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L'EUROPA FRA DUE RIVOLUZIONI - ( 1830-1849 )


196. 5) - AUSTRIA, PRUSSIA E GERMANIA NEL PERIODO
TRA IL 1840 E IL 1848

 

Dopo la salita sul trono dell'incapace imperatore Ferdinando (1836), in Austria la direzione della cosa pubblica fu nelle mani di una così detta conferenza di Stato, a cui appartenevano, sotto la presidenza dell'arciduca Lodovico, l'erede presunto del trono arciduca Francesco Carlo, il principe Metternich e il suo rivale conte Kolowrat.
Questo organo, immaginato come componimento di pretese personali e di interessi esistenti, rappresentava, ancor meno di quanto fosse avvenuto al tempo di Francesco I, un concentramento delle somme autorità dello Stato.
Il conte Kolowrat avrebbe volentieri posto mano ad una riforma amministrativa, la quale andò a monte per la caparbietà dell'arciduca Lodovico, quantunque il Metternich da ultimo avesse fatto tacere i suoi scrupoli.

Nella politica interna la polizia segreta rimase la più importante espressione dell'autorità statale. È noto a tutti a quale vuoto essa avesse condannato ogni valore spirituale di qua dalla Leitha. La vita ristagnava, escluso (ovviamente) quanto concerneva l'esercito, il cui effettivo venne continuamente ringiovanito.
Per ciò che riguarda le comunicazioni il saggio presidente del consiglio delle finanze Kùbeck sostenne felicemente la costruzione di ferrovie statali (1843), un po' più tardi anche la istituzione del telegrafo.
La trasformazione, più volte proposta dai ceti nobiliari, dei rapporti dei contadini, soggetti alla decima e alla prestazione di servizi, verso i loro nobili signori terrieri nei paesi tedeschi e cechi, fu vista di malocchio dall'alto, e lasciata in disparte.

Tentativi per una riforma delle tariffe furono sterili di risultati. Per l'elevazione efficace del ceto degli impiegati non si concluse nulla. Le diete provinciali, quasi del tutto composte di nobili, non avevano alcun valore politico ed erano inascoltate, quando, come fece nel 1843 quella dell'Austria inferiore, richiamarono l'attenzione su qualche guaio.
Eppure la loro condizione doveva, anche agli occhi del Metternich, possedere del valore, quale rappresentanza delle province, che con i loro rapporti storici con la dinastia formarono lo Stato.

Se si inaridivano i resti dell'organismo dei ceti, l'amministrazione imperiale si trovava immediatamente e da sola di fronte alle singole nazionalità dell'impero. Subito prima della rivoluzione il desiderio di rafforzarle si era manifestato anche nel Metternich, il quale pensava a una giunta, formata di vari ceti in Vienna. Ma ogni cambiamento dell'ordine esistente sembrava pericoloso. Ciò che un tempo era apparso, agli occhi dei dirigenti dello Stato, come un privilegio della veneranda «parte superiore dell'edificio europeo», la rocca contro ogni cambiamento, si era trasformata da un principio di forza in un elemento di debolezza, anzi in una sua disgrazia.

Come rendeva discordi fra loro i governanti, l'arrogante respulsione delle più svariate pretese dissolveva del tutto la fiducia delle nazionalità dell'impero multilingue, verso lo Stato e fra loro. Nei paesi ereditari tedeschi, dove gli elementi germanici si sentivano tuttavia la nazionalità prevalente nell'esercito e nell'amministrazione, il desiderio delle persone colte si era nel 1845 palesato in una petizione, perché si modificasse la censura.
Da due anni le discussioni politiche si erano rianimate a causa di uno scritto, comparso in Amburgo, di un aristocratico austriaco, il barone di Andrian.
Anche la letteratura, in quanto esprimeva idee politiche, era riuscita a riprendere fiato, anche se soltanto fuori dell'àmbito giallo-nero.

