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7I. L'IMPERO D'ORIENTE DAL 867 AL 1261 - L'UNGHERIA

 

(le dinastie e i singoli
imperatori,
sono a fondo pagina)

Dopo che l'imperatore Giustiniano ebbe riconquistata l'Italia ai Goti, l'Africa ai Vandali, e le coste meridionali della Spagna ai Visigoti, sembrò per un momento che Costantinopoli avrebbe riassoggettato anche il mondo latino e ripristinata l'unità dell'impero romano.
Ma nel VII secolo queste conquiste andarono nuovamente perdute sotto la spada degli Arabi e dei Longobardi, e da quest'epoca l'impero d'Oriente rimase limitato quasi esclusivamente ai paesi di lingua greca del passato impero romano e svolse più nette e decise quelle caratteristiche cui noi solitamente alludiamo quando parliamo di bizantinismo e di impero bizantino.

La massa della popolazione della penisola Balcanica, dell'Asia Minore e delle altre regioni per lungo tempo appartenute all'impero, come la Siria, l'Armenia e l'Egitto, non era né d'origine romana, né d'origine greca.
Si trattava di popoli di razza e lingue diverse. L'etnografia della penisola Balcanica aveva subito nel VI secolo un forte mutamento per l'invasione degli Slavi.
La Grecia propriamente detta però ellenizzò i conquistatori slavi e la loro nazionalità si conservò distinta soltanto nel nord della penisola, dove poi si fuse con i Bulgari, d'origine turca, che verso la fine del VII secolo soggiogarono gli Slavi sul basso Danubio.

Questi Bulgari slavizzati costituirono per lungo tempo un pericolo per l'impero d'Oriente, ma in seguito subirono l'influenza del suo incivilimento, ne presero l'impronta e sopra tutto si aggregarono alla chiesa greca quando sotto lo zar Boris (852-888) si convertirono al cristianesimo.

Dal VII secolo quindi all'Occidente romano-germanico si contrappose un oriente elleno-slavo. In seno al vari popoli dell'impero si formò una classe dirigente di cultura greco-romana la quale fu la principale rappresentante della coscienza politica di questo impero, decadente se in paragone agli Stati germanici, ma ancor dotato di tanta forza da resistere non solo ai fieri assalti di molteplici popoli barbari, ma da esercitare una vasta influenza e rendere grandi servizi alla civiltà.

Noi celebriamo i nomi di Carlo Martello che sconfisse gli Arabi a Poitiers e dei re sassoni Enrico I ed Ottone I, vincitori degli Ungari, come quelli dei salvatori della cristianità; ma queste lotte sono appena paragonabili agli assalti assai più tremendi e tenaci dei nemici della cristianità che l'impero d'Oriente sostenne e respinse. In grazia della sua perfezionata organizzazione amministrativa questo Stato poté mettere a contributo le poderose risorse di tutto il suo vasto territorio e trovò nel suo esercito ben tenuto ed istruito sempre nuovi generali, degni delle tradizioni militari dell'impero romano e capaci di assicurarsi in ogni momento la vittoria contro i nemici che mossero all'assalto da oriente e da occidente.

L'imperatore Eraclio nel 627 si spinse ancora una volta fino a Ninive, e nei secoli successivi la Siria e l'Armenia assistettero ancora e più volte alle vittorie di eserciti bizantini. Gli eserciti venivano reclutati in parte mediante leva operata principalmente in colonie militari, in parte mediante arruolamenti di uomini di ogni nazione, non esclusi gli stessi barbari invasori, Unni, Bulgari, Slavi, Russi, Turchi e Normanni. Specialmente la guardia imperiale era composta a preferenza di mercenari stranieri. La tecnica militare superiore, l'armamento migliore, i molteplici ordigni costruiti con grande arte per l'assedio e la difesa delle città, la flotta (in molti periodi però trascurata), il fuoco greco temutissimo da ogni flotta nemica, e finalmente il denaro, i titoli e distintivi onorifici con i quali gli imperatori seppero allettare questo o quel popolo barbaro e lanciarlo contro l'altro; tutte queste risorsi fecero dell'impero bizantino, anche nei periodi dal 690 al 900 e dal 900 al 1200, la più ammirata e temuta potenza d'Oriente.

Persino un uomo come Carlo Magno non seppe sottrarsi all'influenza del suo prestigio morale. Venezia e la Sicilia furono conquistati dall'arte bizantina, e l'influenza di quest'arte si fece sentire anche nelle chiese i nei monasteri della lontana Germania; così pure la pompa e la solenne dignità del cerimoniali delle corti bizantine spinsi gli imperatori ed i re occidentali ad imitarle in vari modi.

Costantinopoli e Tessalonica erano centri importanti di industrie e di commercio e costituivano come i punti di raccordo per tutti le relazioni politiche ed intellettuali tra l'Asia e l'Europa. Ma tutti queste prerogative non avrebbero potuto conferire allo Stato tanta forza di resistenza se il suo popolo non avesse conservato maggiori energie di quel che sembra a prima vista.

Nelle classi superiori certo regnava l'opulenza, la lussuria e l'orgoglio, e malgrado la loro esteriore religiosità, essi ci si presentano spesso privi di ogni senso morale.
Anche le ulteriori notizie che abbiamo sulla popolazione della capitale Costantinopoli non sono edificanti. Tumulti di piazza e sollevazioni sanguinosi vi si avvicendavano con la tendenza a terrori infantili e ad una bassa adulazioni. Tuttavia in questa città era pure particolarmente forte il sentimento nazionali, e durante i gravi assedi e le pericolose altre vicende subite da essa per gli assalti di Persiani, Bulgari, Arabi, Russi, Turchi, Normanni e crociati, una buona parte della sua popolazione diede prova di coraggio e perseveranza.

Senza dubbio il peso del dispotismo bizantino, di questa macchina statuale che trattava gli uomini come un semplici materiale, era in grado di soffocare ed esaurire anche le migliori energie, né potevano fare a meno di paralizzare le perenni fazioni provocate dalle rivoluzioni di palazzo e dalle controversie per inezie teologiche (come per le questioni se lo spirito santo emanasse dal solo padri od anche dal Figlio) e per formule che il popolo non comprendeva nemmeno, nonché l'abitudine di vedere uomini, il giorno prima venerati, il giorno dopo sottoposti dall'arbitrio e alla furia partigiana di questa o quella fazione.

Ma i popoli hanno capacità di resistenza insospettate, specialmente i popoli che hanno una lunga storia di grandezza e di sofferenze. Un residuo di energia persiste anche nei popoli decadenti, e l'impero d'oriente non trasse questa forza soltanto dal suo passato, ma seppe trarre nuovi fonti di energia dalle vicende chi dovette superare e dalla missione che fu chiamato a compiere.

Se dal seno di quelle classi superiori depravate e rammollite e dallo stesso fanatismo teologico deleterio più della peste e della guerra, vediamo uscire uomini dotati di forza fisica e di ferrea volontà, significa che questi uomini si alimentarono e trassero dal passato non di rado notevoli energie.

La storia del patriarca Fozio e del suo competitore, la resistenza opposta alle misure cesaro-papiste di Leone VI, l'abnegazione della setta libera pensatrice dei Pauliciani ed altri fenomeni analoghi ripetutisi in tutti i secoli del presente periodo, dimostrano chi in questo popolo non era estinta ogni gagliardia fisica e morali. Nella vita ogni nuova generazione arreca nuove forze, ed i grandi problemi militari e politici che l'impero anche allora dovette affrontare offrirono molteplici occasioni alle capacità spiccate di rivelarsi.

Nuove linfe vitali si erano inoltre trasfuse nella nazione in seguito al mescolarsi dell'elemento greco col romano e con l'orientale, nonché con svariati elementi barbarici; un processo di trasformazione incominciato con Costantino il Grande e che può dirsi compiuto nel VII secolo, quando il popolo di Costantinopoli ci si presenta per lingua e per cultura come un popolo nuovo che impersona una letteratura ed una forma di Stato che non vanno per nulla guardate come semplici appendici della storia greca e romana.
Bisanzio-Costantinopoli, detta anche Nova Roma, é in questa epoca una città medioevale, l'impero d'Oriente uno Stato medioevale, e la letteratura bizantina è un brano della letteratura medioevale. Molti credono che il merito degli scrittori bizantini stia tutto nei residui della letteratura classica che ci hanno conservato; ma le indagini degli ultimi decenni hanno dimostrato che nel VII secolo, dopo la fine del periodo di formazione del popolo bizantino, lo spirito di questo popolo si esplicò in una letteratura propria.
Verso la metà del IX secolo poi la vita intellettuale si levò anche a maggiore altezza e trovò un eminente rappresentante in Fozio, che a parere dei più competenti si giudicherebbe erroneamente qualora lo si volesse aggregare alla schiera degli scrittori dell'ultimo periodo della letteratura classica.

