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80. L'INGHILTERRA (IL PARLAMENTO) - LA FRANCIA (I PRIMI VALOIS)

 

L'INGHILTERRA FINO A EDOARDO III


Avevamo lasciato i fatti politici inglesi nel capitolo 60 ("Nascita di una Monarchia"), nel 69 e nel 70, e soprattutto in quest'ultimo accennavamo e riportavamo integralmente la grande conquista fatta con la Magna Charta.

La genesi di questo baluardo delle libertà inglesi le abbiamo quindi viste, ma vale la pena di ritornarci sopra.
Per lo svolgimento degli ordinamenti politici inglesi ebbe importanza fondamentale il fatto che nessuno dei tre fattori principali della vita pubblica: la monarchia, la nobiltà ed il popolo, acquistò mai durevolmente sugli altri una preponderanza netta, esclusiva. Sotto i re normanni e sotto i primi Plantageneti, accanto ad una monarchia forte e ad una potente nobiltà, la massa del popolo conservò la propria libertà personale
e la partecipazione alla giurisdizione.
E quindi i baroni (ai quali in complesso l'alto clero era legato da solidarietà di interessi), allorchè impresero a limitare i poteri della corona, non poterono fare a meno di accomunare nelle stesse rivendicazioni le classi inferiori, le quali a loro volta avevano motivo di desiderare che la potenza della nobiltà non crescesse a dismisura a spese della corona.

Si aggiunga che la bassa nobiltà delle contee, la gentry, formava un anello intermedio tra la nobiltà ed il popolo che manteneva il collegamento fra le due classi. Di modo che la monarchia, la feudalità e la libertà popolare si equilibrarono in certo modo a vicenda. Il baluardo delle libertà inglesi, la già citata Magna Charta, strappata nel 1215 dai baroni a re Giovanni, deve la sua grande importanza al fatto che le garanzie in essa stabilite furono comuni a tutte le classi, e che del pari le sue disposizioni in materia di imposte e di giurisdizione tornarono a profitto di tutti i cittadini, dal nobile sino al contadino.

Inoltre vi si trovano norme che interessavano soltanto o principalmente l'elemento cittadino, come quelle che confermarono la libertà del traffico mercantile delle città, che introdussero l'uniformità dei pesi e delle misure e non poche altre.

Alla difesa di questo palladio della libertà era quindi interessata tutta la nazione. In particolare poi il compito di vegliare alla conservazione delle libertà conquistate spettò al «consiglio comune del regno», a designare il quale già sotto il regno successivo spunta il nome di « parlamento ».

In origine si trattò di un'assemblea di tipo completamente feudale, composta dell'alto clero, dei baroni, i quali venivano personalmente invitati dalla corona, e dei minori vassalli della corona che erano convocati con invito collettivo. In alcuni casi però, quando occorreva deliberare determinati argomenti, per lo più di carattere militare, venivano convocati anche dei delegati della classe dei «cavalieri» (feudatari dei grandi feudatari), e quando analogamente la materia lo esigeva, dei rappresentanti delle città.

Ma l'anno 1265 arrecò una trasformazione del parlamento che ne mutò le basi ed il carattere. Simone di Monforte, il duce della nobiltà nella lotta contro il figlio e successore di re Giovanni, Enrico III, il quale si era messa contro tutta la nazione per il suo favoritismo a pro degli stranieri e per la sua debolezza di fronte alle pretensioni papali, aveva nel 1264 sconfitto non lontano da Londra l'esercito regio ed in seguito a questa vittoria era divenuto arbitro della situazione e del governo.
Egli convocò il parlamento, ma chiamò a farne parte anche rappresentanti delle contee e delle città (due cavalieri per ciascuna contea, due cittadini per ogni burgum e quattro fra i probi homines di ciascuno dei cinque porti), e ve li incorporò quali membri ordinaria e non più, come finora era avvenuto, quali membri occasionalmente convocati per la deliberazione su argomenti speciali che più strettamente li interessavano.

Né la monarchia, quando riacquistò forza, riuscì ad impedire che l'istituto parlamentare inglese proseguisse sulla nuova via per la quale si era messo.
È ben vero che nei tempi immediatamente successivi i «comuni » non costituiscono ancora un elemento necessario del parlamento, ma la loro presenza nell'assemblea divenne sempre più la regola, a misura soprattutto che assunsero preminente importanza le questioni tributarie e in genere finanziarie nelle quali non si poteva fare a meno della borghesia capitalista, una delle maggiori interessate.

In generale può dirsi che fu il cresciuto fabbisogno finanziario della corona a consolidare l'influenza dell'elemento cittadino in Inghilterra. E queste maggiori esigenze finanziarie furono a loro volta conseguenza della politica estera della monarchia inglese, che incontrava poca simpatia nel popolo inglese, per lo meno in quanto riguardava la difesa dei dominii privati della dinastia nel mezzogiorno della Francia.

