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103. GLI SLAVI NORD OCCIDENTALI (POLONIA-GERMANIA)


Nella cartina sopra i regni alla fine del XIV secolo

Abbiamo visto nel precedente capitolo quando gli slavi - per lo scarso sentimento di solidarietà nazionale, per la mancanza di una autorità superiore coordinatrice, per gli scoppi di continue inimicizie e contese fra di loro o con le tribù confinanti, dissanguandosi in inutili lotte perchè non capaci di fare i conquistatori, vivendo in uno stato di completa disgregazione, furono ben presto preda dei vicini. Salvo quegli slavi - più uniti - che andranno a costituire poi la Polonia e che narreremo a parte (nel CAPITOLO 106° ).

Gli Slavi che si erano maggiormente spinti verso ovest, quelli cioè delle regioni della Saale, dell'Elba e dell'Oder, gruppo dopo gruppo, si sottomisero alla fine alla dominazione tedesca prima ancora che potessero formarsi tra loro stati nazionali di una notevole entità. Una certa quantità di piccoli cantoni tutt'al più arrivò ad allearsi transitoriamente per compiere delle scorrerie contro i Turingi o i Sassoni ; ma essi furono nel IX secolo soggiogati senza fatica dagli eserciti franchi. Nessuno si curò di cercare di convertirli al cristianesimo; per tenerli a bada fu costituita la marca «sorabica» (serba).

Con Enrico I incominciò una nuova e più poderosa avanzata dei Tedeschi contro gli Slavi. Questo re costruì nel 928 il suo castello di Meiszen che servì di base alla sottomissione dei Milciani, domiciliati sull'Elba (nei futuri territori di Bautzen e Górlitz), i quali non opposero seria resistenza; maggiore opposizione incontrò invece il margravio Gero nel Lausitz (cioè «paese delle paludi»), ma nel 963 la vinse definitivamente.

Gli Slavi sottomessi delle accennate regioni non insorsero mai più contro la dominazione teutonica; invece alcuni decenni dopo questi paesi furono oggetto di contesa e di guerra tra Polacchi e Tedeschi. Dopo la morte del potente margravio Gero, la sua vasta marca fu divisa in cinque parti fra le quali le nuove marche di Merseburg, Zeitz, Meiszen e Lausitz corrisposero all'antica regione occupata dagli Slavi.
Per provvedere alla cristianizzazione di queste contrade furono istituiti i vescovadi di Merseburg, Zeitz e Meiszen; ma non si ottenne quella sperata conversione; ancora nel 1028 la sede del vescovado di Zeitz dovette essere trasportata in luogo più sicuro, a Naumburg, ed ancora nel XII secolo esisteva là un residuo di popolazione pagana, specialmente nei luoghi dove ora é Juterbog.

Del resto si trattava di paesi poco popolati, e quando l'erede degli antichi margravi Corrado di Wettin entrò in possesso della marca di Meiszen (1123), che da allora in poi rimase nella sua famiglia, vi era molto spazio disponibile per l'immigrazione tedesca.

Decisamente più drammatiche e tragiche, furono le vicende degli Slavi dimoranti nelle regioni più settentrionali bagnate dall'Elba e dall'Oder. Qui tra la Vistola e l'Oder erano stanziati i Pomerani e Rugheniani, tra l'Oder e l'Elba i Lutizi o Velti, divisi in vani rami e cantoni. Più ad occidente verso Wismar e Mecklenburg risiedevano gli «Obotriti»; sull'Elba i «Polabi» e più in là fin nell'Holstein i «Vagri»; oltre l'Elba fin nel Lúneburg arrivarono gruppi di Slavi spinti in parte da Carlo Magno che se ne valse contro i Sassoni sempre sul piede di guerra. (Carlo vi si impegnò in più di 20 campagne).

Gli Obotriti già nell'VIII secolo avevano dei « re », il che significa che erano già giunti ad un grado di organizzazione piuttosto più vasta e superiore; ma anche su di loro si abbattè la mano potente di Carlo Magno.
Ma con l'indebolirsi dell'impero carolingio essi riacquistarono la loro indipendenza. Nel X secolo invece, fra i Lutizi, almeno i Tedeschi non trovarono più questi « re », né organizzazioni politiche di qualche entità; l'estinzione della dinastia in uno sfrenato spirito di libertà, avevano distrutto ogni vincolo di coesione fra quei popoli. Uno sciame di piccoli capi e capetti governava quelle masse disorganizzate; si pensi che il margravio Gero nel 939 ne fece uccidere proditoriamente trenta in una volta sola.

