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'800: NUOVE NAZIONALITA' - CRISI NEL PAPATO


212. 22) - LA FONDAZIONE DELL'IMPERO TEDESCO


Otto Von Bismarck (l' "inflessibile" "Cancelliere di ferro") in una rarissima immagine del 1891
(vedi anche la "BIOGRAFIA" )


Il ministro francese Ollivier aveva avuto ragione, quando disse il 2 gennaio 1870 al Corpo legislativo «L'opera del signore di Bismarck non solo durerà, ma si svolgerà ancora, e prima o poi, ma infallibilmente verrà il giorno, che la forte confederazione del Nord e quella del Sud organizzata militarmente secondo il sistema prussiano, si daranno la mano di là dal Meno. Tutte le stipulazioni della pace di Praga, escogitate per impedirlo, sono vane ».

Napoleone III aveva sperato di aver reso impossibile l'egemonia della Prussia in Germania costringendo, dopo la campagna del 1866, Bismarck ad ammettere la formazione di una lega degli Stati meridionali tedeschi, conforme all'esempio di quella tedesca del nord.
Una simile confederazione del sud e in relazione con ciò una triade tedesca era stato il pensiero favorito di Re Massimiliano II di Baviera; ancor poco prima della guerra il ministro von der Pfordten l'aveva raccomandata alle corti limitrofe, e la sollecitazione era stata ripetuta un paio di volte. Dal momento che quel disegno però era stato in certa maniera patrocinato dalla Francia, fu, come confessò il von der Pfordten alla Dieta, considerato con minor favore di prima. Il Bismarck non l'aveva mai temuto quel "ragazzo nato morto!"

Al primo sguardo deve ragionevolmente meravigliare il fatto che così rapidamente alla catastrofe del 1866 potesse seguire un simile cambiamento, prodottosi come abbiamo visto dal 1870 e 1871. Ci si rammenti soltanto questo. Le stirpi della Germania meridionale, che si erano sempre considerate orgogliosamente come il fiore dell'antico Impero, come le "pure" stirpi tedesche, sono impigliate in guerra con la Germania settentrionale: esse credono di aver sicuramente in mano la vittoria, e soggiacciono a una lacrimevole sconfitta.

Non ci sarebbe stato da aspettarsi che i vinti si sarebbero appartati astiosamente e avrebbero per sempre respinto ogni comunanza con i più fortunati vincitori?
Che la divisione della Germania settentrionale e di quella meridionale, tanto più che esistevano profondi contrasti di origine, di lingua, di costumi e di carattere sarebbe diventato un fatto compiuto?
Eppure avvenne il contrario. La spinta naturale verso l'unità tedesca fu più potente di tutte le forze centrifughe. Nella Chiesa di S. Paolo a Francoforte già una volta si era radunata una rappresentanza dell'intero popolo tedesco, e in uno dei suoi decreti aveva chiesto un nuovo Impero con un Hohenzollern come Imperatore; questo fatto non era mai più scomparso dalla mente del popolo, cosicché anche dopo la guerra civile un forte partito nazionale in tutti i paesi tedeschi cercava la protezione di quella salda Potenza, che sola poteva garantire la felice formazione di uno Stato tedesco.

Nel Baden si abbandonavano, nella maniera più radicale, i vecchi pregiudizi. Il granduca Federigo si era, cedendo agli umori della maggioranza del popolo, alleato con i vicini per la lotta contro la Prussia; ma appena che la decisione fu presa, non si lasciò trattenere più dal tener conto delle richieste di una politica nazionale. Egli fu da allora il più fervido rappresentante dell'idea unitaria fra i principi tedeschi.
All'incontro nell'Assia, nel Württemberg e nella Baviera la gran maggioranza della popolazione se ne stava con un po' di astio in disparte. Il Dalwigk, che con stupore generale rimase tuttavia dopo la conclusione della pace ministro dell'Assia, era un accanito oppositore della Prussia. I democratici svevi non cercavano soltanto di assicurare la posizione sovrana dei singoli Stati, ma ritenevano addirittura necessario un atteggiamento ostile alla Prussia nell'interesse della libertà.

Tra l'approvazione generale, il 22 maggio 1867 un amico del ministro, Varnbüler, poté dire nella dieta: «In Prussia bisogna soltanto pagar le tasse, fare il soldato e tenere a sé la lingua!».