Da questo momento la vita intellettuale bizantina, ad onta delle crisi che ripetutamente minacciarono di rovina lo Stato e la società, continuò ad elevarsi sinché nel XII secolo vediamo sbocciare in tutto il suo fiore la rinascenza letteraria. Certo questa letteratura difettava di nativa freschezza e spontaneità, come si rileva anche dalla lingua dotta e straniera ormai al popolo di cui si serviva; ma si trattava tuttavia sempre di lingua greca e di una rievocazione dello spirito greco, e questo ritorno dello spirito greco esercitò una grande influenza con la sua autorità. I Romei, nome che si davano questi bizantini, erano bensì orgogliosi di essere i continuatori dello spirito greco e della potenza romana, ma nutrivano pure il sentimento di essere anch'essi qualcosa, un popolo cristiano che, posto all'avanguardia in faccia al pericolo, custodiva e difendeva i tesori dell'antichità e la fede seguita da tutta la cristianità.

Detto tutto questo, é facile comprendere come gli elementi del popolo bizantino che si illudevano di essere gli elementi superstiti del mondo greco e romano rivelassero tuttora energia e partorissero dal loro seno uomini capaci di fronteggiare la nuova e difficile situazione. Si aggiunga che l'esercito e la burocrazia, nonché l'enorme apparato delle funzioni di corte, offrivano l'occasione a moltissimi uomini uscenti dalle masse popolari di raggiungere i gradi più eminenti. Chi in momenti di pericolo mostrava coraggio, prestava aiuto ad una persona altolocata od anche all'imperatore, fosse pure un semplice soldato o un servitore, saliva facilmente a potenza.

L'imperatore Basilio I (867-886) e Niceforo II (963-969) erano, al pari di Giustino I, il padre di Giustiniano, usciti da una famiglia di contadini, ed allo stesso modo moltissimi altri uomini di tutte le più varie razze e nazionalità, Siriaci, Illirici, Slavi di vari paesi, Armeni ed altri, furono chiamati a cariche elevate nell'esercito e nella burocrazia. Niceforo II era nativo della Cappadocia ; il suo uccisore e successore Giovanni Tzimisces (969-976), che vinse i Russi, riconquistò all'impero i territori occupati dai Bulgari, sconfisse gli Arabi e riconquistò la Siria, era un armeno; Leone III (717 m.741) era isaurico e Michele II (820-829) un frigio.
Particolarmente significativo é il gran numero di greci e siriaci che per influenza bizantina occuparono il seggio di S. Pietro, ed anche nel campo letterario, nei commerci e nella funzione di intermediari del traffico tra l'oriente e l'occidente hanno un posto preminente i siriaci, intendiamo i siriaci ellenizzati, che si consideravano membri del popolo dei Romei. Essi hanno arrecato un contributo considerevole per numero e per influenza profonda a quella classe superiore mista ellenizzata su cui poggiava la vita dello Stato bizantino. Questa classe comprendeva pure larga parte del ceto industriale, né si trattava di un elemento di poco conto, perché l'arte e le industrie fiorivano ed una notevole percentuale della popolazione cittadina deve esservisi dedicata.

Ma il fasto della corte e degli ottimati alimentò pure il moltiplicarsi di una massa dì oziosi, cui vanno aggiunte le torme di monaci e preti spesso parte attiva non indifferente dei tumulti di piazza, ed il servidorame oziante nelle chiese e nei chiostri. La plebaglia cittadina infine era ingrossata dagli schiavi, il cui numero, variò secondo i tempi, deve però in complesso essere stato sempre assai notevole. Quando i nemici invadevano il paese ed assediavano le città o addirittura le prendevano d'assalto, gli schiavi fuggivano in massa o erano trascinati via dagli invasori, di modo che il loro numero diminuiva.

Dopo le vittorie degli imperatori sui Turchi, Slavi ed altri popoli nemici i mercati e le case si riempirono invece di schiavi. Quanto alla popolazione rustica, essa in molte regioni non era proprietaria della terra ma rimaneva soggetta al giogo di latifondisti; in altre province la sua condizione era migliore ed il governo imperiale si sforzò ripetutamente di proteggere la classe dei liberi agricoltori ovvero di crearla dove mancava. E di fatti in seguito alle devastazioni subite per lungo tempo da varie regioni si erano resi disponibili vasti territori da colonizzare ex novo, ma allo stato delle nostre conoscenze non possiamo giudicare dei risultati ottenuti da questi tentativi governativi. In vaste contrade dell'impero abitavano barbari allo stato semi-selvaggio che si alimentavano con una agricoltura primitiva o conducevano addirittura vita nomade, pronti ad ogni istante a rifarsi nel paese vicino colle rapine di quanto non avevano potuto ricavare dal lavoro.

Mentre le classi superiori della società erano impegnate esageratamente per questioni di moda e per problemi teologici, la massa della popolazione giaceva nell'ignoranza e nella rozzezza, in preda alla superstizione. Tuttavia questa ignoranza - è proprio per questo - non le impediva di partecipare - guidato da un quasiasi capopolo al servizio di qualche potente - ai tumulti ed alle guerre civili in cui degeneravano i conflitti delle fazioni teologiche, cui partecipavano anche le così dette persone colte; queste ultime ad onta delle apparenze di libertà di pensiero, esse mostravano gusto per il culto esteriore e per leggende che in definitiva non erano superiori alle leggende pagane e rispecchiavano in gran parte le superstizioni popolari.

Quindi la Chiesa poté conquistare tanto le classi colte quanto le masse ignoranti. Accanto ai due primi fattori dì unificazione, la lingua ufficiale greca e la convinzione di essere i continuatori della cultura greca e della gloria romana, la chiesa costituì il terzo fattore che tenne unite tutte queste masse popolari così varie di razza e di civiltà a formare un solo Stato ed una nazione. Da questo
punto di vista la lotta sostenuta per tutto il presente periodo dai patriarchi di Costantinopoli contro le pretese del primato accampate da Roma acquista l'importanza di una lotta nazionale.

Fino all'incoronazione ad imperatore di Carlo Magno, Roma fu considerata una città suddita dell'imperatore d'Oriente, ma già nell'VIII secolo in virtù della lotta contro l'eresia iconoclasta e con l'aiuto, prima dei Longobardi e poi dei Franchi, Roma si era resa di fatto indipendente da Bisanzio. L'incoronazione di Carlo Magno segna il definitivo distacco giuridico di Roma e del suo vescovo dal vincolo di soggezione all'imperatore d'Oriente. Tanto più però lo Stato greco ebbe ora interesse a conservare a sua volta l'indipendenza della sua chiesa da Roma.
Essa tuttavia fu continuamente messa in pericolo dal perpetuarsi dello scisma delle immagini in seno alla chiesa greca, giacché l'accanimento con cui i due partiti si combatterono specialmente nell'VIII e nel IX secolo gettò in gravissimi sconvolgimenti il paese ed assorbì inutilmente una considerevole parte delle forze intellettuali e militari dello Stato. Un effetto buono ebbe peraltro anche questa lotta, in quanto le arbitrarie ingerenze degli imperatori nelle cose di fede suscitarono ripetutamente la protesta del sentimento religioso e la vita sociale ne rimase arricchita di nuove energie morali. La resistenza che Teodoro di Studion oppose nel IX secolo al cesaropapismo fu più aperta ed implicante questione di massima che non la semplice riserva con cui 200 anni prima Gregorio Magno si sottomise ad un ordine dell'imperatore, malgrado lo ritenesse contrario ai precetti divini.

