HOME PAGE
CRONOLOGIA
DA 20 MILIARDI
ALL' 1 A.C.
DALL'1 D.C. AL 2000
ANNO X ANNO
PERIODI STORICI
E TEMATICI
PERSONAGGI
E PAESI

IL NUOVO PREDOMINIO - LA NASCITA DEI RANCORI


221. 30) - IL PERIODO 1870-1880 IN EUROPA
* IN GERMANIA


Una delle tante relazioni (quella sopra di von Falk) davanti ai ministri
al "cancelliere di ferro" Bismarck e all'Imperatore Guglielmo (i due seduti a dx)

IL DECENNIO DEL "CANCELLIERE DI FERRO"


Se nella Francia perdente - come abbiamo visto nel capitolo precedente - vi erano grossi problemi per risorgere, anche nella vincente Germania il nuovo Stato, fondato sui trattati di Versaglia e sulla costituzione imperiale, se proprio non si dibatteva nei problemi, doveva essere però completato oltre che perfezionato.
Con l'unione degli Stati meridionali tedeschi il saldo predominio, che la Prussia aveva posseduto nella Confederazione della Germania nordica, era stato diminuito; e il carattere federativo dell'Impero doveva ora apparire più forte; non tanto i diritti di riserva della Baviera e del Virtemberg, quanto l'accrescimento dei voti non prussiani nel Consiglio federale e nella dieta imperiale implicavano tuttavia una conseguenza.

Seguendo la costituzione dell'Impero il Re di Prussia, nonostante il suo titolo di "Imperatore", era soltanto il Presidente e il Generalissimo della Confederazione; egli non possedeva nessun voto contro deliberazioni concordi del Consiglio federale e della dieta imperiale, anche se con i suoi voti nel Consiglio federale poteva impedire modifiche della costituzione e nelle questioni militari non poteva essere battuto nella votazione.
In complesso la sua efficacia riposava più sulla grandezza oltre modo prevalente e sulla attitudine guerresca della Prussia e sulla considerazione personale del canuto Imperatore che sulla sua condizione giuridica.
Non erano stati istituiti ministeri imperiali, perché l'indipendenza dei singoli Stati ne usciva troppo gravemente pregiudicata.
Ma l'imperioso bisogno di una rappresentanza comune dei Governi confederati di fronte alla dieta dell'Impero e la personalità del Bismarck trasformarono nella pratica l'ufficio di cancelliere dell'Impero, concepito da principio come piuttosto modesto, nella carica di ministro dirigente dell'Impero. In sostanza era un monarca di fatto!

L'impossibilità, perfino per un uomo di così poderosa forza nel lavoro, di eseguire da solo, i compiti imposti dall'ufficio, portò in seguito all'istituzione di ministeri imperiali con sotto segretari di Stato alla testa, che però non divennero ministri con autonoma responsabilità, ma rimasero solo degli impiegati tecnici, dipendenti dal cancelliere.
La rappresentanza della popolazione dell'Impero formò la dieta imperiale, eletta sulla base del diritto elettorale, generale, eguale, segreto e diretto. Accanto al Consiglio federale, come organo dei Governi confederati, doveva cooperare, quale fattore con eguali diritti, alla legislazione e all'accertamento del bilancio dell'Impero.
Spettavano all'Impero e ai suoi organi la politica estera, quanto concerne l'esercito, il diritto penale, le leggi sulla stampa, il diritto commerciale, posta, telegrafo, affari comuni economici e il diritto d'associazione, mentre la cura della vita spirituale e l'amministrazione in senso stretto rimaneva ai singoli Stati.

Alle spese dell'Impero dovevano provvedere i proventi delle dogane, le imposte indirette; se queste non bastavano, i singoli Stati dovevano essere obbligati provvisoriamente a coprire il minore introito mediante contributi matricolari, che dovevano dividersi fra loro conforme alla rispettiva popolazione.
Tuttavia questo provvedimento era dichiarato come provvisorio nella costituzione, finché non venissero introdotte le imposte dell'Impero.
Solo nella pratica della vita politica poteva rivelarsi, come la coesistenza dell'Impero e dei singoli Stati, l'opera contemporanea della dieta dell'Impero e dei molti parlamenti regionali, la relazione fra Imperatore, Consiglio e dieta dell'Impero si sarebbero plasmati.
Poiché era una grande difficoltà che la dieta dell'Impero fosse spezzettata in un rilevante numero di gruppi politici e che al Governo imperiale non si offrisse nessuna salda maggioranza, sulla quale potesse durevolmente adeguarsi e appoggiarsi.

Innanzi tutto c'era una serie di irriducibili avvesari dell'Impero (Polacchi, Danesi e Guelfi), che nelle prime diete dell'Impero disponevano di 24 voti; in seguito furono rafforzati da 15 Alsaziani-Lorenesi di tendenze francesi. Vi erano da aggiungere due gruppi conservatori e due liberali, inoltre il centro e i deputati democratici della estrema sinistra.

I conservatori rappresentavano gl'interessi del grande possesso fondiario e un angolo visuale confessionale del mondo; le rocche della loro potenza erano nelle province orientali elbane della Prussia.
L'estrema Destra, i Tedeschi conservatori, vi congiungevano una tendenza regionalistica; essi scorgevano meglio tutelati i loro interessi nei parlamenti dei singoli Stati, uscenti da elezioni classiste, massime della Prussia, che nella dieta imperiale, formata grazie all'elezioni col suffragio universale; ogni accrescimento del potere dell'Impero di fronte agli Stati regionali sembrava loro pericoloso.
L'ala sinistra dei conservatori formava il partito dell'Impero, che già nel proprio nome significava che era libero da considerazioni regionalistiche. Esso si reclutava sostanzialmente dalla burocrazia. I partiti conservatori contavano all'inizio su 94 seggi.

Il centro era legato con i conservatori per la visione confessionale del mondo; solo che in luogo dell'ortodossia protestante aveva quella cattolica, la quale teneva insieme il partito. Quindi esso aveva i suoi seguaci - se prescindiamo dai territori polacchi, dove doveva lottare con i polacchi nazionali per la conquista dei mandati politici - nell'Occidente cattolico (Renania e Vesfalia) e nel sud (Alta Baviera e parte del Virtemberg e del Baden). Anch'esso da principio era un partito manifestamente agrario; soltanto che, conforme alla varia configurazione dei rapporti locali della proprietà, accanto al grande possesso fondiario aveva nell'ovest e nell'est fra i suoi elettori la popolazione contadina; esso era anche indotto a rivolgersi alla piccola borghesia cattolica.

Questi elementi conferivano al centro una tendenza più energicamente democratica di quanto non la potessero avere i conservatori. La speranza di riuscire a guadagnarsi il ceto operaio, quando questa classe rapidamente si rafforzò, fece in seguito sì che diventasse ancor più forte il carattere democratico del partito.
Solo all'inizio gran possesso fondiario e burocrazia lo guidarono. L'inclinazione regionalistica esisteva nel centro in grado ancor maggiore; l'ortodossia cattolica infatti doveva sempre temere di essere, data la maggioranza di voti protestanti nel Consiglio di Stato e nella dieta imperiale, sopraffatta, mentre era in grado di dominare il secondo Stato per grandezza della Confederazione, e di mantenere in altri Stati tedeschi una posizione assai forte.
Per ciò il centro insistette sempre con speciale energia sul carattere federativo dell'Impero e si studiò di denunziare esplicitamente i liberali come nemici degli Stati regionali ed unitari.