Peraltro Edoardo I (1272-1307), uno dei più distinti sovrani inglesi, si prefisse qual principale suo compito di estendere l'egemonia inglese su tutta la Gran Bretagna e di assoggettare alla corona inglese il Paese di Galles e la Scozia.
L'assoggettamento del Galles gli riuscì dopo due brevi campagne; con la prima egli costrinse a sottomettersi il principe Lhewellyn II; ed essendosi quest'ultimo nuovamente ribellato, Enrico gli mosse per la seconda volta contro; il ribelle rimase ucciso in battaglia e suo fratello Davis fu preso prigioniero e giustiziato. Con ciò si estinse la dinastia nazionale del Galles, né qui si ebbe più in seguito alcun altro tentativo di riacquistare l'indipendenza; il titolo di principe di Galles divenne il titolo personale dei principi ereditari inglesi.

Il paese sull'esempio dell'Inghilterra fu diviso in contee, ed in genere si uniformò agli ordinamenti inglesi, benché in materia di ordinamento giudiziario e sotto altri riguardi abbia conservato talune particolarità. L'incorporazione formale del Galles all'Inghilterra e l'invio di suoi deputati al parlamento inglese data soltanto dai tempi di Enrico VIII.

Assai più difficile si rivelò l'assoggettamento della Scozia all'alta sovranità inglese.
Sin dal X secolo la Scozia costituiva uno Stato monarchico unitario con capitale ad Edimburgo; esso comprendeva l'Alta Scozia dove perdurava il vecchio ordinamento celtico per clans, e la Bassa Scozia sino ad un certo segno anglizzata. In generale poi l'influenza inglese si era fatta strada in tutta la Scozia in conseguenza della stessa situazione politica, giacché i re di Scozia avevano in feudo dalla corona inglese la parte settentrionale del Northumberland, il Lothian, e per questo verso erano suoi vassalli.
Appoggiandosi a ciò la corona inglese mirava ad estendere la sua alta sovranità possibilmente in tutta la Scozia. Sotto Edoardo I si ebbe peraltro all'inizio la speranza di una pacifica riunione dei due regni; nel 1286 cioè venne a morte l'ultimo discendente maschio dell'antica dinastia scozzese, ed erede del trono di Scozia divenne la costui nipote, Margherita di Norvegia, la quale, fidanzata al primogenito di Edoardo, avrebbe dovuto recargli in dote il regno di Scozia.

Se non che durante il viaggio dalla Norvegia in Inghilterra Margherita morì (1290). Questa morte provocò lotte interne in Scozia, le quali all'inizio tornarono a profitto dell'Inghilterra. Il pretendente al trono appoggiato da Edoardo, John Baliol, ottenne la corona e prestò il giuramento di vassallaggio al re d'Inghilterra (1292). Poco dopo tuttavia egli cercò di sottrarsi alla sovranità inglese, ma Edoardo invase la Scozia, sconfisse nel 1296 Baliol presso Dunbar, lo prese prigioniero e conquistò il paese.

Ma l'anno successivo la Scozia era già nuovamente in armi contro gli inglesi. Gli scozzesi sotto la guida del cavaliere Guglielmo Wallace, l'eroe nazionale che la fantasia popolare circondò di una aureola leggendaria, sconfissero gli inglesi e li cacciarono dalla Scozia.

E proprio allora la fortuna si mostrò avversa ad Edoardo anche nella lotta al di là della Manica, mentre l'Inghilterra già gemeva sotto il peso di tanti anni di guerra, il cui esito per di più appariva ora più incerto che mai. In tali condizioni il re si aggiustò alla meglio con la Francia, e per affezionare maggiormente i suoi sudditi alla corona fece loro nuove importanti concessioni, tra le quali principale la proclamazione del principio che in avvenire non si dovevano mettere nuove imposte senza il consenso della nazione.

Edoardo inoltre confermò le precedenti carte di libertà, in prima linea la Magna Charta, le cui disposizioni furono dichiarate di diritto comune; in ogni chiesa, come anche presso i giudici e capi delle contee, doveva essere custodita una copia della Magna Charfa e letta pubblicamente una volta all'anno.

La concordia a questo modo assicurata all'interno permise al re di spingere la guerra contro la Scozia. Wallace fu sconfitto e costretto a fuggire in Francia; egli ritornò alla carica; ma, abbandonato, se non addirittura tradito, dalla nobiltà scozzese, che lo odiava come un parvenu, fu preso prigioniero e messo a morte quale reo di alto tradimento (1305).