Del resto questa sottomissione del grande papa che di fronte all'imperatore si definì polvere e verme (quid sum nisi pulvis et vermis) é tipica del suddito bizantino. La forma di governo dello Stato bizantino era la monarchia assoluta di stile orientale. Il palazzo imperiale era immenso, solo questo era quasi una città, ripieno di ori, di gemme e di personaggi che con la solennità delle forme imponevano il rispetto a chiunque si presentasse. Chi veniva al cospetto dell'imperatore doveva prostrarsi a terra. Gli alti funzionari civili e militari percepivano cospicui stipendi; la pompa che essi applicavano era intesa ad accrescere lo splendore della maestà imperiale. Anche gli ufficiali di grado inferiore erano ben pagati ed i soldati, sebbene non avessero un soldo elevato, godevano però di un buon trattamento.

Ma con l'andar del tempo l'esercito fu sempre più composto di mercenari e diminuì invece il numero dei soldati di leva. Così pure - in confronto alla fanteria - divenne sempre più numerosa la cavalleria pesante, munita di corazza e reclutata per lo più fra asiatici. L'esercito fu di solito un docile strumento in mano agli imperatori o ai generali che talora lo seppero mettere contro l'imperatore; ma più d'una volta esso impose pure la sua volontà agli imperatori ed ai generali.

L'autorità imperiali era giuridicamente soggetta a scarsi limiti; di fatto non ne aveva alcuno se l'uomo che la esercitava era dotato di energica volontà. Ogni arbitrio e violenza trovava facilmente chi se ne facesse strumento. Di qui una serie di mali: strapotenza di favoriti, arbitrio di funzionari burocratici e spesso dispotismo militare o della piazza ignorante, sempre pronta a seguire il demagogo di turno.
Nelle grandi monarchie assolute il monarca raramente può giudicare e decidere di propria coscienza e persino sorvegliare l'esecuzione dei propri ordini. E quindi proprio i migliori tra i monarchi assoluti, mal tollerando il giogo di coloro che li circondano, si spingono facilmente ad abbattere i loro ausiliari e favoriti. Ciò a sua volta provoca rivoluzioni di palazzo ed assassinii di principi.

Dispotismo mitigato dall'assassinio: questa é la cruda caratteristica di questi Stati; la paura della vendetta é l'unica remora del despota. Spaventevole é la lista degli imperatori bizantini e dei principi della famiglia imperiale che finirono assassinati, accecati o mutilati.
L' VIII secolo si chiude per così dire degnamente con l'accecamento dell'imperatore Costantino VI avvenuto nel 797 per ordine ovvero almeno col consenso della madre (Irene). Costantinopoli rimase inorridita di questo misfatto, ma tuttavia si mantenne docile ed applaudì l'imperatrice madre quando percorse le strade dul dorato cocchio con le insegne di imperatrice.

Ma la stessa Costantinopoli applaudì pure l'imperatore che nell'805 a sua volta si impadronì del trono e cacciò Irene in esilio. E lo stesso era avvenuto prima ed avvenne in seguito. Nel palazzo imperiale non vi era vincolo per quanto intimo e sacro che potesse dirsi al sicuro dal tradimento. Il dispotismo uccide il senso morale; nessuna storia ne é una prova tanto terribile quanto la storia dell'impero bizantino.
Questa condizione di cose anormale deve tenersi presente per evitare di giudicare gli imperatori bizantini e coloro che li circondarono con gli ordinari criteri, e tenendo conto di essa si dovrà riconoscere che lo Stato bizantino quando cadde in buone mani si mostrò capace di superare difficoltà eccezionali. Ciò é vero tanto per il primo periodo della sua storia quanto per il periodo di cui ci occupiamo.

Certo nei quattro secoli che corrono dall'867 al 1261 l'impero non ci si presenta alla stessa altezza in cui era ai tempi di Giustiniano I e di Eraclio, di Leone III (morto nel 741) e Leone V (morto nell'820), e sotto gli assalti di sempre nuovi nemici esso perdette molta parte del suo territorio; ma anche nei secoli dal X al XIII non fu scarso il numero di uomini eminenti che salirono al trono per successione o per usurpazione ovvero occuparono i sommi gradi nella milizia e nell'amministrazione.
Sotto questo aspetto l'impero bizantino non time il paragone con altri Stati. Malgrado le quasi ininterrotte guerre contro gli islamiti, contro orde di barbari agguerriti che si scatenarono dalle steppe dell'Asia e finalmente contro i Normanni dell'Italia meridionale, gli imperatori trovarono tempo ed energia sufficienti per creare opere legislative, per costruire non solo fortificazioni ma anche chiese ed ospedali e per adempiere a svariati altri compiti di civiltà. Si deve a queste loro cure ed alla protezione che l'impero elargì al lavoro, se a noi é giunta una quantità delle opere della cultura greca e romana.
E tutto ciò, mentre la maggior parte delle energie intellettuali della nazione si perdeva nelle controversie teologiche e nell'ascetismo monastico.

Imperatori illuminati tentarono invano, come già a suo tempo Leone l'Isaurico (717-741), di liberare il popolo da questi impacci intellettuali; anzi questi tentativi provocarono sempre lotte intestine, dove andò sciupata per lo spazio di secoli una notevole parte degli sforzi della nazioni. Bisanzio nelI'VIII e nel IX secolo dovette assistere alla restaurazione dell'impero occidentale che gli contestò il possesso dei territori che aveva in Italia, dopo che già aveva perduto il nord della penisola balcanica occupato dagli Slavi, la Siria, l'Egitto e l'Africa settentrionali conquistate dagli Arabi, più le isole di Sardegna, Corsica, Sicilia e Creta perdute anch'esse in tutto o in parte.
I bizantini riuscirono bensì temporaneamente a rimettere piede in qualcuno di questi paesi, specialmente nella bassa Italia ed in Sicilia, ma verso la fine dei IX secolo l'impero non abbracciava ormai che l'Asia Minore e nella penisola balcanica la Grecia strettamente intesa ed il territorio collocato a sud di una linea che all'incirca andava da un po' più in su di Tessalonica ad Adrianopoli.
In più possedeva ancora verso nord alcune strisce di territorio sulla costa orientale ed occidentale. Il tronco principale della penisola balcanica sino al Danubio era stato occupato dai Bulgari e il nord-ovest della stessa da altri slavi, Serbi e Croati.

L'Asia Minore pertanto costituì nei secoli XXII il territorio principale dell'impero, ma fu continuamente minacciata e saccheggiata dai maomettani, che rappresentarono sempre i più pericolosi fra i vicini e nemici dell'impero d'Oriente. Senza di loro forse Bisanzio sarebbe riuscita ad avere ragione dei barbari. Ma a dire il vero gli Arabi propriamente detti non dimostrarono più di tanto quello spirito bellicoso che avevano i primi califfi; essi si erano raffinati; ma nei paesi sottoposti al loro dominio non mancarono mai nuovi popoli sempre pronti a mettere il loro sangue ed il loro impeto guerriero al servizio della fede cui si erano di recente convertiti.

Dalla metà dell' XI secolo furono i Selgiucchi, (o Selgiuchidi) nomadi di razza turca, i principali rappresentanti di quella tendenza conquistatrice dell'islamismo che nei secoli X, XI e XII investì i paesi cristiani da due lati, dall'Asia e dalla parte dell'Africa. In queste lotte l'impero d'Oriente fu l'avanguardia della cristianità contro gli islamiti, i cui Stati inoltre presentavano varie affinità con l'impero, sia per la cultura ristretta ai soli strati più elevati della popolazione, sia perché al pari di Bisanzio dovevano lottare con le difficoltà inerenti alla grande estensione del territorio ed alla consuetudine di servirsi di mercenari e di ausiliari barbari, nonché con rivoluzioni di palazzo e catastrofi dinastiche, compagne inseparabili del dispotismo.

Ed un'altra analogia ancora occorre rilevare. La religione islamita aspirava all'unità della fede e ad una specie di teocrazia, non diversamente dalla chiesa cristiana che tendeva a trasformarsi in una teocrazia abbracciante tutta la cristianità. Ma l'impossibilità di ridurre ad unità e mantenere unite delle sterminate masse di popoli provocò in seno all'islamismo come in seno alla cristianità scissioni politiche. Queste generarono scismi dogmatici ed a sua volta l'antagonismo dogmatico fu la causa o il pretesto di scissioni politiche realmente dovute ad antagonismi personali o nazionali.

