di Monteleone, avevano utilizzato i migliori amministratori del precedente governo (37), mai riuscirono, per diversità di approccio, maniera e mentalità, a stabilire un rapporto di comprensione con i siciliani al punto che anche questioni di apparenza o di etichetta potevano provocare insanabili contrasti. Essi cercarono di porvi rimedio cercando di accattivarsi il consenso dei baroni, del clero e del popolo. Verso i baroni usarono maggiore indulgenza e cercarono di appagare la loro vanità con la concessione di titoli onorifici.

Verso la chiesa cattolica attuarono una politica di riconciliazione e, per soddisfare il popolo tentarono di rendere il sistema fiscale più equo e tale da sollevare chi non aveva margine di risorse. In questo ambito imposero soprattasse sulle importazioni di lusso e censirono le proprietà feudali. Ma non era facile applicare praticamente anche le riforme meglio elaborate e finalizzate in un mondo in cui i cambiamenti erano temuti ed ostacolati a tutti i livelli e la notevole confusione amministrativa, oberata da esenzioni e gravata dalla pletora di personale effettivamente o volutamente inefficiente, era atta ad incoraggiare la frode.

I viceré si rendevano conto che il loro successo era legato al miglioramento dell’economia dell’isola. Un’isola da dove, rispetto ai mercati del medioriente, risultava meno vantaggioso comperare il grano per il sistema di giurisdizione dei dazi che intralciava il commercio e contribuiva a tenere lontano i mercanti. Anche le industrie languivano ed i tentativi di riportare in vita quelle una volta efficienti non aveva avuto successo per mancanza di manodopera specializzata. Si finì col comperare altrove anche carbone, salnitro e solfo che un tempo erano prodotti da esportazione. Ed anche le concessioni fatte a Messina nel tentativo di risollevare la sua economia un tempo fiorente non ebbero sorte migliore. E gli austriaci, malgrado l’impegno, non ottennero risultati migliori dei piemontesi.

- La Sicilia di Carlo di Borbone

Quando nel 1734 la spedizione di Carlo di Borbone entrò in Sicilia non ebbe difficoltà ad occupare un regno che la Spagna aveva governato per tanto tempo ed alla cui maniera distante e tollerante di governare era ormai assuefatta.
Palermo che aveva temuto che l’incoronazione avvenisse a Messina fu felicissima di accogliere Carlo che riaprì nuovamente il palazzo reale alle feste rinverdendo le maniere spagnole che, considerate un segno di distinzione, rimanevano una componente stabile della vita siciliana (38
). Ma la sosta fu breve perché Carlo riparti per Napoli senza nascondere la sua intenzione di essere soprattutto il re di Napoli e di governare la Sicilia da lontano ma con l’intento di riuscire anche là dove piemontesi ed austriaci avevano fallito.
Egli per porre ordine e risanare l’amministrazione finanziaria creò una Suprema Magistratura del Commercio cui conferì ampi poteri d’intervento negli affari economici e nella fissazione dei prezzi.

Contro questa organizzazione si schierarono tutte le corporazioni, Parlamento compreso (39), che ne chiese l’abolizione anche perché veniva a ledere parte dei suoi poteri in materia di controllo delle opere pubbliche. il Parlamento era una istituzione che contribuiva a rallentare ogni processo di trasformazione e, continuando a celebrarsi concedendo onorificenze ai propri membri, teneva viva la nostalgia per un passato che veniva idealizzato fornendo motivo di orgoglio ai siciliani che si autoassolvevano attribuendo alle amministrazioni straniere la causa della povertà ed arretratezza del paese.

Considerato il clamore suscitato dalla istituzione della Suprema Magistratura del Commercio, il re disilluso ne limitò i poteri perdendo le speranze che aveva riposto nello sviluppo economico della Sicilia. E nello stesso periodo in cui a Napoli le riforme stavano rendendo più equa la ripartizione delle imposte, in Sicilia le esenzioni stabilite dal parlamento rappresentavano un limite verso una analoga evoluzione.

