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META' '800: NUOVE IDEOLOGIE - NUOVE CONCEZIONI


215. 24)- * SORGONO LE NUOVE DOTTRINE ECONOMICHE
* GLI INIZI DEL MOVIMENTO OPERAIO > > >

 

I nessi logici del marxista "Il Capitale" sono difficili. La letteratura filosofica conosce soltanto una sola opera di maggiore complessità dialettica, La critica della ragione pura, di Kant.
Nel centro della dottrina del Marx (
a fondo pagina breve Biografia) sta il concetto del valore: fonte del valore è esclusivamente il lavoro umano.
Che cosa è il valore?
Che cosa é il lavoro?
Delle teorie sul valore del lavoro di Adamo Smith e di Rícardo, più debolmente svolte, non ci possiamo qui occupare.

Riguardo all'esatta determinazione del concetto del lavoro, quale unica energia produttrice di valore, Marx fu invece originale:
«È soltanto la quantità d'un lavoro, socialmente necessario, o il tempo del lavoro, socialmente necessario per la produzione d'un valore d'uso, che ne determina la grandezza del valore. La singola merce vale qui soprattutto come esemplare medio della sua specie. Merci, in cui sono contenute quantità egualmente grandi di lavoro, o che possono essere prodotte nel medesimo tempo di lavoro, hanno per ciò la medesima grandezza di valore.
Il valore d'una merce reagisce sul valore di ogni altra merce, come il tempo di lavoro necessario per la produzione dell'una sul tempo di lavoro necessario per la produzione dell'altra ».

Il valore di ogni merce (o per dirlo più esattamente, di ogni prodotto del lavoro, in quanto è considerato quale merce) si fonda, secondo il Marx, sul tempo medio di lavoro, socialmente contenuto dalla merce. Se il lavoro diventa merce, il valore del lavoro può misurarsi soltanto secondo il tempo di lavoro socialmente necessario per la produzione dell'energia di lavoro. Il problema del tempo di lavoro necessario per la produzione della energia di lavoro è infine un problema fisiologico. La straordinaria ampiezza delle condizioni d'esistenza fisiologiche - con altra immagine, la enorme elasticità della natura umana - non permette una risposta direttamente univoca e specifica a questo problema. Si può rispondere alla domanda con una formula generale. Il tempo di lavoro, socialmente necessario per la produzione della merce- energia di lavoro, è uguale alla energia di lavoro socialmente necessaria per la produzione dei mezzi d'esistenza.

Il valore della merce - energia di lavoro è uguale ai mezzi d'esistenza. Siccome, nelle nostre condizioni di civiltà storica, il valore generale di scambio si presenta sotto la forma della merce-oro, si può affermare che la mercede del lavoro (come incarnazione del valore del lavoro) idealmente corrisponde al prezzo dei mezzi d'esistenza - realmente deve corrispondere.
Se al compratore della merce-energia di lavoro, cioè all'imprenditore, riesce di mantenere e valutare l'energia di lavoro oltre la misura di tempo socialmente necessaria per la propria conservazione, rinnovazione e propagazione, senza restituire al proprietario dell'energia di lavoro il valore sociale del soprappiù di tempo sotto forma di supermercede, allora il paritetico negozio di scambio diventa sfruttamento.

Questo è il senso del marxiano "concetto del supervalore", il senso del "capitalistico sfruttamento dell'energia di lavoro".

Ora si domanda quali positive proposte di organizzazione risultino dal Capitale.
Il defunto economista di Tubinga, professore Alberto Schaffle rileva con ragione che al «Capitale» manca una parte positiva sistematica. Egli dice:
«Mentre oggi il possessore del capitale assume personalmente una parte della produzione totale nazionale per interesse privato, e solo, a così dire, alla contropressione idrostatica di tutti gli altri concorrenti soggiace un'influenza sociale, nello Stato socialista sarebbero i mezzi d'organizzazione di tutta una produzione e una circolatone di beni, cioè il capitale come compendio dei mezzi di produzione, da principio in possesso comune della comunità, i cui organi collettivi, da un lato, terrebbero assieme tutte le forze del lavoro singolo nella struttura sociale del lavoro, e, dall'altro, distribuirebbero tutti i prodotti della cooperazione sociale secondo la proporzione del lavoro compiuto o secondo il bisogno: aziende e imprese private non esisterebbero più, ma lavoro produttivo di tutti, diviso, non privato, in stabilimenti di produzione e di smercio, socialmente ordinati e provveduti di proprietà capitalistica collettiva, con una paga anziché con un guadagno e un salario privato.
Le somme occorrenti per ogni specie di prodotto dovrebbero essere fissate, mediante una continua inchiesta officiale del bisognevole, da parte degli Uffizi di deposito e delle direzioni della produzione e dovrebbero essere poste a fondamento del piano sociale d'esercizio.
Questo é il senso generalissimo del collettivismo in confronto del capitalismo, la quintessenza dell'organizzazione pubblica del lavoro, in contrasto con quella anarchia della concorrenza, in cui, secondo i socialisti, il grande compito dell'assimilazione sociale, la produzione e la distribuzione sociale dei beni non rappresenta nessuna funzione sociale unitariamente cosciente, ma é sottomessa al gioco di una concorrenza anarchica e alla caccia privata per le porzioni maggiori.».