Ambedue le chiese si spezzarono appunto in quei secoli in due grandi diramazioni: i cristiani in Greci e Latini, i maomettani in sunniti e sciiti. Lo scisma maomettano ebbe la sua prima origine dalla quistione se Ali, il genero di Maometto, dovesse oppure no considerarsi suo legittimo successore, ma ben presto perdette il suo aspetto esclusivamente religioso specialmente perché la dottrina sciita fu abbracciata fervidamente dai Persiani convertiti all'islamismo, i quali non avevano smesso il loro odio contro gli Arabi distruttori del loro antico Stato, ed ora se ne fecero strumento di opposizione contro i califfi dei sanniti residenti a Bagdad, opposizione che si ripeté nel califfato fondato dai Fatimidi. Di modo che l'antagonismo dogmatico venne ad intrecciarsi con l'antagonismo nazionale, servendo pure alle mire dei luogotenenti dei califfi di Bagdad che nei paesi più lontani dalla sede del califfato erano tutti impegnati a rendersi indipendenti.

Come nell'impero d'Oriente, così pure in molti di questi Stati maomettani esistevano grandi e fiorenti città, quali Herat, Balch, Bokara, Samarkanda ed altre, dove accanto alle industrie ed ai commerci furono coltivate anche le arti e le scienze, e dove osservatorii astronomici e biblioteche, una società intelligente e l'appoggio di principi illuminati, permisero la rivelazione di filosofi come Ibn Sina (chiamato Avicenna in occidente: 980-1037) e di poeti come Firdusi che poté' perfino glorificare i fasti dell'impero persiano abbattuto dall'islamismo.

La possibilità del rapido fiorire delle scienze in questi Stati fondati da tribù e famiglie poco prima barbare si spiega col fatto che, come in occidente, questi orientali accolsero i risultati della scienza greca e li svilupparono ulteriormente. Ciò spiega pure come il fiero antagonismo tra islamismo e cristianesimo non poté impedire che molte opere di maomettani o di ebrei viventi in paesi maomettani fossero adottate come testi nelle scuole e nelle università cristiane e citate come autorità da monaci e preti.
La carica di califfo era prima di ogni altro una dignità spirituale o meglio sacerdotale. Il califfo era il successore del profeta, il capo della religione. Ma a questa dignità andava congiunto il potere politico su tutto il mondo islamitico. In questo gli Stati maomettani si differenziavano essenzialmente dagli Stati cristiani nei quali il potere temporale degli imperatori e dei re era separato dal potere spirituale e per lungo tempo rimase l'autorità prevalente.

Ma mentre in seno alla cristianità Gregorio VII e i suoi successori cercarono poi accanto alla suprema autorità spirituale di usurpare anche la supremazia temporale e vi riuscirono in larga misura, di modo che si avvicinarono alla posizione dei califfi, i califfi di Bagdad invece perdettero nel IX secolo il potere temporale, che fu loro usurpato dai capi della guardia del corpo e poi dai Bujidi, a loro volta nell' XI secolo abbattuti e sostituiti dai grandi principi dei Sélgiucchi. Il califfo divenne un docile strumento nelle mani del suo emir al omra che comandava tutte le truppe e che con tutte le forme esteriori della venerazione gli imponeva la sua volontà. La stessa sorte toccò néll' XI secolo ai califfi sciiti del Cairo.
Alla più che altro nominale dipendenza del califfato i Selgiucchi nella seconda metà dell' XI secolo fondarono nell'Asia Minore, oltre a piccole signorie, il grande regno di Rum (paese dei Romani) con a capitale Iconio, tolsero con ciò all'impero d'Oriente il suo più prezioso territorio e minacciarono persino i sobborghi quasi davanti a Costantinopoli. Nicea, la città dei concili e nel tempo stesso notevole piazza forte, divenne sede di un principato dei Selgiucchi.
Le alleanze e le guerre che rapidamente si avvicendarono in seno a questo mondo islamitico divennero il perno della politica dell'impero d'Oriente. Era da questa parte che veniva il pericolo maggiore e doveva dirigersi all'attenzione dello Stato, per quanto potesse sembrare talora più urgente il pericolo proveniente dai barbari del Danubio.

Dopo la morte dell'imperatore Teofilo (842) che, ad onta di parecchi errori, non aveva retto senza successo le sorti dell'impero, salì al trono suo figlio Michele III, il quale fino all'855 rimase sotto la tutela di sua madre Teodora, il cui governo ebbe molti lati buoni.
Uscito di tutela, Michele si immerse in ogni sorta di follie e di dissolutezze, sinché nell'867 una rivoluzione di palazzo liberò il disgraziato paese da questo pazzo libertino. Egli sacrificò tutto alla sua passione per il circo in cui diede egli stesso prove di spiccata abilità. La vita pubblica della popolazione di Costantinopoli cominciò nuovamente a concentrarsi tutta nelle fazioni dei verdi e degli azzurri, che avevano perduto influenza dopo il colpo decisivo loro arrecato da Giustiniano I.
Ed in tutto il resto il governo di questo imperatore fu il meglio adatto a dimostrare sino a quali follie possa spingersi l'arbitrio illimitato di un despota.

Basilio I (867-886) che era originario di una colonia militare stanziata in Macedonia; egli si era fatto notare per la sua forza fisica e perciò Michele III lo aveva accolto tra i suoi più favoriti. Prudente ed accorto, ma nello stesso tempo abbastanza solido per seguire l'imperatore in tutte le sue orge, entrò nell'animo di costui in modo che, dopo l'eliminazione di un rivale, fu nominato Cesare, vale a dire collega nel regno e successore designato. Ad un certo punto però ebbe motivo di temere di essere abbattuto, ed allora fece uccidere l'imperatore, e non solo regnò egli stesso con prudenza ed energia per lo spazio di 20 anni (867-886), ma fondò una dinastia che si sostenne sul trono per quasi 90 anni sino all'anno 1056 quando si estinse la sua famiglia, nonostante che lunghe reggenze e spesse volte la mancanza di discendenti maschi abbiano fatto cadere l'effettivo potere nelle mani di parecchi usurpatori.

Il figlio e successore di Basilio I, Leone VI (886-911), vien chiamato «il savio» o «il filosofo»; sarebbe più esatto chiamarlo semplicemente «il dotto». Egli dimenticò per i libri i doveri della sua carica, e nemmeno trasse dai suoi studi la forza morale di saper dominare la propria sensualità e di sapere essere giusto quando era in gioco la sua persona. Egli scrisse una quantità di cose, non esclusa l'arte militare; ma ciò non impedì che l'impero fosse devastato dai Saraceni e dai Bulgari, che la Sicilia andasse perduta e che le isole dell'arcipelago e le coste della Tracia rimanessero in balia dei nemici.
Fece particolare rumore il saccheggio di Tessalonica da parte dei Saraceni (904) perché si trattava di una città grande e ricca, la più importante città dell'impero dopo Costantinopoli, ma uguale sorte toccò a molte altre città.

Leone VI guerreggiò infelicemente anche contro i Bulgari che a quel tempo sotto il re Simeone (893-927), il figlio di Boris che aveva fatto convertire il suo popolo al cristianesimo, ed era stato educato a Costantinopoli, spiegarono una energica attività. Quasi tutta la penisola cadde in potere di Simeone. Questi instaurò nella sua capitale Acrida una splendida corte e gareggiò con Costantinopoli anche nel favorire le scienze e le arti. Leone gli scatenò contro i Magiari, ma Simeone con l'aiuto dei Peceneghi li sconfisse così in modo definitivo che essi abbandonarono le loro sedi e si ritrassero più in là verso occidente nella vallata tra il Danubio e la Tisza, dove li aspettavano i destini di un futuro gran popolo.

Leone nell'896 ottenne con alcuni compremessi la pace da Simeone, ma dopo la sua morte i Bulgari ripresero ben presto le ostilità e misero per lunghi anni l'impero in gravissimo pericolo. La stessa Costantinopoli fu da loro assediata nel 923 e dovette la sua liberazione soltanto al fatto che i Bulgari si trovarono costretti a ritirarsi a causa di agitazioni prodottesi tra i barbari a nord del loro territorio.
In nome del figlio di Leone, Costantino VII Porfirogeneto, governò prima suo zio Alessandro e poi sua madre Zoa (913-919). In seguito usurpò il potere il capo della flotta, Romano Lacapeno, e lo mantenne nelle sue mani per 25 anni. Egli costrinse l'imperatore a sposare sua figlia Elena ed a lasciare il primo posto anche ai suoi figli maschi. Lacapeno governò energicamente, mentre l'imperatore Costantino VII si accontentava di indossare solo la porpora e a dilettarsi di letteratura.