Il Regno di Napoli fra il 1700 ed il 1759

- Napoli dai Borbone agli Asburgo

All’accoglienza della nomina di re Filippo V da parte del viceré spagnolo Madinaceli, il popolo rispose con indifferenza, e con amarezza la nobiltà filoaustriaca che avversava la nomina di Filippo e, puntando le sue speranze sugli esiti della guerra promossa dalla Grande Alleanza, aveva inviato un emissario presso l’imperatore Leopoldo per sollecitare l’invio di armi atte a promuovere una sommossa antispagnola. La contropartita a questa scelta di campo doveva consistere, da parte dell’arciduca Carlo, nel momento in cui fosse nominato re, nel risiedere stabilmente a Napoli e ripristinare uno stato autonomo, mantenere i privilegi accordati dai passati regimi e nel concedere riconoscimenti ai promotori. Fallita la progettata uccisione del viceré Medinaceli, fu chiamato dalla Sicilia il viceré duca di Ascalona che riprese il controllo della situazione. Filippo, informato della congiura, giunse a Napoli dove il popolo lo accolse confidando in un cambiamento ma i progressi in Italia delle truppe della Grande Alleanza lo indussero a rientrare lasciando a Napoli i suoi ministri la cui attività faceva declinare le speranze che Filippo aveva destato.

Nel 1707 il comandante dell’esercito austriaco inviava verso Napoli un contingente guidato dal conte Daun che fece rientrare l’esiguo drappello napoletano che, rispondendo all’appello di Ascalona, aveva tentato di sbarrare la strada agli austriaci.
Il conte Daun, dopo la pace di Utrecht e Rastadt, inviato dall’imperatore Carlo VI, ritornò a Napoli in qualità di viceré dove rimase fino al 1720 allorché fu destinato ad altri incarichi e sostituito dal conte Gallas.
Nel decennio successivo non vi furono eventi sociopolitici degni di menzione se non la registrazione di quelli naturali (eruzioni, terremoti e diluvi).

- La Napoli di Carlo di Borbone

La pace di Vienna sancì l’acquisizione del Regno delle due Sicilie da parte di Carlo di Borbone dando avvio ad una nuova fase della storia di questa regione in cui, dopo secoli di vicereame, sorse un regno autonomo ed unitario tale da individuare una nazione napoletana e destinato a regnare sull’intera Italia meridionale fino all’avvento del Regno d’Italia, nel 1860.
La conclusione della guerra di successione austriaca (1748) segnò il definitivo consolidamento di Carlo quale re delle due Sicilie e la sua definitiva indipendenza dalla Spagna (40). Egli ebbe il merito di abbandonare i canoni delle monarchie accentrate (41) per adeguare gradualmente, come in Italia stava accadendo anche in Lombardia e Toscana, la concezione del potere ad un assolutismo illuminato ispirato alla nuova corrente culturale, illuminismo, che si andava affermando e che nella seconda parte del ‘700 coinvolgerà l’azione riformatrice degli stati.

Primo atto del sovrano che era seguito dal suo precettore Santesteban e dal marchese Montalegre che gli erano stati affiancati dalla madre, fu la nomina a ministro della giustizia di Bernardo Tanucci (42) che, dal momento della successione al trono di Ferdinando avrà un ruolo prima come componente del consiglio di reggenza e poi come primo ministro (1767-1776) la cui opera riformatrice sarà illustrata nel prossimo capitolo. Carlo, nel 1738, aveva sposato Maria Amalia Walburga di Sassonia, figlia quindicenne del re di Polonia Augusto III. Dopo al morte del padre (1746) Carlo riuscì a liberarsi dalla influenza della madre (nota 29) licenziando collaboratori che da lei gli erano stati affiancati. Emerse però l’influenza della moglie che, dopo quattro figlie e la nascita degli eredi maschi pretese di affiancarlo nella gestione degli affari di stato.

Fra le iniziative per risollevare le sorti del regno, oltre al consolidamento dell’ordine pubblico a Napoli, vi fu la creazione di un catasto generale con il censimento e la tassazione di tutte le proprietà comprese quelle dell’aristocrazia e del clero, da secoli intoccabili. Avviò la riforma dei servizi dell’amministrazione centrale con la riorganizzazione funzionale degli uffici attraverso una drastica riduzione del personale sovreccedente. Varò il nuovo codice (Codice carolino, 1752) che mise ordine in una legislazione confusa, frutto della sovrapposizione della dominazioni precedenti. Esso rappresentò un notevole progresso rispetto al passato ma, dovendo subire l’opposizione della potente categoria degli avvocati (*, nota 1), non riuscì ad eliminare certe contraddizioni che lasciavano ampia la possibilità di abuso. Istituì la Giunta di Commercio ed una compagnia di assicurazioni, prese provvedimenti per la difesa del patrimonio forestale, avviò lo sfruttamento delle risorse minerarie e riordinò flotta ed esercito.