Il Re Carlo del Württemberg si era dovuto adattare alla conclusione della alleanza offensiva e difensiva con la Prussia e all'accettazione della costituzione militare prussiana, ma non voleva saperne di altre concessioni.

Ancor più salde radici aveva il regionalismo nella Baviera (con Re Luigi II di Baviera) dove il particolarismo era nutrito anche da tendenze confessionali. Nella clericale Patria la confederazione del nord fu chiamata una confederazione assassina, e fu espresso apertamente il concetto: piuttosto francesi che prussiani!

Siccome la Prussia passava in Germania come potenza protettrice del protestantesimo, la vittoria di Koniggratz era stata considerata da molti nel campo cattolico come una sconfitta. «Costa moltissima fatica», scrisse allora Augusto Reichensperger di Coblenza, «conformarsi a tali consigli di Dio e rifiutare l'opinione che soltanto per secondari rapporti civili valga il diritto, ma che nel complesso la forza, l'astuzia e la frode predominino, e lo scopo e i mezzi non soggiacciano a privilegi religiosi e morali ».

Se tali parole uscivano dalla penna di un Prussiano, di un politico prudente e moderato, può ancor meno meravigliarci che la premura per le istituzioni della Chiesa', che si pretendeva corressero pericolo, provocasse nel cattolico Mezzogiorno umori ostili.
Fortunatamente però nel Württemberg come in Baviera esisteva sotto il ghiaccio del regionalismo una sottocorrente, che cresceva sempre di più; la persuasione che bisognava tener conto delle condizioni esistenti e che la formazione d'uno Stato tedesco non potesse attendersi se non dalla Prussia.

In Baviera contribuirono anche le cattive esperienze, che si erano fatte, durante la guerra, con l'accostarsi alla politica del Beust, ad allontanare gli animi da vedute sorpassate.

«Lavoriamo rapidamente» con queste parole Bismarck chiuse il suo primo discorso nella seduta costitutiva della dieta della confederazione germanica del nord l'11 marzo 1867, «collochiamo la Germania sulla sella; essa potrà subito cavalcare da sé!».
L'attività legislatrice della dieta della confederazione germanica del nord può vantare infatti in soli tre anni più creazioni vitali che la confederazione tedesca dai giorni del Congresso di Vienna fino al suo scioglimento.
Il Governo prussiano si astenne da ogni pressione sugli Stati meridionali tedeschi; la preoccupazione dei Parigini che il Bismarck «con la sua mania giacobina avrebbe a forza imprigionato i Tedeschi nello Stato unitario», era risultata infondata.

Però gli stessi Stati meridionali dovettero cercare un riavvicinamento almeno sul terreno economico. La guerra civile aveva spazzato via i trattati doganali. Dopo la guerra la confederazione della Germania nordica formò un'unità doganale a sé; e i più piccoli Stati del sud correvano pericolo di rimanere isolati.
Questo timore prese il sopravvento sull'antagonismo politico.

Nel giugno 1867 i ministri dirigenti degli Stati meridionali entrarono in trattative col Bismarck intorno al riordinamento dell'unione doganale; e già il mese successivo i trattati erano conclusi.
Con la istituzione di un consiglio federale delle dogane e di un parlamento doganale, che in luogo delle precedenti conferenze generali formavano una corporazione legislativa più unitaria, ci si era considerevolmente avvicinati allo Stato federale.

Le elezioni al parlamento federale mostrarono che la maggioranza dei popolo tedesco non voleva saper più nulla di egoismo dispettoso e di politica solitaria. Anche nel nuovo parlamento si espressero più volte propensioni nazionali. Suscitò profonda esultanza la frase del deputato dell'Algau Vòlck il 18 maggio 1868: «Deve pur spuntare la primavera in Germania!».
Solo con la conversione di vastissime sfere del popolo al pensiero unitario si possono spiegare anche gli eventi dell'estate del 1870 in Germania.

Il Governo francese, per consiglio del Beust, aveva approfittato per la guerra contro la Prussia di un pretesto, che non si collegava per nulla con la questione nazionale tedesca, ma sembrava riguardare una faccenda puramente dinastica.

Però appena che la superbia della Francia si scaraventò contro il vecchio Re di Prussia, scoppiò in tutta la Germania il sentimento nazionale con una violenza elementare.
L'intera Germania si accordava nel concetto che un'offesa della Prussia doveva considerarsi una offesa della Germania. Il Re Luigi II di Baviera, sulla cui indifferenza nelle faccende politiche si era mal calcolato alla Corte di Parigi, prese con ardore l'iniziativa; piuttosto risoluto annunziò il proposito di schierarsi, fedele al trattato, a lato del suo alleato per l'onore della Germania e quindi nel modo migliore per l'onore della Baviera.

