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IL NUOVO PREDOMINIO - LA NASCITA DEI RANCORI


225. 34) - IL PERIODO 1870-1880 IN EUROPA
* L'INGHILTERRA E LE SUE COLONIE

La caduta del partito liberale, da lungo tempo dominante, nel febbraio del 1874 é uno dei più importanti avvenimenti della storia contemporanea dell'Inghilterra.
Lo spirito della politica mondiale inglese a partire da quella data fu fondamentalmente modificato, e il pensiero imperialistico fu portato alla sua prima vittoria pratica.

Accrescere l'Impero britannico, per quanto era possibile, e concludere le sue parti in un complesso, saldamente collegato, e diretto da un centro, che economicamente e politicamente potesse bastare a sé stesso, questa era l'idea nucleare dell'imperialismo.
Fino allora l'Impero britannico non era stato per nulla un complesso simile, né politicamente, nè economicamente. La connessione fra la madre patria e i territori esterni era oltre modo debole; e i Governi liberali dal 1830 al 1870 non avevano fatto nulla per impedirne l'ulteriore rilassamento.

Questo Impero mondiale, così com'era stato costituito dalle armi britanniche nella lotta contro la Francia, comprendeva, all'inizio del periodo tra il settanta e l'ottanta, circa 23.000.000 di chilometri quadrati con 285 milioni di abitanti, mentre la madre patria era grande solo 231.000 chilometri quadrati e contava circa 28 milioni di abitanti.
(ma alla fine della Prima Guerra Mondiale, con lo smembramento germanico e con altre conquiste, l'Inghilterra raggiunse i 35.498.222 kmq, con una popolazione di 460.315.416 abitanti.
La tabella sotto è del Prof. Mosè Simonetto, inserita nella sua opera "I problemi mondiali". 1926

Ma torniamo al 1870. Era già allora il più grande territorio che la terra avesse mai visto riunito sotto un unico scettro; l'Impero romano, nel tempo della sua maggiore potenza, abbracciava solo circa 5 1/2 milioni di chilometri quadrati, quindi nemmeno la quarta parte del territorio coloniale britannico.
Se consideriamo le parti componenti l'Impero, subito salta agli occhi che, guardato sotto il suo puro aspetto numerico, era un unico paese, il cui possesso gli garantiva questa superiorità: le Indie orientali.
Era questo paese grande circa 4 milioni di chilometri quadrati e aveva 241 milioni di abitanti;
In altre parole, abbracciava circa un sesto della superficie ma contava l'84 % di tutti gli abitanti dell'Impero.
Senza questo territorio l'Impero britannico sarebbe stato sempre molto vasto per estensione (19 milioni di chilometri quadrati), ma avrebbe avuto in complesso solamente 44 milioni di anime; non molto più dell'Impero tedesco al momento della sua costituzione. L'Impero indiano non era e per la sua grandezza e per la sua configurazione, chiusa, una colonia dell'Inghilterra, quale il Canadà o l'Australia, ma uno Stato speciale legato in una maniera particolare con l'Inghilterra.

Era un Impero asiatico con amministrazione europea; il rappresentante del Governo inglese, il Vicerè, residente a Calcutta, vi dominava con le funzioni di un despota orientale di fronte agli indigeni; per l'esercizio di questo potere egli era tuttavia legato agli ordini della sua patria, dove uno speciale segretario di Stato per l'India aveva in mano la direzione responsabile.
Il Vícerè nell'India non aveva al suo fianco nessuna assemblea parlamentare, ma soltanto un Consiglio di Stato con funzioni puramente consultive, formato di impiegati inglesi, e alle cui riunioni, se egli voleva, poteva invitare ad assistere qualche notabile indigeno.
L'immenso territorio era amministrato direttamente parte dal Vicerè e dai suoi dipendenti inglesi, parte era nelle mani dei principi vassalli indigeni, ma affiancati tuttavia da un residente britannico quale detentore dell'effettivo potere governativo; quest'ultimo riceveva le istruzioni per mezzo del vicerè.

La popolazione, mista di Indù, Dravida, Mongoli e tribù arabe, professava in parte l'islamismo, ma per la maggior parte l'antica religione indiana.
Soltanto i forti contrasti confessionali e la varietà di origine e di lingua, come pure la scissione politica del paese, connessa con questi fattori, avevano permesso a un numero relativamente così basso di Europei di assoggettare questo territorio intensamente popolato e di dominarlo.
Gli Europei vi potevano vivere soltanto temporaneamente, una gran parte di essi dopo alcuni anni tornavano in patria. Verso il 1870 vivevano in tutta l'India orientale circa 200.000 impiegati inglesi, soldati e mercanti, tutti impegnati a guadagnare molto denaro nel più breve tempo possibile, per spenderlo poi in patria, finito il periodo del servizio e sbrigate le proprie faccende, ovviamente se riuscivano a salvar la pelle dalle malattie endemiche locali, dal clima equatoriale e da altri accidenti; ed erano questi (così pure le rivolte) tutti imprevisti piuttosto frequenti.

Per assicurare l'obbedienza degli indigeni e difendere le frontiere, stanziava nel paese un esercito inglese di 61.000 uomini; inoltre il Governo inglese disponeva di un esercito indigeno, formato un po' alla volta, di 120.000 uomini, che era educato all'europea e comandato da ufficiali europei, i sepoys.

Indubbiamente non c'è alcun dubbio che l'India ha ricavato grandi vantaggi dalla dominazione britannica. Il mantenimento della pace fra le confessioni ostili e le razze, che prima si erano sempre combattute fino a sangue, è tuttavia un grande servizio reso alla civiltà. Quindi i Britanni con la costruzione di strade, di ferrovie e di canali hanno aperto al traffico la regione e portato le fonti economiche al loro gettito: incessantemente hanno lavorato all'irrigazione del paese per combattere il più spaventoso nemico della popolazione, la carestia, derivante dalla deficienza delle piogge, periodicamente ricorrente; e hanno cominciato ad educare gl'indolenti e ignoranti indigeni all'ordine, alla laboriosità e alla parsimonia.

Ma come si sa, i rigidi precettori, non sono mai amati, specialmente poi se essi sono anche arroganti e indelicati. E gli inglesi lo erano. Evitavano rigorosamente tutto ciò che nell'indigeno poteva far sorgere l'opinione che egli fosse un essere con eguali diritti davanti ai dominatori europei; solo nell'amministrazione locale hanno un po' alla volta concesso agli Indiani una certa partecipazione. Ma socialmente e politicamente fu nella più rigida maniera mantenuto il contrasto delle razze, e tutto il contegno degli Inglesi diceva all'Indiano in ogni istante che quello era il padrone ed esso il suddito-servo, privo d'ogni diritto.

Il rancore così suscitato non fu compensato dai benefici, di cui in parte non si sapeva esattamente valutare l'importanza, e le frequenti rivolte nell'Indie orientali mostravano su quale terreno traballante poggiava l'edificio della dominazione inglese. E non è lecito anche trascurare che questa dominazione ha imposto al paese gravi sacrifici materiali.
L'India orientale pagava ogni anno un grosso tributo all'Inghilterra sotto forma di esorbitanti stipendi agli impiegati inglesi e corrispondenti altissime pensioni che riceveva a vita chiunque avesse servito in India gli anni prescritti.