Il « Capitale » non ha influito immediatamente e direttamente sul movimento operaio. La sua solidità dialettica ne fece un fenomeno scientifico di prim'ordine. Ma Marx prestò al proletariato anche un'assistenza scientifico-popolare.
Il manifesto comunistico di Marx e di Engels, che comparve la prima volta nel marzo 1848, fu scritto per incarico della lega comunista internazionale, fondata nel 1836.



“Uno spettro si aggira per l'Europa: lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della vecchia Europa si sono alleate in una santa caccia spietata a questo spettro. Il comunismo è ormai riconosciuto come potenza da tutte le potenze europee. E ormai tempo che i comunisti espongano apertamente a tutto il mondo il loro modo di vedere, i loro scopi, le loro tendenze, e che alla fiaba dello spettro del comunismo contrappongano un manifesto di partito... La storia di ogni società civile sinora esistita è storia di lotta di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in una parola oppressori e oppressi sono sempre stati in contrasto tra di loro, hanno sostenuto una lotta ininterrotta, a volte nascosta, a volte palese: una lotta che finì sempre o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la rovina comune delle classi in lotta... La moderna società borghese, sorta dalle rovine della società feudale, non ha eliminato i contrasti tra le classi... L'epoca della borghesia si distingue tuttavia perché ha semplificato i contrasti tra le classi. La società intera si va sempre più scindendo in due grandi campi nemici:... la borghesia e il proletariato...

La borghesia ha avuto nella storia una funzione veramente rivoluzionaria. Dove è giunta al potere ha distrutto tutte le condizioni di vita feudali, patriarcali, idilliache... non ha lasciato tra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse... non può esistére senza rivoluzionare di continuo gli strumenti della produzione, quindi i rapporti di produzione, quindi tutto l'insieme dei rapporti sociali...

Nel suo dominio di classe, che dura appena da un secolo, la borghesia ha creato forze produttive il cui numero e la cui importanza superano quanto mai avessero fatto tutte insieme le generazioni passate, (ma) le condizioni borghesi di produzione e di scambio, i rapporti borghesi di proprietà, la moderna società borghese che ha evocato come per incanto così potenti mezzi di produzione e di scambio, rassomiglia allo stregone che non può più dominare le potenze sotterranee da lui evocate.

Da qualche decina d'anni la storia dell'industria e del commercio non è che la storia della ribellione delle moderne forze produttive contro i moderni rapporti di produzione, contro i rapporti di proprietà che sono le condizioni di esistenza della borghesia e del suo dominio.
Le forze produttive di cui essa dispone non giovano più a favorire lo sviluppo della civiltà borghese; al contrario, esse sono divenute troppo potenti per tali rapporti (e) minacciano l'esistenza della società borghese.

Le armi con cui la borghesia ha abbattuto il feudalesimo si rivolgono ora contro la borghesia stessa. Ma essa non ha soltanto fabbricato le armi che le recano la morte; ha anche creato gli uomini che useranno quelle armi: i moderni operai, i proletari. Nella stessa misura in cui si sviluppa la borghesia, vale a dire il capitale, si sviluppa anche il proletariato (che) attraversa diversi gradi di evoluzione. La sua lotta contro la borghesia comincia con la sua esistenza... Di quando in quando gli operai vincono, ma solo in modo effimero. Il vero risultato delle loro lotte non è il successo immediato, ma l'unione sempre più estesa degli operai.