Romano fu nel 944 abbattuto dai suoi stessi figli che aveva elevati al grado di Cesari, e costoro poi caddero a loro volta per opera della propria sorella Elena, la moglie del Porfirogeneto, il quale finalmente regnò senza concorrenti, o per meglio dire, invece di avere un mentore permanente, si lasciò governare da vari favoriti.
Egli rimase sul trono ancora per 15 anni e poi fu ucciso dal proprio figlio (959). Quest'ultimo, Romano II, aveva 20 anni; fu solo un bel giovane quanto al resto uno schiavo dei voleri della malvagia Teofano,. sua moglie.
Teofano proveniva da una famiglia di contadini spartani, era libertina e senza scrupoli. Da cinque anni Romano II regnava quando improvvisamente morì (963), e nessuno dubita che sia morto del veleno propinatogli da sua ambiziosa moglie.

Teofano resse il governo dello Stato in nome dei suoi due figli minorenni Basilio II e Costantino VIII che furono nominati entrambi imperatori.
Malgrado tutto l'imperatore tedesco Ottone il Grande chiese la mano di una figlia di questa avvelenatrice per suo figlio Ottone II, e parve un successo che la domanda fu accolta. Da ciò si può scorgere quanto potere avesse ancora in ogni paese la gloria del nome romano. Questa gloria e lo splendore della civiltà superiore dell'impero d'Oriente faceva passar sopra alle brutture familiari.
La figlia peraltro - chiamata Teofano come la madre - non si mostrò indegna del grado che era andata ad occupare nella sua nuova patria. Sono anzi da ascrivere a suo merito molte delle influenze che la civiltà greca esercitò allora sull'Occidente; essa ebbe qui la stessa benefica funzione che sua sorella Anna in Russia.
Anna era andata sposa nel 988 al principe Wladimiro di Russia (980-1015) che convertì il suo popolo al cristianesimo e si adoperò per stabilire nella chiesa il rito greco e per introdurre nella società molte consuetudini greche.

L'imperatrice Teofano cercò un sostegno nel valente generale Niceforo che aveva riconquistato Creta dopo aver combattuto vittoriosamente con i saraceni in Siria ed in Mesopotamia. Teofano gli offerse la propria mano e lo innalzò al trono imperiale. Egli continuò con successo la lotta in Siria ed in Cilicia e tenne alto l'onore dell'impero anche contro l'imperatore Ottone I e contro i Bulgari.

Ma molte delle misure da lui adottate gli suscitarono dei nemici, e siccome anche Teofano era per varie ragioni malcontenta di Niceforo, così si sbarazzò anche di lui facendolo assassinare. In questa impresa le fu complice un altro generale, Giovanni Tsimisces (969). Questi però, dopo il "servizio" reso, non solo si impadronì del trono imperiale della sua protettrice, ma soddisfece l'opinione pubblica indignata scacciando la stessa Teofano.
Tsimisces resse l'impero dal 969 al 976 con tanta energia ed abilità da far dimenticare il modo sanguinoso con cui era arrivato alla corona.
In Mesopotamia si spinse ancora più avanti vittoriosamente e nella penisola-balcanica assoggettò il regno dei Bulgari. Sembrarono tornati i giorni dell'antico splendore; ed anche nell'amministrazione vennero estirpati parecchi abusi. Improvvisamente Tsimisces morì nel pieno vigore delle sue forze, probabilmente di veleno propinatogli dagli eunuchi che avevano visto scadere per sua opera la propria influenza. Uno di questi eunuchi tenne le redini del potere ancora per dodici anni sin che Basilio II, il quale già da più di venticinque anni portava con suo fratello Costantino il vano titolo di imperatore, si riscosse, prese audacemente nelle sue mani il governo dello Stato e lo esercitò dal 989 con volontà e determinazione.

Basilio II sconfisse i Bulgari e per la crudeltà con cui condusse questa guerra si guadagnò il titolo di "sterminatore dei Bulgari". Si narra che egli abbia fatto accecare 50.000 prigionieri bulgari, lasciando solo ad uno di essi su cento un occhio perché riconducesse in patria il rispettivo branco di ciechi. Forse si può dubitare che le cose siano avvenute in questi precisi termini; ma il fatto stesso che la leggenda sia sorta prova quanto la civiltà di questo impero fosse mescolata di barbarie, ad onta del suo armamentario di erudizione e ad onta della sua abilità artistica e del suo zelo religioso.

Crudeltà di questo genere non ne vide la sorella dell'imperatore, Teofano, nel regno dei Germani che pure erano chiamati barbari, né furono mai attribuite ad alcuno dei re tedeschi.

Basilio II assoggettò completamente il regno dei Bulgari, il quale rimase incorporato all'impero bizantino per circa 170 anni (dal 1018 al 1186). I Bulgari fecero bensì più d'un tentativo per riconquistare l'indipendenza ma senza risultati durevoli. Il tronco della penisola balcanica era tornato a far parte dell'impero. Questa dominazione bizantina sulla Bulgaria fu fatale alla sétta dei Bogumili, filiazione di quella dei Pauliziani, cui toccò la stessa sorte; costoro subirono specialmente nel 1118 una grave persecuzione. I Bizantini - sterminandoli - credettero di placare con queste crudeltà l'ira divina eccitata dalla loro vita peccaminosa, ma dei Bogumili fuggitivi portarono in Occidente il seme della loro eresia che trovò terreno propizio a svilupparsi, specialmente in Italia ed in Francia.

Morto Basilio II senza figli, rimase solo imperatore il suo mediocre fratello Costantino VIII, e, non avendo anche quest'ultimo lasciato figli maschi, ottenne il trono il marito di sua figlia Zoe, Romano III (1025-1034). Romano dimostrò ben scarsa attività e morì probabilmente avvelenato, come di solito, da sua moglie, che immediatamente sposò ed elevò al grado di imperatore il suo ganzo Michele IV (I034-4I).
Questi però prese disgusto del trono, abbandonò il governo nelle mani di suo fratello, un eunuco, e si chiuse in un convento. Se non che l'eunuco congedò Zoe e fece imperatore suo nipote Michele V. Questi a sua volta abbatté lo zio invidiato ed odiato da tutti per la sua strapotenza, ma vide poi nello stesso anno 1042 arrivare il suo turno, perché cadde in un moto popolare che portò al trono le figlie di Costantino VIII, Zoe e Teodora.

Zoe si scelse per la terza volta un marito, Costantino IX Monomaco. Egli ebbe a lottare con un rivale appoggiato dai Normanni della bassa Italia, ma finì per vincerlo. Le regioni danubiane e la penisola balcanica furono funestate da Croati, Serbi, Russi e Peceneghi e l'Asia Minore dai Selgiucchi. A tutto ciò si aggiunsero conflitti religiosi. Già da secoli i rapporti tra la chiesa greca e Roma pendevano indecisi, ed ora avvenne la crisi. L'imperatore si mise dalla parte di Roma. I dissensi in materia di dogmi e di culto che servirono di pretesto alla rottura con Roma erano insignificanti; essa fu il prodotto dell'antagonismo escvlusivamente politico (o meglio di potere) tra Oriente ed Occidente e della rivalità tra Roma e Costantinopoli.

Legati di papa Leone IX si recarono a Costantinopoli ed il 16 luglio 1054, sotto la tutela dell'imperatore, e vi proclamarono solennemente la scomunica del patriarca Michele e dei suoi aderenti. A fatica l'imperatore cercò di calmare l'insurrezione che ne seguì, ma il patriarca di Costantinopoli insieme con gli altri patriarchi d'Oriente a sua volta rispose alla scomunica con la scomunica, e così rimase spezzata definitivamente l'unità della chiesa.

A Costantinopoli continuò tuttavia ad esservi un partito romanofilo, ma costituì una minoranza; la chiesa greca nel suo complesso si era ormai staccata per non più ricongiungersi a Roma. L'imperatore morì nello stesso anno, e siccome sua moglie Zoe era già morta prima, regnò ora la sorella di costei Teodora.
Con lei si estinse nel 1056 la dinastia di Basilio il Macedone, che si può chiamare anche la dinastia armena. Lascò la successione al trono a un suo generale, Michele VI, ma questi
levò al trono un altro generale, Isacco Comneno. L'imperatore Isacco Comneno fondò la dinastia dei Comneni.