Nell'analogia delle opinioni fra conservatori e centro ci sarebbe stata bene la possibilità di una loro fusione in un grande partito di Destra; ma il contrasto confessionale e la progressiva democratizzazione del centro li tenne separati.
Il timore del carattere protestante della dinastia prussiana indusse il centro anche a insistere energicamente sui diritti parlamentari di fronte al monarca, mentre i conservatori erano legatissimi alla monarchia e tendevano alla limitazione dell'influenza parlamentare.

Il centro nelle prime elezioni, sebbene il partito solo allora fosse fondato, conquistò 63 seggi. Nelle successive elezioni anche in circostanze sfavorevoli conservò sempre da 90 a 100 mandati; poiché, in virtù della agitazione elettorale del clero cattolico nella stampa, nella cura delle anime e nel confessionale, esso disponeva di un corpo elettorale così sicuro, come forse nessun altro partito.

In contrasto con questi partiti, i gruppi liberali rappresentavano gl'interessi della borghesia colta e possidente; industriali, commercianti, dotti, ed impiegati primeggiavano fra i liberali. Poiché costoro erano stati condannati fino a poco tempo prima alla sistematica opposizione, così essi erano ancora fortemente soggetti al dottrinarismo, che di solito sono inviluppati i politici irresponsabili.
Essi chiedevano la maggior limitazione possibile dell'attività statale, e in particolare l'astensione dall'immischiarsi nella vita economica e sociale; essi inclinavano all'opinione che in uno Stato moderno il Governo deve essere del tutto dipendente dalla maggioranza del Parlamento, e guardavano con diffidenza la monarchia così salda, esistente in Germania, come una specie di irregolarità costituzionale, che bisognava toglier via al più presto.

Nelle questioni spirituali i liberali aspiravano a rimuovere l'influenza ecclesiastica e nello stesso tempo sostenevano il pensiero fondamentale di ogni vita moderna statale, cioè il carattere laico dello Stato, di fronte alla concezione medioevale dello Stato cristiano.
I liberali in Germania, come dovunque, han dovuto sacrificare qualcosa di queste opinioni dottrinarie e imparare dall'esperienza. Inoltre doverono accorgersi che ogni Stato non può privarsi dei mezzi necessari per la sua esistenza e potenza, e che perciò le spese militari non significavano una diminuzione di forze.

Egualmente poi un po' alla volta si convinsero che lo Stato nell'interesse della propria conservazione può avere fondati motivi di regolare il libero gioco delle forze sul terreno economico e sociale. Il gruppo, che stava più lontano a destra, cioè il partito nazionale-liberale, fondato nel 1867, aveva appunto cambiato la sua opinione rispetto al primo punto sotto l'influenza della politica bismarckiana e delle grandi lotte unitarie; esso era pronto ad acconsentire le spese necessarie per l'esercito e la flotta e a lasciare libertà di movimento al Governo nella politica estera; ma persisteva anch'esso tuttavia a considerare le questioni economiche secondo il vecchio dottrinarismo liberale.
La libertà del traffico era per esso intangibile. Con i deputati, che le erano più vicini, la frazione contava nella prima dieta imperiale 150 voti. Ancor più a sinistra si trovava il partito progressista, che sotto ogni rapporto teneva fermo al programma del vecchio liberalismo radicale, con 46 mandati.

L'ala sinistra estrema della dieta imperiale si componeva solo di pochi personaggi. Il partito popolare della Germania meridionale, residuo della democrazia del 1848, possedeva un mandato; il partito social democratico operaio solo due mandati. L'ultima frazione, che in seguito conseguì così grande importanza, era stata fondata nel 1863 dal Lassalle, ma si era, dopo la sua morte, divisa in due gruppi, separati da differenze reali e personali; pur nondimeno al congresso del partito, tenuto ad Eisenach (1869), si era ottenuto un ravvicinamento.
Il suo programma era commisto di esigenze della più vecchia democrazia e di speranze avveniristiche, quali erano suscitate dal marxismo, con la sua promessa di una completa eguaglianza economica e sociale.

Ora se si considera che dieci deputati quali «selvaggi» non appartenevano a nessuna frazione, se ne ricava un quadro oltremodo variopinto. Stavano l'uno accanto l'altro sei gruppi più numerosi e cinque del tutto insignificanti; non esisteva una maggioranza sicura, quantunque i gruppi liberali, se erano concordi, disponessero quasi della metà dei voti. Essi formavano perciò la forza più notevole nella vita parlamentare.

In queste condizioni era proposito dell'abile Bismarck di appoggiarsi sui liberali. Egli aveva già nel parlamento della confederazione tedesca del nord lavorato d'accordo con loro, e per quanto egli non fosse un loro aderente, però credeva di doverne tener conto, perché essi costituivano una potenza nel parlamento e intendevano di approvare le spese necessarie per l'affermazione della posizione internazionale della Germania; poiché questa era per lui sempre la prima preoccupazione.
Bismarck sapeva poi benissimo che per il rafforzamento e per ravvivare la forza dell'Impero c'era da sperare più da loro che non dai conservatori e dal centro. Così spettò ai liberali nei primi anni dell'Impero tedesco un influsso assai largo sul Governo, che durò fino alla crisi economica e politica del 1877-79.

Noi qui dobbiamo innanzi tutto dare uno sguardo alle opere di questo periodo liberale.
Soprattutto riuscì al Bismarck di assicurare la forza difensiva dell'Impero. Dell'indennità di guerra, che pagò la Francia, furono depositati 120 milioni come tesoro di guerra dell'Impero per casi di necessità nella torre di Giulio a Spandau, altre notevoli somme vennero destinate alla costruzione di una flotta militare tedesca. Uno dei più saggi ed energici generali, che avevano combattuto contro la Francia, il von Stosch, fu nominato capo dell'ammiragliato, e dimostrò una vera ammirabile capacità di adattamento nelle sue nuove funzioni.
Egli divenne il vero e proprio organizzatore della nascente grande marina tedesca, e sotto la sua amministrazione sorsero i grandi porti e i cantieri della Germania.

Il problema della forza dell'esercito imperiale nel tempo di pace e del modo di procurarsi il denaro, occorrente al suo mantenimento, incontrò difficoltà più gravi. L'Imperatore Guglielmo e gli ambienti militari desideravano vivamente di rendere il più possibile indipendente la consistenza dell'esercito e della flotta dalle mutevoli maggioranze della rappresentanza popolare. Essi temevano che una maggioranza spregiudicata con la minaccia di negare questi mezzi necessari avrebbe potuto cercare di strappare al Governo concessioni su altro terreno.
Da simili difficoltà era già risultato il precedente conflitto costituzionale prussiano, che era ancora fresco nella memoria di tutti. I liberali allora erano stati i campioni di un puro parlamentarismo; ma molti di loro avevano imparato qualcosa da quella lotta, e non volevano di primo acchito avvelenare la vita politica del nuovo Impero con un simile conflitto.
Così riuscì al capo dei nazionali-liberali, Rodolfo di Bennigsen, trovare un espediente. Egli propose l'approvazione della richiesta di 401.000 uomini sotto le armi per sette anni. Poiché il Governo si dichiarò d'accordo, il così detto «settennato» fu votato dalla dieta dell'Impero (1874).