Volle esaudire il suo desiderio di grandezza patrocinando iniziative di opere monumentali con la costruzione del Teatro S. Carlo (43). Le opere furono indirizzate ad ampliare la città oltre le mura costruite da don Pedro di Toledo (*, nota 1) con la costruzione del Molo, la strada di Marinella e quella di Mergellina e, tra le due, l’edificio della Immacolata. Vennero edificati il Real Albergo dei Poveri con cui si voleva dare lavoro ed un tetto ai poveri, due residenze reali, la reggia di Capodimonte con la fabbrica di porcellane che affidò al tedesco Shepper di cui aveva ammirato alcuni prodotti ed il palazzo di Portici. Infine, per conferire prestigio al regno, fu progettata la costruzione della splendida reggia di Caserta (44) ed il restauro del palazzo reale di Napoli. Fece riprendere gli scavi di Ercolano, avviò quelli di Pompei ed intervenne in soccorso delle popolazioni durante le eruzioni del Vesuvio del 1738 e 1750. Introdusse il gioco del lotto.

Carlo concentrò le sue opere in città dove potevano dargli lustro, mentre nel regno mancavano strade di collegamento sicure per l’Abruzzo, Puglia, Lucania e Calabria. Quale fosse il tenore di vita in queste contrade, definito profondo sud, si può dedurre dalle poche informazioni che si hanno: una popolazione analfabeta, sfiduciata e frustata, campagne spopolate dalla malaria, dalla sopraffazione dei rapaci baroni e dei parroci e dal timore dei briganti. Questi non venivano perseguiti in quanto le loro gesta non mettevano in pericolo il regime che poteva essere minacciato solo nella capitale.

Va ricordato anche che, su sua pressione, vennero scacciati gli ebrei che il Tanucci aveva ammesso nella speranza che favorissero iniziative industriali e commerciali nell’interesse della comunità come in effetti avvenne . (46)

Allorché, nel 1759, alla morte del fratellastro Ferdinando VI, Carlo divenne re di Spagna (47), col nome di Carlo III (v. nota 25), egli, secondo gli accordi di Aquisgrana, non potè conservare anche i regni di Napoli e di Sicilia. Per cui Carlo, ricevuta la nomina a re di Spagna, convocò i nobili per far constatare lo stato di demenza in cui si trovava il suo primogenito maschio Carlo e che lo obbligava a destinare il secondogenito Carlo Antonio alla successione sul trono di Spagna. Al terzo figlio Ferdinando di otto anni cedette quindi il regno delle due Sicilie. Questo, coadiuvato da un consiglio di reggenza presieduto dal Principe di San Nicandro ma di fatto gestito dal Tanucci, assunse il nome di Ferdinando IV di Napoli (III di Sicilia) e, con qualche interruzione, rimarrà al potere fino al 1825, per uno dei più lunghi regni della storia.
Carlo di Borbone lasciò Napoli e tutti i beni della corona, imbarcandosi con la famiglia, tra la commozione generale, sulla fregata Feniche che, scortata dalla flotta, lo portava in Spagna.

Il Regno di Sardegna (48)

Vittorio Amedeo II duca di Savoia (1666-1732), dopo aver partecipato a diverse guerre che gli avevano consentito la scalata al regno di Sicilia, nel momento in cui, lasciando la Sicilia, assunse il titolo di re di Sardegna si impegnò nel riordino dei suoi domini. E soprattutto della Sardegna che, arretrata per carenza di strade, scuole ed industrie, tiranneggiata dalle classi baronali, infestata dai banditi, dilaniata dalle faide tra clan familiari ed avversa al nuovo regime, necessitava di una gestione prudente. C’era inoltre da contenere l’ostilità del clero, sollecitato dalla Santa Sede che, rivendicando diritti di sovranità sull’isola (49), pretendeva il riconoscimento di vassallaggio da parte di Vittorio Amedeo, vertenza ricomposta grazie alle capacità diplomatiche del ministro marchese d’Ormea. Dal 1684 al 1730 governò i suoi domini direttamente e, con la collaborazione dei ministri marchese d’Ormea e Lorenzo Bogino, trasformò il Piemonte da uno stato di debolezza e povertà in regione florida, militarmente protetta e saggiamente amministrata, al punto da divenire re apprezzato nelle corti d’Europa. Fu abile negoziatore, capace di condurre trattative su fronti avversi senza esserne travolto ma, riuscendo a conseguire importanti risultati. Sobrio, essenziale, maestro di inganni.

Fra i più importanti provvedimenti presi dal re di Sardegna vanno ricordate il rafforzamento dello Stato mediante la pubblicazione di leggi e costituzioni (codice Vittorino) ed il rinnovamento dell’apparato burocratico con l’apertura delle carriere a tutti, la limitazione dei privilegi feudali e la diminuzione delle imposte, l’uso obbligatorio della lingua italiana. Istituì i ministeri degli interni, esteri e della guerra, riformò il consiglio delle finanze. Riorganizzò l’esercito e riformò l’Università di Torino chiamando, per l’insegnamento, illustri docenti.