La massima parte di questo denaro andava in Inghilterra, dove i pensionati appena potevano rientravano e lì consumano per il resto degli anni della loro vita le loro "indiane" rendite. Anche economicamente l'India orientale stava con l'Inghilterra in un rapporto di tributaria; essa forniva all'economia inglese importantissime materie prime come cotone, caffè e tè; ma nello scambio doveva comprare soprattutto gran quantità di articoli industriali ovviamente solo inglesi; con la sua fitta popolazione l'India orientale era e rimase il più notevole mercato di tutta la terra per l'industria britannica.
E gl'Inglesi usarono la loro potenza politica per impedire ogni sviluppo di un industria indigena, in modo da conservare solo per sè questo lucroso ed enorme mercato con 241 milioni di abitanti, 9 volte la popolazione inglese.

Il valore dell'impero anglo-indiano per la madrepatria non si può quindi misurare dai risultati finanziari dell'amministrazione coloniale stessa; anche se questa esibiva un meschino profitto o addirittura un deficit, il possesso delle Indie significava in grazia di quei pagamenti e del notevole assorbimento di merci britanniche un grande guadagno materiale per l'economia nazionale inglese. A ciò si aggiunge il valore ideale della dominanza britannica nell'Asia meridionale, che garantiva un grande influsso su tutto il continente; e infine l'importanza del paese quale insostituibile scuola per l'amministrazione coloniale e per l'esercito inglese.

LE ALTRE COLONIE
Il vero e proprio Impero coloniale britannico aveva un carattere diverso da quello dell'India. In esso i territori tropicali rappresentavano economicamente e politicamente allora una parte assai misera; oltre le isole delle Indie occidentali con le loro piantagioni di zucchero, cotone, caffè, tè, e tabacco, l'Inghilterra possedeva nei tropici solo la Guiana, quasi senza alcun valore, nell'America meridionale, e un paio di strisce costiere in Africa.
Il nucleo di questo più ristretto impero coloniale era formato piuttosto dalle grandi colonie d'immigrazione e autonome nell'America nordica (Canadà), nell'Australia e nell'Africa meridionale.
Esse avevano 7 1/2 milioni di abitanti, che erano prevalentemente di origine e di cultura del tutto europea.

Accanto all'elemento anglosassone preesisteva nel Canadà un forte gruppo francese, nell'Africa meridionale un forte gruppo olandese, ma la stirpe anglosassone aveva politicamente la direzione e imprimeva anche sotto l'aspetto culturale, soprattutto nella lingua e nelle consuetudini della vita, la propria impronta a tutti questi territori.

CANADA'
I coloni inglesi avevano con i loro costumi portato di là dall'Oceano, anche le loro opinioni politiche e le forme della loro vita; ai diritti personali, alla libertà dell'Inglese e al diritto del Governo autonomo non volevano rinunciare anche nella nuova patria. La madrepatria teneva conto di questi desideri delle colonie e forniva le nuove comunità, - appena avevano conseguito una certa grandezza e importanza - di costituzioni, che in tutte le cose essenziali concordavano fra loro e con le istituzioni vigenti in patria.

In breve la sua storia è la seguente:
I primi abitanti del Canadà erano solo amerindi riuniti in tribù. Nel XVI secolo il territorio diventa meta degli esploratori europei, tra cui Giovanni Caboto (al servizio della corona britannica), Giovanni da Verrazzano e Jacques Cartier (al servizio del re di Francia). Nel 1608 dopo essere sbarcato sulla costa, Samuel de Champlain fonda il villaggio di Québec con 120 abitanti. (naturalmente tutti gli altri che vi erano residenti non vengono conteggiati, sono solo "indesiderati" da "cacciare" al più presto. Nel 1663 nasce la vera e propria colonia francese del Canadà per merito di Colbert il famoso ministro di Luigi XIV; ispiratore di teorie mercantilistiche e fondatore di Compagnie commerciali, fu lui a incoraggiare il popolamento del Canadà cui si diede il nome di " Nuova Francia".

Nel 1672 iniziano gli scontri tra i coloni francesi e quelli inglesi, insediatisi sulla costa atlantica. Nel 1713 la pace di Utrecht assegna agli inglesi la Baia di Hudson, la Nuova Scozia e Terranova. Nel 1756-1763 (guerra dei Sette anni): gli inglesi s'impadroniscono di Québec e di Montreal. Nel 1763: con il trattato di Parigi la Francia cede tutto il Canadà alla Gran Bretagna. Nel 1783 alla firma del trattato di Versailles, che riconosce l'indipendenza agli Stati Uniti, fa seguito l'arrivo in massa dei lealisti americani nelle province del Québec e della Nuova Scozia, che dà luogo alla creazione della provincia del Nuovo Brunswick (1784) e nella divisione del Québec in due colonie distinte: Alto Canadà. (attuale Ontario), anglofono, e Basso Canadà (attuale Québec), francofono.
Nel 1812-1814: in occasione della guerra tra Stati Uniti e Gran Bretagna (e con la Francia Napoleonica in ginocchio con la restaurazione) Alto e Basso Canadà danno il loro appoggio alla corona inglese.
Gli anni seguenti (guardando agli Stati Uniti) vedono svilupparsi un movimento di opposizione (guidato da William Lyon Mckenzie nell'Alto Canadà e Louis Joseph Papineau nel Basso Canadà), che reclama un vero regime parlamentare.
Nel 1837 il rifiuto di Londra provoca la ribellione di entrambe le colonie. Nel 1840 una volta domata la rivolta, il governo britannico riunisce i due territori sotto uno stesso parlamento.
Nasce "La Confederazione canadese". Nel 1867: il British North American Act segna la nascita del dominion del Canadà, composto da Ontario, Québec, Nuova Scozia e Nuovo Brunswick.
Nel 1870: in seguito a una rivolta dei meticci capeggiata da Louis Riel, si costiturà la provincia di Manitoba, cui si aggiungeranno la Colombia Britannica (1871) e l'Isola Principe Edoardo (1873). Nel 1882-1885: la costruzione della Canadian Pacific Railway, che collega Vancouver a Montreal, contribuirà a dare nuovo slancio alla colonizzazione.

Torniamo ai nostri anni.
Come abbiamo visto sopra, il più antico e importante gruppo di queste colonie nordamericane, eccettuata Terranuova (sull'Atlantico), si erano unite nel 1867, con il consenso della madrepatria, in una confederazione, il Dominion of Canada, che ebbe di nuovo una costituzione parlamentare.
Alla testa stava un governatore, nominato dal Governo inglese con i poteri di un sovrano costituzionale, e accanto a lui un ministero responsabile verso il parlamento, che di regola rappresentava la maggioranza parlamentare.
Il parlamento era diviso in due Camere; i componenti della Camera alta erano nominati per lo più dal governatore; quelli della Canera bassa erano eletti secondo un sistema elettorale fondato sul censo. Quest'ultimo era, come in patria, il fattore decisivo. Finanze, affari economici, amministrazione interna e legislazione erano del tutto affidate a queste autorità coloniali; solo in casi determinati era possibile appellare dalle decisioni dei supremi tribunali coloniali a Londra.

Nella politica estera, le colonie erano completamente rappresentate dalla madrepatria. Tuttavia esse possedevano una notevolissima autonomia e si sentivano come Stati particolari; regolavano in parte i loro rapporti verso la madrepatria mediante stabili rappresentanti, che mantenevano in Londra.