Insieme con la sicurezza della potenza militare tedesca stava in prima linea la tendenza a compiere l'unità giuridica ed economica. Il più importante passo in tale direzione fu l'estensione della competenza dell'Impero a tutto il diritto civile (1873).
Tale proposta fu portata avanti ugualmente da un nazionale-liberale, Eduardo Lasker, un acuto dialettico, che si acquistò merito con il formulare chiaramente alcune leggi; al quale però in momenti decisivi qualche volta gli mancò l'occhio di statista.

Solo mediante questa deliberazione divenne possibile la completa unità giuridica, come finalmente, dopo lunghi lavori preparatorii, giunse a conclusione con l'introduzione del codice civile. Inoltre il codice penale della Germania nordica fu esteso a tutto l'Impero; grazie a una procedura giudiziaria civile e penale e una legge sulla costituzione giudiziaria, fu regolata in egual maniera la procedura e il sistema delle istanze.
Il codice di commercio e i regolamenti concernenti il cambio erano già stati plasmati unitariamente nella lega doganale; ora vi si aggiunsero leggi sui diritti d'autore, sulle azioni e sulla stampa.

Tutte queste leggi ebbero l'impronta dello spirito liberale, ed esercitarono un efficace influsso sulla vita popolare, assai oltre il terreno giuridico. L'introduzione di una completa libertà di mestiere tolse di mezzo i residui del medioevale ordinamento economico; la liberazione della stampa dalla censura, cauzione e bollo rese possibile una fruttuosa discussione politica.
Questa grande legislazione costituì l'indimenticabile dono battesimale al nuovo Impero. Anche esteriormente l'orientamento ad una completa unità giuridica giunse ad una conclusione preliminare con l'istituzione del tribunale dell'Impero a Lipsia, quale suprema istanza per l'intero territorio dell'Impero (1879).

Anche sui Governi degli Stati particolari l'atteggiamento liberale del Governo imperiale non rimase senza efficacia; particolarmente in Prussia l'amministrazione, che nelle province orientali possedeva ancora un carattere proprio patriarcale, fu trasformata in una moderna gestione, mediante le leggi sull'ordinamento dei distretti del 1872.

Dobbiamo scorgere un'ultima importante espressione dello spirito liberale nell'insorgere della lotta contro le pretese del predominio della Chiesa cattolica.
Era, in realtà, una lotta per la civiltà, come il Virchow la chiamò, una lotta per la sicurezza della libertà spirituale e dell'indipendenza nazionale contro un universalismo medioevale e la sete del potere chiesastico.

Nella trasformazione della Chiesa cattolica durante il XIX secolo, non del tutto concluse nel concilio vaticano del 1870, stavano le cause più profonde di questa lotta. Bismarck aveva seguìto attentamente le discussioni del Concilio, senza nulla intraprendere contro, poiché voleva lasciare la precedenza alle Potenze cattoliche.
La fondazione del partito del centro aumentò la diffidenza del cancelliere. Nessuno minacciava le convinzioni religiose dei cattolici tedeschi; ma se questi si organizzavano come partito, non si poteva scorgervi se non un tentativo di assicurare, d'intesa con i disegni della Curia, un'influenza sulla politica dell'Impero con tendenze specificamente cattoliche.

C'era tuttavia in Germania una notevole quantità di cattolici, che non intendevano rassegnarsi alle deliberazioni vaticane. Poiché essi si considerarono quali rappresentanti della autentica tradizione cattolica, si chiamavano «Vecchi cattolici». Alla loro testa stava il più insigne teologo della Germania, Ignazio di Dollinger, professore a Monaco; e molti personaggi, che insegnavano negli Istituti superiori, la pensavano come lui.
Per la Curia Romana era in gioco la sua autorità di fronte ai cattolici tedeschi; quindi il Papa e i vescovi usarono contro di loro mezzi disciplinari, ecclesiastici, il che era loro buon diritto, ma pretesero inoltre il loro allontanamento dalla cattedra, nel caso che non ritrattassero.

Su questo punto si arrivò a un conflitto col Governo prussiano. Esso si rifiutò di destituire a Bonn, Breslavia e Braunsberg insegnanti statali, perché le loro opinioni non erano più gradite all'autorità ecclesiastica romana. Siccome i vescovi persistettero nella loro richiesta, Bismarck considerò inevitabile il conflitto e iniziò, come egli preferiva, l'attacco per suo conto.
Egli abolì nell'estate del 1871 la divisione cattolica nel ministero prussiano del culto, che, fondata sotto Federigo Guglielmo IV e formata da genuini cattolici, era da chiamarsi un'autorità prima ecclesiastica che statale.

Che qui non si trattasse di un pregiudizio protestante, lo mostrò la condotta del Governo cattolico bavarese, che prestò uguale appoggio ai "vecchi cattolici", anzi addirittura provocò il primo intervento del potere imperiale in questa lotta. Su proposta del ministro del culto bavarese von Lutz fu deliberata nella dieta dell'Impero una legge, che minacciava del carcere ogni ecclesiastico, il quale dal pulpito o in generale nell'esercizio del suo ministero attaccasse le autorità statali o parlasse di affari di Stato in maniera pericolosa per la pace pubblica.

Di fronte alle amare proteste del clero cattolico Bismarck prese provvedimenti sempre più gravi. Il ministro del culto von Mühler, un protestante rigidamente ortodosso, fu congedato; al suo posto andò Adalberto Falk, un acuto giurista, e convinto sostenitore dei diritti statali, che si avvicinava ai liberali nella sua concezione del mondo (principio del 1872). Egli fece votare una legge, che assicurava allo Stato esclusivamente il diritto di regolare e vigilare l'insegnamento.
L'attività didattica degli Ordini religiosi fu ora rigidamente sorvegliata e in certe circostanze proibita. Alla Compagnia di Gesù, come alla più zelante sostenitrice della sovranità ecclesiastica cattolica romana, fu del tutto tolto il diritto di avere strutture scolastiche nell'Impero tedesco (luglio 1872).
Il clero romano non fece nessuna resistenza aperta, ma in ogni luogo eccitò la popolazione contro l'eretico Governo.

Una questione personale portò, nel medesimo tempo al ritiro dell'ambasciata prussiana presso il Vaticano, cioè alla rottura delle relazioni diplomatiche fra la Prussia e la Curia Romana.
Ma la «lotta per la civiltà» soltanto con le così dette leggi del maggio del 1873 toccò il colmo. Esse vietarono alla Chiesa l'uso di altri mezzi all'infuori di quelli puramente spirituali, agevolarono l'abbandono della Chiesa, stabilirono prescrizioni intorno all'andamento dell'educazione degli ecclesiastici cattolici e istituirono un tribunale di Stato per gli affari ecclesiastici.
Mentre lo Stato esigeva dai futuri ecclesiastici per principio un'educazione ginnasiale e universitaria, come la prova minima d'istruzione laica col così detto «esame di cultura» (in storia tedesca, filosofia, e lingue classiche) e si riservava il gradimento per ogni nomina, volle accelerare il formarsi di un clero fornito d'una educazione moderna laica.