Ma l'isolamento da allora in poi era spezzato; ciò che eccitava la Germania in tutte le sue profondità non poteva rimanere inosservato sul Danubio e nelle Alpi. Già alcuni moti nazionali fra le popolazioni non tedesche della monarchia davano impulso al formarsi di una coscienza propria. Dopo un lungo periodo di riposo il suolo boemo aveva prodotto una letteratura ceca con un'abbondanza inaspettata. Alle leggende e alle poesie del periodo primitivo, in parte falsificazioni, tennero dietro col medesimo scopo di risvegliare la nazionalità ceca opere filologiche e storiche.
Ben presto il movimento erudito, espresso con intenti nazionali, agitò strati più profondi del popolo. Le diete arrivarono a chiedere energicamente la restituzione di antichi diritti. Il popolo ceco incominciò a sentirsi una parte del grande mondo slavo.

Un consimile fenomeno si verificò fra gli Slavi meridionali nella Croazia, nel Littorale e altrove, dove si voleva fondare l'unità linguistica iugoslava dell'illirismo. Con ritmo assai più vivace si era mosso lo spirito politico dei Magiari, senza che fosse giunto nei parlamenti dal 1839 in poi alle riforme richieste dall'opinione pubblica. Ma dalla tribuna echeggiava più forte e più vastamente quanto prima era stato espresso nella letteratura o in riunioni professionali.
Alcuni magnati, chiaroveggenti rappresentanti di quei 700.000 nobili, ai quali fino allora si era quasi soltanto ristretta la vita politica, come Francesco Deak, tendevano ad allargare i diritti politici in favore del ceto dei borghesi e dei contadini, ma desideravano soprattutto di dare libertà e proprietà a quest'ultimi. Anche questi riformatori liberali chiedevano per il parlamento il riconoscimento del diritto di approvare le imposte.

Di fronte all'inutilità degli sforzi per l'emancipazione e l'organanizzazione si formò, sotto l'influsso del fecondo avvocato Luigi Kossuth, nel '40 circa, un partito democratico, che aspirava con l'abolizione dei privilegi della nobiltà nei comitati e nel parlamento a un Governo puramente nazionale.
Da quando il latino, quale lingua del parlamento, ebbe ceduto il campo al magiaro, le teste dei Magiari si riempirono di presunzione nazionale contro gli altri abitanti del regno, Tedeschi, Croati, Serbi e così via.
Per l'opera di L. Kossuth fino dal 1843, almeno nel giornalismo, si fece avanti un elemento democratico. Essendo inetti a rimediare dall'alto alle lamentate deficienze, si ritentò da Vienna fino dal 1844 di farlo con un regolamento burocratico-militare delle cellule del corpo politico, degli autonomi comitati.
Il frutto di questo sforzo fu la mossa verso sinistra nelle nuove elezioni del 1847.

In Italia la dominazione austriaca nel Lombardo-Veneto doveva sempre più apparire dolorosa come signoria straniera, quanto maggiori progressi nei restanti territori della penisola faceva in quegli anni il concetto d'un concentramento nazionale.
La Galizia era commossa dalla tendenza dell'avviamento polacco nazionale-democratico a restaurare la Polonia. Quando il tentativo (fatto al principio del 1846 da Posen) di una sollevazione fu immediatamente represso con l'imprigionamento dei caporioni, subito dopo crollò il Governo della città libera di Cracovia, eretto al congresso di Vienna, dinanzi ai ribelli.
Le grandi Potenze orientali soffocarono questa rivoluzione. Ma, in grazia della debolezza del Governo austriaco, nella Galizia i contadini ortodossi d'origine rutena osarono, in mezzo ad abominevoli delitti agrari, levar la testa contro i loro signori terrieri polacchi.

Ciò che in segreto, dal 1835, passava per la mente delle grandi Potenze orientali, l'annientamento della città libera di Cracovia e il suo incorporamento nella monarchia asburghese, fu una delle conseguenze del moto del 1846.

