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74. L'EPOCA DELLE CROCIATE

Se si compie oggi un viaggio di piacere in Terrasanta, nella placida distesa dell'assolato deserto giordano, i clamori dei conflitti che hanno provocato le Crociate, paiono immensamente lontani. Come lontana appare anche la storia delle stesse Crociate.
Ma noi per completare il periodo dei molti capitoli che abbiamo già visto, gioverà fare un cenno a questi conflitti perchè essi sono
la più grandiosa manifestazione del sentimento generale della cristianità occidentale e della posizione dominante dei papi che si trovavano alla sua testa.

I pellegrinaggi in Terra Santa erano consueti e frequenti da molto tempo, ma soltanto nell'XI secolo, allorché i Selgiucchi, abbracciata la religione maomettana, conquistarono la Palestina, nacque il concetto che era un dovere della cristianità occidentale di venire in aiuto dell'impero greco e di liberare il Santo Sepolcro.

Papa Gregorio VII nel 1074 fece appello a vari principi esortandoli a raccogliersi coi loro eserciti attorno alla sua persona per marciare verso Costantinopoli, e di là passare in Asia in aiuto dei cristiani. Veramente lo scopo principale di Gregorio VII, più che di liberare la Terra Santa, era quello di ridurre i cristiani di Oriente all'ubbidienza a S. Pietro ed al suo rappresentante in Roma.
Lo zelo di Gregorio mirava a liberare le comunità cristiane orientali, non solo dai Turchi, ma anche da tutto ciò che impediva là loro unificazione con Roma. E nello stesso tempo egli tendeva ad ottenere che in occasione della progettata impresa tutti i principi cristiani riconoscessero nel papa una autorità a loro superiore, o meglio il loro sovrano feudale, gli prestassero il giuramento di fedeltà e si ponessero ai suoi ordini.

Ma il disegno di questa grande spedizione militare in Oriente fallì, perché Gregorio nel frattempo entrò in lotta con Enrico IV. Del resto anche se questo ostacolo non avesse attraversato i suoi piani, difficilmente Gregorio sarebbe riuscito a raggiungere i suoi scopi, perché tutto lo svolgimento ulteriore degli eventi del presente periodo sta lì a dimostrare che l'assoggettamento della chiesa greca alla latina era impossibile.
La conquista di Costantinopoli, operata poi nel 1204, avrebbe dovuto secondo le intenzioni dei papi coronare l'unificazione delle due grandi chiese, ed invece non fece che accrescere il dissidio tra Greci e Romani, e nelle crociate in genere la persecuzione di questa mira di Roma ha gravemente pregiudicato la lotta contro i Saraceni.

I progetti di crociate di Gregorio sono in apparenza grandiosi, ma soffrivano di una intima contraddizione. Il monaco aveva in lui fuorviato l'uomo politico, a meno di non ritenere che, come su Napoleone e su altri conquistatori della stessa tempera, così su lui il prodigioso, la grandiosità senza limiti esercitassero un'attrattiva irresistibile.

La convinzione però che era un debito d'onore venire in aiuto dei cristiani in Terra Santa aveva conquistato gli animi così dei grandi come dei piccoli, e molti di essi avevano anche speciali ragioni per desiderare di adempiere a tale obbligo. In mezzo al rilassamento, rasentante lo sfacelo, dell'autorità regia e degli ordinamenti giuridici in quasi tutti gli Stati, specialmente in Francia ed in Italia, ma anche in Germania, i feudatari turbolenti ed i loro scherani si impegnavano a crudeli e spietate violenze così fra di loro nelle infinite guerricciuole private che pullulavano ovunque come contro le altre classi del popolo. Ma non di rado li coglieva il pentimento ed allora cercavano l'occasione di fare ammenda dei loro misfatti. Se avevano incendiato una chiesa, si sottoponevano alla pena di trasportare le pietre per ricostruirla, se si erano macchiati di assassinio od avevano incendiato un villaggio appartenente ad un chiostro, facevano voto di compiere pellegrinaggio a lontani santuarii e vi si recavano sottoponendosi a penitenze, oppure si assoggettavano a lunghi digiuni e ad altre privazioni.

La paura delle pene eterne li rendeva tolleranti di questo e d'altro. Per tutti i cavalieri cui rimordeva la coscienza una crociata in Terra Santa si presentava come la migliore delle occasioni per riscattarsi dal peccato, senza contare che li attraevano le meraviglie dell'Oriente, le speranze di avventure simili a quelle celebrate dall'epopea e la prospettiva di conquistarsi addirittura grandi feudi e castelli e città nel levante.

Le masse dei rozzi cavalieri, per lo più poveri e disperati, si sentirono invasi da un entusiasmo delirante, dimentico di ogni cosa terrena, allorché papa Urbano II nel 1095 ai concili di Piacenza e di Clermont proclamò la crociata.