Ma poi s'inoltrò così, istigato dalle opinioni protestanti di una Chiesa nazionale, in un territorio, il cui regolamento fino allora non era mai stato conteso alla Chiesa cattolica.
Invece l'istituzione del tribunale di Stato non si poteva evitare; se lo Stato emanava simili leggi, doveva anche procurare che i trasgressori potessero regolarmente venir giudicati. Nei paesi cattolici l'esecuzione di queste leggi urtò da per tutto nella resistenza passiva della popolazione e del clero, giacché il Papa minacciava la scomunica ai fedeli e ad ogni ecclesiastico, che vi si conformasse.

Gli ispettori statali non venivano ammessi negl'istituti d'istruzione; i posti di parroco erano occupati senza il gradimento dello Stato; se il Governo proibiva la pratica delle funzioni, non c'era chi battezzasse i bambini, chi benedicesse i matrimoni, e seppellisse i morti.
L'introduzione del matrimonio civile e la consegna dei registri dello stato civile a impiegati laici poteva ben impedire il formarsi di una incerta condizione giuridica, ma non soddisfare i (radicati dalla nascita) bisogni religiosi del popolo.
Né processi, né condanne, né sospensione degli onorari non contavano nulla contro gli ecclesiastici renitenti. Anche il tribunale di Stato poteva condannare vari vescovi alla destituzione, alla prigione o al bando; la resistenza e la (sollecitata) indignazione proseguiva vigorosa.

Allorchè lo Stato prescrisse a tutti i nuovi vescovi di sostenere un giuramento d'obbedienza alle leggi statali, si trovò solo il vescovo, professore Reinkens, scelto dai vecchi cattolici, pronto a prestarlo. Si richiese allora a tutti gli ecclesiastici una dichiarazione equivalente e si sequestrarono i redditi di coloro che non vollero fare la dichiarazione.
Ma ogni prete preferì le privazioni personali al disprezzo della sua parrocchia e all'ira dei suoi superiori. Il Governo allora tolse al clero l'amministrazione del patrimonio ecclesiastico e fece approvare nel 1875 una nuova serie di leggi di maggio.
Interi ordini religiosi e congregazioni furono sciolte in Prussia, e vennero cancellati dalla costituzione gli articoli, che garantivano alle associazioni religiose l'amministrazione autonoma del loro patrimonio, libertà di comunicare con i propri superiori e il non intervento statale nel conferimento degli uffici.

Un po' alla volta lo Stato nell'impeto della difesa si era venuto sempre più trasformando in assalitore; e bisogna porsi il problema, se per un tale assalto era stato scelto bene il momento e se i mezzi erano sufficienti.
La maggioranza protestante della Camera prussiana concedeva al Governo tutte le leggi di combattimento, che esso desiderava; ma la minoranza era assai considerevole, e nelle regioni, dove abitava, costituiva (con le masse) la stragrande maggioranza.

Al clero - con i predicozzi lanciati da ogni pulpito - riusciva agevole di dipingere alla popolazione cattolica l'atteggiamento dello Stato non solo come un'offesa alla sua propria religione, ma anche come una violazione dell'autonomia della regione.

Ben presto il Governo prussiano dovette accorgersi che esso non si trovava di fronte a pochi preti recalcitranti, ma alla tenace opposizione di vaste regioni e di molti milioni di cittadini dello Stato.
Quanto più diventavano violenti i provvedimenti statali, tanto più le masse ben pilotate si agitavano; le tribolazioni dei cosiddetti «martiri», colpiti dalle condanne dello Stato "eretico", stringevano nell'immaginario collettivo delle medesime masse, più saldamente insieme la schiera della resistenza.

Una potenza come la Chiesa cattolica, radicata fortemente nei sentimenti e nelle abitudini di vasti strati del popolo fin dalla nascita, non si può certo cacciare dalla sua posizione dominante con qualche colpo imprevisto, e duro; occorre ben più lunga e laboriosa preparazione.
Soltanto se la signoria della Chiesa sullo spirito e il cuore delle moltitudini é spezzata, grazie alla trasformazione dell'insegnamento per i giovani, ed é poi cresciuta una generazione allevata laicamente, una così simile battaglia ha probabilità di buon successo.

Senza dubbio, Bismarck aveva considerato il formarsi del movimento dei "vecchi cattolici" come un indizio che la signoria della Chiesa cattolica sugli animi in Germania era già fortemente scossa; egli sperava che una gran parte dei cattolici si sarebbe accostata a questo movimento e avrebbe appoggiato lo Stato contro la Curia, e quindi maggiore sarebbe stata la probabilità di un buon successo.
Ma in realtà il movimento dei vecchi cattolici rimase una rivolta di soli eruditi contro l'assoggettamento spirituale, piuttosto consueto nella Chiesa, e non diventò mai un moto popolare, poiché le moltitudini, educate e guidate da sempre dai preti, sentivano così poco l'oppressione spirituale, come l'uomo in condizioni normali percepisce la pressione atmosferica.

I vecchi cattolici rimasero pochi; erano ufficiali senza soldati e non potevano concedere l'aiuto sperato. All'incontro Bismarck e i liberali avevano fatto troppo poco caso delle difficoltà nel loro campo. Anche l'ortodossia protestante diveniva sempre più pensierosa; quanto più si estendeva la battaglia per la civiltà.
Il protestante in certe cose si trovava, con la sua fede nella lettura della scrittura, assai più vicina al cattolicesimo che alla "nuova" moderna concezione della vita; e temeva che dalla lotta venisse in genere scossa la fede nelle moltitudini.
Che il ministro del culto Falk mettesse in pratica anche nella Chiesa nazionale prussiana il principio dell'amministrazione autonoma e la cooperazione dell'elemento laico con quello ecclesiastico dispiacque oltremisura ai circoli ortodossi, e poiché la nobiltà vi apparteneva, si trovò facilmente modo di far giungere agli orecchi del monarca i propri turbamenti.

L'Imperatore Guglielmo da molto tempo vedeva malvolentieri per scrupoli religiosi la condotta di Bismarck e non tendeva più collaborare con i liberali in generale. Ora doveva di continuo sentirsi ripetere che "la lotta contro la Chiesa uccideva la religiosità nel popolo", che gli alienava il cuore dei suoi sudditi cattolici, e che nell'insistere non avrebbe conseguito nessun successo.

Soltanto per la superiore forza di volontà di Bismarck l'Imperatore non si lasciò distogliere dalla politica intrapresa; e che Bismarck sostenesse con tutta l'energia del suo volere questa battaglia é dimostrato chiaramente dai suoi discorsi parlamentari e da altre manifestazioni di quel periodo.
Certo egli lasciò la formulazione giuridica delle singole leggi al Falk e per propria iniziativa avrebbe omesso qualche cosa o avrebbe fatto diversamente; certo egli considerò alcuni provvedimenti come strumenti di lotta, col proposito di non usarli più in tempi più calmi.
Ma diceva sul serio per quanto si atteneva a piegare il clero alle leggi dello Stato e a disabituare la popolazione cattolica dall'obbedire più ai suoi preti che allo Stato nella vita politica.

