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L'EUROPA FRA DUE RIVOLUZIONI - ( 1830-1849 )


194. 3) - RADICALISMO E SOCIALISMO.
CRITICA PROTESTANTE E SUCCESSI ULTRAMONTANI

 

La sovversione del 1830 (che abbiamo visto nel precedente capitolo) in Francia, e l'atteggiamento brusco della diplomazia delle monarchie assolute orientali produssero un po' per volta un riavvicinamento delle Potenze costituzionali d'Occidente.
Certo la sfera d'influenza politica tanto della Francia, quanto dell'Inghilterra si restringeva per lo più alla penisola pirenaica: invece dovunque nel continente la temuta mano dello Zar si riscontrava in molte cose che succedevano, o che si facevano o non potevano farsi.
Ma non si potevano intercettare le idee di matrice francese, l'infiltrazione delle quali in Germania e in Italia rievocava inclinazioni affini o anche soltanto le creava.

Il radicalismo politico e una giovane semenza di concezioni radicali nelle scienze e nella letteratura si arrischiavano a farsi avanti molto rinnovate.
Nella vita attiva sorse nel campo del repubblicanismo politico fuori di Francia un instancabile campione, il genovese Giuseppe Mazzini, un organizzatore delle cospirazioni, che mirava alla sua meta, con l'ardore geniale di un fondatore di religioni. Nonostante qualche lato debole nel suo carattere senza scrupoli nella scelta dei mezzi, egli considerava le repubbliche democratiche come membri di una fratellanza dei popoli liberi.

Sullo scorcio del 1831 si costituì l'associazione della «Giovane Italia»; mentre dalla «Giovane Europa» (1834) si svolsero soltanto la Giovane Germania e la Giovane Polonia. Il Mazzini, in grazia della sua destrezza e della devozione dei suoi intimi, imperterrito ad ogni persecuzione, diresse, solo in parte prendendovi parte di persona, una lunga serie di ribellioni.

Di queste insurrezioncelle, andate a male, la spedizione savoiarda nel Piemonte (1834), opera di Polacchi rifugiati in Francia in unione con Italiani e Tedeschi, ha importanza, perché dimostrò nella Svizzera l'impotenza statale della sovranità cantonale. Dalla Svizzera nacque anche, in parallelo con la tendenza ad una costituzione federale radicale, una propaganda a trasformare in repubbliche le limitrofe monarchie; opera soprattutto di profughi tedeschi.

Specialmente anche l'attività nelle società segrete di lavoratori emigranti arruolati offriva alle Potenze garanti occasione a continue lagnanze. A stento la confederazione, che si vedeva accusata per la trascuratezza dei cantoni sovrani, riusciva a mantenere il diritto d'asilo. Ma le Potenze conservatrici cercavano energicamente d'impedire, mediante le proibizioni e la vigilanza, l'emigrazione nella Svizzera.
La cronologica simultaneità di simili attacchi internazionali contro i poteri costituiti con movimenti nel campo spirituale li fece apparire, agli occhi dei custodi dell'ordine statale, più pericolosi di quanto non fossero.

Appunto indispettito dalle censure, l'autorevole campione giornalistico d'idee democratiche medie, Luigi Borne, aveva da Parigi in lettere argute gettato in faccia alle Potenze dominanti maligne allusioni. Accanto a lui combatteva, non paragonabile a lui per carattere, Arrigo Heine. Il grande lirico e magnifico articolista, cui l'indomabile mordacità e l'intempestivo entusiasmo napoleonico rendevano allora irritato e sdegnato contro la Germania, pur da lui amata, si era nel suo esilio, scelto per prudenza in Parigi, imbevuto di alcune chimere socialistiche.
Senz'altri rapporti con questi grandi, se non l'entusiastica approvazione specie per l'Heine, si fecero largo allora in Germania numerosi scrittori giovanissimi, per opera dei quali nel 1835 ebbe buon successo il nome della «giovane Germania», sospetto per la sua omonimia con la creazione del Mazzini.
Il Laube, il Gutzkow e altri non formavano proprio per niente una consorteria, in parte non si conoscevano neppure, ma si accordavano nell'intento di porre la poesia al servizio della vita, del progresso: e in ciò erano dei campioni di idee nuove.