Era in atto la lotta contro Enrico IV, e nella stessa assemblea comparve l'imperatrice ADELAIDE dove fece pubblica confessione narrando particolareggiatamente le turpitudini che il marito le aveva fatto commettere. Adelaide fu assolta per aver confessato quelle colpe mentre il nome di Enrico fu ricoperto dal fango dell'infamia.
Ma sempre nella stessa affolata assemblea di Piacenza procurò la più grande impressione-commozione la comparsa dei legati dell'imperatore Alessio, giunti in città a chiedere aiuto al Papa e a tutto l'Occidente cristiano contro i Selgiucidi che trattavano atrocemente i fedeli di Cristo e, dopo aver conquistata la Palestina, ora minacciavano l'incolumità dell'impero greco.

"Occasione migliore - scrive il Bertolini - non poteva essere data ad Urbano di ottenere piena rivincita sopra Enrico e il suo antipapa. Due interessi si collegavano all'impresa sollecitata da Alessio: uno era cristiano, l'altro era ecclesiastico. La liberazione di Terrasanta dalle mani degl'infedeli era l'interesse cristiano; il ritorno della Chiesa orientale sotto la supremazia di Roma era l'interesse papale-ecclesiastico.
Urbano li unì insieme nel suo bando piacentino ai cristiani di correre in "aiuto" (non aveva ancora detto "crocioata") della Chiesa greca e del suo imperatore. Migliaia di voci risposero all'appello del Pontefice, e l'eco risuonò per tutta Europa. Il gran momento era venuto. Le nazioni cristiane si apprestavano ad uscire dal suolo natio andando in cerca di nuovi orizzonti.
E mai un sentimento religioso era stato capace di destare tanto entusiasmo.

Si é molto discusso quali fossero esattamente le intenzioni dei bizantini nell'avanzare questa richiesta di "aiuto": certamente non scatenare una guerra santa, concetto che era del tutto estraneo alla mentalità bizantina secondo cui la morte in battaglia era sempre e comunque riprovevole e la guerra qualcosa di vergognoso, indipendentemente dalla religione del nemico. Secondo Steven Runciman ("Storia delle Crociate") l'intento era probabilmente quello di utilizzare il papa come tramite per il reclutamento di nuovi mercenari franchi che potessero supplire alla carenza di uomini dell'esercito bizantino e dunque permettere di lanciare una grande offensiva per riconquistare l'Asia Minore.
Mai più pensavano che questa richiesta d'aiuto si sarebbe poi trasformata per loro in un incubo, per l'arrivo in oriente di stormi di "cavallette" a depredare i loro territori, a spartirseli, ad ignorare ogni loro diritto.
Nè pensavano che l'intellighenzia clericale e integrista di Roma, coltivava da tempo l'idea di dare una "lezione armata" alla confessione che non aveva voluto accettare il primato di Pietro e di Roma.

Il concilio di Piacenza si chiuse il 7 marzo. Nella stessa estate del 1095, l'11 agosto, URBANO supera le Alpi e giunge alla città di Le Puy, dove ha occasione di parlare a lungo con il vescovo della città, ADEMARO di MONTEIL, che aveva partecipato alla guerra santa contro i Mori di Spagna. E molto probabile che fu in questa città gli venne l'idea di indire una "crociata"; da qui, infatti, iniziò a inviare lettere a tutto l'episcopato francese annunciandogli un importante prossimo concilio a Clermont-Ferrand, fissato per il 18 novembre.

Nel frattempo in settembre, Urbano si era recato nei territori di RAIMONDO IV di Saint-Gilles, conte di Tolosa e marchese di Provenza, il più potente dei feudatari della Francia del sud. Fu l'unico nobile con cui il papa parlò direttamente delle sue idee sulla crociata, anche perché Raimondo con il suo esercito aveva già partecipato alle lotte contro i mussulmani in Spagna.

Puntualmente il 18 novembre si aprì il Concilio, e questo riuscì non meno numeroso dell'altro di Piacenza: incalcolabile era la folla dei chierici e dei laici; facevano corona al Pontefice quattordici arcivescovi, duecentoventicinque vescovi e quattrocento abati, alla presenza dei quali, discusse le questioni ecclesiastiche, e riconfermò ancora una volta i divieti nei confronti della simonia, del matrimonio ecclesiastico e dell'investitura laica.

Inoltre Urbano II dallo stesso suo scranno lanciò la scomunica sul re Filippo di Francia reo di adulterio con Bertrada, moglie di Folco, conte di Anjou. Pretestuoso movente per screditare il sovrano, qualora non si fosse schierato con i suoi progetti. Cercava di creare anche lui una "Canossa".