La popolazione di tutti questi territori era piuttosto scarsa (3.800.000 abitanti ovviamente compresi i locali); il settentrione artico era per la maggior parte inabitabile; ma la porzione centrale e meridionale possedevano un clima adattissimo per gli Europei, ricco terreno boschivo, e buone terre per le coltivazioni del grano; la vera e propria colonizzazione dell'Occidente non era ancora, si può dire, stata neppur considerata.

Nei principali paesi del Canadà superiore e inferiore c'era, da gran tempo, per i motivi elencati più sopra, una forte percentuale di popolazione d'origine francese; il francese era riconosciuto come seconda lingua nella vita pubblica. L'Inghilterra manteneva a sue spese su questo territorio un esercito di 2000 uomini, mentre le colonie non possedevano esercito permanente, ma solo una milizia.
Il paese alimentava la madrepatria soprattutto con i prodotti agrari e mandava ogni anno notevole quantità di bestiame e di cereali, in cambio riceveva articoli industriali del tutto assenti sul territorio. Una industria locale degna di essere ricordata non c'era ancora. Per questo motivo, un forte partito si sentiva portato ad accostarsi strettamente, sotto l'aspetto economico, agli Stati Uniti; un modello che se realizzato facilmente avrebbe potuto portare il Canadà anche a una unione politica con i "cugini". Ma il "dominion" rimase dominio inglese.


L'AUSTRALIA
Fondata all'inizio soltanto come una colonia per i criminali, i disonesti e gli indesiderati, a metà Ottocento comprendeva la popolazione più autenticamente inglese. Anche qui c'erano vaste regioni inabitabili, aride solitudini. La parte principale dei coloni abitava nel margine di sud-est del continente; l'intero territorio, che per superficie eguaglia quasi l'Europa, era allora abitato solo da 2.400.000 anime comprese le isole di Tasmania e di Nuova Zelanda. Qui esistevano una folla di Stati indipendenti gli uni dagli altri, e solo quelli più intensamente popolati e più sviluppati nella cultura possedevano appunto il pieno diritto d'autonomia.
L'intera evoluzione del paese fu soprattutto determinata dalla scoperta dell'oro nella metà del XIX secolo. Dove furono trovati questi tesori del suolo e nei porti, favorevolmente situati, si concentrò la popolazione, mentre il restante territorio rimase scarsamente popolato. L'esistenza di ricche zone pastorizie all'interno spinse e avviò i proprietari di fattorie essenzialmente all'allevamento del bestiame, soprattutto dando vita a sterminati greggi di pecore, cosicché un altro tipo di agricoltura non riuscì a svilupparsi mai bene.

Anche l'Australia esportò in sostanza nella madrepatria materie prime (bestiame, lana, carne, minerali) e né importò articoli industriali. Tanto il Canadà quanto l'Australia gravarono le importazioni di qualsiasi cosa con alti dazi e fondarono tutta la loro economia finanziaria su tali proventi.

 

L'AFRICA
Quella meridionale ci offre un'immagine sostanzialmente diversa. Al Capo di Buona Speranza erano stati padroni fino al 1814 gli Olandesi, e vi si era stanziata una considerevole folla di contadini (in olandese "Boeri") dei Paesi Bassi; la popolazione indigena dei Cafri ed Ottentotti, non fu cacciata del tutto via, ma con le buone e le cattive maniere, fu sfruttata nelle masserie come manodopera rurale, ed era priva di diritti politici o civili in una condizione poco differente dalla schiavitù.
Solo dopo l'occupazione inglese (a partire dal 1814 in base al trattato di Parigi) arrivarono in massa nel paese anche immigranti britannici, in prevalenza mercanti e mestieranti; essi occuparono specialmente il margine meridionale della colonia olandese fondando piccole e grandi città, e ricacciarono un po' alla volta sempre più nell'interno l'elemento olandese dei Boeri.

Il Governo introdusse l'inglese come lingua ufficiale, abrogò la schiavitù, e cercò di proteggere in maniera non sempre per disinteressato spirito evangelico, la popolazione indigena dal duro trattamento, a cui soggiaceva per opera dei Boeri. Questi non videro in questa nobiltà d’animo che un tentativo di render loro impossibile l'esistenza nel paese; e forti schiere di essi si ritirarono verso settentrione di là dalle frontiere delle colonie e vi fondarono, in mezzo a dure lotte con i locali Cafri, nuovi Stati, prima il Natal, poi l'Orange e il Transvaal.
Il Governo del Capo però pretese l'alta sovranità su tutto il territorio da loro colonizzato, poiché essi anche dopo l'emigrazione nei nuovi paesi sarebbero comunque rimasti sudditi inglesi. Quando queste pretese furono sollevate principalmente nel Natal, molti Boeri lo abbandonarono e si rifugiarono nel paese già ricordato, nell'Orange e Transvaal. (questo massiccio "esodo" prese il nome di "trek", e il periodo è quello che va dal 1834 al 1839).

Ma anche là li perseguitò la pretesa inglese della sovranità, poiché i coloni inglesi del Capo non volevano tollerare nessun territorio indipendente ai loro confini, anche a costo di far una guerra ai Boeri.
Ma l'ingerenza del Governo britannico, che voleva evitare costose e lunghe imprese belliche, portò nel 1852 e 1854 al formale riconoscimento della indipendenza del Transvaal e dell'Orange; con l'unica condizione, che dovesse abolirsi la schiavitù.
(anche se poi emanarono nel 1913 le prime leggi di segregazione razziale ("apartheid") che colpirono i meticci (boeri) e i neri, che pur formando una forte maggioranza, furono praticamente esclusi dalla vita economica del paese).

I Boeri, rimasti nella colonia del Capo, del Natal e del Transvaal, si mescolarono poco con gli immigrati inglesi e furono sempre un elemento ostile alla dominazione britannica; ma non fecero nessun serio tentativo di sottrarsi a questa dominazione. Salvo nel 1902 quando esasperati diedero inizio alla cosiddetta "guerra anglo-boera", che però persero e gli inglesi fecero del Transvaal una delle quattro provincie dell' Unione Sudafricana creata poi nell'anno 1910).

Queste colonie, insieme con i tratti di frontiere sottratti a mano a mano ai locali Cafri, contavano nel 1870 circa 1.250.000 di abitanti, dei quali circa 3-400.000 erano bianchi; quanto forte fra essi fosse l'elemento olandese, non si può stabilire. Verosimilmente superava quello inglese, ma i Boeri erano meno scaltri, più contadini che affaristi.
Nel 1872 la colonia inglese del Capo, diventata ormai numerosa, ottenne una propria costituzione con autonomia. Il paese quanto a prodotti non aveva più di quello che gli occorreva; quindi esportava in Inghilterra essenzialmente solo penne di struzzo e dai primi fortuiti e sporadici ritrovamenti (1867) anche i primi diamanti e qualche pepita d'oro. La scoperta di maggiori e collegati campi di diamanti e di oro, che conferì all'intera evoluzione dell'Africa meridionale un nuovo sviluppo, avvenne solo più tardi (1884).

Verso il 1870, considerate dal punto di vista della madrepatria, le colonie sud-africane potevano passare come le più insignificanti. Il Canadà e l'Australia avevano per l'Inghilterra un'importanza economica non trascurabile, come acquirenti di merci inglesi e approvvigionatori di viveri e di alcune materie prime. Ma assai maggiore era il loro valore ideale per la nazione inglese. L'esistenza di simili territori abitabili dai bianchi, territori soggetti alla sovranità inglese, offriva a quegli Inglesi, che per qualsiasi ragione volevano abbandonare la patria, la possibilità di crearsi di là dal mare, una propria sudata fattoria, una nuova esistenza e di rimanere nei costumi e nella lingua Inglesi, oltre che sentirsi come membri dello stesso grande Stato.