Se non che gli inglesi videro sorgersi contro un nuovo nemico in Roberto Bruce, appartenente ad una delle prime famiglie scozzesi, che si proclamò re di Scozia (1306). In una nuova. campagna gli inglesi dispersero i suoi seguaci, ma Bruce riuscì dopo una fuga avventurosa a salvarsi in Irlanda, d'onde ritornò poco dopo, ed organizzò ancora una volta la resistenza contro l'Inghilterra. In questo momento, mentre faceva grandi preparativi di guerra, re Edoardo I moriva (7 luglio 1307) ; ciò diede modo a Bruce di consolidare negli anni successivi il proprio dominio sulla massima parte della Scozia; e finalmente, quando il successore di Edoardo gli mosse contro, gli inflisse nella sanguinosa battaglia di Bannockburn (24 giugno 1314) una completa disfatta. Ne conseguì una lunga tregua, che lasciò di fatto Bruce in possesso della Scozia.

L'andamento sfavorevole delle cose in Scozia non poté fare a meno di produrre il suo contraccolpo sulla situazione interna dell'Inghilterra, tanto più che il vinto di Bannockburn, re Edoardo II (1307- 27), il primo «principe di Galles », non solo era ben lontano dal possedere le qualità di energia e di elevatezza d'animo del padre, ma con la sua predilezione per favoriti stranieri, prima per Pietro Gaveston e poi per i due Hugh Depennare, padre e figlio, si alienò la nazione e principalmente la nobiltà.
Il parlamento, il quale si riteneva in diritto di vigilare a che la corona non menomasse le libertà dei paese, nominò nel 1310 una commissione d'inchiesta sulla corte e sul governo, e votò degli articoli a senso dei quali le nomine alle alte cariche pubbliche non potevano farsi che d'accordo colla rappresentanza nazionale da convocarsi almeno una volta all'anno, e l'amministrazione dello Stato era sottoposta al controllo del parlamento.

Circa un decennio più tardi il re riuscì a riprendere il sopravvento all'interno del suo regno; ma la situazione delle cose era ormai tale che egli stesso contribuì ad accrescere la potenza del parlamento nella speranza che così la rappresentanza dell'intera nazione avrebbe controbilanciato le pretese egoistiche della classe nobiliare.
E nel 1322 infatti fu stabilito che tutti gli affari interessanti la corona, il regno ed il popolo avrebbero dovuto essere discussi dal re in seno al parlamento e deliberati col consenso dei prelati, dei baroni, e della comunità dei regno.

Questa armonia di tutti i fattori della vita pubblica inglese non durò comunque a lungo, perché il debole re instaurò nuovamente il governo di favoriti e provocò nuove scissioni. Alla fine la stessa moglie di Edoardo ed il principe di Galles spiegarono la bandiera della rivolta. Quasi tutta la nazione abbandonò il re, che cercò di salvarsi con la fuga, ma venne catturato.
Il parlamento ora si eresse a giudice del re e lo dichiarò in seguito a processo formale decaduto dal trono. Suo malgrado l'infelice consentì a che la corona passasse sul capo di suo figlio Eduardo III, senza riuscire con ciò a salvare neppure la propria vita. Trascinato per un certo tempo da una prigione all'altra, Eduardo II venne alla fine crudelmente ucciso il 21 settembre 1327.

Con Eduardo III (1327-77) l'Inghilterra riacquistò un sovrano più energico e risoluto. Ma le guerre esterne che accompagnarono la massima parte del suo regno provvidero ad evitare che egli potesse rompere l'armonia con la nazione. E quindi il parlamento sotto Eduardo III non solo conservò la posizione conquistata, ma la migliorò.
Verso il 1330 si ebbe la separazione dei membri dell'antica dieta del regno, dell'alta nobiltà ecclesiastica e laica, dai deputati delle contee e delle città: questi ultimi si costituirono in una seconda camera, la camera dei comuni, e divennero un elemento per sé stante nello svolgimento della costituzione inglese.

In generale il continuo bisogno di mezzi finanziarii da parte della corona aumentò l'influenza del parlamento, che fu convocato sempre più frequentemente. Una precisa delimitazione delle competenze della corona e di quelle del parlamento non fu peraltro mai fatta; ciascuno di questi due fattori cercò di estendere la propria ingerenza il più possibile a seconda delle circostanze. Il governo vero e proprio dello Stato - sebbene sotto il controllo del parlamento - rimase però al re che lo esercitò con l'aiuto del consiglio della corona, composto, oltre ad alcuni uomini di fiducia del re, del lord cancelliere, del tesoriere, del guardasigilli e dell'arcivescovo di Canterbury, il primate del regno.
La giurisdizione fu esercitata in nome del re da giudici stipendiati; molte controversie, specialmente gli appelli dai giudicati dei tribunali inferiori, erano riservate alla diretta giurisdizione regia. Inoltre la curia regia funzionava da tribunale di pari ed in seguito decise pure sui, reclami d'ogni genere portati dinanzi al suo foro dalla camera dei comuni.