Questa organizzazione dei proletari in classe e quindi in partito politico viene ad ogni istante nuovamente spezzata dalla concorrenza che gli operai si fanno tra se stessi. (Ma) nei periodi in cui la lotta di classe si avvicina al momento decisivo, il processo di dissolvimento in seno alla classe dominante assume un carattere così violento... che una piccola parte della classe dominante si stacca da essa per unirsi alla classe rivoluzionaria... Come già un tempo una parte della nobiltà passò alla borghesia, così ora una parte della borghesia passa al proletariato... Tutte le classi che sinora si impossessarono del potere cercarono di assicurarsi la posizione raggiunta assoggettando tutta la società alle condizioni del loro guadagno. I proletari, invece, possono impossessarsi delle forze produttive sociali soltanto abolendo il loro modo di appropriazione attuale e con esso l'intero modo di appropriazione.

Tutti i movimenti avvenuti sinora furono movimenti di minoranze o nell'interesse delle minoranze. Il movimento proletario è il movimento indipendente dell'enorme maggioranza nell'interesse dell'enorme maggioranza.
Che relazione passa tra i comunisti e i proletari in genere? I comunisti non costituiscono un partito particolare di fronte agli altri partiti operai: (se ne) distinguono per il fatto, che nei vari stadi di sviluppo che la lotta tra proletariato e borghesia va attraversando, rappresentano sempre l'interesse del movimento complessivo.

I comunisti sono la parte più risoluta dei partiti operai di tutti i paesi, quella che sempre spinge avanti; dal punto di vista della teoria, essi hanno un vantaggio sulla restante massa del proletariato per il fatto che conoscono le condizioni e l'andamento e i risultati generali del movimento proletario. Le posizioni teoriche dei comunisti non poggiano affatto sopra idee o principi che siano stati inventati o scoperti da questo o quel rinnovatore del mondo. Esse sono soltanto espressioni generali dei rapporti effettivi di una lotta di classe che già esiste, di un movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi.

I comunisti possono riassumere la loro dottrina in quest'unica espressione: abolizione della proprietà privata... Il primo passo nella rivoluzione operaia (è) l'elevarsi del proletariato a classe dominante, la conquista della democrazia. Il proletariato si servirà della sua supremazia politica per strappare alla borghesia, a poco a poco, tutto il capitale, per accentrare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello Stato, vale a dire del proletariato stesso organizzato come classe dominante, e per aumentare, con la massima rapidità possibile, la massa delle forze produttive.
Naturalmente sulle prime tutto ciò non può accadere, se non per via di interventi autoritari nel diritto di proprietà e nei rapporti borghesi di produzione, vale a dire con misure che appaiono economicamente insufficienti e insostenibili, ma nel corso del movimento sorpassano se stesse e sono inevitabili come mezzi per rivoluzionare l'intero sistema di produzione.
Quando, nel corso dell'evoluzione, le differenze di classe saranno sparite e tutta la produzione sarà concentrata nelle mani degli individui associati, il potere perderà il carattere politico. Il potere politico, nel senso proprio della parola, è il potere organizzato di una classe per l'oppressione di un'altra. Se il proletariato nella lotta contro la borghesia si costituisce necessariamente in classe, e per mezzo della rivoluzione trasforma se stesso in classe dominante, e, come tale, distrugge violentemente i vecchi rapporti di produzione, esso abolisce insieme con questi rapporti di produzione anche le condizioni di esistenza dell'antagonismo di classe e le classi in generale, e quindi anche il suo proprio dominio di classe.
Al posto della vecchia società borghese con le sue classi e coi suoi antagonismi di classe subentra un'associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero sviluppo di tutti... I comunisti appoggiano dappertutto ogni moto rivoluzionario contro le condizioni sociali e politiche esistenti (e) lavorano all'unione e all'intesa dei partiti democratici di tutti i paesi. I comunisti sdegnano di nascondere le loro opinioni e le loro intenzioni. Essi dichiarano apertamente che i loro scopi non possono essere raggiunti che con l'abbattimento violento di ogni ordinamento sociale esistente.
Tremino pure le classi dominanti davanti a una rivoluzione comunista. I proletari non hanno nulla da perdere in essa fuorché le loro catene. E hanno un mondo da guadagnare.

Proletari di tutti i paesi unitevi!”

Come qui abbiamo appena letto, il testo inizia con l’evocazione di uno «spettro», termine che compare ben tre volte nelle prime due righe. La frase è una delle più citate dell'intera storia del pensiero politico. Ma non è stato mai sottolineato il significato dell’uso di un termine tolto dal linguaggio della “superstizione” medievale e della caccia alle “streghe”, contro le quali nei procedimenti giudiziari si usava anche la “prova spettrale”, l’asserita possibilità per il demone di impadronirsi anche del corpo del non consenziente” (Giorgio Galli, "Storia delle dottrine politiche”, Il Saggiatore, 1985).