Quando egli gridò al Parlamento «Noi non andiamo a Canossa», non pensava certo a nessuna condiscendenza o ritirata, ma nutriva piena fiducia di vincere anche questo nemico. Solamente considerazioni, che provenivano da tutt'altra parte, e spostamenti delle forze parlamentari lo costrinsero, verso la fine del periodo fra il settanta e l'ottanta, a deliberare la ritirata.

Una delle maggiori difficoltà del nuovo Impero consisteva nel perfezionamento del suo sistema finanziario. Che le dogane e le imposte indirette nella loro misura attuale non bastassero a coprire le spese dell'amministrazione imperiale apparve presto ben chiaro. Bismarck vagheggiava un'integrazione introducendo il monopolio imperiale del tabacco, come esisteva appunto senza alcun infelice effetto sulla vita del popolo in alcuni Stati limitrofi, e assumendo le ferrovie per parte dell'Impero.
La rete ferroviaria tedesca era allora assai scarsa (1870: 18.000 chilometri di fronte a 58.000 nel 1907) e quasi del tutto in possesso di società private. L'Impero secondo il grandioso disegno di Bismarck, doveva comprare tutte le strade ferrate; e riuscì ad ottenere che la Prussia offrisse le proprie ferrovie all'Impero, perché le comperasse.
Ma non fu possibile eseguire questo disegno davanti all'opposizione dei maggiori Stati tedeschi. Il monopolio dei tabacchi all'incontro arenò di fronte alla ripugnanza dei partiti liberali per ogni aumento degli esercizi di Stato. Dopo che ambedue queste sorgenti di entrate per lo Stato furono cassate, Bismarck non vide altra via per conseguire il suo scopo che quella di accrescere le dogane.

Ora ciò, da qualche tempo, era richiesto dagli industriali, che desideravano di esser protetti contro l'abbondante importazione di merci straniere a poco prezzo sul mercato patrio; e appunto allora incominciarono a invocare la protezione doganale anche i grandi proprietari fondiari, che fin allora erano stati favorevoli al libero scambio.
Il grano americano e russo a basso prezzo inondava il mercato tedesco e avviliva i prezzi; il crescente sviluppo dell'industria faceva riversare i lavoratori dalle campagne nelle città, dove essi trovavano salari più alti, maggior libertà e più godimenti; iniziava la scarsezza della mano d'opera nelle grandi aziende rurali, oppure i salari dovevano elevarsi per trattenerla.

In queste condizioni si cominciò anche nella campagna a invocare provvedimenti statali. Il grano estero doveva essere tenuto lontano con alti dazi, ma anche la libertà di emigrare limitata, e tassata la borsa col motto «l'onesto guadagno del lavoro protetto contro la soffocazione della speculazione e del disordine azionario».
Bismarck non si era mai interessato di questioni economiche, ma gli parve chiaro che fosse desiderabile la maggior possibile indipendenza della Germania dall'estero, e che bisognasse in ogni caso conservare un'industria e un'agricoltura produttiva.

Ora siccome i rappresentanti principali di ambedue questi rami della produzione chiedevano dazi protettivi, e questi al tempo stesso erano l'unico mezzo che rimaneva per procurare all'Impeto le proprie entrate indispensabili, Bismarck decise di sostenere l'accrescimento del dazio.
Il problema ormai si riduceva soltanto a vedere, se i liberali, che per principio inclinavano al libero scambio, avrebbero seguito il cancelliere su questa via, dopo che essi stessi avevano contribuito a impedirgli di attingere ad altre risorse. L'avvenire dimostrò che questo fu il problema decisivo per le sorti del liberalismo.

Poiché due dei collaboratori di Bismarck, il Presidente della segreteria del cancellierato dell'Impero Delbruck e il ministro prussiano delle finanze Champhausen, si dimisero appena si svelarono i piani del cancelliere, vi erano da conferire posti importanti.
Bismarck si rivolse al più notevole condottiero dei nazionali liberali, Rodolfo von Bennigsen, e lo invitò a entrare nel ministero. Era naturale presumere che il suo partito dovesse tener conto del punto di vista economico e politico finanziario del cancelliere.
I nazionali liberali però intendevano di fare una simile concessione soltanto, se parecchi componenti del loro partito fossero stati accolti nel ministero. Essi credevano bene che Bismarck non sarebbe stato in grado di respingere le loro esigenze, poiché senza di essi non avrebbe potuto trovare una maggioranza nella dieta imperiale.
In queste condizioni era impossibile per Bennigsen di entrar solo nel ministero; ciò gli avrebbe alienato il suo partito, e senza questo appoggio la sua accettazione avrebbe avuto per Bismarck un valore ben misero; poiché egli non desiderava tanto la sua persona, quanto il sostegno del suo gruppo.

Appena Bismarck ebbe riconosciuto questa situazione, ruppe con tutti i riguardi le trattative con i nazionali liberali. Egli non voleva certo presiedere un ministero liberale, e inoltre sapeva che il vecchio Imperatore non vi avrebbe mai acconsentito. Il tentativo di accattivare i liberali alla politica economica del cancelliere era andato a monte, e siccome questi non poteva rinunziare al suo disegno, doveva ora ponderare seriamente il pensiero di formarsi una muova maggioranza con la destra e con l'ala dei liberali che le era più vicina.
Ma la condizione preliminare per un avvicinamento alla Destra era che cessasse la lotta per la civiltà, e sul terremo della politica ecclesiastica si temesse più conto delle opinioni ortodosse.

Proprio in queste critiche settimane gli si offrì un'occasione insperatamente favorevole per cambiar rotta. Infatti nel febbraio 1878 morì il Papa Pio IX, e il suo successore Leone XIII, cha passava per un uomo moderato e tranquillo, ma in realtà era uno dei più sottili diplomatici che abbian salito sul soglio di S. Pietro, annunziò la sua elezione all'Imperatore con uno scritto amichevole e manifestò il suo desiderio di una conciliazione nella contesa ecclesiastica.
Con tutto ciò il cancelliere non sembrò allora del tutto risoluto ad acconsentire a questa iniziativa. Era tuttavia incerto quali concessioni avrebbe preteso Roma, e se con l'accettazione di quelle anche l'ala destra dei liberali non si sarebbe alienata dal Governo; ciò che avrebbe reso impossibile la formazione di una maggioranza senza il centro.

Ma non era facile trovare la via per un avvicinamento con quel partito combattuto fino allora con estremo vigore come nemico dell'Impero; e si capisce che Bismarck esitasse sempre.
Ma in quel momento si svolsero avvenimenti, che indussero a una decisione.

Per due volte, a breve distanza l'una dall'altra, vennero eseguiti due attentati, nell'estate del 1878, all'Imperatore Guglielmo. Prima dal degenerato stagnino Hódel, poi da un certo dottor Nobiling; la prima volta l'Imperatore rimase illeso; la seconda riportò varie ferite e temporaneamente dovette affidare la reggenza al Principe ereditario.
Questi attentati contro il Sovrano universalmente amato produssero dovunque una forte commozione. Si domandò come era possibile che dei Tedeschi si fossero indotti ad atti così insensati e indegni, e parvero offrirsi due motivi: il dissolvimento delle idee morali e religiose a causa della lotta contro la Chiesa, e l'eccitamento delle moltitudini contro lo Stato e la Società per opera dell'agitazione social-democratica.