Anche economicamente l'Inghilterra fiorì sotto i tre Edoardi, ad onta delle guerre sul continente, e le città, favorite dal governo, fecero considerevoli progressi. Sottoposte in origine all'amministrazione dei capi delle contee, esse dalla fine del XII secolo acquistarono poco a poco per concessione regia il diritto di prendere in appalto esse medesime le imposte, il diritto di eleggersi magistrati propri e di esercitare una giurisdizione ed una polizia propria; conseguirono pure la facoltà di reggersi con uno speciale diritto statutario che non di rado fu mutuato dall'una all'altra.

Con l'acquisto di tali prerogative la città diveniva liber burgus e su di essa non aveva più ingerenza il governo della contea. Contemporaneamente poi le città ottennero anche dei privilegi commerciali, specialmente l'esenzione dai dazi, ed il diritto di istituire una corporazione di mercanti; quest'ultima poi, in armonia all'importanza assunta dal commercio per la vita cittadina, divenne l'elemento politicamente più influente nelle città; essa finì per trasformarsi addirittura in consiglio municipale e la sede della sua amministrazione (guildhall) in municipio.
Persino per l'acquisto della cittadinanza si richiese talora l'ingresso nella gilda dei mercanti o per lo meno l'approvazione di essa; invece le corporazioni d'arti e mestieri, che incontriamo nelle città inglesi sin dal XII secolo, non ebbero all'inizio influenza politica. Più tardi però, pur non perdendo la qualità di enti distinti, entrarono a far parte della gilda dei mercanti, che per questo fatto mutò gradatamente carattere, sinché verso la fine del medioevo il governo cittadino passò nelle mani dei rappresentanti delle varie corporazioni.

Molto precocemente acquistò il primato fra le città inglesi Londra, che aveva precorso di gran lunga tutte le altre nello sviluppo economico-commerciale. Già all'inizio del XII secolo essa era tanto ricca che poté prendere in appalto le imposte della contea di Middlessex. Londra doveva il suo benessere principalmente al commercio; i suoi più importanti articoli di esportazione erano i cereali, la lana ed i metalli. L'Inghilterra soprattutto era allora la più grande produttrice di lana dell'occidente; ma, ad onta delle cure rivolte dai re allo sviluppo dell'industria, questa materia prima non poteva essere lavorata in paese se non in piccola parte e quindi veniva esportata; si pretende, perfino che Edoardo III dal dazio dell' esportazione sulla lana abbia ricavato un reddito annuo di 30000 libbre.
La lana inglese andava principalmente nelle Fiandre; la fiorente industria fiamminga, che divenne una delle precipue fonti di ricchezza delle città di questa regione, era alimentata all'esportazione inglese; e questa condizione di cose ebbe anche non lievi conseguenze politiche; giacché la grande guerra anglo-francese che arse nel XIV e XV secolo anche se appare esteriormente dovuta a pretese dinastiche, ha la sua vera e propria radice negli avvenimenti di Fiandra e di Scozia.

 

FRANCIA - IL PRIMO VALOIS

dopo FILIPPO IV il Fortunato 1328-1350 - (1293-1350)
seguì GIOVANNI il Buono 1350-1364 - (1319-1364)
CARLO V il Saggio 1364-1380 - (1338-1380)
CARLO VI il Folle 1380-1422 - (1368-1422)
CARLO VII il Vittorioso 1422-1461 - (1403-1461)
LUIGI XI 1461-1483 - (1423-1483)
CARLO VIII 1483-1498 - (1470-1498)
dal ramo diretto della dinastia si dipartono le linee cadette; le più note sono
VALOIS-ORLEANS e BORBONE

Re FILIPPO VI (1293-1350) "il Fortunato" , il primo re francese della casa di Valois (1328-1350) fin da giovane era imbevuto delle idee cavalleresche e feudali. Succeduto 35 enne a Carlo IV, morto senza eredi, appena salito al trono corse in aiuto del conte Luigi di Fiandra contro le città fiamminghe che gli si erano ribellate. Queste rimasero vinte ed il movimento democratico che vi aveva preso il sopravvento fu soffocato. Ma quando alla vittoria francese in Fiandra il giovane re Edoardo III rispose emanando un divieto di esportarvi le lane, il partito democratico, appoggiato dalla borghesia della città di Gand, si levò nuovamente in armi con alla testa l'agricoltore gandese Giacomo di Artevelde, che cercò appoggio proprio in re Edoardo III.