Quanto più splendidi successi gli eserciti tedeschi conseguivano sul suolo francese, tanto più vivace diventava in patria la disposizione verso un legame di stirpi tedesche, che le presentasse, di fronte all'estero, quale un'unica potente nazione.
Non meno vivace l'opinione pubblica manifestò il desiderio che si riparasse a quanto nel 1814 e 1815 era stato trascurato, che finalmente fossero riprese le province dell'Alsazia e della Lorena, depredate da Luigi XIV alla madrepatria tedesca.
I politici si dividevano formalmente in due campi; gli uni scorgevano nella creazione d'un nuovo Stato federale, gli altri nel riacquisto delle province perdute la necessità più importante.

Bismarck parve all'inizio non volesse sapere di una mutamento costituzionale; dopo come prima mirava ad evitare anche l'apparenza che si esercitasse qualsiasi costrizione contro gli Stati amici per indurli a entrare in una nuova confederazione. Tanto più risolutamente egli cercò di conseguire una frontiera occidentale strategicamente sicura.
Il corso vittorioso della guerra riuscì ad assecondare il desiderio popolare: e l'incomparabile arte politica del cancelliere riuscì a vincere l'opposizione contro l'annessione dell'Alsazia e della Lorena dentro e fuori della Germania.
Per ciò bisognava farne un Paese dell'Impero per respingere la pretesa della Baviera sui territori alsaziani un tempo soggetti alla signoria dei Wittelsbach.

Pur tuttavia non é accertato che effettivamente la Baviera chiedesse una simile spartizione. Forse sarebbe stato, nell'interesse di una più rapida germanizzazione, più giovevole che il riconoscimento dell'autonomia e della omogeneità delle province riconquistate, concesso «per un necessario riguardo ai sentimenti locali ».

Anche in Germania si levarono voci contro la «spogliazione dell'inerme Francia». Il partito socialista domandò che si lasciasse agli Alsaziani e ai Lorenesi stessi la scelta di una patria, e quindi l'annessione fosse fatta dipendere dal voto della popolazione.
Ma come fosse legittimo e giusto pensare soprattutto alla sicurezza dei propri confini, senza riguardo a un falso sentimentalismo, lo dimostrano le parole che Vittor Hugo nella sua protesta contro la mutilazione della Francia. "La Francia dell'idea e della spada - egli gridò fra l'esultanza della Camera - recupererà presto o tardi non solo la Lorena e l'Alsazia, ma anche Magonza, Treveri e Colonia".
"La pensée immuable" del patriottismo francese era appunto sempre la stessa: dalla Francia sola derivano le benedizioni della civiltà; questa verità deve esser portata a conoscenza di tutti i popoli! Il mezzo della propaganda é sempre la guerra, lo scopo una gloriosa rapina delle altrui terre.
Eppure dalle vittorie tedesche doveva germogliare anche un frutto più prezioso: L' "Unità della Germania" che il geloso vicino aveva voluto impedire proprio con la guerra, tramata con tanta arroganza.

Dopo le vittorie di Metz e di Sedan fu espresso in numerose adunate popolari il voto che la confederazione della Germania del nord fosse elevata con l'accessione degli Stati meridionali germanici a Stato federale tedesco.

Parlamentari progressisti avrebbero voluto fosse affidata a una convenzione costituente lo scioglimento della questione costituzionale, ma un'adunata popolare a Monaco il 23 settembre protestò apertamente contro un simile lavoro secondo il vecchio modello, che non avrebbe se non arrestato e procrastinato la grande opera; essa chiese puramente e semplicemente l'unione alla confederazione della Germania del nord e terminò con un evviva al futuro Imperatore tedesco.

Quale posizione avrebbe preso il Granduca Federigo di Baden non era dubbio. All'incontro il Re Carlo del Wurttemberg promise soltanto di cooperare energicamente a un riordinamento, che «rispettasse in giusta misura l'omogeneità nazionale di tutti i Tedeschi, e l'indipendenza legittima dei singoli Stati».
A un'entrata senza riserve nella confederazione della Germania del nord non voleva aderire neppure il Governo bavarese. Nel settembre le corti di Stoccarda e di Monaco si accordarono di non ammettere, se non una unità di Stato federale assai libera, ma purché «la situazione internazionale, esistente fino allora, fosse trasformata in un nesso giuridico e l'unità della Germania venisse alla luce nella creazione di un potere centrale, di un parlamento tedesco, di una comune legislazione e di un esercito unitario".