Di più i Lutizi covavano un odio inestinguibile contro i loro vicini dell'est, contro i Polacchi già convertiti in quest'epoca al cristianesimo, e il cattolico Enrico II con molto opportunismo non si scandalizzò di allearsi con quei pagani contro i Polacchi cristiani. Enrico e poi Ottone I riuscirono rapidamente a diffondere fra gli Slavi settentrionali il cristianesimo (principalmente agli scopi della loro conversione vennero istituiti nel 946 e 949 i vescovadi di Havelberg e Brandeburgo e nel 968 l'arcivescovado di Magdeburgo) ed a stabilirvi l'alta sovranità germanica; ma fu un opera di breve durata.

La sconfitta di Ottone II in Italia diede il segnale della generale defezione. Soltanto nel XII secolo, allorché tutti questi Slavi erano stremati e fiaccati dalle furiose contese interne e dai continui attacchi dei Sassoni e dei Danesi, gli Schauemburg, gli Ascani ed i Guelfi raccolsero senza sforzo il frutto maturatosi in tre secoli di lotte. Specialmente Alberto l'Orso ne trasse vantaggio, perché Pribyslaw-Enrico, il principe slavo cristianizzato del Brandeburgo, nel quale la nuova fede aveva soffocato ogni sentimento nazionale, trovandosi senza prole, lo nominò erede del principato, ed alla sua morte (1150) la moglie tenne persino nascosto il decesso per poter prevenire Alberto.

Uno zio di Enrico, un polacco di nome Jacsa, tentò di impossessarsi del Brandeburgo, ma non vi si potè sostenere se non temporaneamente, ed Alberto ne prese il possesso definitivo nel 1157. In pochi anni caddero per sempre nell'oblio i vecchi nomi dei Redari, Ucrani, Stodorani, Sprevani, ecc.

Meno ingloriose furono le vicende degli Obotriti. A differenza dei Lutizi costoro ebbero sempre una dinastia che si perpetuò anche oltre i tempi di Carlo Magno e seppe tenere in rispetto i vicini Vagri e far sentire il peso della sua autorità fin nel territorio dei Lutizi. Accanto ai principi di Polonia e di Boemia l'ebreo spagnolo Jacobson non menziona nel 965 altro re in queste contrade all'infuori del re degli Obotriti.
Anche per costoro venne istituito fin dai tempi di Ottone I un vescovado ad Oldenburg. Ma su quali deboli basi appoggiassero qui, non diversamente che fra i Lutizi, la sovranità tedesca ed il cristianesimo, lo si vide nel 983 allorché dapprima i Lutizi e poi anche gli Obotriti scossero la prima ed abiurarono il secondo.

Alcuni capi tuttavia si conservarono cristiani; ad es. il principe degli Obotriti Pribygnew-Uto fece educare il proprio figlio Godescalco nel monastero di S. Michele presso Luneburg. Dopo una serie di pericolose vicende questo Godescalco, allievo di Knut il Grande e cognato di Sven Estridson, riuscì ad entrare definitivamente in possesso del retaggio paterno e lo ampliò subito a spese dei Lutizi, mantenendosi fervente cristiano a differenza del suo stesso popolo.
Sembrò che la conversione dovesse questa volta riuscire; il cristianesimo si diffuse liberamente e lo stesso Godescalco predicò il vangelo al suo popolo nella lingua nazionale; ma fu una nuova illusione; nel 1066 la reazione pagana si scatenò violentemente, cominciando fra i Lutizi e propagandosi poi fra gli Obotriti.

Godescalco e tutti i cristiani vennero massacrati e tutti gli Slavi ricaddero nel paganesimo. Uno dei figli di Godescalco, Enrico, tornò dopo molti anni in patria e ridivenne principe degli Obotriti, ma, sebbene anch'egli cristiano, non potè così impegnativamente come suo padre servire la causa del cristianesimo e della sua diffusione, ed in fondo non si resse sul trono che con l'appoggio dei Sassoni, fu insomma un semplice vassallo dei Sassoni.
La sua morte segnò l'inizio della dissoluzione dei suo regno; prima i suoi due figli entrarono in lotta per la successione: seguì una dominazione danese di durata transitoria, dopo di che una reazione nazionale portò a capo dei Vagri Pribyslaw (della famiglia di Godescalco), ed a capo degli Obotriti Niklot; ma i giorni dell'indipendenza erano ormai contati.