Le colonie insomma divennero la grande riserva per la popolazione metropolitana e contadina sovrabbondante ed emigratrice, che nella maggior parte stabilmente insediatasi oltreoceano, andrà perduta in Europa per sempre.

LE PICCOLE COLONIE
Qui dobbiamo anche ricordare quella parte piccola, per superficie ma oltremodo grande per importanza, per l'Impero britannico: si tratta del gran numero di punti d'appoggio della flotta e delle stazioni carboniere, che furono dagli inglesi sparpagliate su tutta la terra (vedi la cartina in apertura pagina)

La lungimirante politica della lunga mano ha assicurato agli Inglesi il dominio su una gran quantità di vie marittime importantissime mediante questi punti di appoggio fortificati; Gibilterra domina l'ingresso dell'Oceano atlantico nel Mediterraneo, Malta la posizione più angusta del Mediterraneo fra la Sicilia e l'Africa, Aden l'entrata dall'Oceano indiano nel Mar Rosso, Singapore la via di Malacca. Altri punti molto simili servono prevalentemente come porte d'irruzione per il commercio Britannico, come Hong Kong davanti alla Cina.
Il possesso di queste stazioni fortificate garantisce in tutte le parti della terra alla flotta Britannica un rifugio e le dà la possibilità di completare le sue provviste di carbone e di munizioni.
Il dominio marittimo inglese non sarebbe mai giunto alla grande potenza, senza questa rete di piccoli, ma solidi baluardi inglesi su quasi tutte le coste.

Il centro di questo poderoso e moltiforme Impero è costituito dal « Regno unito di Gran Brettagna ed Irlanda », che abbraccia soltanto la centesima parte della superficie e ospita circa il 10 % dell'intera popolazione dell'Impero stesso. Come dice già il suo nome, anche questo territorio non forma una unità.
Il paese dominante è la vera e propria Inghilterra che, insieme con il Galles, coi suoi 151.000 chilometri quadrati comprende la metà della superficie del Regno unito, e nel 1871 non raggiungeva interamente i 23 milioni di abitanti.
Dall'inizio del XVIII secolo in poi fu fuso con esso la Scozia in un solo Stato sotto il nome di «Granbretagna», mentre l'Irlanda nel 1880 si convertì da un paese secondario autonomo in una parte di questo Stato.
La Scozia si é con relativa facilità abituata ad una stretta unione e ha dato al Regno intero tutta una serie di cospicue energie in tutti i campi.
L'Irlanda invece assume una posizione isolata e si impegna con tutte le sue forze di uscire dalla unione.

L'Irlanda, per la maggior parte abitata da una popolazione celtica e rigidamente cattolica, è stata assoggettata dalla potente isola sua vicina con la forza delle armi e ogni volta che ha cercato di scuotere il giogo, e stata ricondotta con la forza delle armi alla calma. La maggior parte della proprietà fondiaria fu incamerata dai possidenti inglesi; e gl'Irlandesi furono ridotti - nelle proprie terre - ad essere solo gleba, servi o degli affittuari. A Londra andava quasi tutto il grano irlandese, e gli irlandesi erano costretti per famarsi a mangiar solo patate.
La Chiesa anglicana fu in questo paese cattolico riconosciuta come Chiesa dello Stato e dovette essere (paradossalmente) mantenuta dalle contribuzioni degl'Irlandesi cattolici.

Fino alla emancipazione dei cattolici del 1829 nessun Irlandese non poteva rivestire nella sua patria un pubblico ufficio; perfino i membri del parlamento irlandese, finché ce ne fu uno, dovevano essere protestanti, cioè inglesi immigrati.
Solo col 1829 gl'Irlandesi poterono mandare uomini delle loro file nel parlamento inglese, e subito si incominciò a formare nella Camera Bassa a Londra un particolare gruppo di deputati irlandesi, i quali non si avvicinarono mai ai partiti britannici.
All'inizio sotto la direzione di O' Connel, poi sotto quella del Butt tentarono di rappresentarvi gli interessi particolari della popolazione irlandese e aspirarono come ultima meta alla completa separazione dell'Irlanda dal «Regno unito» o, se questo era irraggiungibile, almeno una amministrazione separata e un parlamento speciale per le questioni puramente irlandesi; come del resto le autonome colonie transoceaniche possedevano l'una e l'altra cosa.
Questa richiesta fu compresa nella parola d'ordine «Homerule», cioè Governo nazionale. Ma oltre a ciò domandavano che la popolazione cattolica fosse liberata dalle imposte per la Chiesa anglicana e che fosse riammessa al pieno possesso delle terre e del suolo irlandese.

Per l'uomo comune in Irlanda indubbiamente la lotta contro il proprietario fondiario inglese era la cosa più importante; ma i suoi capi e i suoi preti gli dicevano che in questa lotta non poteva che vincere, se fosse stata rimossa l'influenza del Parlamento sugli affari dell'isola verde.
La triste condizione economica della popolazione irlandese divenne ancora peggiore per il manifestarsi di una tremendo agente patogeno nella patata che distrusse non solo i raccolti ma produsse una alta mortalità negli abitanti, essendo per loro l'unico misero cibo, e più tardi, dalla crescente concorrenza del grano transoceanico
Divenne sempre maggiore il numero degli affittuari ogni anno cacciati via di casa e degli emigranti, che si dirigevano soprattutto negli Stati Uniti; il numero degli abitanti dell'Irlanda scemò nel giro di pochi decenni da 8 a 4 milioni; grandi tratti del paese divennero deserti, e la miseria dei rimasti in patria si fece sempre più terribile.

La rabbia impotente della popolazione si sfogava in selvaggi assassini; società segrete, appoggiate col denaro dagli Irlandesi emigranti in America, conducevano una continua guerra sotterranea contro il popolo dominante; la più pericolosa era la lega dei feniani. Diveniva sempre più chiaro che solo una radicale riforma poteva migliorare le condizioni irlandesi e garantire l'Inghilterra di fronte a questo pericoloso nemico nel proprio accampamento.

Il ministero Gladstone fece il tentativo di una simile riforma negli anni dal 1869 al 1871.
La Chiesa anglicana fu spogliata del suo carattere di Chiesa statale per l'Irlanda; il suo possesso fondiario fu diviso fra le varie società religiose o destinato a scopi benefici; mediante le leggi agricole del 1870 fu concesso agli affittuari il diritto di contestare dinanzi al tribunale la validità di fitti gravosi e di domandare, durante il periodo contrattuale, risarcimenti per le migliorie, che avessero accresciuto la capacità redditizia della terra.

Già queste leggi furono faticosamente strappate al parlamento inglese; ma non soddisfecero a lungo gli Irlandesi. Al povero affittuario mancava il denaro per intentare un processo contro il proprietario fondiario, e si fece sempre più forte nel paese la persuasione che dal parlamento inglese non c'era da aspettarsi nulla di energico; si era sempre di nuovo richiamati all'homerule come all'unica via di salvezza.
L'Irlanda era quindi, in verità, una provincia assoggettata, faticosamente tenuta a freno, e solo formalmente era una parte del Regno unito. Solo le forze della vera Gran Bretagna potevano consolidare il Regno e dominarlo.