Non solo nel proprio interesse questi Governi cercavano di salvare una parte il più notevole possibile della propria indipendenza: essi dovevano pure tener conto della volontà di forti gruppi del popolo.
L'ala sinistra dei patrioti in Baviera scorgeva in ogni procedimento, concorde con la Prussia, il pericolo di evocare il temuto Stato unitario.
La metà della parte più moderata del partito patriottico col presidente della Camera Weis alla testa, era per una unione federativa secondo il modello della vecchia costituzione federale, possibilmente con l'inclusione dell'Austria.

Anche i grandi tedeschi del Württemberg esigevano una nuova federazione «con le garanzie di un vero costituzionalismo».
Ancor più energicamente rigettava la costituzione della confederazione del nord il partito popolare della Germania meridionale.
"A quelle schiatte, che soprattutto pensano alla libertà - si dichiarava in un appello del partito popolare svevo del 9 ottobre - deve darsi la certezza che la Germania abbia a scorgere la propria salute non soltanto in buoni successi guerreschi, ma in un intimo rinnovo secondo lo spirito della stirpe e della libertà».

Un simile concetto della situazione nutriva il partito progressista prussiano, che ora come prima vedeva la salute in un parlamento costituente, mentre il partito progressista bavarese riprovava questa richiesta.
Si vede che le idee intorno agli uffici e affini della nuova unione erano tuttavia sempre molto disparati fra le popolazioni tedesche. Mentre nel sud prevaleva il desiderio di veder conservata l'indipendenza dei vari Stati, l'opinione pubblica nel nord era poco disposta ad ammettere condizioni particolari.
Nell'ottobre i rappresentanti dei Governi tedeschi meridionali si recarono al quartiere generale tedesco a Versaglia, per entrare in trattative sulla questione costituzionale. I plenipotenziari bavaresi, alla loro testa il presidente dei ministri conte Bray, sollevarono ampie pretese: essi esigevano, come Moriz Busch motteggia «un vice-impero per la dinastia bavarese». Infatti più d'una volta le trattative minacciarono di giungere a un punto morto: ciò nondimeno Bismarck seppe sempre trovare una via d'uscita, facendo per quanto si atteneva all'indipendenza degli Stati meridionali così larghe concessioni, quali i riguardi alla forza e alla sicurezza, senz'altro necessarie, del nuovo potere centrale da crearsi.

Tuttavia anche la grande condiscendenza del Bismarck parve non dovesse condurre alla meta. Mentre Re Luigi nel luglio non aveva esitato un momento a chiamare il suo popolo alle armi per la causa tedesca, era, quando se ne dovevano ricavare le conseguenze, incerto e sostenuto.
Predominava in lui, come dice il Bismarck, «la cura per il mantenimento del principio federativo della costituzione dell'impero e dei privilegi costituzionali del suo paese».
D'altra parte, anche egli non poteva nascondersi che i singoli Stati dovevano pure fare dei sacrifici in favore dell'unità. Quando a Monaco giunse la falsa notizia della rottura delle trattative versagliesi, il consiglio comunale deliberò di revocare le somme stanziate per l'illuminazione per le vittorie tedesche.

Egualmente la rappresentanza cittadina di Norimberga levò la sua voce contro una politica, che condurrebbe «al tramonto politico e finanziario del popolo bavarese». Il Governo si vide costretto addirittura a fornire tranquilli chiarimenti. A ciò s'aggiunse la certezza che il Baden e l'Assia avrebbero cercato in qualunque caso l'annessione con la Confederazione della Germania settentrionale, come pure la difficoltà di una unione più stretta con il Württemberg.
Così finalmente anche il Governo bavarese si decise a usare condiscendenza rispetto ai diritti da cedersi al capo supremo e agli uffici dell'Impero. Allo incontro la Baviera conservò la sua autonomia militare interna di pace; la Baviera, il Württemberg e la Sassonia potevano mantenere le proprie legazioni alle corti straniere; la Baviera e il Württemberg non occorreva si unissero all'idea imperiale.