In Prussia il Re Federico Guglielmo IV era successo nel 1840 al padre. La sua reazione dall'alto si dovrà imputarla, in parte, al fatto che il vecchio Stato burocratico, odiato a destra e a sinistra, non poté durevolmente conservarsi nella sua ristrettezza d'idee. Al geniale Hohenzollern, lo Stato, creazione degli antenati, con tutta la sua dominante burocrazia, col suo codice civile, con la sua eguaglianza dinanzi alla legge, apparve sempre un incomodo ingombro nella sua stessa via.
Pieno del concetto mistico di una potenza divina destinata solo nei Re, egli confidava che avvedimento e volontà avrebbero rimodellato la creazione dei secoli secondo lo spirito cristiano germanico, in realtà romantico.

Ma il suo delicato senso della responsabilità indietreggiò molto spesso, nel momento di operare, dinanzi alla resistenza, sebbene egli non rinunziasse mai alla sua saccenteria. Egli non soffrì che i suoi migliori consiglieri, concordi con lui nelle linee fondamenali dell'azione, si ritirassero dall'ufficio, pur confidando di assoggettarle queste azioni al suo volere.
Egli mostrava a ben giudicare un'intelligenza superiore: ma spingeva, senza riguardo, gl'ingegni che attirava a sé, ad un'attività poco corrispondente alla loro natura e attitudini. Il sentimento popolare, pur vivendo in uno Stato poliziesco, aveva all'inizio salutato con giubilo il Re; il popolo non aveva badato al rovescio della medaglia nè a quel suo umore così alternante; si era immaginato d'accordo con lui, quando egli parlava di libertà con magnificenza di parole.

Una serie di benevoli provvedimenti in favore delle vittime dello Stato poliziesco, in quanto concerneva la religione e la scienza, come pure la scelta dei suoi consiglieri ingannarono da principio proprio quei circoli, che reputavano necessario rimpiazzare il duro governo del gabinetto regio con un ministero unitario accanto ad una rappresentanza popolare.
Ma ben presto apparve manifesto che il Re non desiderava una così simile libertà costituzionale, sebbene considerava e voleva, proprio contro la corrente dei tempi, consolidare l'assolutismo regio mediante le libertà medioevali delle classe per lo sviluppo dello Stato in accordo con l'ordinamento divino.

È fuori dubbio che egli all'inizio era risoluto a concedere ai suoi Prussiani le libertà delle classi. Ma come egli, ben presto atterrito, restrinse le iniziali azioni della censura, non la spuntò con i suoi disegni di privilegi di classe a causa della contraddizione con sé stesso, del suo fratello e successore, allora assolutista e militarista, del suo contorno e delle voci ammonitrici di Pietroburgo e di Vienna. Dopo che egli nel 1842 ebbe compiuto il tentativo con giunte delle diete provinciali, pubblicò il 3 febbraio 1847 la patente, che convocava per l'11 aprile a Berlino gli stati delle otto province in una dieta unica.

Quale sorpresa, quando, di mezzo a quest'assemblea feudaleggiante, risuonò irriconoscibile la voce di un popolo affatto moderno, che per la sua intelligenza e il suo benessere aspirava ad acquistare valore politico.
Risoluta a tutelare i diritti di classe, che del resto derivavano dalle promesse regie, la dieta chiese l'impegno di esser convocata periodicamente. Il Re, cui appariva un abominio anticristiano quanto ricordava una costituzione che vincolasse la corona, non ne volle sapere; e negò alla dieta, convocata, per spontanea grazia sovrana, a consigliare la corona, il diritto di considerarsi quale rappresentante del popolo.

I deputati non volevano, nella loro maggioranza, considerarsi come gli stati generali, previsti dalle leggi antecedenti dei Re assoluti; quindi rigettavano, nonostante il loro accordo sull'utilità delle proposte, tanto la garanzia degli interessi per una ferrovia dello Stato da Berlino a Konigsberg, quanto una legge sulla fondazione di tesorerie provinciali.