La decisiva e normativa istanza nella vita politica dell'Inghilterra era da lungo la Camera bassa. La Camera dei Signori possedeva sì una forza inceppatrice, ma non dirigente, e la monarchia era sempre più decaduta in una condizione puramente rappresentativa, anche se un monarca personalmente abile poteva spuntarla in qualcosa per via indiretta.
Il ministero doveva tradizionalmente essere preso dalla maggioranza della Camera bassa; esso formava il comitato direttivo della maggioranza momentanea della Camera bassa ed aveva nelle mani il vero e proprio potere. Tanto più importante doveva essere per la storia del Regno la composizione della Camera bassa. Mediante la riforma del 1832, accanto alle antiche famiglie aristocratiche, erano giunte a una maggiore efficacia elettorale la media borghesia e i grandi industriali, saliti in alto durante le ultime generazioni; ma la maggior parte della popolazione rimaneva tuttavia esclusa dal diritto elettorale.

Innanzi tutto l'importanza crescente e l'organizzazione delle classi lavoratrici e il desiderio dei partiti esistenti di guadagnarsi questi ceti che salivano, portò nel 1867 alla seconda riforma elettorale, che si basava sul diritto elettorale economico e ammise la maggior parte del proletariato istruito, al diritto del voto.
Il numero degli elettori salì da poco più di 1 milione a circa 2,5. Per prima la riforma del 1867 tolse alla Camera bassa inglese il suo carattere aristocratico e l'avvicinò nella sua composizione ai parlamenti continentali.

Dentro il parlamento inglese esistevano da lunghissimo tempo ambedue i grandi partiti dei Tories e dei Whigs, che dal 1832 a mano a mano assunsero le denominazioni continentali di «conservatori» e di «liberali».
Dal 1830 al 1841 e dal 1846 al 1874 i liberali con piccole interruzioni furono al potere. Il loro programma mirava nella politica interna a rimuovere i resti del vecchio regime aristocratico anche nell'amministrazione e a spezzare l'efficacia, tuttora grande, dalla Chiesa episcopale; essi attuarono subito dopo la prima riforma elettorale un riordinamento dell'amministrazione comunale nel senso dell'uguaglianza di tutti i contribuenti.
L'ala sinistra del partito, le cui opinioni s'avvicinavano a quelle dei radicali continentali o democratici, desiderava di spogliare del tutto la Camera alta della sua posizione storica, di estendere il diritto del voto a tutti gli uomini adulti e di attuare una completa separazione dello Stato e della Chiesa.

L'ala destra più numerosa ci teneva alla decisiva influenza delle classi possidenti e istruite ed inclinava a patteggiamenti con gli umori tradizionali. Nella politica economica i liberali professavano la dottrina pura manchesteriana, come l'aveva formulata Riccardo Cobden; essi rigettavano ogni ingerenza dello Stato nella vita economica e sociale.
In una razionale divisione del lavoro attuata, senza riguardo a frontiere politiche, su tutta la terra essi scorgevano la meta naturale dell'evoluzione economica.
All'Inghilterra doveva poi toccare in sorte il rifornimento del mondo con una serie dei più importanti articoli industriali, la produzione dei quali, in grazia del favorevole possesso delle miniere di carbon fossile e di ferro le une rispetto alle altre, e in grazia dell'addestramento delle forze lavoratrici diventarono più a buon mercato che altrove; in contraccambio la Granbretagna doveva ricavare materie prime e viveri dall'estero.

L'agricoltura locale con l'abrogare i dazi sui cereali fu lasciata quasi andare in rovina, poiché si partiva dal concetto che fosse irrazionale sottrarre terreno e forze lavoratrici all'industria, che fruttava un guadagno di gran lunga superiore. Per le derrate alimentari di qualsiasi genere c'erano le colonie che bastavano e avanzavano.

Nell'interesse dell'indisturbato libero, traffico mondiale i liberali inglesi aspiravano alla pace con l'estero. Sembrava loro cosa naturale, che con i progressi della cultura economica e del sempre più stretto intreccio, determinato dal commercio mondiale, degl'interessi economici di tutti i popoli, le guerre un po' per volta sarebbero cessate.
Nessuno Stato si dovrebbe più immischiare nella vita interna di un altro popolo. Le spese per l'esercito; per la flotta e la diplomazia passavano per impiego improduttivo di capitale, poiché non accrescevano per nulla il benessere popolare; per ciò dovevano restringersi il più possibile.

Questa politica anche sotto il Governo liberale non fu mai attuata completamente nella pratica. Statisti, come lord Palmerston, hanno sempre usato i mezzi, rigettati per principio, della pressione diplomatica e del procedimento bellico per affermare la potenza inglese.
Ciò si giustificava di fronte alla propria coscienza liberale asserendo che "una vera politica pacifica poteva in pratica attuarsi, se anche gli altri popoli più importanti fossero arrivati a una concezione, egualmente assennata, ma che fin allora, per necessità di difesa, occorreva adoperare mezzi eguali ai loro".

Ma é stata cosa notevole che i liberali considerassero anche la politica coloniale da questo punto di vista dottrinale. L'opinione prevalente fra loro era che le colonie, appena avessero conseguito un aumento di popolazione e di prosperità, dovessero diventare indipendenti e che sarebbe follia volere loro vietare di distaccarsi dalla madrepatria.
Il distacco degli Stati Uniti sullo scorcio del XVIII secolo era il grande esempio, sempre richiamato. Il compito della madrepatria sembrava loro esclusivamente pedagogico e scopo naturale l'emancipazione degli alunni adulti da ogni legame, pur dentro la cornice di una puramente ideale unità di cultura.

Conforme a ciò fu dato alle maggiori colonie, appena parve possibile, il diritto di una completa autonomia, e fu introdotta quella condizione di larga dipendenza dalla madrepatria, che abbiamo imparato a conoscere.

Il possesso dell'India apparve ai più dei liberali come un peso, che ci si era dovuto prendere sulle spalle in conseguenza degli errori di precedenti generazioni e che si doveva gettar via nel modo migliore, fin che riuscisse, senza grave nocumento dell'economia nazionale britannica; da alcuni fu, d'altra parte, detto con insistenza che si era assunto con l'esercizio della dominazione fino allora un debito di fronte agli indigeni e non era lecito sgombrare il paese, finché l'educazione degli Indiani non fosse progredita sino al punto che essi, alla partenza degli attuali dominatori, non si sarebbero avventati gli uni contro gli altri e non avrebbero distrutto tutte le opere civili, create fino allora.

Il partito si accordava perfettamente in ciò che un ingrandimento dell'Impero coloniale britannico fosse in tutto da evitare, poiché non portava che a lotte costose e al pericolo di un conflitto con altre Potenze, senza offrire tuttavia vantaggi economici, che sarebbero risultati spontaneamente dall'attuazione del libero scambio.
Il dirigente fra i liberali inglesi, il più notevole rappresentante di questo avviamento politico, era Guglielmo Ewart GLADSTONE (nato nel 1809).
Egli era stato all'inizio della sua vita politica di sentimenti strettamente conservatori, poiché, come uomo molto pio, devoto alla Chiesa anglicana, credeva che religione e Chiesa fossero il meglio possibile difese dai conservatori.
Ma un po' alla volta gli apparve l'incompatibilità delle sue opinioni conservatrici col suo forte bisogno individuale di libertà e con le sue concezioni umanitarie; egli meditatamente si convinse che la Chiesa di Stato come istituzione coattiva avvelenava più che non favorisse la vita religiosa e che solo mediante una completa astensione dello Stato in questioni religiose la vera pietà poteva giungere a una spontanea efficacia.