Il 15 novembre furono sottoscritti i trattati per il Baden e l'Assia; il 23 per la Baviera, il 25 per il Württemberg: tutti però con la riserva dell'assenso delle rappresentanze popolari.
A Berlino non si incontrò quasi nessuna difficoltà; il 9 dicembre la dieta della Germania settentrionale accettò i trattati versagliesi. Posta davanti alla scelta o di accettare - mediante riconoscimento di diritti particolari - la Baviera nell'impero tedesco o di fondare l' Impero senza la Baviera, la gran maggioranza si schierò al concetto del Bismarck.
Il 18 dicembre la Dieta della Germania nordica fece pervenire al Re Guglielmo in Versaglia un indirizzo d'adesione, che finiva con le parole: «La Germania unita si é palesata potente e vittoriosa nella guerra sotto il suo Generalissimo; l'unito impero tedesco sarà potente e pacifico sotto il suo Imperatore tedesco».

A capo della deputazione c'era - ciò che il Bismarck segnalava come «un affascinante gioco della storia» - il presidente della Dieta Simson, che anche ventuno anni prima, quale presidente del parlamento spezzettato di Francoforte, era stato il capo della deputazione imperiale. Il confronto fra allora e ora era ben adatto a colmare di orgoglio il cuore del fedele patriota.

Nelle diete di Stoccarda, Karlsruhe e Darmstadt non ci fu almeno nessuna opposizione violenta. Invece, quando l'11 gennaio 1871 i trattati furono sottoposti alla seconda Camera a Monaco, si svolsero tempestose discussioni. Si richiamò ripetutamente l'attenzione sul carico di un esorbitante bilancio militare, sui pericoli per la libertà storicamente perduta nel Mezzogiorno tedesco, sull'umiliazione dei cattolici in uno Stato unitario e così via.

Con tutto ciò trionfò dopo dieci giorni di lotta oratoria, il sano pensiero tedesco; a grande maggioranza furono approvati i trattati; solo 47 deputati espressero il rammarico che il Governo con la sua condiscendenza verso «il così detto» movimento nazionali procedesse su falsa strada e che la rappresentanza popolare bavarese avesse a decadere a impotente dieta provinciale.
Ormel poteva incastrarsi anche la chiave di volta dell'edificio del nuovo Stato. Già fin dall'agosto era apparsa nella stampa l'idea chi il condottiero vittorioso degli eserciti tedeschi dovesse, come un tempo Ottone I dopo la battaglia di Lechfeld, esser salutato quale "Imperator".

Allora il signor di Thiele aveva assicurato al Presidente del ministero bavarese, presente a Berlino, che il conte Bismarck avrebbe sentito sdegno contro simili stravaganze, e si sarebbe dato ordini di soffocarle per l'avvenire.
Tuttavia quando la volontà popolare esigeva sempre più energicamente una nuova confederazione delle varie stirpi con saldo potere direttivo, si presentava come unico adatto e degno compimento dell'opera costituzionale il venerando titolo d'Imperatore.

Certo il nuovo Impero non aveva assunta né i diritti né i doveri dell'antico, e per ciò non si poteva considerare nient'affatto come una continuazione dell'antico; nondimeno l'Impero con il ricordo del più grande periodo della storia tedesca, specie nel Mezzogiorno della Germania, era nell'immaginario collettivo un elemento di attrazione. Lo stesso Re Guglielmo non volle per un pezzo saperne di un riannodamento ad un ufficio, «la cui autorità era stata combattuta da Federigo il Grande, ed aveva oppresso il grande Principe elettore»; egli ne temeva una perdita della reputazione dell'avita corona prussiana.

Anche il principe ereditario all'inizio stimava poco un titolo, che il Sybel, il Freytag, ed altri ferventi amici dell'egemonia prussiana per motivi storici e costituzionali avevano fino allora sempre stigmatizzato. Egli pensava chi il vittorioso accrescitore dell'Impero dovesse innalzarsi a "Re dei Tedeschi", mentre gli altri dinasti tedeschi avrebbero dovuto accontentarsi di nuovo del titolo ducali.
Però anche in questa questione Bismarck preferì di attirarsi il rimprovero di debolezza, anziché prendere un atteggiamento aspro e violento contro molto benemeriti alleati. "Il trionfo (troppo ostentato) della forza della Prussia in quel momento sarebbe divenuta la debolezza della Germania futura".