Quest'ultimo, dopo qualche esitazione, aveva riconosciuto re Filippo VI ed aveva ripreso da lui in feudo i possedimenti continentali della sua casa (1329).
All'inizio Edoardo III nel suo regno (essendo ancora in giovanissima età) si trovò le mani legate dalla strapotenza di Ruggiero Mortimer, un favorito di sua madre, la regina vedova Isabella, che con il suo appoggio era salito dal nulla ai vertici del governo. Soltanto nel 1330 Edoardo III (diventato maggiorenne) riuscì ad abbattere il favorito ed a prendere nelle sue sole mani le redini del governo.

Poco prima per la morte di re Roberto la situazione in Scozia aveva subito un mutamento in senso più favorevole all'Inghilterra, giacché il figlio e successore di Roberto, David, non godeva la popolarità del padre come non ne possedeva la qualità di uomo di Stato. Gli inglesi pertanto gli contrapposero come pretendente al trono un discendente della famiglia Baliol. In sostegno di quest'ultimo lo stesso Edoardo guidò un esercito nella Scozia e nella battaglia fortunata di Hallidon-Hill (19 luglio 1333) vendicò completamente la sconfitta di Bannockburn.
Dopo ciò Baliol divenne per grazia dell'Inghilterra re di Scozia, ma non trovò seguito nel paese. David era fuggito in Francia, presso re Filippo VI di Valois, il quale fece intendere che vecchi trattati lo obbligavano a sostenere l'eletto della nazione scozzese.
Furono queste complicazioni, unite alla convinzione che un ulteriore aumento di potenza della Francia sarebbe inevitabilmente riuscito fatale ai feudi inglesi nel mezzogiorno di quel paese, che spinsero l'Inghilterra alla guerra. Edoardo trovò alleati nei principi di Julich, Hennegau, Brabante, ecc., che, situati sulle frontiere nord-occidentali della Germania, si vedevano anch'essi minacciati dalle velleità espansioniste della Francia; anche re Ludovico il Bavaro, il nemico naturale della Francia e del papato gallicizzato, e per di più imparentato con Edoardo, gli promise aiuto, senza però poi recarglielo.

Ma sopra tutto Edoardo III calcolò sull'appoggio dell'agguerrita borghesia fiamminga. Nella cittadella di questa democrazia, a Gand, egli nel 1340 assunse il titolo di re di Francia, dichiarando che la corona francese spettava a lui come figlio di una figlia di Filippo III.
La guerra si aprì con buoni auspici per l'Inghilterra. Il 24 giugno 1340 Eduardo con la flotta inglese incontrò alle foci del Zwyn, presso Sluys, la flotta nemica e con l'aiuto dei Fiamminghi le inflisse una così completa disfatta che per trent'anni nessuna nave da guerra francese osò più farsi vedere nelle acque dominate dalla flotta inglese. Il risultato fu della massima importanza, perché soltanto dopo l'eliminazione della squadra nemica l'Inghilterra acquistò la possibilità di sostenere la guerra sul continente.

Tuttavia per il momento si ebbe una tregua, durante la quale però gli attriti aumentarono, specialmente a causa della lotta di successione in Bretagna, in cui Francia ed Inghilterra abbracciarono partiti opposti. E verso il 1345 infatti la guerra riarse violenta- D'ambo le parti si fecero grandi preparativi. Allo scopo la Francia mise a disposizione del re il gettito di una imposta sul sale, mentre Edoardo a sua volta si procurava le risorse necessarie mediante una imposta sulla lana. L'inizio della guerra parve poco promettente per l'Inghilterra; il suo più importante alleato, Giacomo di Artevelde cadde vittima il 21 luglio 1345 di una insurrezione della plebe di Gand. Ma ciò non ebbe conseguenze politiche; la Fiandra rimase a fianco dell'Inghilterra.

Già gli Inglesi combattevano con fortuna nella Guienna, quando nel 1346 re Edoardo sbarcò in Normandia e si pose in cammino attraverso il nord della Francia per congiungersi con i Fiamminghi che avevano invaso la Piccardi. Ma sulla Somme gli si fece incontro re Filippo VI alla testa di forze enormemente superiori, dodicimila cavalieri in armatura e sessantamila altri soldati. Edoardo, che disponeva solo trentamila uomini, ebbe però il vantaggio di poter scegliere le sue posizioni - presso il villaggio di Crecy, sulla costa - ed aspettare l'attacco del nemico- A pomeriggio avanzato del 26 agosto 1346 i balestrieri genovesi aprirono la battaglia, ma vennero respinti dai più agili arcieri inglesi.