Idee- essenziali del «Capitale» erano già contenute in genere nel manifesto comunista, il quale sottoponeva la storia della società al punto di vista della lotta di classe.
E sono queste: La borghesia seppe strappare la propria potenza allo Stato feudale mediante un'energica lotta di classe. Sotto il dominio della borghesia si formò un nuovo ceto, il proletariato, che nel XIX secolo incominciò a considerarsi come unità di classe storico-sociale!
La lotta di classe tra la borghesia e il proletariato é necessaria; essa matura la rivoluzione. La grande missione storica della borghesia é finita; la degenerazione culturale del proletariato, che venne su dalla civiltà borghese, esige un riordinamento di tutti i rapporti sociali. L'evoluzione storica stessa produrrà la catastrofe. L'estremo svolgimento della civiltà borghese renderà proletaria, in favore di una impercettibile minoranza, la schiacciante maggioranza della popolazione, e con la pratica del suo principio alla fine si distruggerà da sé stessa.

Si tratta della concezione materialistica, per dirlo più esattamente, economica della storia nella sua più rigida impronta, certo non la più matura; una concezione della storia che attribuisce ai rapporti superpersonali, soprattutto all'evoluzione economica, una forza press'a poco autonoma. Non senza ragione il sociologo liberale francese Ernesto Seilliére nel suo «Imperialismo democratico» coniò, nell'occasione di una spiritosissima, polemica contro Marx, la espressione «per la Divinità della forza produttiva», per quanto esso sia nel complesso più piccante che critico.

Nell'anno 1852 si sciolse la lega dei comunisti, che soggiacque piuttosto ai dissensi interni che a una persecuzione internazionale. L'idea però di un'associazíone internazionale operaia su basi comunistiche non si era spenta. L'esposizione mondiale londinese del 1862 e l'infelice insurrezione polacca del 1863 dettero impulso ad un nuovo tentativo di unione internazionale operaia.

Il comizio operaio londinese del 28 settembre 1864 scelse una commissione di operai e di letterati delle varie nazioni, la quale ebbe l'incarico, di deliberare l'organizzazione di una nuova lega internazionale dei lavoratori. Marx e l'italiano Giuseppe Mazzini furono membri della commissione.
Le difficoltà erano notevoli; si trattava di raccogliere per un'azione comune, sotto un'unica bandiera, proudhonisti francesi, cartisti inglesi e lassalliani tedeschi.
Marx, si capisce, indicò «all'associazione internazionale dei lavoratori» scopi comunistici. Con tutta rigidità lui formulò nel progetto di statuto il pensiero che l'emancipazione economica e storica della classe dei lavoratori non era un problema nazionale, ma sociale, la soluzione del quale doveva essere affrettata dall'ordinamento internazionale della classe dei lavoratori.

L'Internazionale si mantenne in forma abbastanza energica soltanto fino al 1872. Le sezioni del Giura, della Spagna e del Belgio incominciarono a rivolgersi verso le idee dell'anarchico russo Michele Bakunin, il quale nel 1868 si pose in cosciente contrasto con Marx con la fondazione dell'eretica «Alliance internationale de la democratie sociale».
Marx conservò la maggioranza. La cooperazione dei gruppi anarchici e socialisti era impossibile, perché in sostanza nessuna programmatica differenza più acuta si può trovare di quella fra socialismo e anarchismo. Dopo un'esistenza vegetativa l'Internazionale, divenuta un frammento, si sciolse nel 1876.

Le moltitudini proletarie erano state poco scosse dalle discussioni quasi accademiche dei congressi internazionali. Esse non erano in grado appunto di vedere durevolmente al di là dei limiti della loro vita angusta, e di superare le forme di organizzazione locali, particolari e nazionali.
Il movimento operaio inglese si avviò quasi appena costituitosi, a forme immediatamente pratiche. Senza spirito speculativo, immune da stimoli di deduzioni politiche ed economiche, si creò gli strumenti della sua emancipazione nelle organizzazioni, sulla base delle maestranze e delle associazioni, e nella carta.
Il principio del moderno movimento inglese delle maestranze può, collocarsi, in quanto si cerchi un anno che faccia epoca, nel 1825, l'anno dell'abrogazione del divieto di coalizione, o nel 1834, l'anno della fondazione della Owenistica "Grand National Consolidated Trade Union".