Egli lasciò nel 1059 il trono ad un parente, Costantino Ducas, dopo la cui morte avvenuta nel 1067, l'imperatrice vedova offerse la sua mano e la corona al generale Romano che regnò come Romano IV. Ma questi dopo una sfortunata campagna contro i Selgiucchi fu spodestato nel 1071 ed ucciso dopo essere stato accecato. Gli successe dapprima un figlio di Costantino Duca, Michele VII. Sotto di lui l'impero cadde in preda al completo disordine. Finalmente egli venne costretto da una insurrezione a chiudersi in un convento ed a lasciare il trono ad un fortunato soldato, Niceforo Botoniate.

Dopo tre anni Niceforo fu abbattuto a sua volta da Alessio Comneno e costretto anch'egli a prendere l'abito monastico. Queste rivoluzioni di palazzo immersero l'impero e la capitale in sempre nuove guerre civili.
Finalmente Alessio Comneno ripristinò abilmente l'ordine ridonando al popolo i benefizi della pace e della tranquillità. Egli regnò dal 1081 al 1118 ed a lui successero poi senza contrasti, regnando anch'essi a lungo, suo figlio e suo nipote.

L'impero era notevolmente diminuito di estensione. Fin verso la metà dell'XI secolo l'impero greco aveva mantenute le sue pretese sulla bassa Italia ed in parte vi aveva anche esercitato un effettivo dominio, ma dal momento in cui Roberto Guiscardo si fece infeudare dal papa delle regioni greche di Puglia, Calabria e Sicilia (1059), l'Italia meridionale andò definitivamente perduta per l'impero d'Oriente ed anche la costa occidentale della penisola balcanica fu messa in pericolo dai frequenti attacchi dei Normanni.
Numerosi punti della costa ed anche dell'interno vennero conquistati dai Normanni. Lo stesso imperatore Alessio nel 1081 si era vista sfuggire la vittoria contro Roberto il Guiscardo presso Durazzo (Dyrrachium), e benché la morte lo abbia liberato nel 1085 da questo terribile nemico, il regno normanno continuò ad essere per l'impero un pericoloso vicino.

Contemporaneamente da oriente minacciavano i Selgiucchi, i quali avevano conquistato quasi tutta l'Asia Minore, mentre a nord sul basso Danubio incombevano i selvaggi Peceneghi che infestavano con le loro scorrerie il paese fin quasi sotto le mura di Costantinopoli. Alessio riuscì a farsi alleati alle spalle dei Peceneghi i non meno barbari Cumani e col loro aiuto inflisse nel 1191 una così grave disfatta ai Peceneghi che il paese si trovò liberato finalmente dai loro attacchi.

Con grande accortezza Alessio seppe poi evitare i pericoli che minacciarono l'impero all'arrivo delle masse indisciplinate dei crociati tutt'altro che aliene dal saccheggio; egli li costrinse ad aiutarlo a respingere dalle coste d'Asia i Selgiucchi. La poderosa fortezza di Nicea, la cittadella del temuto sultano Kilidsch-Arslan, ricadde in mano dell'imperatore come pure le città litoranee dell'Asia Minore da Smirne sino al confine siriaco, insieme con le isole di Chio e di Rodi. Facendo di queste conquiste la sua base d'operazione Alessio riuscì a strappare di mano nuovamente ai Selgiucchi la parte occidentale dell'Asia Minore, un terzo circa di questa penisola, ed inoltre racchiuse il regno tra due larghi tratti di costa riguadagnati sul Mar Nero e sul Mediterraneo.

I principati eretti in Siria dai crociati, quelli di Antiochia e di Edessa, come pure il regno di Gerusalemme, rimasero però indipendenti dall'impero, malgrado che l'imperatore Alessio avesse avanzato pretese all'alta sovranità su tutte le conquiste dei crociati e potesse anche avanzarle stando agli originari trattati (i quali a dir vero erano stati spesso resi inefficaci dal corso degli avvenimenti). Per questa ragiona e per altri attriti si svolsero frequenti conflitti tra Greci e crociati; ma in complesso la crociata fu di notevole aiuto all'impero contro i Selgiucchi.

Le condizioni politiche dall'Asia occidentale già disordinate erano divenute anche più sconvolte e non potevano a meno di invogliare un imperatore energico come Alessio a tentare di riguadagnare i vecchi confini in Oriente. Egli non vi riuscì, é ben vero, ma tuttavia alla sua morte lasciò l'impero in condizioni assai migliori di quelle in cui esso si trovava al tempo della sua assunzione al trono. I confini suoi erano tanto più ampi che si poteva dire eliminato il pericolo immediato che prima minacciava la stessa capitale, ed anche nell'amministrazione era stata estirpata una serie di abusi.
Vero é peraltro cha Alessio invece credette necessario per guadagnarsi il clero di perseguitare gli eretici e per trarre dalla sua la potente Venezia di concludere con essa dei trattati di commercio che tornarono di grave danno all'impero.

Ad Alessio succedette suo figlio Giovanni Comneno (1118-1143), uomo che si distinse così per la energia di carattere come per la bontà e mitezza d'animo. Quando sua sorella, la dotta Anna Comneno, tentò di abbatterlo mediante una rivoluzione di palazzo, egli la perdonò, ed altrettanto fece con suo fratello che aveva ordito una congiura a suo danno. Anche nell'amministrazione della giustizia egli non tollerò la crudeltà delle pene. Guerreggiò con successo contro i Selgiucchi nell'Asia Minore; meno felicemente in Siria, dove talvolta lottò con loro unito all'esercito crociato franco, anche se alcune volte dovette dirigere le sue armi contro gli stessi cavalieri franchi.

Giovanni Commendo si era recato in Siria con grandi progetti; ma nel 1143 lo colse la morte in un incidente di caccia. Suo figlio Manuale (1143-1180) gode al pari di suo padre la fama di un sovrano instancabile per attività, di un uomo di non comune forza di corpo e di spirito e di coraggio cavalleresco spinto sino alla temerità. Egli sapeva circondarsi del massimo splendore quando voleva fare impressione sugli uomini, ma era anche pronto a metter da parte tutte le forme quando si trattava di soccorrere un camerata, di qualsiasi rango agli fosse. Egli era un uomo simpatico, un negoziatore abile ed un valentissimo soldato, sebbene forse più cavaliere che generale e tantomeno imperatore.
Ma la situazione dell'impero peggiorò. Il regno dei Normanni era un vicino troppo pericoloso per uno Stato che già doveva sostenere così gravi lotte da due lati, a nord contro i barbari del Danubio e ad Oriente contro i saraceni.

La seconda crociata procurò all'imperatore Manuele gli stessi pericoli che la prima aveva presentato per suo padre. Ma vennero tuttavia superati, e quando Corrado III, dopo la distruzione del suo esercito, ammalato prese la via del ritorno, ebbe da Manuale delle cure fraterne. Essi si separarono da amici, né si lasciarono distogliere da questa amicizia dagli attriti dogmatici né dai tentativi fatti dal papa per sottomettere ai suoi disegni l'imperatore Corrado, allora tanto devoto alla chiesa.

Manuele aveva una moglie tedesca e ciò gli fece mantenere delle buone relazioni con l'Occidente. Entrò pure in negoziati con i papi Eugenio III e Adriano IV per tentare di unificare la chiesa greca e latina. Ma questi tentativi andarono a vuoto, allo stesso modo col religioso non era possibile riottenere l'unificazione politica dell'Oriente con l'Occidente. L'ideale dell'impero universale la faceva ambire; ma uno dei due imperatori avrebbe dovuto mettersi in sott'ordine dall'altro o per lo meno rinunziare a territori contestati, e nessuno dei due si sentiva disposto a fare questo.
Ad ogni modo poi se anche si fosse arrivati all'unificazione, nessuno avrebbe potuto governare da solo queste masse di paesi così diversi l'uno dall'altro. Con la morte di Manuele, avvenuta nel 1180, si chiuse un periodo di cento anni in cui l'impero bizantino ebbe la fortuna di possedere successivamente tre sovrani di qualità preminenti, cha presi insieme formano una splendida sequela di regnanti, rara a riscontrarsi in qualsiasi altro paese.