Assaliti contemporaneamente da Alberto l'Orso, da Enrico il Leone e dal conte di Holstein, che nel 1147 bandirono persino una crociata contro di loro, gli Obotriti videro alla fine infranta ogni possibilità di resistenza. Soltanto le guerre che minacciarono in Germania Enrico il Leone indussero da ultimo questo principe a più miti consigli; egli, mentre aveva diviso fra i suoi grandi vassalli la Vagria e la Polabia, accondiscese, dietro consiglio di questi stessi grandi, a dare in feudo il territorio degli Obotriti (salvo la contea di Schwerin che ebbe una dinastia propria e soltanto nel 1358 in seguito alla sua estinzione passò al Meclemburgo) al figlio di Niklot, Pribyslaw (1167); quest'ultimo divenne ora suo fedele vassallo. L'imperatore in seguito accolse Pribyslaw col suo popolo, del quale del resto ben poco era rimasto, nel vassallaggio diretto dell'impero, e dal nipote e suo successore, Niklot, discendono i principi del Meclemburgo.

Contemporaneamente cadde sotto la dominazione danese l'isola di Rúgen. Quest'isola, abitata dai Rugi di razza germanica, aveva acquistato dopo la sua occupazione da parte degli Slavi una straordinaria importanza, che era dovuta non tanto alla sua situazione ed alla sua flottiglia agguerrita ad ogni sorta di piraterie, quanto all'essere la sede della divinità principale degli Slavi e dei suoi sacerdoti.
In antitesi a tutto il resto del mondo slavo gli Slavi del Baltico ebbero un centro comune del loro culto pagano prima nel tempio di Swaróshiz a Radigoszcz e dopo la definitiva scomparsa dalla scena dei Redari nel tempio di Sventovit ad Arcona.
L'oracolo di Arcona godette di una grandissima autorità; annualmente gli veniva sacrificato un cristiano e le popolazioni circostanti gli pagavano un tributo e gli prestavano una quota delle prede belliche. Il sacerdote del tempio custode del cavallo del dio, che veniva interrogato per trarre le sorti, aveva maggiore autorità dei re; dinanzi a chi recava la staniza (lo stendardo) del dio tutto si piegava ossequiante.

La banale coincidenza fortuita che il nome di questa divinità, Sventovit, poteva interpretarsi anche come una svalutazione del nome di San (in slavo «svento») Vito, il patrono di Corvey, fece inventare ai monaci di Corvey la favola che il culto di Sventovit fosse sorto dalla venerazione di un certo S. Vito introdotta un tempo dai loro missionari fra quei popoli.
Tutta la penisola su cui sorgeva Arcona era sacra al dio, come dimostra il suo nome di Vitow; il «re» aveva la sua residenza a Karenz. Gli abitanti di Rúgen, forti della loro posizione insulare, divennero un flagello per i vicini danesi che depredavano e taglieggiavano in ogni giorno dell'anno; alla fine Woldemar ed il suo energico arcivescovo Absalon (1168) risolsero di estirpare radicalmente quello che secondo loro era il male.
Essi riuscirono, assediando Arcona, ad incendiarne le torri e le mura di legno, e così la costrinsero alla resa. I vinti furono obbligati ad accogliere il cristianesimo, a riconoscere l'alta sovranità danese ed a consegnare il tesoro del tempio.

E sotto il regno del mite Jaromir I, durato circa mezzo secolo, il cristianesimo si radicò veramente nel paese; ma col decadere della potenza danese la sua alta sovranità divenne ben presto più che altro nominale, ed allorché la dinastia nazionale si estinse con Wyslaw IV (1325) l'isola di Rúgen e il territorio continentale annesso caddero in dominio della Pomerania.