Nel 1730, Vittorio Amedeo abdicò in favore del figlio Carlo Emanuele III (1701-1773) (51) ma, non riuscendo a restare lontano dal potere, tentò di rientrare. Il ministro d’Ormea, nel timore di disordini, fece rientrare la disponibilità del figlio ad assecondare il volere del padre ed indusse il governo ad imprigionarlo, prima nel castello di Rivoli, poi a Moncalieri dove morì nel 1732. Fine immeritata per un personaggio che, nel corso dei suoi 46 anni di regno, aveva acquisito prestigio in tutte le corti europee.

A seguito delle guerre di successione (polacca ed austriaca) il regno sardo, oltre ad aver ottenuto vantaggi territoriali, ne era uscito politicamente rafforzato e Carlo Emanuele III, dopo la pace di Aquisgrana, cercò ancora di consolidarlo garantendosi la protezione dell’integrità dello Stato attraverso trattati con Austria e Spagna ed intrattenendo buoni rapporti con l’Inghilterra, riconoscente per l’intervento dei Savoia che aveva contribuito a risolvere la guerra dei sette anni (52).
Egli riuscì a ricomporre, con l’intervento del ministro dell’interno, marchese d’Ormea, il contrasto fra Regno di Sardegna e Santa Sede (53) convenendo con Benedetto XIV (1740-58) un concordato che creava il re Vicario Apostolico e diffusa una istruzione per le curie vescovili.

Intervenne, con l’opera del ministro Giambattista Bogino, a migliorare le condizioni economiche e morali della Sardegna completando l’opera legislativa avviata dal padre. Nell’ambito delle misure economiche riformo la moneta e l’amministrazione dei comuni. Pose un freno agli abusi feudali, eliminando privilegi ed immunità ecclesiastiche, migliorando le comunicazioni mediante la costruzione di strade, ed istituendo l’ammasso del grano. Il rilancio morale dell’isola si avviò mediante la costruzione dell’ospedale di Cagliari e di scuole, l’istituzione dell’Università di Sassari e di Cagliari, la pubblicazione di un nuovo Codice per il Regno Sardo ed il riordino dei tribunali.

Vittorio Amedeo III (1773-1796) che successe al padre Carlo Emanuele, era di buon animo, desideroso di migliorare le condizioni dello Stato e possedeva ingegno che non riuscì a finalizzare concretamente in opere di utilità. Si circondò, dopo il licenziamento del Bogino, di consiglieri inefficienti ed affidò la Sardegna a viceré inetti che, allentando i controlli, non garantirono una efficace applicazione delle leggi e resero vani gli sforzi riformatori del Bogino. Alla incapacità amministrativa di Vittorio Amedeo si aggiunse il velleitarismo volto ad emulare Federico II di Prussia nell’organizzazione di un esercito grande e potente. Questo obiettivo gli fece stornare enormi risorse destinate ad opere strutturali facendo immiserire uno Stato che non riuscirà a cavalcare gli eventi che incominciavano a scuotere l’Europa.

Carlo Emanuele III ed il suo successore Vittorio Amedeo III rimasero ancorati ai principi dell’ancien regime e la vasta emigrazione intellettuale dai domini Savoia dimostra la scarsa simpatia delle forze dirigenti per la cultura in genere e per le idee illuministiche in particolare.

Di conseguenza è la borghesia a doversi far carico del progresso economico e sociale cercando di trasformare i sistemi produttivi nel contesto di condizioni difficili, create dall’indirizzo conservatore dello Stato.

NOTE:

1) Le vicende relative alla nomina a re di Spagna di Filippo di Borbone e le reazioni sono state sinteticamente anticipate nel capitolo ”Il meridione d’Italia dominio degli Asburgo di Spagna “, stesso sito cui si rimanda con il simbolo (*).
2) Gli Asburgo di Spagna e d’Austria discendevano dall’imperatore Carlo V (*, nota 1).
3) Il primo accordo prevedeva che andassero alla Francia i regni di Napoli e di Sicilia ed all’Austria il ducato di Milano. Sul trono di Spagna sarebbe dovuto andare, per il mantenimento degli equilibri, un personaggio poco potente che era stato individuato, dopo una prima selezione che aveva escluso Vittorio Amedeo II di Savoia, nel principe Wittelsbach di Baviera che, morendo, fa saltare l’accordo.
4) Maria Teresa, moglie Luigi XIV, figlia di Filippo IV di Spagna e sorellastra di Carlo II di Spagna era nonna di Filippo d’Angiò (*, nota 1).
5) Queste iniziative consistevano, fra l’altro, in consiglieri francesi dislocati alla corte di Spagna, truppe francesi insediate in Belgio, mercanti e flotte francesi installate nei centri di mercato con le colonie spagnole.
6) Nell’Europa del XVIII sec., Austria, Francia e Spagna erano monarchie in cui l’interesse dinastico dei “re per grazia di Dio” prevaleva su quello nazionale mentre in Olanda, fin dall’acquisizione dell’autonomia (fine del XVI sec.) il potere era in mano al parlamento ed in Inghilterra i puritani erano riusciti a limitare il potere della monarchia.
7) Il trattato, condotto da John Methuen del 1703, prevedeva scambi commerciali: tessuti inglesi in Portogallo e vini portoghesi in Inghilterra.
8) Il Principe Eugenio di Savoia (1663-1736) portato per la vita militare, dopo aver ricevuto il rifiuto di entrare nell’esercito francese, offrì i suoi servizi all’imperatore Leopoldo dove si distinse per il suo genio tattico e strategico, divenendo a soli ventiquattro anni maresciallo dell’esercito imperiale. Al comando di questo partecipò a tutte le battaglie di quel tempo. Divenne anche abile negoziatore (Rastadt) e vicario dei domini austriaci in Italia. Morì dopo aver accumulato immense fortune che, in mancanza di eredi diretti, andarono disperse.
9) Nel corso di questo lungo assedio, mentre le truppe francesi stavano tentando di penetrare nella cittadella fortificata attraverso un cunicolo, furono fermati dall’atto eroico di Pietro Micca che, nella notte del 29 agosto, innescò un deposito d’esplosivo che, facendo cadere la galleria, lo coinvolse. La sconfitta dei Francesi guidati dal generale Vendome che assediavano Torino, dopo aver occupato parte del Piemonte, permise alle truppe imperiali di occupare i territori del ducato di Milano e di Mantova. Il Ducato di Milano assorbì quello di Mantova. Vittorio Amedeo II per la vittoria conseguita fece costruire la basilica di Superga (1717-1731).
10) A Leopoldo I era succeduto nel 1705, il figlio primogenito Giuseppe ed, alla sua scomparsa, il secondogenito Carlo.
11) Valtellina e Valsesia sottratti al ducato di Milano.
12) Filippo V aveva sposato nel 1701 Maria Luisa di Savoia (1688-1714) figlia di Vittorio Amedeo II ed alla sua scomparsa, nel 1714, sposò Elisabetta Farnese (1692-1766), nipote ed erede del duca Francesco II di Parma e, quale discendente da Margherita dei Medici, pretendente alla successione del granducato di Toscana. Filippo V, infingardo, timido e sospettoso, fu afflitto da malattie depressive per cui non fu difficile alla moglie Elisabetta Farnese, donna intelligente, volitiva e scaltra, divenire la vera dominatrice della Spagna del tempo. Alberoni (v. nota successiva) ebbe a definire Filippo, sensuale e bigotto, “gli bastava una moglie ed un inginocchiatoio”.
13) L’abate Giulio Alberoni (1664-1752), nato da umile famiglia a Piacenza, fu assunto al seguito del generale francese Vendome che nel corso di una ambasceria ne aveva apprezzato le capacità. Trovandosi a Madrid, dopo la morte di Vendome, rimase alla corte di Spagna dove si era procurato la stima del sovrano. Dopo la morte della prima moglie di Filippo, Maria Luisa di Savoia, l’Alberoni, con la collaborazione della dama di corte principessa Orsini, riuscì ad indurre il re a sposare Elisabetta Farnese (v. nota 12). Caduto in disgrazia dopo i suoi insuccessi diplomatici, fu espulso: un giorno per lasciare Madrid e quindici per lasciare la Spagna che attraversò incalzato da sicari incaricati di sottrargli l’epistolario. Riuscì a farsi apprezzare come governatore della Romagna e morì senza lasciare né memoriali né patrimoni.