L'ultimo giorno, il 26 novembre, il concilio, tenuto anche questo all'aperto e più imponente cdi quello piacentino, per l'innumerevole concorso di popolo andato ad ascoltare la parola del Pontefice, che bandiva la guerra santa.
E il Papa parlò alla folla immensa come non aveva mai prima di allora parlato, con grandissima magniloquenza, come se una forza soprannaturale lo ispirasse. .
Parlò delle tristissime condizioni in cui si trovava la Palestina.
"La regione che ha dato i natali al Redentore del mondo giace sotto il giogo intollerabile dei Turchi ; sono vergognosamente profanate le chiese cristiane; i fedeli di quella terra oppressi; l'espressione del culto proibita o derisa; perseguitati o insultati o gravati di esosi balzelli i pii pellegrini; e gl'infedeli minacciano di invadere Costantinopoli, di calpestare con il loro piede impuro le terre di tutta la cristianità d'Occidente e di cancellare dal mondo cattolico il sacro simbolo della Croce".
Occorreva pertanto, "allontanare questo pericolo, lavare l'onta recata all'Oriente cristiano, piantare ancora il Sacro Legno sul maggior tempio di Gerusalemme, restituire il culto alle chiese, liberare il Santo Sepolcro di Cristo e renderlo nuovamente glorioso".

"Niente dunque ritardi la partenza di quanti parteciperanno a questa spedizione: diano in affitto le terre, raccolgano tutto il denaro necessario al loro mantenimento e non appena l'inverno sarà finito e cederà alla primavera, si mettano in cammino sotto la guida del Signore..." (Testo riportato da Fulcherio di Chartres).
"...Quelli tra voi che sono ispirati da Dio a fare questo voto sappiano che potranno unirsi con i loro uomini alla partenza fissata, con l'aiuto di Dio, per il giorno della Beata Vergine..." (da una lettera di Urbano II al principe di Fiandra).

Le parole dette e più volte ripetute ad ogni appello furono due: “Deus vult !” (Dio lo vuole!)

Le parole del Pontefice tuonavano come una voce che scendeva dal cielo sulla folla, e questa ad ogni pausa pendeva dal suo labbro con l'animo agitato, con il cuore in tumulto. Il Papa, mettendo frequentemente l'accento sulle sofferenze dei cristiani in Oriente, queste producevano brividi di commozione, suscitavano impeti di sdegno, e la moltitudine iniziò tutta a vibrare dal desiderio di prendere le armi e recarsi a morire eroicamente, lontano, per la gloria della fede.

Il Papa sempre tuonando, aveva pure ammonito che "era ora che i cristiani la smettino di trucidarsi fra loro, poveri e ricchi devono egualmente prepararsi per una guerra giusta in cui saranno assistiti dal Signore che guiderà i loro passi". E annunciò che coloro che fossero morti nella crociata avrebbero avuto la piena remissione dei peccati.
"A coloro che, partiti per questa guerra santa, perderanno la vita sia durante il percorso di terra, sia attraversando il mare, sia combattendo gli idolatri, saranno rimessi per questo stesso fatto tutti i peccati..."

Passo dietro passo il discorso infiammato del Papa fu interrotto da grandi acclamazioni e quando Urbano II terminò di parlare, da tutte quelle migliaia di bocche si levò il grido della "guerra santa" ripetuto all'infinito "Deus vult", in un clima di entusiasmo quasi isterico. Molti versavano lacrime di commozione e tutti si affollavano a ricevere il segno della pia spedizione, una croce di stoffa rossa cucita sulla sopravveste alla spalla destra.

La predicazione della santa guerra, fatta dal Pontefice a Clermont, fu portata dai vescovi nei pulpiti delle loro diocesi, dai sacerdoti nelle chiese, dai signori tra i loro vassalli e in breve l'entusiasmo guerriero si propagò a tutto il mondo cattolico, spingendo alle armi uomini di ogni classe sociale, principi, mercanti, servi, avventurieri, banditi, i quali erano trascinati all'impresa non solo dalla fede ma anche dagli interessi e rifarsi una immagine.
Infatti, grandissimi erano i benefici che ognuno sperava di ritrarre da quell'avvenimento singolare: i sovrani allontanavano gli elementi perturbatori, il clero si assicurava il trionfo della teocrazia-papale, la nobiltà sognava di fondare nuovi principati in Oriente, i commercianti pensavano allo sviluppo dei traffici, i coloni ad alleviare i pesi che su di loro gravavano, i cavalieri alla gloria da conseguire e, infine, gli irrequieti e gli avventurieri vedevano in quella guerra un'occasione propizia in cui potevano soddisfare i loro istinti e conseguire facili e favolosi guadagni.

Gli animi - dice un cronista del tempo - erano così infiammati che il marito abbandonava la moglie, il padre il figlio, il figlio il padre, né c'era legame d'affetto o di sangue che trattenesse dal partecipare alla "guerra santa" .
E come potevano gli uomini rimanere insensibili all'appello dei numerosi predicatori che percorrevano le regioni dell'Europa arringando le turbe?
Fra questi predicatori che più di ogni altro sapeva trascinare le folle con la sua parola ispirata, c'era un poveraccio, PICCARDO di AMIENS; di lui si diceva che, essendo andato pellegrino a Gerusalemme, avesse sentito una voce divina che così gli aveva parlato: "Sorgi e rivela al mondo le afflizioni del mio popolo; è tempo che il santuario di Dio sia purificato".

Vestito di un umile saio, con lo sguardo fiammeggiante e il Crocifisso in mano, PIETRO L'EREMITA predicava instancabilmente ai contadini della Francia la guerra santa, e al fatidico e ripetuto grido di "Dio lo vuole!" commuoveva, persuadeva, trascinava la folla all'isteria.