Anche nel campo dei principi si fece strada la persuasione che la rinascita dell'Imperatore e dell'Impero avrebbe corrisposto il meglio possibile tanto ailoro interessi, quanto ai desideri nazionali.
Una lettera del granduca del Baden al Re Luigi II richiamò nei primi di novembre alla questione dell'Imperatore.
"Gloria imperitura" - così si dimostrava in essa, si sarebbe congiunta al nome del Re, se «la sua ardita iniziativa avesse fatto sì che i gravi sacrifici della nazione fossero in ultimo premiati e coronati con l'offerta della dignità imperiale al canuto Re eroico».

Quantunque il granduca insistesse nell'idea che occorreva una «pronta azione prima che giungesse il momento, in cui l'azione apparisse soltanto una conseguenza d'una strapotente pressione dal basso», il Re esitava.
Tutt'al più gli sembrava accettabile un Impero elettivo.
Quando il problema dell'Imperatore minacciava di andare a vuoto per il silenzio della Baviera e per la repulsione del Re Guglielmo, Bismarck in persona diresse uno scritto a Luigi II.
Con un assennato calcolo intorno all'indole del giovane Re egli spiegò che sarebbe stato molto più conciliabili con la legittima coscienza di sé dei singoli Stati il fare concessioni a un Imperatore tedesco che a un presidente prussiano della confederazione.

Allora il Re si piegò e rivolse, conforme al concetto del cancelliere, al Re Guglielmo l'invito, perché accettasse la dignità imperiale. Ma nuove difficoltà nacquero nella formulazione del titolo imperiale.
Il Re Guglielmo rifiutava "l'illegittimo" titolo di "Imperatore tedesco" e voleva chiamarsi "Imperatore di Germania", mentre Bismarck per riguardo alla sovranità dei principi federati si opponeva ad una più completa attuazione del titolo.
Al contrasto fu posto fine solo il giorno della proclamazione, poiché il granduca del Baden rivolse semplicemente all'"Imperatore Guglielmo" l'evviva, che era stato incaricato di proferire.

Il 14 gennaio 1871 Guglielmo annunziò ai principi e alle città libere l'accettazione della dignità imperiale, «non conforme a quelle pretese, per la cui effettuazione, nei tempi più gloriosi della nostra storia, fu costituita la potenza della Germania col danno della sua evoluzione interna, ma col fermo proposito, per quanto lo permetta la grazia di Dio, di essere, come principe tedesco, il fedele protettore di tutti i diritti ».

Il 18 gennaio - il giorno era stato scelto, perché quel medesimo giorno 170 anni prima il principe elettore Federigo III si era posta sul capo in Konigsberg la corona regia - avvenne in Francia nella grande sala degli specchi del Castello regio di Versaglia ....

 

...davanti alle immagini, che esaltano le sconfitte e l'avvilimento della Germania, la solenne proclamazione del nuovo Impero alla presenza di numerosi principi e di rappresentanti militari e civili di tutti gli Stati tedeschi.

Fu il canto finale, il colmo di un'epopea senza pari, un'ora sacra nello sviluppo storico della Germania. Un Impero tedesco era di nuovo - come al tempo degli Ottoni e degli Staufen - il cuore della vita degli Stati europei.

La corona imperiale, come simbolo del potere centrale, era tornata alla casa di Hohenzollern; ma non fu in modo alcuno connessa con l'ideale politico dell'Impero germanico-romano.
Gli errori dell'antica età imperiale non possono assolutamente ripetersi; una dinastia protestante non potrà mai elevare pretese teocratiche.

Gli Hohenzollern aborrirono sempre dall'avventura romantica; essi non correranno mai dietro a disegni carolingi. "Anche lo spirito del popolo tedesco, la costituzione e le istituzioni militari escludono ogni abuso della forza", come annunziò l'Imperatore Guglielmo nel suo primo discorso della Corona il 21 marzo 1871, «quel rispetto, che pretende per la sua propria indipendenza, lo tributa volenterosamente anche all'indipendenza di tutti gli altri Stati; il popolo tedesco vuole dimostrarsi vittorioso solo nella gara del lavoro... Come si conviene al genio tedesco; potente senza esagerazioni: cosciente senza arroganza: pronto e zelante in tutte le opere della pace e della disciplina".

 

Lasciamo ora - per il momento - queste conclusioni di guerra
e occupiamoci ora delle condizioni generali nello stesso periodo in Europa.
Il Movimento operaio e il capitalismo, lo sviluppo dell'industria,
la vita spirituale e la letteratura, l'arte e la musica.

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