Così era agevolato il trapasso alle opinioni liberali da lunghissimo tempo a lui politicamente simpatiche, e mano mano egli arrivò a capo riconosciuto del partito. Il Gladstone era un autentico carattere anglosassone, calmo e lucido, un po' pedantesco e noioso, spesso unilaterale per cavalleria dottrinaria, senza spinta e senza la facoltà di afferrare subito il momento opportuno.
Malgrado la base religiosa e sentimentale di tutta la sua mentalità e della sua condotta, era sempre calmo, riflessivo uomo d'affari. I suoi discorsi sono sempre molto ben pensati, ricchi di materia e di pratica delle cose, ma senza nessuna energia affascinatrice.

Il suo dominio speciale era la finanza, dove egli rese molti servizi; il suo lato più debole fu sempre la politica estera, poiché gli difettavano le facoltà necessarie, e perché anche qui egli voleva procedere conforme ai principi generali e non già a quelli legati alle esigenze momentanee dell'interesse nazionale.
Durante tutto questo periodo i conservatori stavano alla opposizione. I loro sforzi miravano a conservare il più possibile elevata la condizione della antica aristocrazia, che aveva costruito l'Impero britannico e l'aveva fino al 1832 governato da sola. Essi sostenevano i tradizionali diritti della Corona e della Camera alta contro l'idea di una completa autonomia del popolo mediante autorità elettive.
Egualmente essi volevano mantenere il predominio spirituale e la tutela del popolo attraverso appunto la Chiesa di Stato aristocratica per il carattere fondamentale.

Essi sostenevano il diritto dello Stato di immischiarsi nella vita economica e sociale, in quanto sembrava richiesto dalla continuità di un Regno inglese, potente e chiuso in sé stesso.
A lungo rimasero attaccati al dazio del grano, non solo nell'interesse dei grandi proprietari nobili - quantunque anche ciò vi contribuisse - ma soprattutto dal punto di vista dell'indipendenza economica dell' Inghilterra.
Essi ritenevano l'idea dell'economia universale e della pace mondiale un'utopia, la cui attuazione non era da attendersi, in ogni caso, in un tempo non troppo remoto, e consideravano lo Stato nazionale come una unità politico-sociale; reputavano pericolosissimo che l'Inghilterra dovesse disporre quanto le occorreva di viveri per la più parte dal l'estero, poichè allora in caso di guerra non sarebbe stata in grado di alimentarsi da sé anche soltanto per un breve periodo, e per ciò sarebbe stata più vulnerabile e più debole.

Ritenevano pure cosa assurda, che lo Stato stesse a vedere, senza parteciparvi, la lotta, sempre più acuta, fra gl'imprenditori industriali e gli operai, come se tutta la faccenda non la riguardasse; scorgevano nella crescente esasperazione dei lavoratori contro le classi superiori e contro lo Stato, la cui inattività favoriva il più debole economicamente, un grande pericolo nazionale, una squarciatura dell'unità del popolo.

Beniamino DISRARELI (nato nel 1804) coniò la frase delle due nazioni, che un po' per volta si formavano all'interno del popolo unico e si fronteggiavano più aspramente come popoli ostili; ed egli per primo richiese la protezione dello Stato per il più debole economicamente.
Nella politica estera i conservatori posero in prima linea la durata e l'aumento della potenza britannica nel mondo. Costoro contestavano la teoria del non intervento, poiché essa dovrebbe condurre alla nessuna influenza inglese all'estero, ed esigevano una politica attiva, che, dentro il sistema degli Stati, cercasse di plasmare le cose in modo che fossero vantaggiose all'Inghilterra; non era lecito evitare una guerra, quando fosse in gioco un notevole interesse.

Dichiaravano assolutamente indispensabile il rafforzamento dell'esercito coloniale e specialmente della flotta, sulla quale si appoggiava - dall'abrogazione in poi dei dazi sui cereali - più che mai la sicurezza della Granbretagna, in caso di guerra.
Il mantenimento e, dove sembrasse utile, l'ingrandimento dell'Impero coloniale era per loro un evidente debito di ogni Governo. Il Disraeli criticò in parlamento, nella maniera più aspra, la concessione di completa autonomia alle colonie; certo, egli pensava, si doveva lasciare ad esse la mano il più possibile libera nei loro affari particolari; ma il Governo aveva omesso di ottenere garanzie che nei grandi problemi comuni dell'Impero le colonie fossero saldamente legate alla madrepatria.

Anche le opinioni conservatrici di quest'età s'impersonarono nella figura di un uomo - il già accennato sopra - Beniamino Disraeli (nato nel 1804). Discendente da una agiata famiglia ebrea di mercanti londinesi, non smentì le peculiari caratteristiche della sua stirpe, né nell'aspetto, né nella condotta. All'inizio seguace dell'estrema ala radicale del liberalismo realizzò il passaggio tra i conservatori, appena riconobbe l'impossibilità di istruire i liberali nelle questioni sociali.
Fra gravi difficoltà conquistò un seggio in parlamento, e fra ostacoli ancor maggiori l'accesso negli ambienti della nobiltà conservatrice; tuttavia mano a mano riuscì, per la sua energia nel lavoro e per la sua abilità negli affari, a rendersi indispensabile ai capi, a suggerir loro le sue idee, finché in ultimo divenne il dirigente parlamentare ufficiale del partito conservatore e nel tramonto della sua vita lord e pari d'Inghilterra.

In contrasto con Gladstone egli era di una irrequieta mobilità fisica e spirituale, come indole nato per ogni situazione, come oratore pronto alla risposta, umoristico e oltre modo sarcastico, uno spirito ricco e lungimirante, pieno di una vivace fantasia all'orientale, eppure sovrabbondante nel calcolo più freddo, infine furbesco e spregiudicato.
La politica sociale e più tardi la politica estera furono i più fertili campi della sua attività. A stento riuscì a convincere i recalcitranti nobili signori del suo partito che bisognava tener conto dei desideri e dei bisogni delle moltitudini, se ne volevano avere i voti.
Con i suoi romanzi molto letti, come con i suoi discorsi influì egualmente sulla pubblica opinione. Fu ancora lui che, durante un breve interregno conservatore, attuò la riforma elettorale del 1867, per toglier di mano ai liberali quest'arma efficace e per attrarre nel campo conservatore le schiere, di recente ammesse alle urne elettorali.

Lontanissimo dalla ristrettezza ortodossa e feudale dei vecchi ambienti conservatori, cercava di dirigere la politica estera ed interna da un unico punto di vista, quello del maggiore aumento della potenza inglese nel mondo.
Se una volta si lasciano da parte le caratteristiche puramente personali e le diversità delle condizioni di là e di qua dalla Manica, in lui c'era lo stesso spirito che c'era nel Bismarck.
Così, divisi dalla concezione della vita e dai fini, come pure dagl'interessi delle correnti del popolo che li sorreggevano, guidati da due uomini di grande e speciale talento, i due grandi partiti del mondo politico inglese si fronteggiavano.