Ancora, per esempio, nel campo delle arti figurative nessuno pensava a ispirarsi alla vita sociale. Proprio per questo essi sembrarono rivoluzionari con le loro opere piene d'ingegno, ma immature; nelle quali combatterono per la libertà del pensiero e del volere, per l'affratellamento di liberi popoli contro la coercizione di dommi ecclesiastici, per l'emancipazione delle donne, ed anche per un mutamento dei concetti morali, che rasentava molto l'affrancamento della carne. Ciò che però il Gutzkow audacemente si permetteva, oggi si ammira sulle scene. Come avviene sempre, ben presto si iniziò una reazione contro l'assurdo e il pericoloso nel cerchio stesso degli scrittori.
Ma i Governi credevano minacciato l'ordine civile e morale e menarono le terribili mazzate.

L'amministrazione prussiana precedette tutti con le proibizioni. Quindi il 10 dicembre 1835 una deliberazione della dieta federale ammonì gli editori e raccomandò caldamente a tutti i Governi federali l'applicazione delle leggi contro la diffusione di quegli scritti. Il Metternich aveva avuto cura di volervi introdurre la falsa affermazione che gli scrittori minacciati erano in parte d'origine ebraica. Gli scritti dello Heine come quelli del capo incapparono per ciò nel divieto, che non fu eseguito a lungo severamente, ma in Prussia fu tale fino al 1842.

Fino alla metà del periodo dal trenta al quaranta le teorie del comunismo e del socialismo esercitavano efficacia tutt'al più su circoli ristretti. Gl'insegnamenti del Saint-Simon e del Fourier non erano adatti per il popolo; l'autorità pubblica se la sbrigò facilmente con i personali tralignamenti di quelle dottrine, dovuti al discepolo del Saint-Simon, Enfantin.
Certo, di fronte all'economia prevalente, fondata su Adamo Smith, non difettava di occasionali accenni ai diritti delle moltitudini. Ma gli scritti del Chevalier e in Inghilterra le propensioni dell'Owen, i primi trovarono in Germania una critica sagace per opera del Roscher, avevano fini più umanitari che socialistici.

Francamente, le estreme esigenze dei sistematici, come l'abolizione della famiglia e del diritto ereditario, il libero amore e la promiscuità dei figliuoli, ispiravano piuttosto ribrezzo. Solo verso il 1840 la pretesa socialista di un altro ordinamento del lavoro fu in teoria e in pratica sostenuta o spiegata da Luigi Blanc e dal Ledru-Rollin.
Come le idee del Proudhon in quel momento si mischiassero con questi elementi e operassero nella generazione degli operai del 1848 merita un accenno. In Francia nel 1839 si giunse a un movimento comunistico, che però mostrò aperta soltanto la debolezza morale della cosa. Un po' più tardi il sarto tedesco Weitling, come qualche altro compagno di vagabondaggio, incitato da impressioni parigine, osò nella Svizzera il tentativo sfortunato di tradurre nella realtà un principio di vita comunista.

Nonostante il formale accenno alla legittimità del socialismo per opera del misticamente ardente francese Lamennais, nonostante i penosi gridi di dolore per gli oppressi nelle poesie del Freiligrath, e nonostante il forte biasimo alla pazienza in quelle di Carlo Beck, l'incontestabile di quell'ordine di pensieri rimase quasi del tutto incomprensibile alla generazione così dei governanti, come dei governati, educata alle lotte puramente politiche.
Le moltitudini rapidamente crescenti degli stessi lavoratori industriali, come avveniva per i cartisti inglesi, credevano tuttavia di poter migliorare la condizione propria accedendo alle idee di quei partiti democratici repubblicani, che accoglievano volentieri alcune delle principali richieste operaie nel loro programma.

A dire il vero, dal '30 in poi ci fu effettivamente una lega comunista con sede in Parigi e dal 1840 in Londra; lega nella quale nei singoli paesi si era all'inizio formato qualche debole proselita.
Nella Germania invece le discussioni socialiste della stampa renana e slesiana furono per lo più rapidamente interdette dalla censura. È degno d'osservazione che il conservatore H. Wagner, uno di coloro che in seguito fondarono la «Gazzetta della Croce», volle arruolare, ma senza alcun buon successo, i lavoratori come commilitoni, nella lotta contro il liberalismo sostenendo i loro bisogni materiali in articoli che uscivano su l'«Osservatore renano».

Il dissidio fra ricchi e poveri si inasprì per la fame dei tessitori nella Slesia.
Soprattutto l'accecamento della borghesia dovunque prevalente e il freddo principio formale del liberismo della monarchia borghese in Francia fornirono un sostanzioso nutrimento alla formazione della coscienza di classe dei lavoratori contro i loro «sfruttatori».
Ma le moltitudini lavoratrici del decennio tra il quaranta e il cinquanta, soprattutto poi le nascenti associazioni operaie, erano ben lontane da un consapevole socialismo.
L'inasprimento dottrinario del programma particolare di un partito proletario si effettuò per opera di Federico Engels e di Carlo Marx: due tedeschi, che nel 1845 si erano recati a Bruxelles.