L'unione nazionale delle maestranze, che comprese in sé le più diverse maestranze e già nelle prime settimane della sua esistenza contava un mezzo milione di soci, mostrò una considerevole energia rivoluzionaria. Ben presto apparve che l'unione nazionale delle maestranze non era sostenuta dalla durevole fiducia dei soci.

Nel 1851 fu fondata la «Società unita dei costruttori di macchine». Essa si occupò esclusivamente dei compiti più diretti; organizzò l'assistenza sociale dei disoccupati; una cassa della maestranza per sussidiare dei membri viaggianti dell'unione, casse sociali per infortuni e per la sepoltura; costituì uno stato maggiore di impiegati della maestranza; e amministrò le proprie finanze in maniera irreprensibile.

L'esempio dell'unione dei costruttori di macchine fece scuola in Inghilterra, nel Continente e negli Stati Uniti. Il movimento politico della classe lavoratrice andò sempre più, fin dal periodo tra il 1860 e il 1870, improntandosi allo spirito corporativistico.
Ciò fu soprattutto possibile, prima che il movimento cartista cominciasse a calmarsi fin dal 1867, l'anno della riforma parlamentare democratica del Disraeli.

Il movimento cartista, che con il 1837 aveva assunto un risoluto sviluppo, era un moto popolare economico-sociale in forma politica. Un agitatore cartista contraddistinse esplicitamente il cartismo come un movimento politico economico sociale;. il suo motto diventò un permanente epiteto del movimento cartista: «Il cartismo non é una questione politica, ma una questione di coltello e di forchetta; il cartismo significa buone abitazioni, buoni cibi e buone bevande, buona esistenza e breve periodo lavorativo ».

La carta popolare del 1836 chiedeva l'abolizione del sistema elettorale, fondato sul censo, e il suffragio universale. È cioè lo stesso pensiero sostenuto con indefessa energia da Lassalle: conquista del potere politico, mediante il suffragio universale, come mezzo, e riforma sociale radicale come scopo.

Il movimento corporativo è in realtà qualcosa di ben diverso dall'agitazione in favore d'uno stato modello comunista degli utopisti francesi, che da ultimo si rifugiarono in America per compiere i loro tentativi in uno spazio più vasto. Diversamente venne su in maniera organica dalla produzione capitalista, il moderno movimento corporativo che si affermò energicamente per entro il diritto economico capitalista, e tra mezzo la concorrenza capitalistica: ma esso é qualcosa di speciale per il suo spirito, e per la sua base democratica.

È pienamente giustificato il fatto di chiamare «i pionieri di Rockdale» i ventotto poveri tessitori di flanella, i quali nel 1844 fondarono in Rochdale una unione cooperativa di consumo: essi sono i padri del moderno sistema cooperativo.

Le cooperative inglesi contavano nel 1898 oltre un milione e mezzo di soci: e nello stesso anno le unioni cooperative di consumo inglesi vendettero merci per una somma totale di 1300 milioni di marchi.
L'elevazione del fisico e morale standard of life del proletariato inglese in fondo non è altro che il merito dell'assistenza delle maestranze, delle cooperative e del cartismo.

Il movimento operaio continentale maturò pure nel periodo post-rivoluzionario notevolissimi inizi. Già il 1832 aveva visto la fondazione della prima unione educativa operaia di lingua tedesca, l'unione educativa operaia di Biel nella Svizzera. Nel 1858 Mazzini costituì le prime unioni operaie, società di assistenza, che si fondavano sul principio del mutato soccorso, e nel 1863 comprendevano 111.608 soci in 453 organizzazioni.
In Francia il Governo di Napoleone concesse ai lavoratori, con la legge del 15 luglio 1850, il diritto di unirsi nelle così dette associations de Secours mutuel; con la legge del 25 maggio 1864 il riconoscimento legale del diritto di sciopero. Nel 1849 il maestro elementare norvegese Thrane iniziò la sua attività, alla quale parecchie centinaia d'unioni operaie norvegesi dovettero la loro esistenza. Nel 1865 si formò a Cristiania un'unione cooperativa di consumo operaia.
Da per tutto incominciarono a formarsi anche speciali coalizioni professionali di lavoratori. La Svizzera vide nel 1858 la fondazione d'una società di tipografi, la «lega dei tipografi»; in Austria si formò nel 1865 l'unione di assistenza tipografica « Hermannia ».