Fatta astrazione dal gruppo irlandese, non c'era accanto ad essi nessuna organizzazione politica degna di esser ricordata. Le tappe della loro lotta sono stati ogni volta anche capitoli della politica mondiale.

Le prime elezioni, svoltesi sulla base della nuova legge elettorale, fruttarono una forte maggioranza liberale e costrinsero il Disraeli a dimettersi.
Il suo rivale Gladstone giunse al potere e ci rimase sei anni (1868-1874).

Noi sappiamo appunto che Gladstone tentò subito di risolvere il problema irlandese, ma non riuscì ad accontentare gli Irlandesi. La legge sulla istituzione di scuole popolari, sussidiate e vigilate dallo Stato, eccettuato l'insegnamento religioso, legge varata dal governo liberale, la ruppe per la prima volta con la massima, fino allora seguìta in Inghilterra, di lasciare l'insegnamento esclusivamente all'attività privata; una proposta d'introdurre l'obbligo scolastico fu tuttavia respinta dalla Camera bassa.

Con l'introduzione del voto segreto nelle elezioni e con l'abrogazione della vendita della carica d'ufficiale il ministero Gladstone si acquistò indubbi meriti. Con tutto ciò ben presto cominciò a perdere di popolarità e a trovare opposizione nelle file degli stessi liberali. Varie cause vi contribuirono.
Il Gladstone cercò di completare la sua azione conciliatrice irlandese con una riforma dell'Università di Dublino, fino allora rigidamente protestante. Questo disegno di legge gli alienò molti liberali; e il rigetto di quel disegno nella Camera bassa portò allo scioglimento del Parlamento e alla caduta del ministero.

Ma oltre a ciò vi furono anche due importantissime considerazioni, che influirono fortemente sulla lotta elettorale. La prima fu la questione operaia. I lavoratori inglesi si erano creati nelle trade-unions delle associazioni oltremodo forti e bene organizzate, che però appunto per la loro importanza erano un pugno negli occhi per i datori di lavoro.
Solo a stento gli operai avevano ottenuto dal ministero Gladstone nel 1871 il riconoscimento legislativo di queste trade-unions come associazioni giuridicamente valide e del loro diritto di organizzare lotte per il salario; ma erano espressamente state rinnovate, al tempo stesso, dalla maggioranza liberale le anteriori pene contro la minaccia ai datori di lavoro mediante lo sciopero, l'allontanamento degli operai desiderosi di lavorare e l'esposizione di avvisi di scioperare. Quindi lo sciopero fu permesso, ma vennero proibiti i mezzi di farlo efficacemente.

Davanti a tutte le petizioni del proletariato il Gladstone si tenne fermo su queste punizioni. Una gran parte dei suoi seguaci apparteneva ai datori di lavoro, e Gladstone non volle mettersi contro di loro. Ma i conservatori promisero di soddisfare questo desiderio. Nelle elezioni i lavoratori presentarono isolatamente propri candidati, dei quali però solo due arrivarono in parlamento; nella maggior parte dei casi essi tuttavia votarono per i candidati conservatori.

Ma insieme con questi motivi contribuì allo stesso scopo il crescente malcontento della politica estera del Governo. Il Gladstone non fece che insistere sul suo incondizionato amore per la pace, e cancellò somme importanti dal bilancio dell'esercito e della marina; anzi, egli dispose il ritiro di tutte le truppe britanniche dalle colonie, per potersi presentare al parlamento con il bilancio in ottime condizioni e con attenuazioni di imposte.

In quel momento scoppiò la guerra franco-tedesca del '71; e si discusse, se l'Inghilterra fosse pronta alla guerra, nel caso che i suoi interessi dovessero esigere il suo intervento.
Gli oratori dell'opposizione controbatterono nella maniera più energica che la preparazione ci fosse e rimproverarono il ministero di aver mancato ai suoi doveri; e le repliche dei rappresentanti del Governo furono deboli e poco rassicuranti.
Nella questione della neutralità del Mar Nero il Gladstone batté in ritirata di fronte alla Russia, abbandonò così tutti i vantaggi della guerra di Crimea; in diverse contestazioni con gli Stati Uniti intorno a vecchie questioni di risarcimento e di confine si vide costretto a cedere; tollerò senza opposizione la occupazione di Chiva per parte della Russia nel 1873.

L'autorità dell'Inghilterra nel mondo indubbiamente declinava, e la politica estera dell'Impero non corrispondeva più in nessun modo al suo compito.
Si deve attribuire al concorso di tutte queste cause di malcontento, se le elezioni del 1874 portarono nella Camera bassa una considerevole maggioranza conservatrice.
Il Gladstone immediatamente si dimise e lasciò il posto ai conservatori, per i successivi sette anni (1874-1880), sotto la direzione di Disraeli. Il quale mantenne le promesse fatte ai lavoratori; una legge del 1875 garantì loro la completa uguaglianza giuridica con i datori di lavoro, abolì la pena della prigione contro i lavoratori che violassero un contratto, e permise alle trade-unions di esercitare, in casi di sciopero, ogni influenza sugli operai che non urtasse contro la comune legge penale; una legge posteriore (1878) introdusse la giornata massima di lavoro di dieci ore per le donne e per i fanciulli, e così mosse un passo notevole sulla via di una metodica politica protettrice dei lavoratori.
Disraeli riuscì anche di spuntarla con l'obbligo scolastico, rigettato già nel 1870.

Ma l'importanza del suo ministero non sta in questi provvedimenti, ma nella politica estera e coloniale, nel primo tentativo di una pratica attuazione dell'idea imperialistica, fino allora sostenuta solo da singoli scrittori.
Al centro della politica coloniale del Disraeli non stavano già le colonie di popolamento, ma l'India. Era indiscutibile che la posizione dell'Inghilterra, come massima potenza mondiale, si reggeva e cadeva con il possesso dell'India; ma vi si aggiungeva la circostanza che proprio allora l'India orientale era l'unico possedimento, minacciato di serio pericolo da un potente rivale.

All'occupazione di Chiva i Russi nel 1875 fecero seguire la conquista del canato di Cocand, e già tentavano di estendere la loro influenza sul paese limitrofo all'India orientale, sull'Afganistan; ma quel paese dominava i passi importanti, conducenti dal nord-est nella valle dell'Indo e quindi le grandi vie militari, per le quali soltanto un esercito nemico poteva assalire l'India con speranza di buon successo.
Il Governo liberale aveva, nella sua accortezza di vedute, negato al Vicerè dell'India il permesso, da lui desiderato, di concludere con l'emiro un trattato che gli doveva garantire un cospicuo sussidio annuo e l'aiuto inglese per il mantenimento della dinastia contro parenti e capi indisciplinati.
In conseguenza di ciò Schir Ali Kan si era rivolto a Pietroburgo e vi aveva trovato una più che volenterosa compiacenza (i Russi non aspettavano altro!)

Questo irresistibile avanzarsi della Russia verso il sud doveva suscitare le più gravi apprensioni; poiché non vi era dubbio che l'India fosse perduta, se ai Russi fosse riuscito di gettare un notevole esercito nella valle dell'Indo. Per questo motivo la sicurezza dell'India e l'impedimento di ogni ulteriore aumento della potenza russa divenne per il Disraeli il punto di vista fondamentale della sua politica estera.
Se Disraeli, nonostante ogni dileggio dei liberali inglesi, la spuntò che nell'estate del 1876 la regina Vittoria assumesse il titolo di «Imperatrice dell'India», lo fece non solo per imporsi agli Orientali sensibili a simili esteriorità, ma soprattutto per annunciare, con un atto solenne, a tutto il mondo che l'Inghilterra non sarebbe venuta via volontariamente dall'India.