Opera dell'uno e dell'altro è il «manifesto del partito comunista», approvato nel congresso comunista nel novembre 1847, e pubblicato nel 1848, che comparve in molte lingue. In esso la borghesia, quale erede del feudalismo, mediante il capitale e la libera concorrenza, è bollata a fuoco quale nemica, che avrebbe abbassato gli operai a semplice strumento da lavoro. Per ciò è imposto come un dovere ai comunisti l'appoggio ad ogni movimento rivoluzionario; ne è fissato il carattere internazionale col grido finale: «Proletari di tutti i Paesi unitevi!»

Le pretese socialistiche dell'avvenire, poste innanzi determinatamente, come l'espropriazione della proprietà fondiaria, l'abolizione del diritto ereditario e della famiglia, l'imposta progressiva, il socialismo di Stato industriale e agrario con l'obbligo di un lavoro eguale per tutti e così via, non possono quindi impedire che lavoratori socialisti partecipino con oppositori d'altra specie al rovesciamento dell'ordine politico.
Questa è la parte pratica per il 1848 nel famoso programma proletario di lotta.

L'insuccesso di quella rivoluzione danneggiò per ciò gl'interessi dei lavoratori. Quando questi ricominciarono più tardi a riaversi, quel socialismo letterario, com'era stato sparso dagl'insegnamenti del Prudhon, era ormai oltrepassato; e incominciava la diffusione dei principi del sistema marxista, acutamente adatti alla pratica, incominciava la lotta di classe di un particolare quarto stato.
Lo spirito della critica scientifica intorno a quanto esisteva non si poteva mettere al bando. I suoi attacchi si diressero contro le posizioni, che, almeno in Prussia, s'immaginavano assicurate mediante la formula magica hegeliana di conciliazione tra, la fede e la scienza.

Nel 1835 era comparsa La vita di Gesù del teologo David Strauss, che intuitivamente iniziò ad analizzare lo svolgimento delle idee religiose considerando la più parte dei racconti evangelici come non storici, ma solo produzioni del misticismo dello spirito comune cristiano dell'età primitiva.
Il Baur e la sua scuola di Tubinga ne approfondirono le fondamenta con lo spirito storico.
Questa geniale audacia provocò un indignato contrattacco della letteratura dotta e dei circoli teologici. Gli spiriti si divisero addirittura sotto questo segno: perfino Luigi Feuerbach trovò seguaci per il suo antropomorfismo.

Una tendenza di sinistra, radicale si diramò dall'hegelianismo approvato e si creò negli «Annali di Halle» un organo per sostenervi una nuova concezione del mondo, che era la più opposta possibile a quella romantica.
A combattere tutte queste negazioni fu invitato a Berlino il vecchio Schelling. L'ultramontanismo trovò per il suo grido di battaglia, che era andato perdendosi nel periodo del nazionalismo, il terreno preparato mediante la scossa psichica della generazione vissuta nell'errore della rivoluzione, come pure mediante il terrore della rivoluzione e il bisogno di essere sostenuti che provavano i Governi restaurati.

Il papato, ritornato nel 1814 in possesso dello Stato ecclesiastico, apparteneva verosimilmente alla medesima serie. Le numerose conversioni di protestanti di valore e di volere durante il decennio successivo consolidarono dall'interno questa psicosi.
Fino dal primo giorno il papato aveva scelto il suo posto nel senso di un assoluto ritorno del suo potere non solo nella più estesa sfera ecclesiastica; e aveva ben presto ripreso gli strumenti, già sperimentati nella compressione delle infiltratesi tendenze razionalistiche: cioè l'inquisizione, l'indice, le congregazioni e gli ordini religiosi, anzitutto quello dei Gesuiti.
Ma ciò non gli bastò; ma riprese, nonostante la cooperazione di Potenze acattoliche alla sua restaurazione, almeno come punto direttivo per la sua azione, l'imprescindibile pretesa dell'esclusività (e infallibilità).

Da tutte le deliberazioni della curia in quegli anni, concordati, bolle riguardanti la circoscrizione o atti compilati come brevi, risuona contro gli acattolici, come un tempo dalle bocche pagane contro i primi cristiani: non licet vos esse.