Non può oggi per un uomo ragionevole esservi dubbio alcuno che entrambe le argomentazioni erano false e pretestuose, e che gli attentati erano atti individuali disperati di uomini corrotti. Ma allora, nell'eccitazione del momemto, vi si credeva generalmente e soprattutto vi credevano lo stesso Imperatore e gli ambienti di corte: dove si pretendeva dal cancelliere imperiale che fronteggiasse con maggiore energia di quanto non avesse fatto fino allora gli influssi antireligiosi e antimonarchici.
Gli uni e gli altri si scorgevamo come incorporati nella social democrazia. Noi oggi appena riusciamo a farci una idea fino a che grado fosse diffusa la persuasione che la pura e semplice dichiarazione di opinioni social-democratiche fosse un segno di depravazione morale e civile.

Bismarck giudicò anche la questione sociale sempre secondo la sua complessiva concezione politica. Egli comprendeva benissimo che i lavoratori aspirassero a far valere i loro interessi; ma la loro fede nelle dottrine social-democratiche pareva anche a lui un grande pericolo; nelle elezioni per la dieta imperiale i voti social-democratici erano cresciuti, nei sei anni dal 1871 al 1877, da 102.000 a 498.000 !!
Se le cose andavano ancora più oltre, e il numero dei deputati saliva in correlazione, c'erano da temere seri danni per la difesa e la potenza della Germania.
Le vecchie esigenze democratiche, la trasformazione dell'esercito permanente in una milizia, l'elezione di tutti gl'impiegati per opera del popolo, e l'assoluta dipendenza del Governo dalla rappresentanza popolare, gli apparivamo come la parte più rischiosa del programma social-democratico, mentre considerava le idee più avanzate di una associazione dei mezzi di produzione e di una completa abolizione delle differenze sociali, come utopistiche e praticamente innocue.

Le sue riflessioni come occorresse fronteggiare questo pericolo oscillarono molto a lungo in una determinata direzione. Egli voleva migliorare le condizioni materiali del proletariato mediante l'ingerenza statale e legarlo così più strettamente allo Stato quale era. Ma al tempo stesso voleva reagire alla diffusione di idee particolarmente social-democratiche con l'inasprimento delle leggi penali.
Ambedue questi propositi fino allora avevano incontrato poco. Il suo ripetuto tentativo di determinare il ministero prussiano del commercio alla elaborazione di leggi, che concedessero ai lavoratori quel tanto delle richieste socialiste che apparisse giustificato e potesse essere attuato nell'ambito dell'ordinamento dello Stato e della società, urtava nella tenace resistenza della burocrazia.
La sua premura di ottenere, mediante il completamento del codice penale dell'Impero, i mezzi per processare persone e scritti, che eccitassero all'odio di classe o attaccassero matrimonio, famiglia e proprietà, arenò di fronte all'opposizione dei liberali, che non vollero approvare (1875) questi «paragrafi di caucciù», d'altra parte veramente elastici.

Ora sotto la forte impressione del primo attentato il cancelliere sperava di trovare nella dieta dell'Impero una maggioranza per una legge eccezionale contro la social-democrazia. Ma i più dei liberali erano per motivi di principio contro ogni provvedimento eccezionale; e la legge fu respinta.

Poco dopo avvenne il secondo attentato, il quale provocò una commozione ancora maggiore, poiché l'Imperatore fu ferito, e per il dottor Nobiling, l'attentatore, poteva almeno esser provata la sua conoscenza di scritti social democratici.
C'era da aspettarsi che nuove elezioni in quel momento e con la parola d'ordine: "Difesa dell'Imperatore contro le scellerate minacce alla sua vita" avrebbero prodotto una composizione del Parlamento sostanzialmente diversa, forse avrebbero formato una maggioranza, con la quale Bismarck avrebbe potuto eseguire anche i suoi grandi disegni, fin allora rinviati.

La dieta imperiale fu immediatamente sciolta, e le nuove elezioni portarono d'altra parte a un forte spostamento della forza dei partiti.
I conservatori divennero il gruppo più forte; i liberali perderono un gran numero di seggi; e Bismarck ebbe la possibilità di formarsi una maggioranza o con i conservatori e con i liberali destreggianti, o con i conservatori e con il centro.
I nazionali liberali avevano perduto la loro posizione prevalente; essi avevano ancora soltanto la scelta o di avvicinarsi ai conservatori o di porsi insieme con i liberali di sinistra in risoluta opposizione contro il Governo spingendo così Bismarck nelle braccia del centro.

Essi decisero di fare il primo tentativo per conservare almeno qualche efficacia sui provvedimenti del Governo. Quando Bismarck nella nuova dieta imperiale presentò la legge eccezionale «contro le tendenze della democrazia sociale pericolose per la società», essi combatterono, é vero, singoli provvedimenti, ma accettarono il principio della legge, fin allora impugnata.
Anche dall'altra parte si venne loro incontro; così alla fine dell'ottobre 1878 la legge fu approvata con l'appoggio dei conservatori e dei nazionali liberali. La legge proibiva tutte le associazioni, riunioni e stampati, tendenti a sovvertire l'ordinamento sociale e politico esistente, e conferiva al Governo, innanzi tutto, il diritto per due anni di decretare lo stato d'assedio in quei luoghi, che fossero minacciati da così simili pericoli, di sorvegliare con mezzi di polizia gli agitatori e di dar loro eventualmente il bando.

Ma la vera decisione sull'atteggiamento futuro dei partiti verso il Governo si ebbe, quando Bismarck ebbe presentato la sua nuova tariffa doganale protezionista. Si suppose, poiché c'era da sperarne un notevole accrescimento delle entrate imperiali, che si potesse rinunziare ai contributi matricolari e addirittura si potessero destinare gli avanzi ai singoli Stati.
Bismarck ne sperava un consolidamento dell'idea nazionale, poiché i singoli Stati avrebbero ricevuto così un diretto vantaggio dall'Impero. Era indubbio che i conservatori avrebbero votato la legge. Ma era discutibile la condotta dei nazionali liberali e del centro. I primi inclinavano per principio al libero scambio; però una gran parte di essi aveva capito che l'ostinazione in questa concezione teoretica avrebbe del tutto distrutto la situazione politica del partito; ma avevano anche scrupoli costituzionali.
Essi temevano che l'approvazione di entrate permanenti per un tempo indeterminato avrebbe reso indipendente il Governo della dieta imperiale per quanto concerneva il bilancio; per ciò essi volevano concedere, solo per un breve termine, la fissazione dei dazi. Ciò però avrebbe prodotto gravi danni economici in seguito, poiché industria e commercio dovevano potersi regolare su una più lunga durata di così simili tariffe doganali.