Se Disraeli, con un trattato con l'emiro del Belucistan, ne pose il territorio sotto l'alta sovranità dell'Inghilterra, e si fece cedere la città di Quetta, importante per la strada militare meridionale verso l'India, e se fece dei preparativi per strappar di mano all'emiro dell'Afganistan con le buone o con le cattive i passi settentrionali, era evidente la tendenza di conseguire per l'Impero indiano una frontiera di nord-ovest, militarmente più datta a difendersi.

Ma anche altri provvedimenti, che in apparenza avevano poco a che fare con il possesso dell'India, derivarono in verità dal medesimo proposito fondamentale Era anzi chiaro che, di fronte ad un eventuale attacco russo da parte di terra, tutto sarebbe dipeso dal modo, come l'Inghilterra avrebbe potuto gettare velocemente nell'India le sue truppe disponibili nella madrepatria e in altre colonie.
Le più importanti vie marittime per l'India dovevano essere in mani britanniche per agevolare questo difficile compito. Di tali vie ce n'erano due: una per il Capo di Buona Speranza e l'altra, aperta di recente, con l'apertura del canale di Suez (1869) attraverso il Mar Rosso.
Disraeli cercò d'assicurare all'Inghilterra i territori più importanti per dominare ambedue le vie.

Il territorio del Capo era, è vero, in mani inglesi, ma era un possesso piuttosto insicuro, finché gli Stati dei boeri rimanevano indipendenti e nei più stretti rapporti con la popolazione olandese del Capo.
Disraeli tentò di unificare tutti i territori sud-africani in una confederazione, conforme al modello del Dominion of Canada, sotto l'alta sovranità inglese. Ma i preventivi sondaggi diplomatici presso gli Stati boeri urtarono in un immediato rifiuto, ed anche la colonia del Capo stessa rifiutò di spedire un rappresentante alla vagheggiata discussione.

Quando poco dopo il presidente del Transvaal con alcuni olandesi autorevoli, componenti del parlamento del Capo, si recò a Berlino e fu ricevuto dall'Imperatore Guglielmo e dal Bismarck, il Disraeli pensò egli cercasse aiuti stranieri contro l'Inghilterra.
Disraeli a quel punto si appigliò a un atteggiamento del tutto indelicato. La repubblica di Orange fu costretta a cedere il distretto di Kimberley mediante un risarcimento in denaro; era quello il distretto, in cui da un paio di anni eran stati trovati dei diamanti, e inoltre dominava la strada principale verso l'interno dell'Africa.

Ma nel Transvaal fu inviato come agente britannico il Shepstone, che approfittò delle fazioni esistenti fra i boeri per raccogliere in una di queste, una quantità di firme per una petizione, nella quale si chiedeva l'incorporazione; avvalendosi di questa approssimata e piuttosto limitata consultazione popolare, egli procedette all'annessione del Transvaal (12 aprile 1877).

I boeri, impreparati a resistere, discordi perfino fra loro e senza speranza di aiuti stranieri, alcuni si rassegnarono alla violenza, altri inviarono solo una protesta formale, emtrambi sperando solo in un avvenire migliore.

Ma contemporaneamente il Governo inglese iniziò a sbarrare agli Stati boeri le vie del mare; il territorio della Cafreria fra la colonia del Capo e il Natal venne incorporato nella prima, e fu compiuto il tentativo d'occupare la baia di Delagoa, posta sul territorio portoghese; l'unico porto adatto per il Transvaal.
Questo tentativo, d'altra parte, andò a vuoto, giacchè il Portogallo sollevò opposizione, e un tribunale arbitrale riconobbe giuste le sue pretese. Tutto il procedimento però del Governo mostrò il suo saldo volere di mantenere, in ogni circostanza, il Capo, soggetto all'immediata sovranità inglese.

Era ancor più arduo porre ad esclusiva disposizione dell'Inghilterra la via più breve per l'India attraverso il Canale di Suez. Il canale era stato costruito dal francese Lesseps, e le azioni erano esclusivamente nelle mani di capitalisti francesi e del Sovrano di quelle contrade, il Kedivé di Egitto.
Il Governo liberale e il capitale inglese avevano ritenuto impossibile, del tutto accecati com'erano, l'esecuzione del grande progetto e avevano evitato ogni compartecipazione.

Il Kedivé Ismail pascià, che in verità riconosceva formalmente tuttavia come alto sovrano il Sultano turco, e gli pagava un tributo, era in realtà un Sovrano del tutto indipendente. Egli aveva proseguito con buon successo la conquista della valle superiore del Nilo, iniziata già dal suo avo Mehemet Ali; all'inizio del periodo fra il settanta e l'ottanta il suo Regno si estendeva appunto fino al lago Vittoria e sull'intero Sudan e Darfur.
Ma questa vasta politica conquistatrice aveva, insieme con le spese per la costruzione di ferrovie, canali e strade e con il costosissimo mantenimento della corte di quel principe prodigo, rovinato del tutto le finanze del paese. Ignaro del modo di procedere finanziario dell'Europa capitalista il Kedivé era caduto completamente nelle mani di banche inglesi e francesi, che lo spogliavano con tutte le regole dell'arte finanziaria.

Proprio quando il Disraeli salì al potere, Ismail era minacciato dalla bancarotta e pensava di lasciare ai creditori, per una parte delle loro richieste, la porzione di azioni del Canale di Suez, da lui possedute.
Appena che il Disraeli ne venne a conoscenza, autorizzò l'incaricato di affari britannico a comprare le azioni per una somma di 100 milioni di franchi per conto dello Stato inglese.
L'affare fu concluso nel novembre del 1875, e assicurò al Governo inglese una forte influenza sul Canale. Ma il Disraeli andò più avanti: approfittò delle relazioni d'affari annodate per indurre il Kedivé a muovere ulteriori passi, importantissimi per la fondazione della potenza inglese in quelle contrade.

Su proposta di Ismail pascià fu mandato un alto funzionario delle finanze inglesi al Cairo per esaminare il bilancio del Regno egiziano ed assistere il Kedivé nel riordinare la sua situazione finanziaria; e come governatore del Sudan egiziano fu nominato un esperto ufficiale inglese, il generale Gordon.

Vedremo in seguito quali importantissime conseguenze ebbero questi provvedimenti. Essi furono i primi passi dell'Inghilterra per ottenere la supremazia di fatto sull'Egitto e sul Canale di Suez. Se consideriamo tutte queste disposizioni del Disraeli nella loro connessione, vediamo con quale energia e con quale talento questo statista seppe comprendere gli interessi dell'Inghilterra, e come ogni singolo provvedimento veniva accuratamente calcolato in vista dell'effetto complessivo, a cui si mirava: quello di assicurare la difesa dell'India e di consolidare la potenza mondiale dell'Impero britannico.

La regina Vittoria riconobbe i grandi servizi del Disraeli nominandolo conte di Beaconsfield e membro della camera dei lord.

L'avversario però, contro il quale erano rivolti tutti questi provvedimenti, era la Russia.

E proprio alla Russia è dedicato il prossimo capitolo.

segue:

226. 35) - IL PERIODO 1870-1880 IN EUROPA
* L'IMPERO MONDIALE RUSSO > > >

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