In questa dieta gli aristocratici della Prussia orientale e della Vesfalia parlavano poco diversamente dai rappresentanti renani della borghesia: L'umore della maggioranza faceva eco all'accusa del Camphausen rispetto alla crisi di quell'anno, che la storia avrebbe giudicato fra il Governo e la dieta.
Il Re si ostinò nel suo «no », finché non fu troppo tardi.

Se il primo parlamento prussiano era finito con una stonatura, il mondo d'idee, in cui il Re si muoveva, era purtroppo anche in altre importantissime questioni l'opposto di quello che i tempi (il fatto doveva dimostrarlo prestissimo) esigevano.

Così andò a vuoto il tentativo del ministro del culto Eichhorn per la creazione di uno statuto sinodale della Chiesa evangelica a causa del suo amalgama con disegni favoriti eterogenei; solo il consiglio superiore ecclesiastico fu pronto.
Il Re era ben tollerante; ma più verso le Chiese che verso gli individui. Ciò che si vedeva suscitava il sospetto della manipolazione dell'opinione e dell'oppressione delle convinzioni. A questo risultato, nel complesso, contribuivano gli sbagli nella politica ecclesiastica e scolastica, come pure l'accrescimento di impressioni d'insoddisfazione, sia che si trattasse della limitazione dei motivi di divorzio, contemplati nel codice civile, sia che si trattasse della questione dell'obbligo spirituale catechistico, massime di
fronte ai così detti liberi pensatori.

Invece, nonostante gli sforzi del principe di Prussia, non si ottenne nulla di serio per lo sviluppo della potenza dello Stato, mentre la necessaria continuazione delle riforme dello Stein e dello Hardenberg si faceva attendere. Il sentimento tedesco di Federico Guglielmo é superiore ad ogni dubbio. Egli eseguì, con l'aiuto del suo amico, il generale di Radowitz, dei progetti per riformare la costituzione dell'esercito federale, il sistema dei traffici, anzi l'estensione della lega doganale alla confederazione, la cui riuscita avrebbe portato al risolversi del prussianismo nella confederazione tedesca.

Queste idee prescindevano da ogni pretesa di egemonia prussiana. Nè la vetusta preminenza della casa d'Asburgo, né i diritti sovrani dei principi della confederazione avrebbero potuto diminuirsi altrimenti che per il meglio di tutti. Ma anche così egli non poté superare i contrasti che si opponevano al trionfo della causa in Vienna e altrove. La personalità di Federico Guglielmo, che come uomo irresistibilmente avvinceva gli spiriti addirittura più nobili, dall'alto del trono, rimase incompresa, anzi addirittura isolata dal suo popolo fedele, gagliardo, maturo, a causa d'un baratro, formato di opinioni e di malintesi.

La venerazione patriarcale per la persona del sovrano e per gli appartenenti alla sua casa, così caratteristica per la capitale prussiana ed ancora così efficace sulla fine del regno precedente, vacillò alquanto. Questo contrasto ha fatto sì che solo in un periodo posteriore si comprendessero bene i suoi meriti indubitabili sul terreno dell'arte, per esempio, la ricostruzione del duomo di Colonia.

Soltanto all'ostinatezza dell'Annòver contro gli interessi del Brunswich rispetto alla congiunzione ferroviaria e alla costruzione di alcune strade si deve ascrivere il fatto che nel 1842 il ducato di Brunswich entrò nella lega doganale. La speranza di ottenere ormai l'unione di tutta la Germania settentrionale nella lega attirandovi l'Annòver e l'Oldenburg, e quindi di costituire il mare del nord, forse con la riserva di farne un territorio a porto franco, quale frontiera doganale, rimase a lungo insoddisfatta. La contesa letteraria, che si scatenò su questo proposito, non servì davvero ad assicurare l'influenza prussiana nella Germania nordica.