In mezzo al Centro, all'incontro, predominava il dubbio che l'Impero potesse diventare troppo potente di fronte ai singoli Stati. Si desiderava che l'Impero dovesse finanziariamente rimanere dipendente dai singoli Stati. Si domandava, se fra questo desiderio e i propositi del Bismarck fosse in generale possibile un compromesso.
Il cancelliere dell'Impero ben presto trasse dai suoi incontri con i capi nazionali-liberali la convinzione che questo partito si sarebbe diviso nella questione dei dazi protettivi, e che la sua ala destra non sarebbe stata abbastanza forte per ottenere, d'accordo con i conservatori, l'approvazione della legge.
Per ciò incominciò a trattare anche con il Centro. Il suo colloquio col Windthorst del 31 marzo 1879 significò una crisi nella storia del nuovo Impero. Dopo un po' di lotta fra lui e i suoi più accaniti avversari l'accordo fu raggiunto; e conseguito su un compromesso proposto dal barone di Franckenstein.
Il Centro si dichiarò disposto a votare per la tariffa doganale e per l'aumento dell'imposta sul tabacco, purché il ricavato spettasse all'Impero soltanto fino alla somma di 130 milioni di marchi l'anno, e il resto fosse destinato ai singoli Stati, secondo la proporzione della loro popolazione.

Se questi 130 milioni non bastavano ai bisogni dell'Impero, dovevano ristabilirsi i contributi matricolari. Poiché era prevedibile un continuo aumento delle spese dell'Impero, questo momento doveva venir presto. Così con questo progetto fu sì riparato la momentanea difficoltà; ma non veniva durevolmente assicurato l'Impero sotto l'aspetto finanziario.

Bismarck certo non accolse di buon animo questo progetto; per quanto egli sperasse che la "clausola del Franckensteín", si sarebbe potuta abolire, però, in realtà, essa divenne un serio ostacolo per una sana evoluzione delle finanze imperiali.
Appena fu noto questo compromesso, la maggioranza dei nazionali liberali deliberò di votare contro l'intera legge, poiché significava un'offesa della costituzione imperiale. Mentre i conservatori ed il Centro, alleati per la prima volta, fecero passare la legge (12 luglio 1879). Sedici componenti del partito nazionale liberale ne uscirono a causa di questa votazione, poiché reputavano che il partito si sarebbe condannato "così per l'avvenire ad una screditata e sterile opposizione".

In verità l'errore decisivo era stato già commesso con la precedente condotta del partito di fronte ai disegni del cancelliere imperiale. Verosimilmente Bismarck non avrebbe mai spezzato la vecchia maggioranza, né cercato altri alleati, se avesse trovato per la sua politica economica e finanziaria appoggio in essa. Ma ormai i liberali perdevano sempre più d'influenza, si bisticciavano e si suddividevano in sempre nuovi gruppi. A causa della congiunzione doganale di Amburgo, a cui non volle acconsentire, l'ala sinistra, rimasta fedele al libero scambio, si separò dai nazionali liberali e si unì con una parte dei progressisti nel partito progressista tedesco. Poi anche questo presto si divise nei gruppi dell'unione progressista e del partito popolare progressista; un atteggiamento politico unitario dei liberali era cosa ormai molto ardua.

Allorché Bismarck manovrò per avere l'appoggio del Centro, dovette contemporaneamente decidersi ad abbandonare il terreno della lotta per la civiltà. Senza, una simile promessa i condottieri del Centro non si sarebbero adattati a trattare con lui.

Come prima vittima cadde il ministro del culto Falk (1879); il quale fu sostituito da un conservatore, il signor di Puttkamer, e mentre si cercava una forma conveniente per abrogare le leggi di maggio, ne fu subito nella pratica mitigata l'esecuzione; anche il Papa mostrò spirito conciliativo promettendo il consenso alla notificazione obbligatoria per tutti gli ecclesiastici prima della nomina.

Quindi Bismarck si fece dare innanzi tutto, nel giugno 1880, per due anni i pieni poteri per poter dispensare da singole disposizioni delle leggi di maggio. Questi pieni poteri furono più volte rinnovati, e un po' per volta scomparvero l'esame di cultura, il tribunale di Stato e le altre istituzioni del periodo della cosiddetta lotta per la civiltà.
L'educazione degli ecclesiastici fu restituita alla Chiesa, il ritorno dei preti puniti tacitamente permesso, e addirittura ristabilita l'ambasciata presso il Vaticano.
Dopo che lo Stato ebbe ristretto il suo diritto di veto contro la nomina di ecclesiastici ammettendo di poterlo usare soltanto sulla base di atti determinati compiuti nella vita civile o nella condotta civile della persona in questione verso lo Stato, il Papa concesse la notificazione obbligatoria, e nel 1887 dichiarò in una solenne allocuzione che era "finita in Prussia la lotta fra lo Stato e la Chiesa".

Delle conquiste positive rimasero, accanto alla notificazione obbligatoria fortemente mitigata, l'introduzione del matrimonio civile e la proscrizione dei gesuiti. Gli ecclesiastici, destituiti dallo Stato, rioccuparono i loro uffici; ciò che dette già alla fine della lotta, dinanzi alle popolazioni, l'impronta di una vittoria della Chiesa.

A Berlino si era energicamente chiesto soltanto di astenersi dal pretendere il ritorno dei due vescovi, che durante la lotta si erano comportati più violentemente contro il Governo. Gli arcivescovi Ledochowski di Gnesen-Posen e Melchers di Colonia furono sì dal Papa indotti a rinunziare alle loro dignità, ma in compenso vennero promossi ad alti uffici ecclesiastici, ovviamente fuori della Germania.

Il tentativo di assoggettare la Chiesa cattolica alla sorveglianza della Stato e d'infonderle uno spirito compatibile con le moderne tendenze dello Stato e della civiltà, indubbiamente era fallito.
L'aperta lotta era soltanto rimandata, mediante una nuova tregua, ad altri tempi.

Se l'esito della battaglia viene paragonato con i propositi originari del "cancelliere di ferro", bisogna pur dire che Bismarck andò a Canossa, anche se egli non dovette rimanere addirittura a piedi nudi nella neve.
Ma la collaborazione con il Centro si rivelò tuttavia più difficile, più di quanto potesse aver previsto il Cancelliere. Nella persona del Windthorst egli aveva di fronte un diplomatico pari a lui, il quale mirava solo a sfruttarlo ai fini del Centro e a non fargli mai concessioni, se non in quanto venisse ripagato in contanti.
Già quando si trattava di concedere una cifra più alta di uomini, presenti sotto le armi, per un altro settennato, il centro rifiutò il suo appoggio, poiché voleva ogni anno avere la possibilità di contrattare il proprio consenso il più caro possibile.
La legge poté essere approvata soltanto con la cooperazione dei conservatori e dei nazionali liberali. La mancanza di una salda maggioranza parlamentare per il Governo si rivelò soprattutto pregiudizievole, allorché Bismarck venne davanti alla dieta imperiale con la seconda parte del suo programma sociale, con la sua legge sulla previdenza degli operai.