Fin dall'inverno 1095-96, per le prediche dell'ispirato Piccardo, si radunò una moltitudine di uomini di ogni età e di donne, uno strano esercito, privo di disciplina e di armi, con degli stracci addosso, ma pieno di ardore e di fanatismo, che dietro la guida di PIETRO L'EREMITA si mise in marcia e, per la Franconia, la Baviera, l'Austria, l'Ungheria, la Bulgaria e l'impero bizantino, giunse fino a Nicea, seminando la lunghissima via di migliaia di cadaveri, depredando i paesi che attraversavano. Queste turbe erano la disordinata avanguardia del vero esercito crociato che doveva partire più tardi.
Narrare gli avvenimenti della prima parte di questa spedizione si andrebbe oltre i limiti di questa breve storia. Ma si supererebbero anche questi limiti nel narrare la seconda parte della spedizione, che diventa un'impresa più degna di un poema che di storia.
Ci furono gelosie di capi, timori di connivenze dei primi crociati con gli infedeli (quando i primi scoprirono la civiltà e la cultura dei secondi, vestendosi come loro, frequentando le loro case, unendosi perfino in matrimonio con le loro figlie). Poi lotte titaniche contro la tenacia e il valore dei nemici, stenti inenarrabili, eroismi leggendari, sofferenze inaudite.


Papa Urbano II insomma con la "crociata" aveva ripreso la politica di Gregorio VII con maggiore energia, anche se con una certa prudente moderazione nelle aspirazioni, ma con la stessa brutale indifferenza nella scelta dei mezzi. Tuttavia ben presto si rivelò quanto fosse limitata la sua autorità. Egli poté mettere in movimento le masse, ma non mantenervi l'ordine. Le schiere di crociati che per le prime, rispondendo al suo appello, si riversarono nei vari paesi rappresentarono un vero e proprio schermo degli scopi religiosi che avevano preso a prestito.

Nelle città del Reno, in Ungheria, nell'impero greco questi crociati commisero orrori inauditi, ma furono anche massacrati a migliaia dalle popolazioni insorte contro di loro. Invece principi come il duca di Lorena, Goffredo di Buglione, i conti di Fiandra, il duca di Normandia, i conti di Tolosa, i principi normanni della bassa Italia, Boemondo figlio di Roberto il Guiscardo e suo cugino Tancredi, numerosi signori lorenesi e francesi o normanni francesizzati, si prepararono con cura alla spedizione e procedettero in miglior ordine raggiungendo prima Costantipoli.
L' imperatore Alessio della famiglia dei Comneni (1081-1118), che aveva saputo tranquillizzare i torbidi interni, resistere a Roberto il Guiscardo, e vincere i Peceneghi che avevano esteso le loro scorrerie fin nei dintorni di Adrianopoli, avrebbe visto ben volentieri arrivare a rinforzo del suo esercito nella lotta contro i saraceni una schiera di cavalieri occidentali, ma le grandi masse che sopraggiunsero e l'attitudine pretenziosa dei loro capi lo atterrirono.
Alla fine però riuscì ad ottenere che i più fra i principi gli prestassero una specie di giuramento di vassallaggio e gli promettessero di consegnargli tutti i territori e le città che si sarebbero conquistate e che una volta erano appartenuto all'impero greco.

Alcuni principi rifiutarono di giurare e per questo motivo non si mancò neppure di venire alle mani, ma la massa principale dei crociati, dopo la conclusione di appositi trattati, venne traghettata in Asia, e l'imperatore Alessio promise di fornirle aiuti di navi, truppe ed altro. Ma ben presto le rivalità scoppiarono nuovamente, ed i principi occidentali vennero anche fra di loro continuamente ad aspri conflitti, L'invidia e la vanità offesa trovarono inoltre sempre nuovo alimento così nelle vittorie come negli insuccessi. Non soltanto mancava a questi guerrieri inviati dal papa ed accompagnati da un legato pontificio quello zelo che loro volentieri attribuisce l'ammirazione dei posteri dettata dal sentimento religioso, ma difettava loro la più elementare disciplina, che ogni capo di un esercito, anche piccolissimo, deve curare di mantenere, e senza la quale poi un grande esercito non può a meno di andare incontro alla rovina.

L'esercito crociato subì gravi ed alterne vicende. Sotto Antiochia esso parve perduto, ma poi strappò la vittoria con una lotta disperata cui fu incoraggiato da un preteso miracolo, la scoperta della santa lancia (28 giugno 1098). Ma davanti a Gerusalemme non arrivò che un piccolo residuo del grande esercito; le masse erano in parte perite vittime delle privazioni e delle malattie o degli assalti dei saraceni, in parte erano tornate indietro. Si dice che i crociati non fossero sotto Gerusalemme più di 20.000, mentre l'esercito che difendeva la città era del doppio. Tuttavia il 15 luglio 1099 i crociati tentarono l'assalto, servendosi di torri di legno e di scale, spinti dal pensiero di essere ora prossimi alla meta e dal desiderio ardente di liberare la città santa.