Ancor prima della caduta di Arcona la Pomerania era già cristianizzata e germanizzata.
Mentre ai Polacchi non era riuscito di sottomettere i Lutizi, i loro più prossimi vicini dell'Oder, sembrò invece all'origine che la Pomerania dovesse in tutta la sua estensione trasformarsi almeno in una provincia polacca. Il valoroso duca di Cracovia Boleslavo III parve dovesse raccogliere i frutti delle lotte dei suoi antenati; egli scatenò una guerra tenace, instancabile contro i capi della Pomerania, li costrinse uno alla volta a sottomettersi e finalmente prese con l'aiuto dei danesi la loro più importante città, Stettino; i Pomerani si obbligarono a pagargli un tributo ed a convertirsi al cristianesimo.

Il cristianesimo del resto non era per loro nulla di nuovo; già il primo Boleslavo aveva nell'anno 1000 istituito un vescovado a Kolberg, il cui vescovo Reinbern aveva fatto incendiare i templi pagani e purificato il mare con l'aspersione dell'acqua santa e l'immersione di pietre benedette.
Da tempo alcuni maggiorenti slavi erano dei cristiani occulti; lo stesso principe Vratislavo, nella sua gioventù, mentre era prigioniero a Merseburg, aveva preso il battesimo con sua moglie, anche se poi si sollazzava con 24 concubine.
Ma soltanto le energiche misure di Boleslavo III, il quale ad es. fece uccidere in una sola volta 18.000 Pomerani e trascinò via dal paese 8000 famiglie che battezzò e stanziò ai confini del suo paese, ruppe la resistenza di quei pagani. Agli scopi della conversione egli si rivolse poi nel 1123 ad Ottone di Bamberg, suo amico fin dalla giovinezza; questo gli andò in aiuto e, fornito di aiuti e di mezzi dal duca di Polonia, fece nel 1124 un giro di propaganda a Pyritz, Kammin, Wollin e Stettino, guadagnandosi con il suo accorto procedere il cuore del popolo, cui era autorizzato dal duca a promettere degli sgravi
e alcune agevolazioni.

Nel 1127 Ottone fece un secondo viaggio di propaganda a Demmin ed Usedom, seppe ricondurre la pace tra Vratislavo che aveva nuovamente defezionato e Boleslavo che era impegnato a punirlo, dopo di che ottenne la definitiva conversione di Stettino. Fu istituito un vescovado a Wollin che venne poi trasferito a Kammin; e malgrado l'assassinio di Vratislavo, avvenuto nel 1136, la diffusione del cristianesimo non ne risentì pregiudizio, tanto che nel 1147, quando i crociati volevano bruciare Stettino, il vescovo di Pomerania riuscì a distorglierli da tale idea assicurando loro che la città ed il territorio erano cristiani.

L'imperatore Lotario aveva nel 1135 infeudato Boleslavo III nella Pomerania e Rúgen, ma dopo la sua morte l'alta sovranità sulla Pomerania andò perduta per la Polonia. I figli di Vratislavo, Boguslavo e Casimiro si allearono con l'imperatore Federico contro Enrico il Leone, di cui evidentemente aveva le mire sul territorio. Essi si recarono sotto Lubecca mentre l'imperatore l'assediava e ricevettero dalle sue mani in una solenne cerimonia di principi lo stendardo con l'aquila imperiale, divenendo così col titolo di duces Slaviae principi dell'impero tedesco sotto l'alta sovranità feudale del Brandeburgo.
La loro dinastia si estinse nel 1637 con Boguslavo XIV, dopo che si era da molto tempo svincolata dalla dominazione danese e anche dalla sovranità brandeburghese.

Anche alla Pomerania ed all'isola di Rúgen non fu concesso di conservare la loro nazionalità slava, e tanto meno potevano più sperarlo i Vagri, gli Obotriti ed i Lutizi. Le continue guerre, l'esilio o la distruzione di intere stirpi, l'oppressione straordinaria della signoria danese portarono in breve ad un vero e proprio sterminio di questi Slavi. E fin dall'inizio i nuovi padroni di quei paesi si proposero di sostituirli con immigranti tedeschi, tra i quali si sentivano più sicuri e dai quali chiesa e principi avrebbero potuto ricavare maggiori entrate di quelle che era capace di rendere la « biskupowniza » e la « wojewodniza » degli Slavi, data la scarsa e trascurata coltivazione delle loro terre.