Quindi solo un'accettazione momentanea, imposta da necessità, dI un inconveniente; nessuna parità; nessuna sincera tolleranza. La bolla di Gregorio XVI del 1832 condanna fieramente l'opinione che ci si possa salvare appartenendo a qualsiasi religione, come pure il vaneggiamento della libertà di coscienza. Quindi non ci si può meravigliare che le massime si applicassero diversamente nei singoli casi, secondo che si trattava di governi cattolici e di quelli protestanti.

In teoria la concezione ultramontana teneva fermo all'obbligatorietà del diritto canonico, anche per i così detti territori di frontiera fra la Chiesa e lo Stato; in tutto e per tutto con il vivace appoggio dei laici. Accanto alla letteratura papalina di un de Maistre si espandevano dalla Francia i pensieri del Bonald, delle Chateaubriand e in seguito del prete Lamennais nel Belgio e nella Germania. In Francia il ceto ecclesiastico divenne relativamente presto completamente ultramontano, mentre in Belgio, nonostante questa tendenza fondamentale, talora una parte del clero reputava utile di far fruttificare le esigenze liberali dei tempi; la libertà della scuola, della stampa e dell'associazione per il meglio della Chiesa.

A Roma vi si rassegnavano solo a malincuore, sebbene il buon successo sulle moltitudini corrispondesse all'astuto uso di questi mezzi di lotta. La cecità dominante nei circoli protestanti, che nella Chiesa cattolica non vedevano più come un tempo una potenza mondiale, ma soltanto un vincolo unificatore di numerose chiese locali, agevolò sicuramente ai campioni della Chiesa battagliera la vittoria sugli uomini di Stato.

In Germania la generazione degli ecclesiastici più anziani negli uffici e nelle loro dignità non era disposta a piegarsi al principio romanistico. Ma l'opinione erronea dei governi intorno alla sovranità avevano mandato a vuoto il concetto di una chiesa nazionale o almeno di un regolamento federale della condizione delle chiese cattoliche nei singoli Stati. La teologia cattolica aveva ancora per un po' sperimentato una certa autonomia, come il prof. Hermes in Bonn, che aveva insegnato ai suoi scolari a considerare il dogma per la via della ragione. Ma l'accresciuto fanatismo per un'autorità insegnante, cioè quella pontificia nella Chiesa come rocca della sua unità escludeva sempre più la libera ricerca.

Fu condannata la dottrina dello Hermes, i discepoli del quale furono, in seguito alla lotta ecclesiastica, scoppiata con la Prussia, scacciati per la cedevolezza governativa dai loro offici statali. Anche in Germania pigliavano sempre più il sopravvento gli zelanti, a cui allora, come avversario della riforma e del suo storico il Ranke, apparteneva pure il dotto Dollinger.
Fra i laici si segnalò letterariamente, come campione dell'ultramontanismo, soprattutto il Gorres.
All'intimo consolidamento dell'ultramontanismo corrisposero splendidi successi all'esterno; ne possiamo seguire la marcia trionfale in Inghilterra e Irlanda, nell'Olanda e nel Belgio e nella Prussia.
Nella restante Germania l'opposizione portò alla formazione del gruppo non vitale dei cattolici tedeschi a motivo del singolarissimo pellegrinaggio di milioni di fedeli alla sacra veste in Troverei.
Come campioni della ecclesia militans i gesuiti si assunsero l'incarico di assoggettare gli Stati al papa quale autorità superiore in nome della libertà della Chiesa. Un organo tradizionale, ardente dedizione di sè dei membri della compagnia, il cui effettivo veniva sistematicamente rinfrescato mediante la selezione fra le varie nazioni, massime nell'insegnamento e nella morale adatta per vincere e per farsi comprendere nel mondo, l'astuto sfruttamento dei progressi legislativi contemporanei assicurarono alla compagnia di Gesù notevolissimi successi.

Nel Belgio la compagnia gesuita acquistò una vera predominanza; e in Francia da prima nelle missioni e in seguito, nonostante tutte le proibizioni, anche fra le case religiose si creò un focolare domestico. Da per tutto, dove l'ordine, molto spesso in contrasto con il clero regolare, potè acquistare efficacia, fu avversata la pace fra le varie confessioni come segno di accidia e di miscredenza.
A disciplinare le moltitudini servirono regolarmente come mezzi l'esaltazione del fanatismo religioso e la fondazione di numerose confraternite.

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195. 4) -LA POLITICA DELLE POTENZE NELLA SPAGNA,
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