A tal punto i cavalieri francesi si lanciarono alla carica, ma inutilmente tentarono di sfondare le linee inglesi. L'urto più forte ebbe a sostenerlo il reparto dell'esercito inglese comandato dal quindicenne principe di Galles, Edoardo, che si guadagnò gli speroni combattendo valorosamente e resistendo sinché il grosso delle forze gli venne in aiuto e decise la battaglia.
Le corte spade, le mazze ed i coltelli da caccia degli inglesi fecero strage nelle file dei cavalieri francesi che a migliaia coprirono il campo di battaglia. Troppo tardi Filippo tentò a capo della riserva di risollevare le sorti della battaglia; egli stesso poté salvarsi a fatica. Fu una vittoria delle armi leggere e delle truppe dotate di maggiore mobilità sulla cavalleria feudale impacciata nei movimenti dalle pesanti armature. Gli inglesi portarono in campo anche bocche da fuoco, che, come narra il cronista, con fragore di tuono lanciavano palle di ferro. In complesso più di 20.000 francesi perdettero la vita in questa battaglia.

La vittoria di Crecy permise agli inglesi di riprendere l'assedio dell'importante piazza di Calais, che avevano già tentato nei primi anni di guerra. Dopo undici mesi di resistenza la città cadde (1347), per rimanere in mano degli inglesi durante due secoli. In seguito fu concluso un nuovo armistizio, ma con deciso vantaggio degli inglesi.
Anche oltre la Manica si fecero sentire gli effetti della vittoria inglese. Gli scozzesi, che avevano approfittato della ripresa della guerra sul continente per avanzarsi nuovamente verso sud furono ricacciati indietro e lo stesso re David cadde prigioniero.

Nel 1350 morì Filippo VI di Valois. Sotto di lui i demani della corona francese aumentarono di estensione per l'acquisto della contea di Valois recata dallo stesso re, della Champagne ceduta da Giovanna, figlia di Luigi X, e da suo marito Filippo di Evreux in compenso del riconoscimento della loro sovranità indipendente sulla Navarra, e finalmente del Delfinato legato dall'ultimo «Delfino» al nipote del re; in seguito il principe ereditario dei trono francese assunse il titolo di Delfino.

Ancora al momento della morte di Filippo VI il suo regno subiva le conseguenze dannose della guerra, specialmente a causa delle bande indisciplinate di mercenari disoccupati che infestavano il paese e che parvero dover diventare un flagello permanente.
Il figlio e successore di Filippo, re Giovanni (1350-1364), molto ingiustificatamente soprannominato «il Buono», non fece nulla per alleviare le sofferenze del suo popolo, anzi le aumentò, perché, al fine di procurarsi il denaro necessario alle sue abitudini di dissipazione e di prodigalità, ricorse all'alterazione della moneta ed a mezzi analoghi che rovinarono completamente l'economia nazionale.

Inoltre, allorché nel 1355 si riaccese la guerra con l'Inghilterra, cui l'orgoglio nazionale francese non volle concedere in pieno e libero dominio i feudi del mezzogiorno della Francia, il re si trovò costretto a rivolgersi al paese. In seno all'assemblea degli Stati del nord della Francia, da lui convocati, il decisivo ascendente esercitato dal prevosto dei mercanti di Parigi, il tessitore Etienne Marcel, rivelò chiaramente il grado di influenza politica raggiunto dalle città e specialmente dalla capitale Parigi.
Gli Stati concessero al re truppe e denaro, da procurarsi mediante imposte, ma si riservarono il controllo della esazione e dell'impiego di questo denaro; e manifestarono l'intendimento non solo di adunarsi all'occorrenza nuovamente senza convocazione da parte del re, ma anche di provvedere a vigilare mediante propri delegati l'andamento della cosa pubblica.

Stretto dalla necessità il re si sottomise, e venne organizzato il più poderoso esercito che la Francia avesse forse mai visto fino allora (1356). Alla testa di esso re Giovanni fronteggiò nella regione di Blois il principe nero, il quale aveva l'ordine, muovendo da Bordeaux, di congiungersi in Normandia con il grosso dell'esercito inglese. Circondato da forze più che quintuple il principe parve perduto. Egli offrì di capitolare, ma la durezza delle condizioni postegli dall'avversario lo costrinse ad accettare una lotta apparentemente disperata. Così il 19 settembre 1356 si venne a battaglia presso Maupertuis, a due miglia da Poitiers.

Eduardo aveva collocato il suo piccolo esercito sulla sommità di un colle, cui non si poteva accedere se non per una stretta via fiancheggiata da siepi. Ciò non solo impedì ai Francesi di approfittare della loro superiorità numerica, ma il gran numero tornò loro persino dannoso, perché le colonne d'avanguardia lanciate all'assalto della posizione nemica, incapaci di resistere alla pioggia di frecce di cui le copersero gli arcieri inglesi, retrocedettero in disordine e misero la confusione nel grosso dell'esercito che avanzava. La riserva inglese colse questa opportunità per piombare sul fianco dei francesi e contemporaneamente. Eduardo con il grosso del suo esercito eseguì una impetuosa carica frontale. Gli avversari subirono perdite enormi, ed i superstiti dell'aspra lotta si diedero alla fuga, durante la quale vennero in gran parte raggiunti e presi prigionieri. Anche re Giovanni dopo una difesa disperata fu costretto ad arrendersi col suo ultimo figlio e venne condotto prigioniero in Inghilterra.