Nel nome di Dio essi lottarono e presero la città, ma Dio e tutti i santi dovettero volgere altrove lo sguardo per non vedere gli orrori che i vincitori vi commisero. La tradizione narra che nel tempio di Salomone il sangue degli uccisi montò sino alle ginocchia dei cavalli, che l'aria risuonava delle grida degli infelici prigionieri, cui uno dei capi aveva promesso salva la vita e che l'altro ad onta di ciò fece massacrare.

"Per le strade e le piazze si vedevano mucchi di teste; mani e piedi tagliati; uomini e cavalli correvano tra i cadaveri. Ma abbiamo ancora detto poco (...) basti dire che nel tempio e nel portico di Salomone si cavalcava col sangue all'altezza delle ginocchia e del morso dei cavalli. E fu per giusto giudizio divino che a ricevere il loro sangue (dei musulmani) fosse proprio quel luogo stesso che tanto a lungo aveva sopportato le loro bestemmie contro Dio. (...) Ma, presa la città, valeva davvero la pena di vedere la devozione dei pellegrini dinanzi al Sepolcro del Signore, e in che modo gioivano esultando e cantando a Dio un cantico nuovo."
Così il testimone oculare della presa di Gerusalemme, il chierico Raimondo di Aguilers, cappellano del principe crociato Raimondo di Tolosa.


Sete di sangue, cupidigia di saccheggio e lussuria sfrenata regnarono sovrane. È ben vero che questi guerrieri cristiani si gettarono in ginocchio dinanzi al Santo Sepolcro e si abbandonarono per un momento all'estasi religiosa, ma non per questo cessarono dalle stragi. Tutto ciò assume il carattere di un enorme blasfema, tanto più enorme quanto più ci possiamo raffigurare profonda la contrizione e l'estasi di queste milizie oranti che erano convinte di trovarsi effettivamente sul luogo che aveva santificato il piede di Cristo.

Il regno di Gerusalemme venne fondato dai conquistatori con grande entusiasmo, ma non si mostrò proprio per nulla vitale. I cavalieri rimasti in Oriente si rammollirono o si imbarbarirono ed in massima parte fecero poco onore al cristianesimo. Le spedizioni che nel corso dei due secoli successivi passarono in Oriente per recare loro aiuto e dopo la caduta di Gerusalemme (1187) per riconquistare il Santo Sepolcro ed anche per muovere alla conquista dell'Egitto, la sede principale degli islamici che minacciavano la Palestina, riproducono in maniera stereotipa il quadro della prima crociata.

Spedizioni di maggiore o minore entità in Terra Santa se ne ebbero molte in questo periodo, ma soltanto sei di esse si sogliono annoverare tra le crociate intese in senso stretto. La seconda crociata é caratterizzata dalla spedizione del 1147, a partecipare alla quale Bernardo di Chiaravalle indusse anche l'imperatore Corrado III. Questa crociata rivelò anche meglio della prima che la chiesa non era capace di dirigere le cose temporali e specialmente simili imprese militari, e furono soprattutto i disinganni in essa provati che smorzarono quelle tendenze clericali che sino allora avevano sempre più invaso gli animi ed avevano servito di sostegno ai papi per accrescere le loro pretese di fronte ai re.

Si manifestò allora una reazione in favore del potere temporale, reazione che, come abbiamo visto sopra, costituì un fattore essenziale della politica dell'imperatore Federico I. Ma non per questo svanì la smania delle crociate. Il desiderio di visitare il Santo Sepolcro e di vedere le meraviglie dell'Oriente non era nel 1200 minore di quel che fosse verso il 1100.
Ma la direzione della terza crociata non fu più come prima lasciata alla chiesa. La decisione dell'imperatore Federico I di passare in Terra Santa fu assai più personale e volontaria, che non quella di Corrado III, e la sua autorità ed i suoi poteri furono di gran lunga maggiori. Sino alla sua morte egli tenne in sua mano saldamente il governo dell'impresa, e gli uomini poterono sperimentare quanto fosse preziosa ed indispensabile la guida di un sovrano non indebolito nei suoi poteri dalle usurpazioni ed ingerenze clericali.

La quarta crociata invece tornò ad' esser diretta prima prevalentemente dal papa, che era Innocenzo III, di cui nessuno contesta le già dette qualità politiche e che allora sembrava aver ridotto alla sua dipendenza tutti i principi della terra. Ma la potenza politica e militare di Roma era anche allora in balìa di gente di parte e di avventurieri, proprio cioè della gente più corruttibile. Essa quindi poteva venir meno ad ogni momento; e nei fatti accadde che anche la direzione di questa crociata (1203-1204) sfuggì di mano ad Innocenzo III.