La rimanente Germania da ciò che avveniva in Prussia e della Prussia non ritrasse un immediato avanzamento politico. Il concetto di un'egemonia del sovrano prussiano, come l'avevano considerata Paolo Pfizer e altri, presupponeva tuttavia ciò che si diceva il trapasso della Prussia nella Germania, e sbigottiva dinanzi alla congiunzione della Germania allo Stato organizzato della Prussia. Tanto più imbarazzantemente o pungentemente gli errori, affatto incompresi, d'una personalità come Federico Guglielmo dovevano esercitare efficacia su i circospetti nelle faccende politiche.

Così lo spirito tedesco seguì vie diverse. Fuorviato dalla superbia sovranità dei principi sul terreno della sicurezza nazionale e senza certezza d'un progresso legale nei singoli Stati, fra la minaccia della dieta federale, che si dichiarava incompetente, l'opinione liberale nelle diete provinciali aspirava ad una rappresentanza popolare tedesca per la difesa della libertà legale. Ma con ciò non erano esaurite le aspirazioni spirituali.

Nel Baden, come anche nella Sassonia, la repubblica era, nel segreto, lo scopo di piccoli gruppetti: lettere di emigranti d'America, relazioni con i rivoluzionari in Francia attizzavano questo fuoco segreto. Dal 1839 la vita politica era ritornata più vivace: un po' troppo forte a causa del traffico accresciuto per la costruzione di ferrovie.
Acquistavano gran voga regolari convegni dei capi dell'opposizione liberale nelle diete provinciali per consigliarsi sui passi da muovere, secondo un'intesa comune. Vi comparivano tanto i costituzionali, quanto i radicali.
Poiché Tedeschi di ogni paese venivano in relazione personale, pure le riunioni dei naturalisti e, nel periodo tra il '40 e il '48, i congressi dei germanisti hanno un sapore politico. Anche gli avvenimenti d'indole religiosa ebbero efficacia nell'avvicinare gli animi fra loro.

Inoltre non era privo di valore per la nazione il fatto che dallo Heine in poi i suoi poeti si erano atteggiati a politici. Nonostante un'intima diversità dei cantori, gli assalti di Hoffmann von Fallersleben, dello Herwegh e del Freiligrath colpivano le medesime piaghe. Così, sia pure con diversa forza, una gran parte di coloro che si potevano chiamare semi colti, passati in un modo o in un altro all'opposizione contro l'ordine di cose esistente; stava aspettando importanti avvenimenti alla morte di Luigi Filippo.
Sono sintomi d'un malcontento ancor più indefinibile tumulti, come la rivolta di Lipsia (1845) e soprattutto la sedizione dei cittadini e degli studenti
di Monaco dalla fine del 1847 in poi contro il real protettore, fino allora non disamato, della audace ballerina Lola Montez.

La forza di resistenza dell'autorità si rallentò qua e là sensibilmente, perché i governanti appena osavano di fare assegnamento sul consenso dei loro sudditi, quando minacciasse un pericolo dall'esterno.
Non invano Federico Guglielmo dalla fine del 1847 ripeteva a Vienna le sue esortazioni per una riforma della confederazione. Indizi vari, all'esterno come all'interno, ammonivano di procedere a una più stretta unione.

L'infrazione del diritto a Cracovia, l'acuirsi della fortunosa questione dello Schleswig-Holstein, le lotte dottrinali nella Svizzera commuovevano la coscienza della nazione. In Italia cresceva il fermento. Le teste si riscaldavano sempre più; gli ammonitori levavano sempre più alte le loro voci fra il popolo. I moderati si creavano un organo nella Gazzetta tedesca, diretta dal Gervinus. Un campione della nazionalità tedesca nel significato migliore, Carlo Mathy, sulla fine del 1847 chiese in un'assemblea di capi liberali in Heppenheim la trasformazione della lega doganale prussiano-tedesca mediante un parlamento doganale accanto ai vari governi, come nocciolo d'una nuova Germania.