Sotto l'impressione di questo nuovo formidabile disastro si verificò in Francia una reazione in senso democratico. Una assemblea degli Stati composta di 800 persone, per metà rappresentanti delle città, adunatasi a Parigi sotto la presidenza di Marcel e del vescovo di Laon, Roberto le Cocq, accusò la nobiltà di aver tradito la nazione e reclamò di partecipare al governo per mezzo di propri delegati.
Il delfino Carlo (V), reggente in nome del proprio padre prigioniero, era impotente ad opporsi; al suo fianco e sotto i suoi occhi furono trucidati due suoi consiglieri che si erano resi invisi agli stati, ed egli stesso dovette mettersi sul capo il berretto rosso violaceo dei parigini.
Nello stesso momento evase dalla prigionia in cui lo aveva gettato re Giovanni per timore dei suoi intrighi col re di Navata, Carlo «il Malvagio», figlio di Giovanni di Evreux e nipote di Luigi X; egli venne a Parigi, e con l'appoggio di Marcel si pose alla testa della nazione col titolo di capitano generale; sembrò dipendere ormai da lui solo l'appropriarsi, se voleva, della corona di Francia.

In questi estremi frangenti la monarchia dei Valois fu salvata dalla «Jacquerie», una terribile rivolta dei contadini, la quale, scoppiata nella regione di Beauvais, si propagò per grande estensione nel centro della Francia. La guerra, non solo aveva distrutto il benessere cui era arrivata in Francia la classe dei contadini, ma la aveva esposta alla più dura oppressione da parte dei signori terrieri. Dopo la battaglia di Maupertuis si ebbe perciò un movimento di reazione anche fra i contadini. Bande furibonde percorsero il paese, incendiarono i castelli dei nobili e distrussero tutto ciò che a loro apparteneva. Ma l'estremo pericolo indusse la nobiltà a compattarsi per una difesa risoluta; i nobili si adunarono in armi e piombarono sulle orde indisciplinate dei contadini che non poterono opporre alcuna seria resistenza.

Così la rivolta venne soffocata sotto fiumi di sangue. Di questa sconfitta dei contadini risentì il contraccolpo anche la borghesia. Marcel fu ucciso a Parigi in seguito ad una insurrezione dei realisti, ed il delfino che era fuggito dalla capitale vi rientrò da vincitore (31 luglio 1358). Con ciò era fallito il tentativo di assoggettare la monarchia al controllo degli Stati; e si comprende, perché in Francia mancava quella concordia fra le classi che aveva loro procurate tante vittorie in Inghilterra. Non solo la nobiltà e la borghesia francese perseguirono scopi antitetici, ma anche nelle varie regioni dominava lo spirito particolarista. L'unica forza unificatrice della nazione era e rimase la monarchia che aveva creato lo Stato.

Ma la situazione della Francia era così desolante, che solo la pace con l'Inghilterra poteva salvarla. Essendo emersa in modo evidente l'impotenza della nazione a fronteggiare il nuovo sbarco compiuto da re Edoardo III in Normandia nel 1359, si venne alla pace che fu conclusa l'8 maggio 1360 a Bretigny non lontano da Chartres.
Re Edoardo rinunziò alle sue pretese al trono francese ed agli antichi domini dei Plantageneti, la Normandia, l'Anjou, la Touraine ed all'alta signoria feudale sulle Fiandre, ed in compenso gli vennero ceduti liberi da ogni vincolo i grandi feudi del mezzogiorno della Francia, la Guienna, la Guascogna ed il Poitou, nonché Calais e Guines.
Finalmente fu pattuito un fortissimo riscatto per Giovanni, il quale dietro scambio di ostaggi venne messo in libertà; ma siccome il paese estenuato non fu in grado di pagare il riscatto, egli ritornò in Inghilterra, dove, non più trattato da prigioniero, chiuse la sua vita nel 1364.

Quanto scarso intuito politico possedesse e quanto poco comprendesse le esigenze dei tempi re Giovanni lo dimostrò ancora una volta nell'ultimo anno della vita, concedendo al suo secondogenito Filippo la Borgogna, feudo della corona resosi vacante, e procurando così alla monarchia francese un indebolimento di forze che doveva poi avere le più fatali conseguenze per la corona e per il paese.