Invece di combattere i Selgiucchi, i crociati presero d'assalto la capitale dell'impero greco, di uno Stato cristiano, quella città che nelle precedenti crociate aveva spesso servito da base d'operazioni contro i Saraceni. La speranza di grandi conquiste in questo bel paese, l'odio tradizionale tra normanni e greci che si combattevano dai tempi di Roberto il Guiscardo, e soprattutto la rivalità mercantile della potente repubblica marinara di Venezia, si coprirono del pretesto dell'antagonismo religioso tra Roma e Costantinopoli che sinora nelle lotte contro gli islamiti era stato considerato come cosa di secondo ordine, e deviarono le armi dei crociati dal loro scopo primitivo per farle convergere su Costantinopoli.

La città cadde il 12 aprile 1204.
Quello che poi seguì a questo sbarco sono le pagine piu' vergognose della storia delle crociate. I crociati depredarono Costantinopoli, la razziarono, caricarono sulle navi tutti i tesori che erano custoditi nella millenaria città da secoli e secoli di storia, uccisero, compirono stragi e se si macchiarono di orrende scene da far rimpiangere quelle dei peggiori barbari. 
Cancellate vestigia, portati via interi monumenti, compresi i famosi quattro cavalli di bronzo che ornano oggi San Marco a Venezia.

Quel che seguì alla conquista fu spaventevole, e confermò ancora una volta che lo zelo religioso é spesso un pessimo amico della virtù. Dopo il massacro i conquistatori vennero a lite tra loro per la ripartizione della preda, e questa preda, non escluso il suo più splendido gioiello, la corona dell'impero latino, non recò ai più vantaggi duraturi. Baldovino di Fiandra che la cinse, cadde poco dopo (1207) in potere del re dei Bulgari che lo fece morire fra i tormenti.

Con l'Impero Latino d'Oriente (non proprio una gemma, ne' un gioiello cristallino della politica occidentale) si formano anche alcuni regni divisi fra i partecipanti alla "crociata". Ma si scontrano immediatamente fra di loro volendo ognuno il suo regno indipendente. Si scontreranno Alessio e David Commeno, Enrico di Fiandra (fratello di Baldovino), Michele Angelo, Teodoro Lascaris.

Anche i successori di Baldovino di Fiandra, non riuscirono mai a consolidarsi sul trono, infine nel 1261 i greci riconquistarono Costantinopoli. Essi riorganizzarono il loro Stato, ma l'antica potenza non tornò a fiorire, e Costantinopoli alla fine cadde nelle mani dei Turchi e divenne la capitale dell'islamismo. Il risultato dunque cui portò la quarta crociata con le successive gesta dei latini fu in sostanza quello di fare una breccia nel più forte baluardo che sinora aveva protetto l'occidente cristiano contro gli assalti dell'islamismo.

Papa Innocenzo III non aveva voluta la conquista di Costantinopoli. Ma, giusta la notizia dell'espugnazione della città, i il pensiero che la rivale di Roma era ormai prostrata e che anche l'Oriente riconosceva la supremazia di Roma fece dimenticare ogni sua preoccupazione ed ogni timore che gli potesse sorgere dal fatto che i cristiani si uccidevano tra loro invece di combattere insieme contro gli islamiti.
Egli celebrò come un miracolo la conquista e vi aggiunse delle considerazioni che in certo modo rimproveravano al buon Dio di non aver
fatto cadere prima Costantinopoli nelle mani dei latini. Probabilmente, egli diceva, se ciò fosse avvenuto Gerusalemme non sarebbe mai caduta nelle mani degli infedeli.

Vi è da perdere fede nella perspicacia umana a vedere quanto é meschino, insulso e nello stesso tempo presuntuoso il modo di ragionare di una testa che non era certamente una delle meno dotate, ed a scorgere quanto ristretto fosse il suo orizzonte e come si perdesse in vaneggiamenti, tutta assorbita nel miraggio di un dominio universale di cui proprio questa crociata gli avrebbe dovuto far toccare con mano l'inanità e l'impossibilità.

Nel fuori del numero delle crociate che di solito si elencano, sta la crociata così detta dei fanciulli del 1212 (Piccolo rampolli di famiglie nobili, eccitati dalla esaltazione e dal fanatismo della fede, vengono mandati allo sbaraglio in oriente a combattere gli infedeli).  il più triste ma anche il più caratteristicamente mostruoso parto delle tendenze mistiche dell'epoca. Dei fanciulli affermarono che Dio aveva loro ordinato di redimere la Terra Santa.
Guidata dal monaco Stefano de Cloies, il frate imbarcò a Marsiglia 30.000 giovani su sette navi. Due colarono a picco già alla partenza, le altre raggiunsero la Tunisia poi Alessandria. Qui i proprietari delle navi per rifarsi dei danni subiti dal fortunale, vendettero come schiavi ai turchi i "bambini" scampati.  Federico II quando vi sbarcò sedici anni dopo nel 1228, incontrò 700 sopravvissuti, che erano ormai trentenni e che facevano ancora gli schiavi.

Non meno fortunata ma semmai molto triste fu quella dei "bambini" guidata da un "profeta" lui stesso "bambino", il tedesco Nicholaus di 12 anni, che assicurava ai suoi fanatici coetanei che "avrebbe camminato sul mare". Raccolse 8000 adolescenti creduloni. Recatisi a piedi a Roma, il papa non concesse la benedizione, e li rimandò a casa. Nel riattraversare le alpi in pieno inverno morirono quasi tutti congelati in una bufera di neve.