14) Gli accordi prevedevano lo scambio della Sicilia all’Austria e della Sardegna al Savoia. Questo avrebbe ottenuto anche i territori occidentali del milanese e sarebbe stato concordato il matrimonio del principe di Piemonte con l’arciduchessa Giuseppina d’Austria.
15) Questa richiesta che si ripeterà in altre occasioni era motivata dalla suscettibilità popolare e da precedenti esperienze in cui situazioni del genere avevano causato inconvenienti e scatenato reazioni nei riguardi di mogli e figlie responsabili di aver macchiato l’onore.
16) Lo schieramento della Francia contro la Spagna era giustificato dal fatto che al momento era reggente, per conto di Luigi XV di nove anni, Filippo d’Orleans poco solidale con gli interessi della dinastia Borbone
17) Alcune città evitarono il saccheggio pagando somme di denaro, altre come Palermo riuscirono abilmente ad evitarlo negoziando contemporaneamente con spagnoli ed austriaci.
18) Si trova nella valle dell’Alcantara, da sempre via di comunicazione di primaria importanza e teatro di battaglie in tutte le epoche. Terra di missione dove l’abate basiliano Cremete con un gruppo di anacoreti e con l’appoggio del gran conte normanno Ruggero I, fondò nel 1093, l’Abazia di S.Salvatore della Placa, una delle più ricche del medioevo siciliano.
19) Mantenuta dalla casa Savoia fino all’unificazione del 1861.
20) Doveva sostenere la Francia in base agli accordi stipulati a Torino del 1733.
21) Le truppe austriache erano impegnate in Polonia. Carlo Emanuele III emanò subito provvedimenti intesi ad eliminare gli effetti del malgoverno austriaco ed a sostenere le classi più deboli, scontrandosi con coloro che vedevano limitarsi la possibilità di illeciti guadagni senza, peraltro, ricevere il favore del popolo che, non predisposto per un governo italiano, piuttosto ne preferiva uno straniero.
22) Un galeone pieno di preziosi era appositamente giunto dalle Americhe.
23) Il granducato di Toscana promesso, negli accordi di Utrecht ai figli di Elisabetta Farnese, legittimata alla successione per vincoli familiari (nota 12), cambia destinazione. Francesco Stefano di Lorena sposò, nel 1736, la granduchessa Maria Teresa, figlia di Carlo VI d’Austria, per cui il granducato di Toscana resterà nell’orbita austriaca. La dinastia dei Medici si estinse, nel 1737, con la morte di Gian Gastone. Il matrimonio con Maria Teresa, futura imperatrice, in virtù della Prammatica Sanzione, consentirà al marito Francesco Stefano di assumere il titolo di imperatore SRI.
24) Resterà nell’orbita dell’Austria che lo manterrà con Carlo VI fino al 1740 e con Maria Teresa fino al 1748.
25) Carlo, secondo l’investitura papale, avrebbe dovuto assumere il nome di Carlo VII ma si proclamò Re senza numerazione specifica per marcare la discontinuità sia con il regno angioino che con la dinastia Asburgo di Spagna. Alla morte del fratellastro Ferdinando VI, che era succeduto (1746) al padre Filippo V, Carlo di Borbone diverrà re di Spagna (1759-1788) col nome di Carlo III di Spagna, motivo per cui viene anche erroneamente citato come Carlo III di Napoli.
26) Carlo VI era salito al trono per la morte del fratello imperatore Giuseppe I, privo di eredi maschi. Carlo, trovandosi nella medesima condizione privo di figli maschi, aveva emanato un decreto “Prammatica sanzione” (1713) con cui stabiliva che la successione sarebbe spettata alla figlia granduchessa Maria Teresa che, successivamente (1736), avrebbe sposato Francesco Stefano III duca di Lorena, nel 1746. Il decreto fu riconosciuto da Russia e Prussia, La Francia pose la condizione di ricevere la Lorena al momento del matrimonio di Francesco Stefano e la Spagna ambiva a far sposare Maria Teresa con l’erede don Carlos.
27) La Prussia era, nel panorama europeo, uno stato minore frantumato in spezzoni fra ducati e contee (Pomerania, Magdeburgo, Hohenzollern, ecc.) che, come i Savoia, mirava a conquiste territoriali e maggiormente beneficiò dalla frantumazione dell’impero. Da questa guerra ottenne la Slesia mentre la Francia nulla, da qui nacque l’espressione proverbiale “……. combattere per il re di Prussia”.