Gli inizi del movimento delle maestranze in Germania rimontano alla metà del periodo tra il 1860 e il 1870; nel 1865 fu fondata la "Fritzsciana" organizzazione regionale di operai del tabacco; nel 1866 una società di tipografi regionale: tutte e due senza un saldo indirizzo politico. Il 1866 è del resto contraddistinto anche da un congresso delle maestranze a Nuova York, e dal sindacato di unioni di mestiere americano-tedesche.

Nel campo del partito progressista stavano le unioni delle maestranze Hirsch-Dunckeriane, fondate nel 1868, secondo un modello inglese, dai liberali Massimiliano Hirsch e Francesco Duncker, le quali partivano dall'idea «di una naturale armonia fra imprenditori e lavoratori»; nella questione dello sciopero prendevano un atteggiamento reazionario, e appunto per ciò si ponevano in un preciso contrasto col programma corporativo del socialista Giovan Battista von Schweitzer, il quale raccomandava «la comprensiva e salda organizzazione di tutto l'elemento operaio della Germania per opera propria e in sé stesso, col fine d'un comune progresso mediante le istituzioni operaie». Il più interessante problema di quel tempo c'è, senza dubbio, offerto dall'agitazione di Ferdinando Lassalle.

Ciò che differenzia Lassalle da Marx e dall'Engels è questo che la sua personalità aveva il consueto stile del caporione operaio, mentre il Marx e l'Engels, questo forse ancor più di quello, lavoravano con un'oggettività non offuscata da nessuna considerazione estetica. Il Lassalle era ebreo, e aveva i difetti della sua razza in alto grado, incominciando da puntigliose esteriorità fino a quell'avvocatesco raffinamento, fino a quella importuna vanità, che toglie alla grandezza la sua sincerità. Eppure con tutto ciò, quale personalità!
La sua più intima natura tendeva al presente, al vivace, all'immediatamente interessante. Nella critica del libro sul Lessing dello Stahr il Lassalle abbozzò il proprio ritratto.

Infatti ciò che ammirava nel Lessing lo possedeva egli stesso: «la preminenza, fattasi coscienza, del subietto sul mondo delle sue tradizioni». Qui il Lassalle ha espresso, in maniera inarrivabile per precisione e brevità, il suo destino. Egli considerava la questione operaia con non minore profondità di sentimento umano che Federico Alberto Lange, del tutto diverso per le sue qualità; il Lange la guardava con silenziosa, calma sicurezza; il Lassalle con irresistibile passione.

Il Marx é sistematico; il Lassalle è, nonostante la sua splendide doti di sistematico, uno storico, e, malgrado la sua acutezza storica, innanzi tutto sempre uomo.
Con tutti gl'impulsi della sua natura dionisiaca egli s'impadronisce «dell'idea del ceto operaio» e «della sua connessione col presente periodo storico» nella più profonda essenza per ritrovare se stesso.
Appunto per ciò il tenore della sua vita oltre modo aristocratico non è paradossale. Il Lassalle si dedicò con incontestabile probità e con «struggente esclusività» alla causa dei lavoratori: ma non come un impersonale servitore, e neppure sotto l'impersonale coazione d'una obiettività scientifica; la sua intima personalità fu innalzata mediante il lavoro per i proletari, poiché la sua intima personalità si risolve in generale con l'agitazione democratico-socialista, e nel contatto col problema centrale di quella età.

Il Lassalle fu il fondatore dell'unione generale del lavoratori tedeschi, la quale sorse il 22 maggio 1863. Egli dette alla sua agitazione un avviamento del tutto socialista. Come comunista scientifico egli non fu originale; ma, per evitare malintesi, un autentico virtuoso della divulgazione, senza possedere per ciò la solidità scientifica.

Come meta politica più immediata della classe lavoratrice egli segnalò il suffragio universale, eguale, diretto e segreto, che doveva assicurare al lavoratore una partecipazione decisiva alla legislazione sociale ed economica; come meta economica più immediata la fondazione di società produttrici operaie con l'aiuto dello Stato, le quali, nonostante il diniego del Lassalle, sembrano avere un'evidente rassomiglianza con gli opifici nazionali di Luigi Blanc, così malamente finiti.
Chiaro era il pensiero nell'acuto contrasto fra l'idea dello Stato del Lassalle di impronta quasi greca e la dottrina dello Stato, manchesteriana, che riconosceva allo Stato soltanto il «compito da vigile notturno» di «impedire gravi eccessi e tumulti di strada».