Cominciò Adolfo II di Holstein facendo popolare fin dal 1142 la Wagria deserta mediante coloni ingaggiati da un suo agente in Fiandra, Olanda, Frisia e Vestfalia. Su più vasta scala seguirono poi il suo esempio Alberto l'Orso, Enrico il Leone ed il suo vassallo Wichmann di Magdeburgo. Proprio quest'ultimo si era reso così profondamente odioso agli Slavi, che costoro preferivano piuttosto morire che ricevere dalle sue mani il cristianesimo, mentre invece offrivano spontaneamente ad Ottone di Bamberg di convertirsi. E con i signori ed i vescovi gareggiarono i nuovi monasteri dei Cistercensi, i quali, pur privi di qualsiasi importanza per il progresso intellettuale, fecero tuttavia molto per l'incremento economico di quei paesi.

L'accennato processo di germanizzazione trovò un alleato nella intensa ricerca di terre da coltivare per parte dei contadini tedeschi, la cui condizione economica proprio nel XII secolo era notevolmente peggiorata a causa di inondazioni, eccesso di popolazione, oppressione sempre crescente dei signori.
Fiamminghi, Frisi, Sassoni passarono in forti gruppi oltre l'Elba; la colonizzazione venne organizzata metodicamente da agenti che arruolavano nei propri paesi gruppi di coloni e con loro - dando ad ognuno un incarico - occupavano tratti del territorio slavo, ovvero dissodavano nuovi terreni, creavano villaggi, borghi, paesi, città. Nel corso di poche ge
nerazioni il paese assunse un aspetto completamente diverso; i «Vendi», esclusi dalle nuove città, andarono presto diradandosi anche nelle campagne, e salvo poche agglomerati piuttosto densi (spesso solamente gruppi di pescatori sulle coste, retti da un pristan o pristabbel) gli altri cedettero dappertutto davanti all'invasione dell'elemento germanico, e dove non si germanizzarono si assottigliarono e alla fine sparirono completamente.

Degli Obotriti e dei Lutizi non è rimasto alcun residuo da secoli; solo nell'Hannover, dove non si ebbe alcuna guerra di sterminio, gli Slavi si conservarono con la loro nazionalità sino al XVII secolo. Ma il suolo è stato più fedele degli uomini nel conservare le tracce dell'epoca slava; nel suo seno si celano residui di tombe, templi ed abitazioni di età antichissima; molto semplici sono gli arredi, i vasi e gli ornamenti. Mentre sulla sua superficie ricorda ancora l'età slava con gli innumerevoli nomi dei corsi d'acqua, di contrade e villaggi, i quali testimoniano quanto era penetrato lontano l'aratro di legno degli Slavi e come i pescatori slavi sapessero sfruttare le ricchezze delle acque non solo mediante reti ed ami, ma anche con l'installazione di sbarramenti nei fiumi (a ciò allude ad es. il nome di Berlino - ricordiamo che ancora oggi il tessuto urbano della città è attraversato da tre corsi d'acqua, con 185 chilometri di vie d'acqua che si collegano ai mari del nord, vera fonte di prosperità in questi anni di medioevo).

In gran parte molti nomi locali di villaggi, paesi e città derivano da antichi nomi di persone (degli originari gruppi possessori); in misura minore da nomi particolari della fauna e della flora locale, dalla situazione e dalle caratteristiche delle contrade; spesso poi sono di difficile interpretazione perché questi nomi ci sono arrivati troppo sfigurati dopo che passarono nella lingua tedesca. Alcuni, come ad es. Wittstock, Millrose, Kuhschwanz, Rosswurst, ecc. hanno persino tutta l'apparenza di nomi tedeschi, mentre non sono che la corruzione dei nomi slavi Wysoka, Miloras, Chotibond, Ratibor, ecc.

Anche dove non avvenne una deliberata estirpazione della razza slava si verificò, per quanto meno rapidamente, un analogo processo di germanizzazione. Così andarono le cose nell'antica «Serbia», sulla Saale, per quanto concerne i Milciani e gli Slavi del Lausitz.
Già nel 1076 Enrico IV aveva tolto il territorio dei Milciani all'insubordinato margravio e lo aveva concesso al suo fedele amico, il re di Boemia Vratislavo; per analoghe ragioni Federico I nel 1158 lo tolse al re boemo Vladislavo, e da questo momento (salvo una breve interruzione) il paese restò alla dipendenza diretta della corona.
Ciò non solo non impedì, ma fu un incentivo all'immigrazione dei Tedeschi, i quali trasformarono le borgate slave in quelle città che nel XIV secolo strinsero la lega dei sei comuni (Bautzen, Garlitz, Lauban, ecc.), dissodarono l'altipiano montagnoso e denso di foreste, vi esercitarono l'industria mineraria ed impressero il proprio stampo al paese persino dove rimase all'apparenza slavo.