Come tutti i disegni di Bismarck anche questo progetto era grandioso, audace e semplice. Bismarck voleva, come egli diceva, far comprendere alle classi proletarie che lo Stato non era soltanto un'istituzione necessaria, ma anche benefica, la quale offriva pure a loro dei vantaggi.
Ora egli si diceva che il principale pericolo per il lavoratore, che non possiede altro che le sue forti braccia, delle cui attività deve vivere giorno per giorno, stava nella diminuzione della sua capacità lavorativa a causa di malattia, disgrazia o vecchiaia, e che assicurarlo contro questi pericoli era un dovere cristiano, ma anche un dovere politico del Governo.
Egli considerava come il miglior mezzo l'assicurazione obbligatoria presso un istituto diretto dall'Impero.

All'inizio del 1881 egli presentò alla dieta imperiale un disegno di legge, secondo il quale tutti i lavoratori e impiegati occupati nelle miniere e nelle fabbriche, con salari inferiori a 2000 marchi l'anno, dovevano essere assicurati presso un Istituto dell'Impero; la spesa doveva essere sostenuta mediante contributi dei lavoratori e dei padroni, in parte mediante sussidi delle associazioni per i poveri e dei singoli Stati.
L'amministrazione doveva essere affidata all'Impero per rafforzare nei lavoratori la devozione verso l'idea imperiale. La legge era fin da allora concepita come la prima pietra di una più vasta legislazione di previdenza sociale.

Il Cancelliere voleva una buona volta esplorare come si sarebbero atteggiati Governo e partiti di fronte a questa audace ma necessaria concezione. Nel Consiglio federale Bismarck ottenne l'accettazione della sua proposta, ma non così nella dieta imperiale.

I liberali osteggiavano l'assicurazione forzata come "un attentato al libero gioco delle forze economiche"; il Centro e una parte dei conservatori si opponevano all'Istituto imperiale per considerazioni regionalistiche; e volevano sostituirgli istituti d'assicurazione dei singoli Stati. Il Cancelliere non credette di poter acconsentire a questa mutilazione del suo pensiero, e per il momento ritirò la legge.
Sebbene le nuove elezioni nell'autunno del 1881 non modificassero sostanzialmente la composizione della dieta imperiale, Bismarck ritentò di spuntarla con il suo progetto. Per far comprendere a tutti l'importanza della questione egli presentò la discussione in maniera del tutto straordinaria in modo da indurre l'Imperatore Guglielmo a dirigere un messaggio alla dieta dell'Impero.
L'Imperatore dichiarò che sarebbe stata per lui, personalmente, la più alta soddisfazione, se sotto il suo Governo fossero approvate durevoli garanzie per la pace interna, e per gl'indigenti «maggiore sicurezza e abbondanza di assistenza, a cui essi aspirano».

Ma questa ingerenza del monarca parve all'intera sinistra della dieta imperiale come incostituzionale e aumentò soltanto gli orientamenti contrari.
Bismarck fu costretto - per ottener qualcosa - a rinunziare del tutto all'Istituto imperiale e ai contributi di sussidi pubblici; anche gli istituti locali vennero lasciati in disparte: rimase soltanto l'assicurazione obbligatoria che fu poi un po' alla volta estesa a più numerose professioni.

La raccolta dei mezzi occorrenti e l'amministrazione delle casse fu imposta ai padroni professionalmente organizzati. Dei vecchi disegni di Bismarck non rimase che una generale vigilanza e garanzia dell'Impero; in questa forma la assicurazione contro gl'infortuni giunse, dopo lunghe fatiche, in porto nel 1884.

Già un po' prima (1883) era stata approvata la legge riguardo alla cassa per i casi di malattia, presentata più tardi, perché Bismark, tenendo conto degli umori della dieta imperiale, aveva egualmente omesso la collaborazione dell'Impero e preteso soltanto l'obbligo dell'assicurazione.

Nell'anno 1887 la legislazione sociale giunse per il momento a termine mediante l'introduzione dell'assicurazione della vecchiaia e invalidità, che in veste nuova fu ordinata su basi un po' diverse e con scarsa cooperazione dell'Impero.
Indubbiamente tutta questa legislazione é rimasta un'opera incompleta di fronte al piano del suo autore spirituale. Invece di un grande istituto imperiale con una base finanziaria unica era stata creata una serie di casse indipendenti l'una dall'altra, le cui sfere d'azione si dividevano e suddividevano.

Il sentimento di avere un diretto giovamento dall'Impero, che Bismarck voleva infondere negli operai, non poteva in queste condizioni naturalmente mettere radici.
L'assicurazione dei lavoratori contro i pericoli e le incertezze della loro vita si era in verità incamminata, ma non produceva nessuna disposizione più conciliativa del proletariato di fronte all'ordinamento sociale esistente.
I capi socialisti insistevano sempre che questo soccorso, le cui spese i lavoratori dovevano in parte sopportare essi stessi, non rappresentava se non un insignificante acconto in paragone di quello che la trasformazione collettiva dei mezzi di produzione avrebbe loro offerto.
Ma un punto era tuttavia assodato: lo Stato aveva, in linea di massima, rinunciato al suo atteggiamento passivo anche dinanzi alla vita sociale e compreso i suoi doveri e i suoi diritti di fronte all'aggravarsi dei contrasti sociali.
Bismarck, in profonda antitesi all'opinione pubblica e alla teoria dominante, fece trionfare in Germania il concetto che uno dei più importanti compiti dello Stato era il ristabilimento e la conservazione della pace sociale, e che lo Stato avrebbe scosso le basi della sua potenza, se trascurava questo compito; e per ciò l'introduzione della legislazione sociale é stata un fatto decisivo per la Germania e di grande efficacia per quasi tutti gli Stati civili.

La superiore grandezza di Bismarck come uomo di Stato si é pur sempre manifestata, nonostante così numerosi insuccessi parziali, anche in queste lotte, su un terreno, all'inizio a lui ignoto.
Immaginiamo un momento l'Impero, se egli avesse potuto attuare integralmente le sue idee: finanziariamente del tutto intangibile, garantito dall'intero provento doganale, dal monopolio del tabacco e dal possesso di tutte le ferrovie tedesche; dispensando agli Stati particolari i suoi resti, invece di dover mendicare davanti alle loro porte; inoltre nella più stretta unione con l'intero proletariato mediante il grande istituto dell'assicurazione imperiale.

Figuriamoci se la maggioranza dei liberali, avesse assecondato con efficace energia tutti questi piani nel periodo tra il settanta e il novanta, e che Bismarck non avesse dovuto adoperarsi per formare una maggioranza conservatrice clericale: anche la politica dell'Impero e degli Stati particolari avrebbe ricevuto un'altra impronta nel suo atteggiamento complessivo e soprattutto nel terreno della vita spirituale.

Ma in ogni caso, queste lotte attorno alle basi della vita pubblica nel nuovo Impero, che impegnarono tutte le energie, ci mostrano in modo abbastanza chiaro che anche la Germania abbisognava della pace, che anche qui non c'era da pensare subito a una politica dal passo velocissimo e mirante all'avvenire; anche qui - come abbiamo visto fare in Francia - si era contenti di poter ordinare con calma le proprie faccende.

Un po' meno contenti i loro due vicini.

segue:

222. 31) - IL PERIODO 1870-1880 IN EUROPA
* IN AUSTRIA > > >

PAGINA INIZIO - PAGINA INDICE