Ma, siccome subito dopo di loro incomincia il processo di dissoluzione dell'impero, dobbiamo dire che anche questi tre imperatori non riuscirono che ad ovviare ai mali dal momento senza poter estirpare la radice di questi mali. Uno di questi mali era sopra tutto la condizione dalla classe agricola resa funesta dalla concentrazione dalla massima parte dal suolo nelle mani dai latifondisti laici ed ecclesiastici. L'imperatore Andronico (1183-1185), rimasto solo a regnare dopo l'uccisione del figlio di Manuele, Alessio II (1183), rinnovò il tentativo già fatto da parecchi imperatori di procedere in questo campo a rimedi radicali. Egli era uomo di grande capacità, ma aveva dietro di sé un passato ripieno di delitti ed infierì da imperatore con ogni sorta di violenze. Di modo che pure lui fu vittima della violenza, fu assassinato prima di aver potuto far qualche cosa di duraturo.

Il suo successore Isacco Angelo (1185-95) si mostrò debole e nel 1195 venne spodestato ed accecato da suo fratello Alessio III. Ma il figlio di Bacco, anch'egli di nome Alessio, chiamò in aiuto i Veneziani ed i crociati per espellere l'usurpatore, e l'imperatore Alessio III fuggì quando nel 1203 i Latini si presentarono a porre il campo sotto Costantinopoli. Il giovane Alessio fu acclamato dal popolo imperatore insieme col padre Isacco Angelo, ma non furono in grado poi di superare le difficoltà che nacquero dalle condizioni disastrose in cui gemeva il paese e dalle pretese degli esosi principi occidentali nelle cui mani si erano messi.

Nel febbraio del 1204 un altro membro della famiglia imperiale, Murzuflo, si impadronì del palazzo, uccise il giovane imperatore Alessio IV e fu riconosciuto imperatore dal popolo. A tal punto i latini cominciarono l'assedio di Costantinopoli e la presero d'assalto il 12 aprile 1204.
E' indicibile che cosa furono capaci di commettere in questa città cristiana contro gli uomini non solo, ma anche contro le chiese e le reliquie, questi cavalieri ed uomini d'arme che, prendendo la croce di Cristo, si erano impegnati a servirlo.
È impossibile pure descrivere quel che si svolse negli anni successivi. Tutto ciò é decorato del nome di fondazione dell'impero latino, ma in realtà non fu che una continua lotta tra gli autori della prima rapina per dividersi la preda con altre rapine, ma questa volta fra di loro.

Chi in questa congiuntura fece i migliori affari fu Venezia in grazia della sua flotta e delle condizioni poste al momento della conclusione degli accordi per il trasporto dei crociati. Più d'un cavaliere ma anche non cavaliere che in patria era quasi povero arrivò a farsi una splendida posizione nelle varie signorie che sorsero sulle rovine dell'impero bizantino. L'imperatore eletto dai crociati, Baldovino, di Fiandra, dominava sopra un ristrettissimo territorio. Persino la città di Costantinopoli non era tutta alla sua dipendenza. Baldovino era pieno di energia, ma visse poco, nel 1206 cadde in mano dei Bulgari che lo fecero morire fra i tormenti.

Gli successe il fratello Enrico (1205-1216), anch'egli un uomo di valore, che si impegno di consolidare l'impero. Furono sforzi vani, e sotto i suoi successori (Giovanni di Courtenay (1216-19), Iolanda vedova di lui (219-21), il loro figlio Roberto (1221-28), Giovanni di Bireme (1228-37), Balduinof II (1238-61), il disordine aumentò, sinché nel 1261 Michele Paleologo, il sovrano dell'impero greco fondato nell'Asia Minore con capitale a Nicea da discendenti fuggitivi della casa dei Comneni, riconquistò Costantinopoli.

Anche i papi non ebbero gran che a rallegrarsi della loro sovranità spirituale sui territori dell'impero latino in Oriente. Venezia si impose nei riguardi delle nomine alle più alte cariche ecclesiastiche in una maniera che contrastava fortemente alle idee degli Innocenzi, e gran parte del patrimonio ecclesiastico nell'impero latino e nelle altre signorie latine venne incamerato.
Innocenzo (il III) protestò spesso contro questi atti, ma spesso dovette tacere o accontentarsi di successi apparenti.
Le condizioni delle chiese orientali furono una amara satira della supremazia della curia e delle sue promesse. E quando nel 1241 il torrente mongolico si scatenò sui paesi danubiani, i popoli rimpiansero che per amore del predominio papale fosse andato distrutto l'impero di Costantino il Grande.

L'impero bizantino restaurato nel 1261 da Michele Paletnologo non riacquistò mai l'antico vigore e non poté più servire da valido baluardo alla cristianità. Nel XIV secolo il tronco principale della penisola balcanica divenne preda dei Turchi e nel 1453 anche Costantinopoli cadde nelle loro mani. La mezzaluna soppiantò la croce in Santa Sofia, subito contornata dalle tirri deiminareti. Così la crociata del 1203 e 1204 non fece che spianare la via all'islamismo; e dire che papa Innocenzo III, l'accorto Innocenzo, aveva glorificato l'opera di distruzione compiuta dai crociati come una particolare "grazia di Dio" !.


L'UNGHERIA

Fra i popoli nomadi che in questi secoli irruppero numerosi in Europa dalle steppe dell'Asia i soli Magiari o Ungheresi hanno acquistato una importanza notevole in Europa. Gli Unni, gli Avari, i Peceneghi, i Cumani ed i Cazari rimasero distrutti dopo aver per lungo tempo seminato il terrore e la devastazione, ed i Bulgari si fusero con gli Slavi da loro sottomessi.
I Magiari, arrivati tra lotte fortunose sul basso Danubio, furono costretti nell'895 a sloggiare dai Bulgari e si ritirarono nella regione della Tisza, dove un tempo aveva eretto il suo trono Attila.

Essi ampliarono i loro dominii ed invasero a più riprese l'Italia, la Borgogna e la Germania rimaste mal difese dopo la dissoluzione della monarchia carolingia, finché in Germania Enrico I nel 933 e poi Ottone I nel 955 non li ebbe sconfitti in modo disastroso presso Augsburg. Come condottiero del suo popolo nell'emigrazione é celebrato Arpad (morto nel 907), la cui stirpe diede a questo popolo i suoi primi re.

Nel procedere all'occupazione del loro nuovo paese gli Ungari rasero al suolo i centri abitati così completamente che essi in seguito non vennero più riedificati. Ciò spiega come all'atto della conversione dei Magiari al cristianesimo le chiese del periodo preungarico non siano state ricostruite, salvo poche eccezioni.
Nondimeno con l'occupazione incomincia quel processo di evoluzione durato circa un secolo in seguito al quale i Magiari passarono dalla vita nomade e dalle scorrerie devastatrici alla vita sedentaria e crearono i primi rudimenti di una organizzazione politica analoga a quella dei popoli cristiani.

Contemporaneamente si modificò la struttura interna del loro popolo. Una gran parte dei veri e propri Magiari perì nelle razzie e spedizioni e fu sostituita da altri elementi, in parte barbari di analoghe abitudini nomadi, come Pecerighi e Cumani (questi ultimi in tale quantità che il loro nome é rimasto ad una vasta regione dell'Ungheria), in parte elementi più o meno inciviliti: prigionieri e schiavi o immigrati liberi, contadini, artigiani, ecclesiastici, cavalieri e letterati.

Costoro erano stati portati via a viva forza nelle scorrerie ovvero chiamati dai vicini paesi, dalla Germania, dall'Italia, dall'impero bizantino o dalle regioni slave, e costituivano insieme con i residui della popolazione antecedente del paese che avevano potuto sopravvivere alla tempesta dell'invasione magiara una considerevole percentuale della popolazione.
Dalla mescolanza di questi vani elementi uscirono generazioni dotate di un carattere nuovo, ma i Magiari rimasero l'elemento predominante per la lingua, per il sentimento nazionale e per influenza politica.