Esse peraltro per il momento rimasero latenti, chè anzi dalla morte di re Giovanni e dall'assunzione al trono di suo figlio Carlo V, il «Saggio», - ben dotato, come indica il suo nome, di saggezza politica e di accorta e matura esperienza - inizia la resurrezione della Francia.
Con l'economia e con una ordinata amministrazione finanziaria re Carlo V fece i primi passi per sanare le ferite del paese. Le grosse compagnie di mercenari, che dopo la conclusione della pace avevano continuato ad infestare la Francia commettendo gravi estorsioni, furono finalmente allontanate dal suolo francese.
Debole ed infermo come era, il re non poteva personalmente dirigere operazioni di guerra; ma ebbe la fortuna di trovare nel cavaliere bretone Roberto du Guesclin, da lui posto a capo dell'amministrazione militare in qualità di conestabile, non solo un valentissimo generale, ma anche un incomparabile organizzatore.

Il primo successo di Guesclin in guerra fu una vittoria su re Carlo di Navarra (1364). Risultati anche più importanti ottenne Guesclin in Castiglia, dove la Francia appoggiava l'erede del trono, Enrico Trastamara, contro le pretese di Pietro il Crudele. Quest'ultimo trovò invece sostegno nel principe di Galles, che risiedeva a Bordeaux come governatore dei domini conquistati dall'Inghilterra nel mezzogiorno della Francia. Così gli inconciliabili nemici tornarono a trovarsi di fronte. Peraltro non si arrivò ad una guerra direttamente tra loro; ma la questione della corona di Castiglia si risolse a favore di Enrico, il quale in seguito ad una vittoria di du Guesclin riuscì ad impadronirsi del suo rivale (1369).

Dopo questi trionfi delle armi francesi all'estero re Carlo V credette potersi rivolgere contro il nemico interno. Il sentimento nazionale era già allora in Francia una forza; esso spinse gli abitanti dei paesi meridionali ceduti all'Inghilterra a ripetute insurrezioni contro il dominio straniero. Prendendo le loro difese, Carlo V provocò il riaprirsi della guerra, la quale prese una piega molto sfavorevole agli Inglesi a causa di una malattia insanabile da cui fu colto il principe di Galles e che lo condusse ancor giovane alla tomba (1376).

I paesi del mezzogiorno, uno dopo l'altro, ritornarono in potere della Francia. Anche sul mare gli inglesi ebbero la peggio; una flotta alleata franco-castigliana sconfisse nel 1372 la flotta inglese presso La Rochelle.
Da ultimo agli inglesi non rimasero che Bordeaux e Baiona e nel nord Calais. Non intervenne una pace formale, ma le operazioni di guerra a poco a poco cessarono- Alla sua morte (1380) Carlo V lasciò il regno in via di manifesto progresso. Anche le scienze e le lettere fiorirono con il contributo personale del monarca, il quale oltre essere lui stesso incline al sapere, volentieri si circondava di menti elette.
Tra altro re Carlo abbellì il Louvre; ma nel tempo stesso edificò la Bastiglia, in certo modo a monito della capitale che poco prima si era mostrata così indisciplinata e ribelle.

 

ROBERTO STUART INZIA LA SUA DINASTIA

 

Di là dalla Manica invece il regno di Eduardo III (m. 1377) si chiuse sotto auspici meno buoni. Dall'anno 1370, in cui al fiacco re David Bruce, che l'Inghilterra aveva liberato dalla prigionia dopo la pace dl Brequegay, era succeduto sul trono scozzese il suo ben più energico nipote ROBERTO STUART, il capostipite di questa dinastia, la Scozia minacciava di sottrarsi nuovamente all'influenza inglese.
E quando nel 1371 questo re Roberto rinnovò la vecchia alleanza con la Francia, la questione scozzese tornò a diventare ardente per l'Inghilterra. Ma il vecchio Edoardo non trovò più l'energia degli anni passati per fronteggiarla; dal 1369 egli era caduto nella rete di una avventuriera senza scrupoli, Alice Perrers, la cui sfrontata condotta e le cui intromissioni provocarono lo sdegno di tutta la nazione. Edoardo III morì nel 1377, all'età di 65 anni, dopo 50 anni di regno.

Tuttavia durante e dopo il periodo di Edoardo III, in grazia delle grandi guerre con la Francia e delle gloriose gesta del suo esercito, la nazione inglese raggiunse la sua completa formazione; una nazione che diventa il simbolo delle libertà con il suo Parlamento, che si trasformò definitivamente in quella struttura che nella sua sostanza si è conservata fino ad oggi, e che aveva già conquistato quella sua incrollabile posizione nella vita politica nazionale e fra le istituzioni dello Stato.
Edoardo III fu anche il fondatore (1348) dell'Ordine Cavalleresco della "Giarrettiera", il cui motto era "Honni soit qui mal y pense" (Vergogna a chi ne pensa male).

Dobbiamo ora tornare all'Impero tedesco
dopo la morte di Federico II.

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