Al principio di febbraio del 1848 nella dieta badense un deputato fece la richiesta d'una rappresentanza popolare alla confederazione. L'insufficiente debolezza dell'organismo della confederazione si era di nuovo palesata, quando nel 1846 vecchi contrasti tedesco-danesi minacciarono di acuirsi in un conflitto internazionale.
La congiunzione dei paesi tedeschi dello Schleswig e dello Holstein insieme col Lauenburg alla corona straniera della Danimarca era un retaggio del passato ed era stato sanzionato dai trattati del 1815. Il beneficio per ambedue le parti derivante dalla loro unione era cessato, giacchè la Danimarca, spogliata della Norvegia, si sentì obbligata a sfruttare più energicamente e intensamente le forze dei ducati.

Questa politica della monarchia assoluta aveva, urtato in una certa resistenza per opera degli stati locali dello Schleswig e dello Holstein, ma nella dieta tedesca, in massima parte per prevenzione legittimista, non era stata compresa per nulla. Del resto, soltanto lo Holstein apparteneva alla confederazione, mentre lo Schleswig con la sua popolazione danese nel nord era libero da questo legame. Secondo antichi privilegi ambedue i ducati, quantunque fossero della linea oldenburghese dei Re di Danimarca, formavano Stati autonomi e indivisibili fra loro.

Le esperienze dell'ultima generazione, la maggiore operosità del periodo tra il '30 e il '40 causarono una maggiore propensione verso la Germania, insieme con la richiesta di una costituzione, fondata sugli stati generali, che garantisse l'omogeneità d'ambedue i ducati. Il vessillifero letterario era il balivo Uwe Iens Lornsen a Sylt.
All'incontro in Danimarca s'era formata una così detta corrente danese dell'Eider, che lavorava per conseguire una costituzione, a cui voleva assoggettare almeno lo Schleswig, eccettuando lo Holstein come paese subordinato. Nei ducati tedeschi però si aspettava che col principe ereditario senza prole (in seguito Federico VII) sarebbe finita la linea regia, e così si sarebbe avuto la separazione della Danimarca e dei ducati in un tempo non troppo remoto.

Infatti nel Regno il trono passò alla linea femminile, mentre per i ducati, conforme ai patti d'unione, possedeva un diritto ereditario la linea maschile più giovane di Augustenburg. Il Re Cristiano VIII pose precipitosamente in troppa luce questi contrasti con la sua lettera aperta dell' 8 luglio 1846, secondo la quale, per diritto ereditario e per trattati, lo Schleswig e il Lauenburg soggiacevano alla stessa successione del regno.
Sarebbe stata cura assidua del monarca toglier di mezzo i dubbi, che sotto questo rispetto esistessero tuttavia riguardo ad alcune parti dello Holstein, e assicurare la durata dell'intero Stato.

Quantunque la autonomia e l'omogeneità dei ducati fosse stata riconosciuta in maniera davvero ambigua, la patente, che in Danimarca non soddisfece tutti i desideri, suscitò nei ducati stupore e obiezioni. Gli stati si sciolsero, quando il commissario regio non accettò la loro protesta; e gli stati dello Holstein chiesero formalmente l'aiuto della confederazione tedesca.
Allora la Germania, infiammata da virili parole di poeti e da canti patriottici, ribollì tutta d'entusiasmo. Il diritto e il dovere della Germania divennero materia di appassionate discussioni nelle diete, di articoli di giornali senza riguardo alcuno, di trattazioni dotte e di opuscoli ardenti.
Ma la diffidenza dei Governi proprio contro quanto vi era di nazionale nel movimento, la considerazione della gelosia delle grandi Potenze non tedesche fecero trascurare l'occasione di intraprendere una via nazionale.
La dieta si contentò di esprimere la speranza che il Re avrebbe rispettato nello Holstein i diritti della confederazione, degli agnati, e della rappresentanza locale.

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