Si aggiunse a queste due anche la "crociata dei pastorelli" del 1251, sotto la guida di un altro fanatico pseudo-monaco di nome Giacobbe; un vecchio pastore che stregava i giovani con un piffero da pecoraio (da questo episodio nacque probabilmente la famosa leggenda del pifferaio di Hamelin). Formò un esercito di ragazzini francesi. Nell'attraversare città e paesi devastavano le proprietà dei ricchi, massacravano ebrei, razziavano ogni cosa. Avanzando, nell'avvicinarsi alle città, gli abitanti li attesero al varco e furono uccisi tutti.

Si sarebbe avuta ragione di credere che dopo tutto ciò si sarebbe verificato un mutamento nell'opinione pubblica. Ma le cause generali delle crociate: la satura del sentimento religioso vincolato a simboli sensibili, lo spirito d'avventure, il bisogno di una forma di espiazione e di penitenza compatibile con le idee cavalleresche, e l'esuberante numero di gente dedita al mestiere delle armi che non trovava occupazione sufficiente; tutti questi fattori che provocarono le crociate dell'XI e XII secolo, continuarono ad esercitare la loro
influenza anche nel XIII secolo. Si aggiunsero poi nel corso del XII e XIII secolo le sempre maggiori esigenze commerciali delle città marittime, specialmente italiane, le quali fecero volentieri forti sacrifici perché in Siria ed in Egitto sorgessero delle potenze cristiane e fossero così conclusi trattati vantaggiosi con gli Stati maomettani. Perciò perdurò vivo l'interesse per queste spedizioni, ed i papi da parte loro persistettero nel considerare proprio dovere di far predicare la crociata.

A favore dei cristiani militò il fatto che anche nel XII e XIII secolo i maomettani rimasero discordi ed indeboliti da interne scissioni e che i loro regni orientali con le splendide città di Samarkand, Herat, Merv ed altre furono distrutte dai mongoli di Gengiskan. Ma ciò nonostante fra tutte le crociate di questo periodo solamente quella guidata da Federico II nel 1228-29 ottenne successi di qualche rilievo. Nel 1238 l'imperatore preparava una nuova crociata per l'anno successivo, in cui scadeva il trattato da lui concluso nel 1229 col sultano. Ma, siccome il papa lo ostacolò in tutti i modi nel suo progetto nel 1239 concluse persino una lega contro di lui con Milano ed altre città, Federico non poté abbandonare l'Italia.
Quali ultime crociate vengono ricordate quelle condotte da Luigi IX di Francia. Re Luigi era passato a Cipro nel 1248 con una grande flotta, aveva conquistato nel 1249 Damietta, la potente piazzaforte marittima che costituiva la chiave dell'Egitto, ma in seguito fu fatto prigioniero coi residui del suo esercito già decimato da una epidemia.

L'imperatore Federico si era mostrato pronto a correre in suo aiuto, ed al pari di lui molti incolparono il papa di averglielo impedito con le sue pretestuose ostilità e di aver così causato il disastro della spedizione. Verso il pagamento di un grave riscatto e la restituzione di Damietta re Luigi riacquistò insieme a pochi dei suoi la libertà e, benché sia rimasto ancora tre anni in Siria, non poté far nulla di concludente. Nel 1270 egli prese ancora una volta la croce, ma non si diresse più verso la Siria e l'Egitto, ma verso Tunisi, dove, dopo alcuni successi iniziali, subì gravissime perdite a causa di una epidemia, e questa alla fine uccise anche lui.

La crociata in questo caso, come nel caso della espugnazione di Costantinopoli, celava sotto il suo fine principale ed apparente altri fini politici accessori. È questo un abuso che si rivela anche più sfacciatamente nei numerosi casi nei quali la crociata fu predicata per ingrossare spedizioni che in fondo avevano unicamente mire territoriali. Si può anche giustificare che le guerre di conquista condotte contro gli Slavi pagani dimoranti ad oriente dell'Elba e contro i Prussiani ed i Lituani siano state inscenate come crociate per richiamar combattenti e per fruire della cooperazione della chiesa. Ma non é in alcuna modo giustificabile che in conflitti come quello dell'arcivescovo di Brema contro i contadini di Steding (1232-34) sia stata predicata la crociata, ovvero che il papa abbia ordinato che in tutte le chiese si predicasse la crociata contro l'imperatore.