Il programma socialista del Lassalle si svolse dalla concezione marxista della così detta ferrea legge del salario, a cui egli dette la forma popolare. «La bronzea legge economica» - così il Lassalle nel 1863 nella «sua lettera aperta al Comitato Centrale per la convocazione di un congresso generale tedesco dei lavoratori» - «che nelle presenti condizioni... determina il salario del lavoro é questa: che il medio salario del lavoro si riduce sempre al necessario sostentamento della vita, che è indispensabile, in un popolo qualunque, alla conservazione della vita e alla propagazione. Questo e il punto, attorno al quale, in ogni tempo, gravita l'effettivo salario quotidiano con moto oscillatorio come quello del pendolo».
Poiché un salario più alto significherebbe matrimoni più numerosi, prole più numerosa, ma la formazione d'un «esercito industriale di riserva», che con l'offerta delle braccia rinvilirebbe i salari. Il Lassalle non trovava che un unico mezzo, il quale abolisse il rigore della bronzea legge del salario: «fare del ceto operaio l'imprenditore di se stesso»; abrogare il salariato e il guadagno, e garantire al lavoratore il reddito completo del lavoro.

L'agitazione del Lassalle ha fatto fiasco. Il ceto operaio non lo comprese, e incominciò ad allontanarsi da lui. Il duello alla pistola per amore di Elena von Dónniges fu - nel 1864 - la conclusione cavalleresca della tragedia.

L'industriale di Mulhaus Giovanni Dollfus fondò nel 1853 la Societé mulhosuienne des cités ouvrières. Per quanto si scorga, incominciò con questa impresa quella privata politica sociale degli imprenditori, che oggi comprendiamo sotto il nome di istituzioni per il benessere.
Le colonie operaie del Dollfus erano, considerate in se e per sé, e si capisce, una notevole fortuna in confronto alla miseria delle abitazioni di Rouen e di Lilla. Però non può esservi dubbio alcuno sulle origini psicologiche dell'intero sistema delle istituzioni per il benessere.
Se il Dollfus rese possibile l'acquisto delle case, accanto alla sua carità personale stava come fondamento la speculazione d'incatenare l'operaio all'industria, di suscitare nel lavoratore la coscienza di un proprietario della piccola borghesia, e così di stabilire una solidarietà fra imprenditori e operai, poggiante su comuni istinti psichici.

Il 1869 segnalò per la Germania l'emancipazione del ceto operaio dalla concezione della politica sociale liberale, poiché avvenne la fondazione del partito operaio sociale democratico del Bebel e del Liebknecht. A questo tempo appartengono anche gl'inizi dell'emancipazione femminile proletaria. Già nel 1848 nelle città francesi si lessero notevoli affissi, che circolavano anche in forma di opuscoli. Il 12° bollettino riguarda la questione femminile.
Molti bollettini sembrano risalire a Giulio Favre. Il 12° bollettino era, secondo l'ipotesi dell'editore di opinioni conservatrici, opera di Giorgio Sand; vi si riconoscono facilmente le idee, lo stile, la consueta maniera di una letterata, che da alcuni anni si era dedicata alla difesa del proprio sesso:
«Noi osiamo dirlo: i tentativi del sansimonismo di emancipare la donna avevano un carattere aristocratico. Ma ora non si tratta più di aprire un tempio a poche elette. Spaventosa é la sorte dell'infelice ragazza, che ha in casa un padre malato, una madre derelitta e sorelle affamate; la ragazza cerca lavoro, ma lo trova molto difficilmente. Come? La società non ci offre alcuna possibilità di evitare il suicidio? Oh! certo la prostituzione. Ecco il vizio, a cui invita la disperazione, e che si fa un'arma dei più sacri istinti della donna. La castità verginale é una merce, che si negozia alla borsa della codardia. Sante ragazze hanno preso ad occhi chiusi la via di questo martirio».