Per quanto i continui contatti con gli elementi più inciviliti e l'influenza della chiesa e dell'organizzazione statuale basata sull'agricoltura e sugli ordinamenti cittadini abbiano provocato in questo popolo il sorgere di nuove forme di vita e di nuovi sentimenti, pure ancora nel XIII secolo gli stessi nobili non avevano tuttavia perdute molte caratteristiche che ricordavano i tempi delle scorrerie e della compagnia degli Unni e dei Peceneghi.
Fra le influenze esercitate da nazioni straniere sui Magiari massima fu quella germanica. Appena una generazione dopo la battaglia presso Augsburg il duca degli Ungari, Geisa, prese il battesimo, e suo figlio Waik, che al battesimo assunse il nome di STEFANO, sposò una nipote dell'imperatore Ottone I.

Evidentemente non é estranea l'influenza di lei nel fatto che Stefano (997-1038), il quale si era fatto incoronare re, imprese ad effettuare la conversione del suo popolo al cristianesimo. Le resistenze da superare non furono poche, tanto che anche i successori di Stefano ebbero sino al 1060 circa a lottare con una opposizione pagana che riuscì persino a trionfare transitoriamente. Ma tuttavia nello spazio di due generazioni la grande opera poté dirsi compiuta, almeno esteriormente, insieme alla distribuzione del paese in tanti distretti amministrativi, detti comitati, ed insieme ad altre riforme richieste dai rapporti con l'estero e dall'introduzione dell'organizzazione ecclesiastica.

Papa Silvestro II, che era stato elevato alla tiara da Ottone III, mandò a Stefano la corona reale, ma questo non ebbe per conseguenza che il regno d'Ungheria rimanesse dipendente né dal papa né dall'imperatore.
Il successore di Stefano I, PIETRO, un suo nipote nato a Venezia, e figlio di sua sorella e di un veneziano, prese anzi una attitudine ostile all'impero, volgendosi contro i territori tedeschi di confine senza che Enrico III, impegnato in altre lotte, potesse provvedere a difenderli; ma nel 1041 ci fu una congiura che portò al trono un altro Arpade, OVO ovvero ABA. Pietro si rifugiò - nonostante le precedenti ostilità - proprio presso Enrico III.
L'imperatore nel 1042 penetrò vittoriosamente in Ungheria e la costituì a ducato che conferì ad un terzo Arpade. Ma era appena tornato in Germania con la maggior parte del suo esercito, che Ovo scacciò il suo protetto.

L'imperatore poi con una nuova campagna (1043) tolse agli Ungari la regione sino alla Leitha ed alla March e la incorporò permanentemente all'impero col nome di Neumark (Nuova Marca). Il paese fu rapidamente occupato da una popolazione tedesca.
Con una terza campagna Enrico III restaurò sul trono d'Ungheria re Pietro e si fece però prestare da lui il giuramento di vassallaggio. Ma re Pietro fu ben presto nuovamente spodestato da Andrea I, il quale fra una serie di lotte e negoziati riuscì a mantenersi indipendente dall'impero tedesco.

Anche l'imperatore Enrico IV tentò invano di affermare la sua alta sovranità feudale sull'Ungheria, benché a suo tempo si disputassero nuovamente la corona ungherese due pretendenti, uno dei quali era marito di una sorella di Enrico IV. Di questi sconvolgimenti approfittò papa Gregorio VII per tentare di fare dell'Ungheria un feudo della S. Sede.

Egli un po' minacciò l'ira divina, un po' raccomandò di rendersi obbligati e propizi gli apostoli con l'assoggettarsi a Roma. Ma gli Ungheresi non si lasciarono prendere all'amo. Anzi la concorrenza tra imperatore e papa sul volere infeudarsi l'Ungheria facilitò al paese un ritorno all'unione e la via di rimanere indipendente malgrado le precedenti lotte intestine. Allo scopo gli giovò pure un certo appoggio trovato nell'impero bizantino. L'imperatore Michele Ducas inviò infatti al re Geisa (1074-77) una corona in sostituzione dell'antica corona reale rapita probabilmente dal suo avversario Salomone.

Sotto re LADISLAO I, il Santo (1077-95) e sotto re COLOMAN (1095-1114) l'Ungheria si riebbe dai mali patiti durante le lotte interne dinastiche, e venne ristabilita e riordinata l'organizzazione amministrativa ed ecclesiastica creata da re Stefano.

Re Coloman sconfisse pure i Cumani, li stanziò tra la Tisza ed il Danubio, provvide felicemente a che nel 1097 le schiere indisciplinate dei crociati non danneggiassero troppo il paese, assoggettò la Croazia e tolse a Venezia le città litoranee della Dalmazia.
Sotto i suoi successori si rinnovarono le lotte dinastiche e di esse approfittò l'imperatore MANUELE per tentare di ridurre l'Ungheria alla dipendenza dell'impero bizantino. Ma egli non ottenne che risultati incompleti, e siccome verso la fine del XII secolo l'impero bizantino cadde al pari dell'impero tedesco nel massimo disordine, gli Ungheresi poterono conservare la loro indipendenza così da una parte come dall'altra, senza dover dire grazie a nessuno.

Re BELA III (1172-96), educato alla corte di Manuele e fornito di cultura greca, ampliò il territorio dell'Ungheria in Dalmazia, ed aumentò i rapporti del suo paese con gli Stati più civili dell'occidente europeo mediante il suo matrimonio con la sorella del potente re Filippo II Augusto di Francia.

LE DINASTIE DEGLI IMPERATORI

DINASTIA TEODOSIANA (395-457)
____ Arcadio (395-408);
____ Teodosio II (408-450);
____ Marciano (450-457)
DINASTIA TRACE (457-518)
____ Leone I il Grande (457-474);
____ Leone II (474);
____ Zenone (474-491);
____ Anastasio I (491-518)
DINASTIA GIUSTINIANEA (518-610)
____ Giustino l (518-527);
____ Giustiniano I (527-565);
____ Giustino II (565-578);
____ Tiberio II (578-582);
____ Maurizio (582-602);
____ Foca (602-610)
DINASTIA ERACLIANA (610-717)
____ Eraclio (610-641);
____ Costantino II (641);
____ Costante II (642-668);
____ Costantino IV (668-685);
____ Giustiniano II (685-711);
____ Leonzio (695-698);
____ Tiberio III (698-705);
____ Filippico (711-713);
____ Anastasio II (713-716);
____ Teodosio III (716-717)
DINASTIA ISAURICA (717-820)
____ Leone III (717-740);
____ Costantino V (740-775);
____ Leone IV (775 780);
____ Costantino VI (780-797);
____ Irene (797-802);
____ Nicéforo I (802-811);
____ Stauracio (811);
____ Michele I (811-813);
____ Leone V (813-820)
DINASTIA FRIGIA (820-867)
____ Michele II (820-829);
____ Teofilo (829-842);
____ Michele Il (842-867)
DINASTIA MACEDONE (867-1057)
____ Basilio I (867-886);
____ Leone VI (866-912);
____ Costantino VII (912-959);
____ Romano II (959-963);
____ Basilio II (963-1025);
____ Costantino VIII (1025-1028);
____ Zoe (1028-1050);
____ Costantino IX (1050-1054);
____ Teodora (1054-1056);
____
Michele VI (1056-1057)
DINASTIA COMMENA (1081-1185)
____ Alessio I (1081-1118);
____ Giovanni II (1118-1143);
____ Manuele I (1143-1180);
____ Alessio II (1180-1183);
____ Andronico I (1183-1185)
DINASTIA DEGLI ANGELI (1185-1204)
____ Isacco II (1185-1195);
____ Alessio III (1195-1203);
____ Alessio IV (1203-1204)
IMPERATORI LATINI DI COSTANTINOPOLI (1204-1261)
____ Baldovino, conte di Fiandra (1204-1205);
____ Enrico di Fiandra (1205-1216);
____ Pietro di Courtenay (1221-1228);
____ Baldovino II (1228-1261)
IMPERATORI DI NICEA (1206-1259)
____ Teodoro I (1206-1222);
____ Giovanni III (1222-1254);
____ Teodoro II (1254-1258);
____ Giovanni IV (1258-1259)
DINASTIA DEI PALEOLOGI (1261-1453)
____ Michele VIII (1261-1282);
____ Andronico Il (1282-1328);
____ Andronico IIl (1328-13-41);
____ Giovanni V (1341-1391);
____ Manuele II (1391-1425);
____ Giovanni VIII (1425-1448);
____ Costantino XI (1448-1453).

Ci attende ora un lungo capitolo
ritorniamo all'impero tedesco e in Italia
con Federico II

FINE DELLA LOTTA TRA PAPATO E IMPERO > >

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