Solo molto lentamente gli uomini si liberarono dalle idee dell'autorità quasi divina dei papi; queste idee erano purtroppo radicate. Ma l'andamento complessivo delle crociate, le disillusioni che ne erano state riportate in tutti i paesi cristiani, e particolarmente taluni fatti, come ad esempio, che nel 1228-20
le milizie assoldate dal papa avessero invaso il regno di Federico II mentre si trovava alla crociata, che nel 1239 le ostilità di papa Gregorio avessero impedito all'imperatore di passare in Terra Santa, e che ancora una volta nel 1249-50 egli avesse trovato lo stesso ostacolo in papa Innocenzo IV, sebbene si trattasse di recare aiuto all'esercito cristiano che in Egitto era in posizione estremamente critica; tutti questi fatti fecero necessariamente una certa impressione. Più che ogni altro forse ebbe questo effetto il vedere che l'imperatore Federico II, a causa delle ostilità del papa in Italia, non poté muoversi dalla penisola quando nel 1241 i mongoli invasero la Germania. Egli scrisse in Germania che gli era impossibile lasciar l'Italia perché aveva motivo di temere che il papa lo avrebbe preso alle spalle come aveva tentato di fare quando si trovava in Terra Santa.

Per conseguenza le crociate modificarono notevolmente anche i sentimenti generali rispetto alla chiesa ed in particolare le idee in fatto di politica ecclesiastica, corroborando quella convinzione che già si era fatta strada di fronte alla così pronunciata direttiva della politica dei papi verso fini di conquiste temporali. L'opera dei papi e le pretese del clero incontrarono critiche più manifeste e coscienti.

Uomini di tutti i paesi, e fra loro molti dotati di cultura e di dottrina, ebbero occasione di sottoporre ad esame, le affermazioni dei papi e le loro disposizioni in circostanze tali che rendevano impossibile ogni riserbo e costringevano a mettere a nudo la verità delle cose.

È ben vero che nel XIII secolo l'autorità universale pretesa dai papi subì anche maggiore incremento. Il sistema del diritto canonico venne perfezionato a questo scopo ed il potere del papa ampliato teoricamente all'infinito; e ciò non solo di fronte alla potestà temporale, ma anche di fronte agli altri vescovi. Il diritto di eleggere i vescovi, riconosciuto ai capitoli delle cattedrali ed al popolo, nonché ai gruppi competenti, quel diritto per il cui libero esercizio Gregorio VII aveva scatenato la rivoluzione dell'XI e XII secolo, fu da Innocenzo III mutato nella meschina facoltà di proporre il vescovo con la preghiera di nominarlo.

Le smisurate pretese poi di Bonifacio VIII non furono che semplici conseguenze della politica papale del XIII secolo. Lo stesso Tommaso d'Aquino, che pure è da annoverare tra i più moderati difensori delle pretensioni curiali, attribuì nello scritto De regimine principum al papa una supremazia su tutti i principi della terra, non escluso l'imperatore, ed Augustinus Triumphus scrisse a principio del XIV secolo essere una stoltezza il voler tener distinto il temporale e lo spirituale. Col potere spirituale al papa spettava anche quello sulle cose terrene. Si reclamava pertanto a favore dei papi una posizione analoga a quella che avevano posseduta i califfi.

Ma nel momento in cui ad opera di Bonifacio VIII sembravano essere in procinto di conquistare tale posizione, i papi caddero in soggezione di un principe teoricamente a loro subordinato. Ed anche nella dottrina, accanto alla teoria dell'autorità universale dei papi, continuò a manifestarsi lo spirito della monarchia germanica e del diritto romano ed anche un residuo non indifferente della vecchia autonomia dell'episcopato.

Negli scritti politici di quei tempi aleggia in parte già uno spirito tutto moderno, che si ribella anche contro le pretese che i papi fondavano sulla supposta donazione di Costantino o che avevano realizzate mediante una interpretazione scolastica di passi biblici.

L'esagerazione stessa delle pretese clericali e l'eccessiva e temeraria applicazione dei metodi dialettici medioevali hanno aiutato il mondo a spezzare le sue catene. E le crociate vi hanno contribuito notevolmente.
Non dobbiamo dimenticare i crociati distrussero le ultime tracce di fratellanza tra cattolici e ortodossi; e quando più tardi saccheggiarono Costantinopoli, aprirono le porte dell'Impero d'Oriente agli invasori turchi.

Questa fu la prima, ma con quelle che poi seguirono (che riportiamo in altre pagine) ci ricordano anche che l'avventura delle crociate fu iniziata per imporre una civiltà - che l'Occidente credeva altissima - e finì invece che ne scoprì un'altra più avanzata: scoprì le scienze, la matematica, la medicina, l'astronomia, la letteratura, la filosofia, l'agronomia, l'ottica, la geografia del mondo, e tante altre. Un'enorme "mensa del sapere" che nutrirà d'ora in avanti l'intera Europa. Sconvolgendola!

Riscoprirà (nelle biblioteche arabe) conservata tutta la civiltà classica (paradossalmente anche quella latina tradotta in arabo) considerata fondamento di ogni progresso civile e spirituale dell'uomo, e sottoporrà a critica le nozioni tradizionali, che significò una rivalutazione dell'uomo e della sua possibilità di comprendere e trasformare il mondo.

Riscoprirà perfino la musica, e con questa inizierà il "preludio" dell'Umanesimo, per poi approdare alla grande "sinfonia" del Rinascimento.

Ma prima di questi grandi eventi
dobbiamo soffermarci sulla...

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