Terminata ma non ancora chiuso questa rassegna economico-sociale
passiamo a un'altra panoramica ....

segue:

216. 25) - VITA SPIRITUALE, LETTERARIA, ARTISTICA DEL TEMPO > >

 

**** MARX Heinrich Karl - Filosofo, economista ed uomo politico tedesco (Treviri, 1818 - Londra, 1883). Dopo essersi laureato a Bonn con una tesi sulla filosofia di Epicuro, si dedicò quasi esclusivamente allo studio dell'economia e dei rapporti sociali; nel 1842 venne chiamato a dirigere il giornale Rheinische Zeitung (= Gazzetta Renana), edito a Colonia: il giornale fu soppresso nel 1843 e M. si trasferì a Parigi, dove cominciò a pubblicare i Deutsch-Franzósische Jahrbucher, in cui iniziò i suoi lavori socialisti con uno studio sulla Critica della filosofia del diritto di Hegel. In quest'opera gettò le idee fondamentali della sua dottrina: "...i rapporti giuridici e le forme dello stato non sono tanto uno sviluppo dello spirito umano, quanto una conseguenza dei rapporti materiali della vita".
A quest'opera seguì la Sacra Famiglia, critica dell'idealismo filosofico tedesco, scritta in collaborazione con Engels. Nel '45 M. venne espulso dalla Francia e dovette trasferirsi a Bruxelles, dove pubblicò nel 1847 e in lingua francese, la Miseria della filosofia, critica della Filosofia della miseria di Proudhon, e, nel 1848, un Discorso sul libero scambio.

Nel 1847, sempre a Bruxelles, entrò nella Lega dei comunisti, trasformandone l'organizzazione e fondando anche un' "Associazione degli operai tedeschi" riuscì a dare un vasto carattere internazionale alla Lega. Per enunciare i principi fondamentali del movimento "comunista" (egli prescelse questa parola perchè "socialismo" indicava un movimento borghese, non operaio) redasse, con Engels il Manifesto del Partito Comunista, pubblicato nel 1848 a Londra.

Arrestato e quindi espulso dal governo belga, ritornò a Parigi e poi a Colonia, dove fondò la "Neue Rheinische Zeitung", che ebbe vita dal 1° giugno 1848 al 19 maggio 1849 e fu l'unico giornale che difendesse le posizioni del proletariato. In seguito alla soppressione delle libertà democratiche e al soffocamento delle insurrezioni nel Baden e nel Palatinato al giornale fu vietata la pubblicazione.

Dopo un breve soggiorno a Parigi, M. trovò rifugio a Londra. Dopo il colpo di stato del dicembre 1851, M. pubblicò il 18 brumaio di Luigi Bonaparte e Le rivelazioni sul processo dei comunisti a Colonia. Dopo la condanna dei membri della Lega dei Comunisti si ritirò dall'agitazione politica e si dedicò agli studi di economia, di cui il primo frutto fu Per la critica dell'economia politica. Fascicolo primo (Berlino, 1859), nel quale è contenuta la prima esposizione sistematica della teoria marxista del valore.
Accanto agli studi rigorosi di economia M. non cessò mai del resto, di battersi, in articoli e pamphlets, contro i movimenti reazionari, come il bonapartismo o la politica prussiana. Nel 1864, a Londra, riuscì a far approvare una proposta che da tempo aveva formulato nella sua mente: quella di fondare un' "Associazione Internazionale degli Operai". L'associazione fu fondata, e fu la 1a internazionale, di cui lo stesso M. fu l'animatore fino al 1872. Nel 1867 pubblicò ad Amburgo il 1° volume del Capitale, la sua opera principale, in cui espose le linee fondamentali della sua critica alla società capitalista.
Dopo il congresso dell'Aia (1872) e il trasferimento del consiglio generale dell' Internazionale in America, M. ritornò ai lavori di carattere teorico, di economia ed anche di filologia.

Il pensiero di M, è svolto nella Critica dell'economia politica, in cui si afferma che i rapporti di produzione non dipendono dalla volontà degli uomini, ma corrispondono a un certo grado dello sviluppo delle forze produttive economiche, materiali. Secondo Engels due sono state le grandi scoperte fondamentali di M.: la prima è "la rivoluzione da lui compiuta in tutta la concezione della storia mondiale".
Egli sostenne "che la forza motrice della storia è la lotta di classe, che sono sempre esistite classi dominanti e classi dominate e che la grande maggioranza degli uomini è sempre stata condannata a lavoro duro e a una vita misera e povera e, infine, che la classe dominante, ha praticamente adempiuto la sua missione storica".

La seconda scoperta di M. sta nell'aver spiegato in modo esauriente i rapporti tra capitale e lavoro e la formazione del capitale come frutto del plus-valore.
Il pensiero di M. è mirabile per l'organicità e la concatenazione del suo sviluppo. ****

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