Lo stesso avvenne nel Lausitz, il quale da ultimo (nel 1376 in seguito alla sua vendita) restò acquisito alla Boemia; solo nel XV secolo spuntarono i nomi storicamente inesatti di « Alto Lausitz » per il territorio di Gorlitz e Bautzen, e di « Basso Lausitz » per l'antico Lausitz.

L'antico elemento slavo si assottigliò enormemente; si perpetuarono bensì nelle campagne alcuni antichi termini tecnici, come quelli di smurdi per i servi della gleba, di mitasi per gli obbligati a servire a cavallo, di suvani per gli anziani dei villaggi, di zip per il censo in natura sui cereali; ma la lingua slava e le caratteristiche nazionali della razza andarono irresistibilmente scomparendo, sinché alla fine ne furono estirpati gli ultimi residui. Infatti la lingua «vendica» venne vietata dinanzi ai tribunali nel 1293 nell'Anhalt, nel 1327 ad Altenburg, Lipsia, Zwickau, nel 1424 a Meiszen.
La chiesa in generale si adoperò ad affrettare la germanizzazione; isolato é l'esempio della sede vescovile a Meiszen nel 1490, un polacco di nascita, il quale decretò che i parroci che non sapevano lo slavo dovessero tenere dei cappellani vendici, sotto pena di perdere il beneficio. Tutti gli altri semmai fecero in contrario.

Soltanto nel XVI secolo si ebbe un maggior riguardo per le esigenze spirituali di questi slavi, si provvide che avessero una letteratura religiosa educativa nella loro lingua e sacerdoti capaci di parlarla; così poté conservarsi sino ai nostri giorni un piccolo residuo di questi Serbi (Sorbi) fra Bautzen e Kottbus in due gruppi di lingua diversa e religione differente (Sorbi cattolici in Prussia, Sorbi protestanti in Sassonia).

Ciò che é più singolare è che persino dove rimasero «vendici» i principi e la nobiltà (il clero e le città non lo furono mai), come nell'isola di Rugen e in Pomerania, si verificò lo stesso processo di germanizzazione e si verificò quasi alla stessa epoca.
La cultura cristiana e tedesca si impose in breve tempo dovunque; e qui penetrò prima nelle corti dei principi, dove i Tedeschi - anche se pochi inizialmente - aumentarono rapidamente di numero e vi dominarono in assoluto, come dominarono poi esclusivamente nelle città.
Già un diploma di Wyslaw I di Rugen del 1221 (mezzo secolo soltanto dopo la caduta di Arcona) ne é prova perché chiama una sventura, dalla quale Dio vorrà proteggere il paese, che esso ritorni alle condizioni in cui si trovava prima, vale a dire che, cacciati i Tedeschi, esso torni ad essere coltivato dagli Slavi.

Lo stesso dicasi per la Pomerania chiesa, corte e città diedero ben presto tutto un altro aspetto al paese. Nell'isola di Rugen morì fin dal 1404 l'ultima donna che parlasse ancora slavo, la vecchia Gutizin, ed in Pomerania solo nella parte che un tempo appartenne alla Polonia (Lauenburg, Butow) si sono conservati alcuni « Kaschuben », cioè Slavi, molto affini ai Polacchi.
Così le perdite subite dal germanesimo in Gallia, Spagna ed Italia furono almeno in parte compensate da questa sua espansione nei paesi slavi; ma mentre là i conquistatori germanici con l'andar del tempo si romanizzarono completamente, qui la civiltà dei conquistatori produsse l'effetto contrario.
Per farsi una idea dell'importanza che ebbe per l'elemento germanico questo processo di germanizzazione dei paesi slavi, basta pensare che Dresda e Lipsia, Berlino e Potsdam, Lubecca (l'antica capitale degli Obotriti) e Stettino erano un tempo località abitate tutte da Slavi.

Dopo questi territori nord occidentali
accenniamo ora agli Slavi occidentali meridionali

I MORAVI E I BOEMI > >

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