28) Si avvicinò all’Austria ma restò vigile a decifrare il suo interesse. Non si fece coinvolgere più di tanto dalla promessa che l’Austria avrebbe impedito alle truppe spagnole di invadere la Lombardia, da sempre nelle mire dei Savoia, e che lo avrebbe favorito nell’acquisizioe del marchesato di Finale che consentiva al Piemonte lo sbocco al mare. Tuttavia nel momento in cui gli Austriaci marciarono su Genova per punirla dell’appoggio fornito ai francesi, Carlo Emanuele III si trovò in una situazione nuova in cui il pericolo era rappresentato proprio dagli Asburgo che avrebbero potuto, con Genova, conquistare il marchesato di Finale. Carlo Emanuele, prima che iniziassero le trattative di pace, occupò, sottraendoli a Genova, Finale e Savona che poi non potè conservare. Genova, conquistata nel settembre del 1746, si vide imposte pesanti condizioni dal generale austriaco Botta Adorno ed il 5 dicembre dello stesso anno, reagì, coinvolta nella sommossa dalla reazione di un giovane Giambattista Perasso (Balilla) ed espulse gli Austriaci.
29) Con l’ascesa di Ferdinando VI, la matrigna Elisabetta Farnese perse la sua influenza e fu costretta ad andare a vivere in un castello lontano dalla corte fino al 1759, quando con la nomina del figlio Carlo, ritornò a corte.
30) Diminuita forza degli eserciti, stanchezza dei governi, mancanza di risorse finanziarie, distruzioni che peggioravano le misera condizione delle popolazioni.
31) I ripetuti cambiamenti di dominazione che sui territori italiani si sono succeduti in questo periodo hanno indotto Voltaire alla considerazione che “il popolo italiano è stato per secoli il premio per il vincitore”.
32) Ferdinando (1751-1825) sarà re di Napoli col nome di Ferdinando IV (1759-1816) e re di Sicilia (Ferdinando III, 1759-1816). Di fatto re delle due Sicilie ma solo dopo la restaurazione (1815-1831) assumerà il titolo di re delle due Sicilie col nome di Ferdinando I 1816-1825).
33) In occasione della ribellione del 1674, aveva sollecitato l’intervento della Francia (*, nota 1).
34) Una di queste ragioni consisteva nel fatto che le truppe franco-spagnole destinate a difendere Palermo avrebbero fatto venir meno il diritto delle corporazioni di presidiare i bastioni, acquisito con la rivolta del 1647 (*, nota 1) a cui si aggiungeva il rifiuto dei cittadini di dare ospitalità ai soldati.
35) La più evidente riguardava il gran numero di senza lavoro a Palermo mentre in campagna vi era carenza di manodopera. Ragione che venne individuata nella totale ingiustizia dei contratti di lavoro cui i braccianti erano sottoposti.
36) Un articolo del Trattato di Utrecht prevedeva che Filippo V mantenesse le sue proprietà personali in Sicilia che, con le confische operate nel corso del XVII sec. ammontavano a circa un decimo delle terre dell’isola. Queste, che servivano a Filippo per poter avanzare pretese sull’isola, erano amministrate da un funzionario spagnolo che pretendeva l’immunità dalle leggi e l’esenzione dalle imposte.
37) Alcuni amministratori efficienti avevano seguito Vittorio Amedeo che assegnò loro importanti cariche nelle regioni la lui amministrate.
38) Anche le corride attrassero tutte le classi sociali e si protrassero per tutto il ‘700 e per parte del secolo successivo.
39) Il Parlamento era costituito dalla Camera baronale e da quella Camera demaniale i cui rappresentanti teoricamente dovevano essere nominati dalle città ma praticamente dal re o da qualche barone locale. Poi vi era la Deputazione, un comitato che rappresentava il parlamento negli intervalli fra le varie sessioni e che era composto da individui scelti fra poche famiglie aristocratiche. I baroni che possedevano un potere economico immenso mantennero una forte influenza sul potere politico amministrativo condizionandolo. Non mancarono esempi di nobili dai comportamenti avanzati fra cui il principe di Niscemi, un attivo uomo d’affari ed il principe Biscari di Catania, dinamico propulsore dell’industria e dell’arte.
40) Carlo al suo insediamento a Napoli (1735) aveva solo diciotto anni per cui governò inizialmente con il consiglio dei suoi genitori e soprattutto della madre Elisabetta Farnese che ne fu l’artefice dell’ascesa.
41) Tipici esempi furono le monarchie Francese e Spagnola del ‘600 che mantenevano nelle loro istituzioni residui del sistema feudale in cui il sovrano era un Re padrone e lo Stato ancorato nei rigidi schemi della monarchia assoluta (ancien regime).
42) Il giurista toscano Bernardo Tanucci (1698-1783), professore di Diritto civile presso l’Università di Pisa, si fece apprezzare da Carlo di Borbone nel periodo in cui era duca di Parma, per la difesa dei diritti della Spagna in lcune contese diplomatiche. Carlo lo arruolò al suo seguito nel momento della conquista del Regno di Napoli.
43) Costruito fra il marzo e l’ottobre del 1737, su disegno di Mediano, dall’architetto Caratale che, inquisito per i conti delle spese sostenute, fu messo in prigione e vi resto fino alla morte.
44) La grandiosa reggia costruita nella piana ai piedi del monte dove sorge Caserta (Casa erta, fondata dai Longobardi) è stata progettata nel 1751 dal figlio di Gaspare Van Wittel, Luigi Vanvitelli (1700-1773), architetto, ingegnere idraulico, strutturista ed urbanista, chiamato da Roma dove operava con successo nello Stato Pontificio. L’opera commissionata da Carlo doveva eguagliare le regge dei grandi regnanti europei, Versailles e Schonbrunn.Ll’acqua che alimenta le fonti ed i laghi è stata trasportata dal monte Taburno mediante un acquedotto di 27 miglia che attraversa tre valli e, nella valle di Maddaloni, scorre su un imponente ponte a tre arcate sovrapposte (acquedotto carolino). Dopo la morte del Vanvitelli che, frattanto seguiva opere in Sicilia, Lazio e Lombardia, l’opera fu portata avanti dal figlio Carlo (1739-1821) e da altri discepoli, ricevendo un impulso alla conclusione sotto il regno di Giacchino Murat (1808-15). I lavori si conclusero nel 1847.
45) Furono colpite Sarno, Palma, Ottaviano, Nola ed Avellino.
46) Un contributo a questa decisione verosimilmente potrebbe esser stata la profezia di un frate secondo cui Carlo, che aveva quattro figlie femmine, non avrebbe avuto prole maschile finché i giudei fossero rimasti nel regno. A maturare questa decisione sembra abbia contribuito anche il popolo che, peraltro, reagì alla introduzione del Sant’Uffizio al punto da far espellere il cardinale Spinelli che ne era stato l’artefice su mandato del papa Benedetto XIV.
47) Al momento della nomina, affidò la reggenza alla madre Elisabetta che, pur ritirata in un castello (nota 29), non aveva perso il suo interesse per gli affari di corte né la voglia di comando. La politica di Carlo come re di Spagna è vista con minore apprezzamento rispetto a quella del periodo napoletano. A causa del suo legame con la Francia di Luigi XV si vide coinvolto in contese con l’Inghilterra (guerra dei sette anni, possesso delle isole Falkland, guerra di indipendenza americana). Sul fronte interno promosse, in Spagna, l’espansione del commercio e dell’industria, creò scuole di formazione professionale, cacciò l’Ordine Gesuiti da tutto l’impero spagnolo, avviò la costruzione del Museo del Prado, la Porta di Alcalà e del giardino Botanico. Morì nel dicembre del 1788, pochi mesi prima dello scoppio della rivoluzione francese.
48) Era suddiviso in cinque stati: Sardegna, Piemonte, marchesato di Saluzzo e ducato del Monferrato, ducato di Aosta e Savoia, Contea di Nizza e marchesato di Oneglia.
49) Fin dall’XI sec. la Sardegna era ritenuta assoluto feudo papale al punto che il Papa Gregorio IX si oppose alla nomina a re di Sardegna di Enzo, figlio di Federico II e i papi Celestino V e Bonifacio VII concessero a Giacomo II di Spagna (Trattato di Anagni, 1295) la licenza ad invadere la Sardegna, in cambio della Sicilia che sarebbe passata a Carlo d’Angiò. Contro il volere della Santa Sede, Vittorio Amedeo aveva difeso le leggi di tolleranza verso i Valdesi, benché nulla aveva fatto nel 1685, quando furono massacrati da un contingente francese.
50) Ad assumere questa decisione, essendo nel 1728 rimasto vedovo da Anna Maria di Orleans, nipote di Luigi XIV che aveva sposato nel 1684, aveva contribuito il desiderio di sposare la contessa di S. Sebastiano che aveva amato in gioventù e resa madre.
51) Carlo Emanuele III, sgraziato nel fisico ed afflitto da balbuzie, divenuto principe del Piemonte per la morte del fratello maggiore, affiancò il padre per addestrarsi negli affari di stato e mantenne in carica i ministri d’Ormea e Bogino.
52) La guerra dei sette anni, combattuta fra il 1756 ed il 1763 da Francia, Austria e Spagna contro Inghilterra e Prussia, costò alla Francia la perdita delle Indie e del Canadà a favore dell’Inghilterra.
53) Ciò anche a spese di un odioso baratto che comprese l’imprigionamento del giurista, storico e teologo Pietro Giannone (1676-1748) che, scomunicato dalla Curia romana per la pubblicazione della Istoria civile del regno di Napoli in cui criticò il curialismo ed il potere temporale della Chiesa, si era rifugiato prima a Vienna protetto dall’imperatore quindi a Ginevra dove portò a compimento il Triregno (uomini, Gesù, papi). Carlo Emanuele III si rifiutò di consegnarlo ma lo rinchiuse nella fortezza piemontese dove morì dopo dodici anni di prigione.

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Il meridione d’Italia Borbone di fine ‘700
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